Territorio e Storia

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Notizie generali e la fondazione di Joppolo

Ioppolo Giancaxio conta, oggi, poco più di 1.500 abitanti, fra cui molti anziani e donne.
La principale risorsa della città da sempre è stata l'agricoltura.
Vi si producono soprattutto frumento e fave.
Negli ultimi decenni ha avuto un discreto sviluppo la coltura dei melloni.
Il paese sorge a 450 metri sul livello del mare!
Il territorio Joppolese si estende per circa 19,10 Km2
E' situato a nord di Agrigento (da cui dista circa 12 Km);
a sud ovest di Aragona (da cui dista circa 8 km);
ad est di Raffadali (da cui dista circa 4 Km);
a sud di S. Elisabetta (da ciu dista circa 8 km).
All’interno del paese s’innalzano 2 rocce di origine calcarea
che permettono di osservare dall’alto uno splendido panorama.
V. Amico così lo descrive:
Siede Joppolo verso la sinistra ripa del fiume Drago o Agragante
(Agragas), alle radici di due colli, come fra due scogli che sollevansi
naturalmente agli angoli del paese, diviso di rette ed ampie
vie col palazzo baronale.

Francesco Maratta nel suo libro “La terra del duca muore” scriveva:
Ioppolo, come tanti altri tardivi centri feudali della Sicilia,
sorse nel XVII sec. quando sotto l’auspicio di baroni e signori di terre
venne mesa in opera la colonizzazione dell’interno della Sicilia.
[..]Con la costituzione di un nuovo centro i signori acquistavano tanti voti in Parlamento
quanti erano i nuovi feudi con vassallaggio a essi infeudati.
[..]Ottenuta la “licentia populandi”, il signore poteva non infeudare
subito la nuova Università .
Per quanto riguarda Joppolo non conosciamo la data che possa
Indicarci con certezza il tempo in cui il padrone della terra
Ottenne la licentia, ne possiamo sapere quanto tempo sia trascorso
dalla concessione sovrana alla fondazione della Università.

Sulla nascita di Joppolo Giancaxio Pietro Imbrodino
nel suo libro “cenno strorico di Joppolo” così scriveva:
La terra, ove attualmente sorge il fabbricato, fin dal XII secolo e
probabilmente molto prima ancora, si chiamava IANCAXI.
Tale feudo nel 1268 era posseduto da Lamberto Montaperto il quale
era signore dei feudi di Bugio, di Sicauni, Passatello,
Guastanella, Raffadali, Buternì e Ragalturco.
Nel 1316 Iancaxi con gli altri feudi passò a Bartolomeo Montaperto e Loria.
Poi passò a Cerisafi e Riccio e nel 1406 fu venduto al Siracusano Giacomo Arezzo,
pronotaro del regno, da cui passò al figlio Nicolò Arezzo e da questi alla sorella Beatrice.
I questo periodo si cominciò a chiamare il feudo GIANCASCIO.
Morta Beatrice i suoi beni passarono al nipote Pietro Lauria il quale
s’investì della baronia di Fontanafredda e di Giancascio con Ragalturco nel 1453.
Egli cedette detta baronia alla sorella Violante nel 1460.
Da questi la baronia passò al figlioPpier Matteo Orioles nel 1495
Poi al Figlio Giovanni Francesco nel 1515.
Nel 1541 passò a Giambattista Orioles;
nel 1549 a Giuseppe Orioles;
nel 1579 a Giambattista Orioles;
nel 1604 a Gaspare Orioles.
Nel 1632 i feudi di Giancascio e Ragalturco furono venduti a Giovanni Antonio Ioppolo.
Egli cedette i suoi possedimenti ed i suoi titoli alla figlia Rosalia che si era sposata
con Calogero Gabriele Colonna Romano.
La nobile coppia fece fabbricare nel feudo di Giancascio ben 87 case nel 169
6 ed il villaggio fu chiamato JOPPOLO dal cognome della consorte Rosalia.

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I toponimi Giancascio e Ragalturco

Ma da dove derivano i toponimi Giancascio e Ragalturco?

