STUDI DI FILOSOFIA GRECA E
TARDO-ANTICA
IL SIGNIFICATO FILOSOFICO
DELLA TRAGEDIA SOFOCLEA
MATRICI TRAGICHE DELLA
FILOSOFIA GRECA DA ANASSIMANDRO A PLATONE
Il "sogno"
metafisico platonico
LA FONDAZIONE DELL’IO NEL
PENSIERO DI AURELIO AGOSTINO
Il PROBLEMA POLITICO TRA
REALISMO E UTOPIA
ELEMENTO ONTOLOGICO DELLA
LEGGE NATURALE.
IL PROGRESSO INTERNO DELLA
VITA UMANA
UN GRANDE RITORNO VERSO LO
SPIRITO
UNA STRADA CHE PORTA GLI
UOMINI A DIO
L'INTEGRITÀ DELLA RAGIONE
NATURALE
LE PROVE DELL’ESISTENZA DI
DIO
Nel 2000 a.C. Creta è la prima civiltà europea con
capitale Cnosso.
Palazzi sontuosi con lucernari, servizi igienici,
registri e documenti scritti, geroglifici, scrittura sillabica, arte e cultura
da raffinare sono le testimonianze di questa civiltà. I cretesi veneravano gli
dei e offrivano sacrifici alla dea serpente. Lo sport, i giochi atletici sono
intrisi di religiosità. Nel gioco del salto del toro si originò il mito di
Teseo. Le difese della città erano superflue perché i cretesi dominavano il
mare.
Il polpo è raffigurato di frequente e come
tentacoli Creta fondò varie colonie che sottopose a tributo. Thera si trovò
all'epicentro di terremoti e di una eruzione vulcaniche che decretò la fine del
potere della prospera civiltà cretese. I micenei ne presero il posto, razza
guerriera di popolazione greca. I micenei costruiscono grandi fortezze di
pietra e sono governati da re soldati.
Essi assimilarono molto dalla cultura cretese così
come i romani faranno con la cultura greca. La civiltà micenea fu estremamente
ricca ed evoluta per la scrittura e i commerci che ebbe in tutto il
mediterraneo e con Troia. I micenei si indebolirono nella lunga guerra con
Troia e così si trovarono perdenti nello scontro con i Dori.
Nel 1200 a.C. abbiamo il Medio evo ellenico con lo
sviluppo di città stato indipendenti. Queste città a causa della povertà del
territorio furono spinte a fondare nuove colonie. Nel 750 a.C. si fondarono in tutto il mediterraneo città greche.
Sorgerà in particolare la Magna Grecia che rappresenta uno straordinario
impulso di civiltà per tutta l'Italia meridionale.
Le rovine maestose di Persepoli, nell'odierno
Iran, indicano come un tempo fosse capitale del potente impero persiano.
All'inizio del V sec. alcune colonie greche dell'Asia minore vennero in
conflitto con i persiani. Ciro guidò una spedizione punitiva di persiani che
nel 490 a.C. sbarcarono a Maratona, ma per le brillanti tattiche del generale
ateniese Milziade le forze persiane furono in gran parte distrutte.
Dieci anni più tardi il re Serse condusse contro
la Grecia un ingente esercito di medi e di persiani che attraversò i Dardanelli
su un ponte di barche. Alla spedizione partecipò anche la flotta persiana.
Ma alle Termopili il re
Leonida con 300 valorosi bloccò per tre giorni l'esercito persiano fino
all’estremo sacrificio della morte. Questo sacrificio non fu inutile perché le
città stato ebbero il tempo di organizzarsi. Le flotte nemiche si
fronteggiarono a Salamina in uno stretto braccio di mare le forze soverchianti
forze e i grandi navigli dei persiani si trovarono in difficoltà di manovra ed
ebbero la peggio. Questa battaglia navale fu decisiva e decretò una svolta per
le sorti europee.
Per cinquant’anni Atene fu il centro propulsore di
un'altissima civiltà. Le arti, la filosofia, la politica, le istituzioni,
trovarono una maturità compiuta, presero forme e istituzioni che avrebbero
influenzato per secoli il mondo occidentale. Per governare la loro città tutti
gli ateniesi liberi godevano del diritto di parlare ai loro cittadini da una
tribuna. Atene era una vera democrazia anche se una vasta massa di stranieri e
di schiavi non godeva dei diritti politici. Se si raccoglieva un numero
considerevole di voti (ostracismo) contro un cittadino, costui doveva andare in
esilio, da ciò si riflette l'idea ellenica che lo Stato è più importante del
cittadino.
Il Partenone con stile dorico indica la passione
per la perfezione assoluta, propria dei greci. A prima vista sembra un edificio
molto semplice eppure ogni sua linea è
leggermente curva al fine di compensare le distorsioni ottiche dovute all'altezza
e alla prospettiva ogni singola pietra dovette essere tagliata con angolazione
leggermente diversa il che comportò una grande abilità.
La perfezione e la compostezza delle immagini scolpite
mostra come essi hanno avuto fiducia nelle loro divinità e al contempo il
rifiuto delle emozioni che turbando la nobiltà dei lineamenti sono adatte solo
ai barbari. Un secolo dopo questa bellezza si addolcirà a favore di una
bellezza più piacevole.
L'ideale ellenico di nobiltà e dignità era per
molti ristretto alla compostezza del corpo visto che erano capaci di sfrenate
orge e di estasi, come avveniva per i riti legati al dio Dionisio. Nel mondo
greco le donne erano per lo più confinate in casa.
Ai greci non mancava il senso dell'umorismo ed
erano appassionati spettatori di commedie. Commedie e tragedie erano legate al
culto di Dionisio, più tardi vennero introdotte maschere stilizzate. Nel V sec
a.C. grazie ad Eschilo Sofocle ed Euripide, il teatro divenne una forma
artistica fondamentale che rifletteva la forma di vita quotidiana. I greci
curavano molto l'atletica, quando la fiamma olimpica percorreva la Grecia ogni
guerra veniva sospesa.
I giochi olimpici erano in onore di Zeus, il cui
tempio dominava la città di Atene, e si tenevano ogni quattro anni. I giochi
erano visti come un evento sacro, per questo gli atleti si purificavano prima
dei giochi. Nel III sec a.C. i greci eccelsero nella matematici e raggiunsero
alti obiettivi in geometria. Uomini come Pitagora e Archimede cercarono per la
prima volta di spiegare la natura e formularne le leggi.
La passione per la verità, ed il pensiero rivolti
all'uomo, portò i filosofi a costruire sistemi logici ed a esaminare questioni
etiche. Tra questi vanno citati Socrate, l'austero, maestro di Platone. Platone
con il suo Stato ideale e Aristotele suo discepolo. Ma il dubbio critico circa
l'autorità dello Stato sull'individuo, il campanilismo delle piccole
comunità furono tra le cause
fondamentali della caduta delle città stato. Troppo piccole per essere
economicamente vitali erano tuttavia in continua lotta tra loro.
Nel 431 iniziò una disastrosa guerra tra Atene e
Sparta. La guerra del Peloponneso durò 26 anni e si concluse con la sconfitta
di Atene, ma anche Sparta ne uscì indebolita. Fu la Macedonia ad approfittare
della debolezza e instabilità delle comunità greche.
Il re Filippo 338 a.C. e poi il figlio Alessandro
assorbirono l'intera Grecia. Alessandro volle eliminare le distinzioni fra
Greci e Barbari nell’immenso che conquistò rapidamente. Volle un impero che si
fondasse su una cultura e una lingua comune, ma il suo ideale non fu mai
realizzato anche per la sua prematura scomparsa, ma si può parlare di un nuovo
mondo greco orientale il mondo ellenistico.
Il mondo ellenistico si riflette anche nell'arte,
la perfezione classica lasciò il posto al realismo. Le opere rivelano una forza
quasi brutale e spesso un atteggiamento melodrammatico del soggetto artistico.
Inoltre nell'arte e nella letteratura si manifestò un nuovo interesse per
l'individuo trascurato sino ad allora.
La Grecia contribuì a coltivare questa nuova
visione artistica nonostante il suo ruolo politico fosse in declino. Due secoli
dopo i romani si sarebbero ispirati ad imitazione di Alessandro ad un concetto
di impero universale. (Liberamente sintetizzato dalla video cassetta: I GRECI
dal mito alla storia, L'Europa attraverso i secoli, educationalvideo,
Cinehollywood)
Nel V sec a.C. fiorì una delle civiltà più
brillanti che l’umanità abbia mai conosciuto: “l’età d’oro della Grecia
classica”. In modo compiuto si svilupperanno le scienze, l’arte,
l’architettura, la filosofia e la politica, queste modelleranno la cultura di tutti i secoli. Questa civiltà ha
avuto a disposizione fondamentalmente la sola logica del ragionamento, per
questo tanto importante per noi quindi è l’indagine, l’investigazione che i
greci hanno attuato per ricercare il mistero che l’uomo racchiude in se. I
Greci, non sono partiti nella loro ricerca aiutati da una religione, ma essi
stessi per necessità ne hanno inventata una. Il culto della verità condusse i
pensatori greci a elaborare questioni etiche e a costruire sistemi logici e
categorie morali. Culmine di tutta questa ricerca fu la scoperta dell’Archè:
tutto ciò che esiste nell’universo ha un principio e un’origine comune.