Ecco il parere di alcuni studiosi sulla probabile toponomastica di Joppolo:

Il prof. Raffaele Grillo scrisse che i toponimi Giancascio e Ragalturco hanno

origine prettamente araba infatti Ragalturco deriva da RAGAL (in arabo RAHAL

che significa luogo di fermata o villaggio rurale) e TURCO che è chiaro nel significato.

HA” è la sesta lettera del’alfabeto arabo, si trascrive “H” nella nostra lingua ed ha una

pronunzia fortemente aspirata. Data questa aspirazione si spiegherebbe facilmente che Ragalturco,

nella pronunzia degli abitanti del luogo, ancora si denomini arabicamente FANTURCHIU

in quanto caduta la prima sillaba del toponimo, “RA” è rimasta nella pretta pronunzia araba la seconda,

cioè “HA” che nell’aspirazione è simila alla “FA”.

Il toponimo Giancascio sa anch’esso di etimologia araba,

in quanto sicuramente deriva da “Jan” e “Càscr” (castello) quindi sarebbe :

CASTELLO DI GIANNI (o GIOVANNI).

Il patronimico, da nome di persona, è molto comune nella toponomastica araba della Sicilia,

come in Mezzojuso (da Menzil Jusuf = casale di Giuseppe).

Nell’opera di Gaetano Trovato, “SOPRAVVIVENZE ARABE IN SICILIA”,

si legge:” Joppolo Giancaxio, sic. Joppulu Giancasciu; forse deriva dal nome di Rosalia Joppolo,

moglie di Calogero Colonna, Duca di Cesarò, che fondò il paese nel territorio di Giancascio;

il quale ultimo potrebbe essere l’arabo “ayn” (sorgente) e “Hàsciah” (sponda o margine) o

 “Kascia” (suolo coperto di fango  e sassi).

 

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I COLONNA ROMANO

I Colonna Romano sono una delle più antiche famiglie nobili del regno di Sicilia.
Di questa famiglia si sono occupati i maggiori araldisti e genealogisti italiani, i quali hanno
più o meno fantasticato sulle sue origini.
Secondo alcuni, essa affonderebbe le proprie radici nella Roma repubblicana ed il capostipite
sarebbe stato Caio Mario, sette volte console di Roma, soprannominato “Colonna” perché
avendo sottomesso i Traci e assoggettata la Libia, piantò nelle terre conquistate varie colonne
in ricordo delle sue gloriose gesta.
Altri studiosi invece affermano che il progenitore sarebbe stato un certo Pietro della Colonna
marchese di Camerino e duca di Spoleto.
Al di là delle teorie, i Colonna Romano cominciano a comparire nei primi documenti intorno al
Mille ed erano così potenti che dalla loro stirpe nacque una sfilza infinita di santi, beati, papi,
cardinali, vescovi ecc..
La famiglia si divise in vari rami a Roma, Napoli ed in Sicilia dove fu trapiantata da Federico
Colonna, soprannominato “Romano” per la sua patria d’origine, trasferitosi nell’isola al seguito
del fratello Giovanni, arcivescovo di Messina, nel 1255.
Da quest’ultimo discesero i vari rami della famiglia che si diramarono a Messina, Palermo,

Caltagirone, Noto, Polizzi, Alcamo.
Tra i personaggi più famosi citiamo Tommaso Colonna che, sedata una rivolta a Messina, ottenne
dal re Martino la terra ed il castello di Fiumedinisi nel 1392.
Nel XV secolo i baroni di Cesarò e di Fiumedinisi si fusero in un unico ramo e nel 1694 Calogero
Gabriele Colonna, figlio di Tommaso, ottenne il riconoscimento di duca di Cesarò.
Egli fu uno dei più cospicui titolari della Palermo barocca,