A livello filosofico i greci scoprirono
l’esistenza di Dio, perché compresero che tutto l’universo proviene da un unico
principio, che essi appunto chiamarono Archè. Purtroppo i Greci non seppero
trarre fino in fondo le conseguenze teologiche di questa preziosa scoperta. Nel
V secolo a.C. i sofisti, maestri di retorica, logica e teoria della politica,
erano squallidi maestri di scaltrezza. Strumentalizzarono la retorica per
dimostrare vere tutte quelle tesi che erano di comodo. Tradiranno la verità
oggettiva in favore di ciò che piace. Essi negheranno la possibilità di
concretizzare i valori morali immutabili e universali.
Platone, Socrate e tanti altri si opposero al
relativismo e all’immoralità dei sofisti, sostenendo che la virtù è la
consapevolezza intrinseca degli uomini e che essi non possono essere virtuosi
senza della virtù. Il vizio o il male sono semplicemente frutto di stupidità e
di ignoranza. Sofista deriva dal termine greco che indica: sapiente, maestro,
uomo saggio.
Ma dal V secolo a.C. il nome designò alcuni
maestri itineranti che impartivano una scaltra istruzione a pagamento. I
sofisti ritenevano che la verità e la morale fossero opinabili; essi
approfondirono pertanto le forme di espressione persuasiva, come la retorica,
utile per ottenere l’interesse privato e vivere la vita pubblica con successo
nell’interesse privato.
Socrate, Platone e Aristotele misero in
discussione i fondamenti filosofici dei sofisti e li condannarono per il
relativismo delle loro affermazioni che li portava, in cambio di denaro, a
insegnare la validità di qualsiasi principio. Vennero accusati dal governo
della città di immoralità e la parola "sofista" ebbe un significato
sprezzante, così come il termine moderno "sofisma", definisce un
ragionamento sottile, ingannevole o addirittura falso. Possiamo definire i
sofisti come i capostipiti del relativismo, la più pericolosa corruzione morale
e intellettuale che l’umanità abbia mai conosciuto.
(Teologia Fondamentale, Carlo Skalicky, “ut unum
sint” Roma) Il merito di questo
modello ontostatico si attribuisce giustamente a Parmenide di Elea (nato verso
il 540). Del suo poema Peri fyseos (Sulla natura) si sono conservati alcuni
frammenti, dai quali possiamo ricostruire il suo pensiero.
Nel frammento 4 (Diels) la riflessione di
Parmenide arriva a stabilire una chiara e netta differenza tra la verità
(aletheia) e l'opinione (doxa) che costituiscono due vie (hodos) radicalmente
diverse. Infatti così parla la dea, nel poema parmenideo, al suo autore: « Or
dunque io ti dirò e tu ben cura di udirmi, quali sono le sole vie pensabili per
la ricerca; l'una è che l'essere esista ed il non essere non esista, e questa è
la via della Certezza (essa segue la Verità), l'altra è che l'essere non
esista, e che necessariamente esista il non essere, e questa, ti dirò, è via
del tutto imperseguibile. Poiché tu non puoi conoscere il non essere (ciò è
assolutamente impossibile) e nemmeno pensarlo... ». «
Poiché pensare l'essere ed essere è la stessa cosa
»(Fr. 5). Ebbene, se rimane solo una via perseguibile, secondo cui « l'essere
esiste ed il non-essere non esiste », che cosa ne segue?
Lo si può cogliere nel Fr. 8, dove si dice: « E
così rimane ancora una sola via perseguibile che l'essere esiste. Ed in favore
di ciò vi sono molti segni; come non nato (ageneton), così pure esso non può
perire (anolethron), forma un tutto, è unigenito (mounogenes), immobile
(atremes), senza fine (ateleston).
Non era mai, né sarà, poiché esso nell'adesso
esiste tutto insieme (homou pan), unico (hen), indivisibile (syn eches). Quale
origine vuoi tu infatti trovare di esso? Come, e da dove il suo accrescimento?
Esso non può essere stato originato dall'essere, poiché altrimenti esisterebbe
un altro essere.
Né posso lasciarti dire e pensare che abbia
origine dal non essere; non si può infatti né dire né pensare ciò che non è.
Quale necessità lo avrebbe forzato, infatti, prima o poi, a cominciare a
crescere dal nulla?
E' quindi necessario o che sia sempre continuato
ad esistere in tutti i casi o che non lo sia stato assolutamente mai ».
E così Parmenide, basandosi sul principio
d'identità, (secondo cui « l'essere esiste ed il non essere non esiste »)
dimostra l'esistenza di un essere assoluto che semplicemente è. Un tale essere
è necessariamente immobile, indivisibile, sussistente necessario eterno, cioè
ha tutti gli attributi divini. Ne segue che il mondo, come ci viene presentato
dalla nostra sensibilità, cioè mutevole, vario, ecc., non è che illusione: «
Non vi è niente né vi sarà nulla al di fuori dell'essere, afferma Parmenide,
giacché la Sorte (Moira) lo ha costretto ad essere un tutto immobile
(akineton). Perciò è tutto un vuoto suono (onoma) ciò che i mortali, persuasi
della loro verità, hanno ammesso che sia vero: nascere e perire, essere e non
essere, variare il posto e cambiare il colore lucente ».
Una posizione simile a quella di Parmenide si
riscontra anche nelle più recenti Upanishad. Così nella Bhagavadghita (Canto
del sublime) di 700 versi, certamente il testo più venerato dell'induismo,
contenuto nel Mahabharata, si dice nel Capitolo II: "Ciò che non è non
sarà mai, e ciò che è, non cessa mai di esistere; la linea che divide questi
due stati, è stata vista da quelli che sanno la verità". La nascita e la
morte sono dunque pure illusioni: "Chi crede di uccidere o di essere
ucciso, in entrambi i casi non capisce:
egli non uccide e non è ucciso. Egli non è nato né morirà mai, né essendo nato,
perderà mai l'esistenza. Non nato, eterno, imperituro, antico, non è ucciso
quando è ucciso il corpo". C. Regamey riassume la dottrina delle Upanishad
con queste parole:
« ...il mondo appare in questa esperienza non come
la varietà delle cose empiriche, ma come un tutto, come il Tutto. Solo così può
venir raggiunta la contemporanea esperienza della pienezza ed il sentimento
dell'unità. Il fondamento razionalistico di questo mistico assioma è dato dalla
dottrina delle equivalenze. L'equazione "l'uno è il tutto" non può
essere compresa sulla base della forma esterna delle cose; essa e spiegabile
solo se si ammette che il principio essenziale di tutte le cose è il medesimo.
E la conoscenza di questo principio è possibile solo con la premessa che esso
corrisponde al più profondo se stesso dell'uomo ed è identico a lui... Mentre
però negli antichi miti "l'Uno" era postulato solo come primo
principio, esso diviene ora principio totale. Non solo in principio era
"l'Uno", ma il mondo è continuamente l'Uno. Questa è la tesi principale
delle Upanishad » (Cristo e le religioni del mondo, vol. Il, pagine 106-107).
La conoscenza, secondo questa concezione, è possibile in virtù della identità
tra il pensiero interiore dell'uomo e il mondo esteriore. La soluzione
dell'enigma del mondo si trova, secondo questi antichi saggi indiani, nel fondo
del proprio cuore. Conoscere veramente significa diventare una cosa sola con
l'oggetto. Ma per raggiungere il sentimento dell'unificazione con il mondo,
bisogna eliminare tutti i sentimenti e le impressioni esteriori: non l'uomo
come tale si identifica con il mondo, ma il suo « Io » più profondo, più
interno. Ora, la via per tale concezione dell'esperienza mistica dell'unità
dell'Io con il mondo è preparata dal «mito psicologico» che ha già preso nel
Brahmana la forma dell'equazione: atman è brahman (sé stesso è principio del
mondo). E' forse in questo ordine di idee che va intesa la identificazione
parmenidea dell'essere e del pensiero (cf. Fr. 5: traduzione letterale: poiché
lo stesso è pensare ed essere). Riassumendo: Esiste soltanto un essere che è
nello stesso tempo ogni essere, uno e tutto, “hen kai pan” (ecco la formula
fondamentale del modello ontostatico). Esso è immobile (atremes, aki-neton),
non-nato (ageneton), imperituro (anolethron), infinito (ateleston), senza
principio (anarchon), senza fine (apauston), tutto pieno dell'Essere (pan
d'empleon eontos). Non esiste la differenza dell'essere e del pensiero, perché
« lo stesso è pensare ed essere (to gar auto noein estin te kai einai). Gli
indiani diranno atman è brahman (brahman è la sostanza primordiale di ogni
essere; atman è l'alito fondamentale, il vero nucleo dell'uomo). L'apparenza
(to fainomenon) in cui il mondo si presenta alla nostra sensibilità come
mutevole, finito, soggetto alla legge del nascere e del perire ecc., diventa
illusione, ossia doxa come diceva Parmenide, o maya, come dicevano gli indiani.