possedeva un magnifico palazzo sul Cassaro, la principale via di Palermo, ed una splendida villa.
Tra le sue numerosissime baronie vi erano i feudi di Giancascio e Realturco, nel primo dei quali
oggi sorge il nostro amato paese.
Detti feudi furono acquistati intorno al 1650 da Giovanni Antonio Joppolo, il quale donò i suoi
possedimenti alla sua unica figlia Rosalia, sposa di Calogero Gabriele Colonna Romano.
I nobili coniugi nel 1696 fecero costruire nel feudo di Giancascio ben 87 case e chiamarono
suddetto feudo Joppolo, dal cognome della duchessa.
Dalla coppia nacque Giovanni Antonio Colonna Joppolo, che il 10 gennaio 1724 sposò Anna
Eleonora Branciforti. Egli erediterà i feudi del padre Calogero Gabriele ma, in seguito alla morte
prematura della moglie, cederà i suoi titoli al figlio Calogero Gabriele Colonna Branciforti.
Alla morte di quest’ultimo duca, la baronia passerà prima a Giovanni Antonio Colonna Ventimiglia,
successivamente a Calogero Gabriele Colonna Requesens, il quale sposerà nel 1806
Girolama Filangeri, donna energica e tenace che riuscì a salvare l’intero patrimonio dei Colonna
che rischiava di andare in fumo a causa di una cattiva gestione.
Intorno al 1850 la baronia dello Stato di Joppolo passa al figlio

Giovanni Antonio Colonna Filangeri (nato il 19 settembre 1819) sotto la supervisione della madre.
Partecipò ai moti del 1860 e venne incarcerato con il giovane figlio Calogero Gabriele.
Fu prefetto di Bergamo dal 1862 al 1864. Morì a Palermo il 24 gennaio 1869.
Dopo la sua morte, i feudi passarono al figlio Calogero Gabriele Colonna (nato il 30 aprile 1841)
il quale nel 1876 si sposò con Emmelina Sonnino. Amava la politica e fu un patriota fervente.
Fu incarcerato e torturato dagli sgherri borbonici e dopo la liberazione (avvenuta ad opera dei garibaldini)

si batté per l’annessione della Sicilia al regno di Vittorio Emanuele.
Morì a Livorno l’8 luglio del 1878 a soli 37 anni

Ed ecco l’ ultimo duca di Cesarò: Giovanni Antonio Colonna nato il 22 gennaio 1878.
Figlio di Calogero Gabriele rimase orfano ad appena sei mesi.
Fu eletto deputato nel 1909 nei collegi di Francavilla di Sicilia, Messina e Catania.
Fu consigliere comunale di Palermo e consigliere provinciale di Agrigento.
Fu nominato, il 31 ottobre del 1922, ministro delle Poste del governo fascista
Ma quando si accorse della natura totalitaria e violenta del regime, si dimise dalla
carica di ministro. A causa delle dimissioni fu considerato un traditore dai fascisti i quali
lo inserirono nella lista di coloro che bisognava espellere dal Parlamento così
il 26 novembre 1926 la Camera lo dichiarò decaduto assieme ad altri uomini che
hanno operato per la costruzione della nuova Italia: Antonio Gramsci, A. De Gasperi ecc.
Morì a Roma nel 1940.
La sua salma verrà trasportata a Joppolo Giancaxio e seppellita nella cappella del castello.

 

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L'autonomia

 

Fino al 1827 Joppolo aveva il suo Sindaco perchè formava comune autonomo. Un esattore

incaricato ad esigere le imposte, come secondo Imbordino,  "si mangiò la cassa comunale"

quindi Ioppolo da comune passò a borgata fino al 1922.

Dal 1827 al 1892 è borgata di Aragona

Dal 1893 al 1922 è borgata di Raffadali

Il 16/12/1921 Il duca di Cesarò presenta alla camera dei deputati la proposta

di legge speciale (N°1192) per la "Ricostituzione del comune di Joppolo"

La suddetta proposta di legge verrà approvata dalla Camera il 30/08/1922.

Verrà aggiunto al nome di Joppolo, quello di Giancaxio per evitare di confusioni

con l'omonimo comune della Calabria.

 

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Joppolo sotto il fascismo: crisi sociale e criminalità

(Tratto dal libro "Joppolo Giancaxio: tra storia e memoria" di A. Spataro)

 

Durante il decennio 1917-1926, Joppolo, al pari di altre località siciliane,

venne investita da un preoccupante fenomeno di recrudescenza criminale che

determinò un clima d'insicurezza e di terrore fra gli abitanti.