Come si può facilmente notare un tale Essere Assoluto e Necessario non lascia
spazio alcuno per l'essere relativo e contingente. In questo sistema la creatura
come la intendiamo noi, non è possibile, e quindi non è possibile la creazione
nel senso biblico e neppure il Dio Creatore, che crea per amore il mondo e
perciò lo trascende. Questo universo di pensiero è chiuso alla concezione
biblica della creazione.(Teologia Fondamentale, Carlo Skalicky, “ut unum sint”
Roma, p.15-18) Parmenide salvaguarda la ragione ma perde il movimento, perde la
realtà empirica e così perde anche la sensibilità dell’uomo.
E TARDO-ANTICA
(Liberamente sintetizzato da Tiziana Liuzzi, STUDI
DI FILOSOFIA GRECA E TARDO-ANTICA, ed. Laterza)
I saggi qui raccolti si occupano del significato
tragico della filosofia greca e della fondazione dell'io nella speculazione
agostiniana. I primi interpretano alcune filosofie, comprese tra il VI e il IV
secolo a.C., alla luce dell'individuazione del “dramma” quale motivo fondante
il pensiero antico. In particolare, chiarito che il tragico (per noi occidentali è un sentiero privo di
vie d'uscita), lo spettacolo della
contraddizione della vita, la messa in scena dell'assurdo, viene prospettato
come il fondamento della speculazione dei Greci. L’ultimo saggio tratta il
problema del “soggetto” nella prospettiva agostiniana. La questione dell’io
viene prospettata quale “questione nuovissima” posta dalla speculazione di
Agostino rispetto alla cultura del mondo ellenico. La continuità fra la civiltà
greca e la visione del mondo tardo-antica assume la configurazione di un
“rovesciamento”, di una nuova prospettiva: 1- dal problema dell’essere alla
questione dell’esistenza; 2- dal motivo “tragico” dell’esistenza al senso
“drammatico”; 3- da una ermeneutica(interpretazione) del mito ad una teoria della storia; 4- dal “desiderio” alla
libertà.
-------------------------------------------------------
Tiziana Liuzzi è nata nel 1956. Si è laureata
presso l’università di Bari in Filosofia ed è attualmente docente di Storia e
Filosofia nei licei. Ha pubblicato vari saggi sulla problematica del “soggetto”
nell’età tardo antica e sul simbolismo nell’età medioevale. Ha approfondito le
tematiche del pensiero di Dionigi l’Aeropagita, Agostino, Giovanni Damasceno,
Tommaso d’Aquino.
-------------------------------------------------------
Il presupposto della filosofia ellenica si
configura non come una priorità assoluta della “ragione”, libera da ogni
passato mitico, ma quale lotta dell'uomo contro il “destino”.
Alle origini dell'esercizio del filosofare è una
coscienza tragica che cerca di sciogliere l'enigma dell'esistenza e si rovescia
nella morte: le teorie di Anassimandro, i Pitagorici, Eraclito, Parmenide,
anche se precedono in senso temporale l'avvento della tragedia, presuppongono
questa visione del mondo che i drammaturghi del V secolo -ed in particolare Sofocle-
rappresenteranno. 'Non c’è nulla che
non sia Zeus.'.
L'ordine che regge la realtà è divino e per questo
induce alla disperazione chi in esso scorge l'assurdo. L'enigma della morte è
al fondo dell'abisso che l'eroe scopre in se, mentre cerca di scoprire il
mistero del vivere. Tragedia e filosofia mirano a risolvere la contraddizione,
ma il duello sia per l'eroe che per il filosofo si delinea mortale. Il reale è
un inganno tragico, è una parvenza in cui il dio dell'ebbrezza e della morte
manifesta l'enigma della propria natura tragica: alle origini della filosofia
della “natura” i sapienti riflettono sul conflitto irresolubile da cui sorge
l’“essere”. Un sentiero senza vie d'uscita, un labirinto: questa la visione del
mondo da cui Platone prese le mosse. Platone nel Fedone scelse 'la strada che
ci guida oltre il male della natura, verso la verità che desideriamo. La
convinzione del significato tragico dell'apparenza è il fondamento della
luminosa creazione olimpica della metafisica(il mondo degli dei). Se, l'essere
è contraddittorio, perché “aspira” a un senso che non ha -essendo il suo
significato morte- bisogna postulare un altro essere -il bene - che sia oggetto
del “desiderio”. “La cosa migliore è la realtà impossibile: non essere”, ma i
Greci, partiti da questa coscienza, “per trovare la forza di vivere, posero
innanzi a sé la luminosa creazione olimpica". Ora, il sogno olimpico,
ovvero il mondo dorato degli dei, si delinea in Platone quale fondazione
dell'idea del Bene, “luogo” in cui l'oggetto del “desiderio” assume
un'immagine. Ma compiere il “desiderio” vuol dire annullarlo: negli ultimi
dialoghi Platone si rese conto che l'immaginazione dell'invisibile dà senso
all'esistenza, ma contraddice il suo fondamento perché il desiderio si pone
così per fine un oggetto delimitato. Il terzo saggio - L'antitesi del tragico
nel pensiero di Aristotele- è dedicato interamente alla svolta che alla
sapienza ellenica dà il pensiero aristotelico. Aristotele “compie” tragicamente
la 'avventura' del pensiero greco. Infatti, da una parte eredita la concezione
della necessità dell'essere parmenidea e dall'altra fa propria la visione
platonica del “desiderio”; quale fondamento della metafisica: queste due
tematiche in contraddizione sono risolte nel segno dell'eterno ritorno,
dall'aspirazione della ragione ad un senso diverso dall’Essere. Il desiderio
tragico di sciogliere l'enigma del mondo, che era stato rappresentato -da
Sofocle a Platone- quale ricerca di distruggere la necessità della “giustizia”,
viene interpretato come tensione perenne nello stesso essere necessario. Per
Aristotele il desiderio di varcare i limiti del reale, che l'eroe aveva
rappresentato e il filosofo teorizzato, perennemente si ripete in un immutabile
tendere alla causa della non contraddittorietà del reale. Aristotele conclude
il percorso della filosofia ellenica riaffermando il principio aleatico
(=universo infinito ed immutabile) dell'identità dell'essere e negando un senso
differente all'essere. L'essere è il suo stesso limite. L'indagine intorno
all'il-limitato è simile ad una “corsa dietro gli uccelli in volo”. Il quarto
saggio tratta un argomento “diverso” non solo per la lontananza temporale
rispetto alla Grecia del VI - V - IV secolo, ma soprattutto per il suo
significalo teoretico. La fondazione dell'io è, infatti, la questione
nuovissima che la speculazione di Agostino ha lasciato in eredità alla
filosofia occidentale. Ora, è proprio in questo rovesciamento di prospettiva
che consiste l'organicità fra questi studi. La tragedia di Edipo, si muta in
dramma dell'io che si fa coscienza del rapporto con una Differenza che, pure,
fonda l'identità del soggetto. Le coordinate perenni del mito, che
rappresentava una vicenda sempre uguale, si mutano dinanzi a un uomo che
diviene protagonista di eventi storici irripetibili. La Differenza(fra creatore
e creatura) che fonda l'io, contro la speculazione dell'inimmaginabile
Alterità, una teoria della Storia contro una filosofia del mito. La continuità
fra i sapienti della civiltà greca e Agostino è in questo (metanoia)
rovesciamento. L’a priori che per Anassimandro, Sofocle, Platone, Aristotele
era un pensiero intorno all'essere, per Agostino è un evento storico. La
contingenza storica, il limite, era per i Greci la tomba, la negazione,
l'impossibile aspirazione a superare il “limite” dell'io, ma per Agostino
questo limite è proprio il luogo in cui il soggetto incontra una Differenza
che, pur, fondando l'identità, permane diversità. L'Infinito si svela nel
limite: questo è inaccettabile per la filosofia greca [per il quale oltre il
limite dell'essere o ci sono i sogni metafisici dell’olimpo(Platone) o c’è il
nulla, l’essere è il suo limite (Aristotele)]. La continuità teoretica fra i
saggi della civiltà greca e quello sulla soggettività in Agostino presuppone questo
rovesciamento: l'ira, fondava l'immaginazione platonica, che nella sublimazione
del “desiderio” dimenticava la miseria tragica del vivere. L'io agostiniano è
fondato da un'Alterità che manifestandosi alla memoria rende l'uomo cosciente
di se. Ora avviene lo scontro mortale fra il “sogno” e la “memoria”: il monte
olimpo soccomberà di fronte al monte Sinai, il sogno soccomberà di fronte alla
memoria che si colloca nella storia. La luminosa creazione del mondo
olimpico(=degli dei) permette di vivere per dimenticare che la realtà migliore
-il non essere- è per gli uomini impossibile; la memoria, invece è il luogo in
cui l'io ‘si fa’ perché prende coscienza del Mistero presente nell’uomo.