Con l'aggravante che i responsabili dei numerosi delitti sembravano godere

del privilegio dell'impunità. Tutto era consentito: dalla rapina aggravata all'omicidio,

dall'estorzione al porto d'armi senza licenza, dalle minacce ai danneggiamenti di

proprietà agricole, ecc.,ecc.

[..] L'epoca è quella segnata da una grave crisi economica e politica del primo dopoguerra.

Una gran massa di giovani ex combattenti, reduci dalla carneficina del Carso e del Piave,

erano allo sbando nei loro villaggi dove, stretti nella morsa della crisi,

rifiutarono di accettare l'ordine sociale preesistente.

Taluni esperessero questa loro insoddisfazione con forme di ribellismo,

venato da ambigue coloriture politiche, altri presero la via dell'illegalità.

Anche nel caso della criminalità di Joppolo, la figura che emerge corrisponde

largamente alle caratteristiche tipiche del brigantaggio siciliano che tende

 a trasformarsi in organizzazione di tipo mafioso.

L'attività prevalente era la rapina, seguita da una richiesta estorsiva nei confronti

del medesimo rapinato. vittime di tali azioni non erano soltanto i possedenti o

i benestanti, ma anche gli umili proprietari di un asino o di una capra.

Come era inevitabile, un'attività di questo tipo, anche se finalizzata alla rapina e

 all'estorsione, giunse alla consumazione di delitti ben più gravi come l'omicidio e

il tentato omicidio. A Joppolo, dal 1920 al 1925, furono consumati ben 6 omicidi,

uno dei quali ai danni di una donna, e 4 mancati omicidi.

[..] Alcuni nostri anziani ricordano ancora quei drammatici momenti quando in

un determinato "passo" (d'Aragona, Santa Lucia, ecc.) venivano fermati da i

ndividui armati e incappucciati e rapinati dei loro miseri averi.

Ail malcapitati veniva intimato di consegnare denaro, merci e talvolta perfino

le scarpe che calzavano, oltre naturalmente alle bestie che li trasportavano.

Anche i braccianti che tornavano, dopo una settimana di duro alvoro alle "marine",

 venivano rapinati delle poche lire sel salario guadagnato.

La piaga del brigantismo era nell''intera Sicilia e tale situazione preoccupava

grandemente l'opinione pubblica. Il regime fascista, da poco insediatosi al governo

del paese,non poteva tollerare un tale stato di disordine.

Ed ecco arrivare "la dichiarazione" di guerra, per tutelare i galantuomini dai delitti,

 pronunciata da Mussolini in persona ad Agrigento nel 1924.

Mussolini convocò si suoi collaboratori e chiese loro di trovare un

"uomo nuovo, capace, inflessibile, esperto di cose siciliane senza essere siciliano",

a cui affidare ampi poteri per debellare la criminalità in Sicilia.

La scelta cadde sul prefetto in pensione, Cesare Mori, che diventerà famoso

come il "prefettissimo" o il "Prefetto di ferro".

Nel 1925, Mori sbarca in Sicilia, accompagnato dalla fama di uomo integerrimo e

di inflessibile servitore dello Stato, e sopratutto confortato da un decreto che

 gli conferiva "carta libera" nella lotta al crimine organizzato.

Il Prefetto non va tanto per il sottile e, grazie ad una serie di spettacolari campagne

 anticrimine, riesce, in poco tempo, ad infliggere colpi durissimo alle organizzazioni

 più forti e temute della SIcilia occidentale.

Assedi d'interi paesi e quartieri, retate di massa, rastrellamenti nelle campagne ecc,

si susseguono giorno dopo giorno fino a fiaccare la resisenza dei capi mafiosi più ostinati.

In questo nuovo clima, viene organizzata su Joppolo una formidabile

operazione antimafia che, nella notte dell' 11 Dicembre 1927, porterà all'arresto

di una cinquantina di persone accusate di appartenere ad un'associazione

per delinquere e di una serie di altri gravi delitti.

Il paese venne circondato dai militi e quindi rovistato casa per casa;

i ricercati furono catturati quasi tutti e costretti a sfilare in catene per le vie cittadine.

Fra la popolazione il sentimento più diffuso era quello della liberazione da una crudele

oppressione, anche se c'era pietà per qualche innocente ch'era stato messo nel mazzo.

 

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