Abbiamo di fronte due tragedie: quella dell’eroe che vuole distruggere il
limite e nel far questo rischia di distruggere se stesso, e quella della
coscienza che sa di essere limite ma in rapporto con un Alterità Infinita.
L'uomo non ha più bisogno di dimenticare, ma può ricordare se, perché la sua
contingenza è "illuminata" da una Differenza: l'io nasce da questo
mutamento di prospettiva.
IL
SIGNIFICATO FILOSOFICO DELLA TRAGEDIA SOFOCLEA
Durante i secoli dell’età moderna -a partire, dal
1400- la civiltà greca è stata ritenuta un modello insuperabile di
“classicità”, cioè di armonia, perfezione, misura.
Nella seconda metà dell'Ottocento, però, F.
Nietzsche ha messo in crisi questa concezione e ha sottolineato che la
bellezza, l’“armonia”, la proporzione presenti in tanta parte dell'arte
ellenica nascondevano, in verità, una coscienza tragica dell'esistenza.
Questi due aspetti della visione del mondo dei
Greci -cioè la tensione alla perfezione e all'armonia e la lacerazione tragica-
furono denominati ‘apollineo’ e ‘dionisiaco’ in riferimento agli dei Apollo e
Dioniso.
Apollo era dio della poesia e della musica,
rappresentazione della sapienza e della conoscenza, immagine delle arti
serenatrici con cui si identificava la vita perfetta degli immortali, Dioniso,
invece, era il dio-animale della “follia” che rendeva folli ed ebbri e
attraverso le orge permetteva il superamento della individualità e il
raggiungimento di una liberazione totale nel ritorno alla natura.
Queste due divinità erano, secondo Nietzsche, le
raffigurazioni l'una dell'angoscia tragica -Dioniso- e l'altra -Apollo-
dell’illusione con cui gli uomini cercavano di dimenticare la contraddizione
del vivere. Ne conseguiva che l'armonia, la perfezione della forma erano la
manifestazione di una concezione tragica e che il simbolo figurale del mondo
ellenico era il Sileno, il vecchio maestro di Dioniso - metà uomo, metà cavallo
-, che seguiva ubriaco il dio con il corteo festante ed orgiastico dei Satiri e
delle Menadi.
“Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e
della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non
sentire?
Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile:
non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo
migliore per te è morire presto”(F.Nietzsche, La nascita della tragedia,
Leipzip, 1872, Milano, 1982, pp.31-32).
Nietzsche ha dimostrato che, al di la dei luoghi
comuni storiografici, la misura, la proporzione, l’armonia dell’arte non sono
espressioni di serenità ed equilibrio interiori, perché i Greci avevano
coscienza dell'oscuro destino dell'uomo e solo per trovare la forza di vivere
posero innanzi a sé la luminosa creazione del sogno olimpico. La 'dolcezza' del
vivere era invece, l’irraggiungibile non essere.
Il sogno dell'uomo straziato dal non senso era la
bellezza apollinea. Così nel nostro secolo la cultura greca è stata
interpretata alla luce di questa ipotesi e si è identificata nella tragedia la
manifestazione più significativa di quella civiltà. Lo spettacolo drammatico,
però, non può essere inteso se non nel suo valore filosofico.
Tragedia e filosofia, infatti, possono essere
comprese solo nella loro necessità reciproca perché la tragedia fonda la
filosofia in quanto senso, scopo della filosofia, è la ricerca del significato
dell'evento tragico dell’essere. Anche se tragedia e filosofia sono storicamente
contemporanee, “logicamente” la poesia drammatica fonda il pensiero filosofico.
Dramma dell'uomo che si interroga sul proprio esistere, la tragedia è, d'altra parte,
una delle prime manifestazioni della “teatralità” dell’esistenza. Per la
civiltà occidentale il teatro è un’eredità della cultura greca e offre all’uomo
la possibilità di una esperienza globale (in quanto è luogo da cui guardare il
conflitto dell’essere umano con il destino, è lo spazio del “dramma”
dell’azione), intesa come lotta contro il destino, è l’istante enigmatico in
cui l’io diviene spettacolo a se stesso.
Per “teatralità” dell’esistenza umana si intende
l’attitudine dell’uomo ad essere, nello stesso tempo, soggetto della
rappresentazione drammatica e spettatore della presenza dell’evento
dell’Essere. L’uomo in quanto soggetto della “azione” e del “vedere-guardare”,
è l’essere teatrale per eccellenza.
In quest’ottica si può sostenere che la concezione
greca dell'uomo è simbolicamente espressa nel teatro e ciò nel senso che è umano
solo l'essere che deve riconoscere se stesso in un evento, in un accadere.
L'autocoscienza, infatti, per i Greci non si fonda nel pensiero astratto in una
riflessione teoretica, ma ha origine nell’azione in cui la coscienza lotta per
sapere di sé.
L'intuizione ellenica dell’uomo è teatrale o
drammatica -essendo il teatro il luogo in cui si svolge il dramma- perché la
persona in Grecia pensava se stessa sempre in riferimento ad avvenimenti in cui
percepiva la presenza del proprio destino.
L'uomo è 'spettacolo' drammatico perché è in
quanto rapporto con eventi in cui scorge l'ombra di sé, ma non si riconosce.
L'essere umano è enigma e la tragedia è la rappresentazione di questo enigma.
Dramma filosofico o filosofia drammatica: lotta disperata della ricerca di se o
desiderio della ricerca dell’io che si svolge in un accadere: l’origine della
filosofia non è un pensiero astratto, ma uno spettacolo tragico, perché il
soggetto non è un io in sé limitato e definito, ma una persona che si cerca
nella storia.
Le tragedie, allora, sono drammi filosofici
dell'io dinanzi al “destino” svelato e nascosto nella storia e la filosofia è
pensiero tragico della coscienza che scopre, inscritto in sé, l'Enigma
dell'Essere. Tragedia e filosofia sono cioè modi con cui gli uomini -sofferenti
nello scontro con il “caso”, ma filosoficamente protesi a conoscere-
rappresentano la filosofia o pensano la tragedia.
Il Greco a teatro assisteva alla rappresentazione
del dramma della propria coscienza e poteva conoscersi, capirsi: il teatro era
lo spazio in cui si compiva la conoscenza e la poesia "pensosa"
induceva il pensiero "poetico".
Il tragico nella poesia di Sofocle. Per
comprendere la filosofia in una visione fondata sul tragico è necessario
analizzare la poesia drammatica, soffermandoci sulla manifestazione teatrale in
cui è stato rappresentato con maggiore profondità questo sapere. La tragedia è
lo spettacolo della contraddizione, la messa in scena dell’assurdo
dell’esistenza. Sofocle ha saputo rappresentare il nodo tragico con insuperabile
sapienza.
Quando parliamo di tragico, noi occidentali
intendiamo un conflitto doloroso privo di vie d'uscita, irrisolvibile, una vita
la cui essenza è data dalla distruzione. Proprio questa enigmatica
contraddizione è il centro poetico delle opere sofoclee: l’uomo, che desidera
essere oltre ogni limite, scopre il proprio fine in un evento di morte.
L'io che anela alla libertà si riconosce in un
destino non voluto e assurdo. La ricerca disperata del significato dell'essere
sfocia nell'oscurità di morte del
“caso”.
MATRICI
TRAGICHE DELLA FILOSOFIA GRECA DA ANASSIMANDRO A PLATONE
1. La
tragicità della 'Sapienza' greca. La poesia drammatica del V secolo ad Atene
rappresenta la coscienza tragica del destino propria dell'uomo greco. "La
cosa migliore di tutte è non essere nato, essere niente e, dopo questa, morir
subito": la sapienza del Sileno si configura quale senso del teatro
tragico ed, in particolare, di quello sofocleo. L'uomo, che desidera essere,
deve morire perché (la contraddizione che definisce l'umano può essere
"risolta" solo dall'annullamento della morte), il desiderio
dell'esistenza, ha per fine la dissoluzione dell'eroe. F. Nietzsche non solo ha
per primo intravisto nella tragedia l'origine della cultura greca, ma ha anche
intuito il valore che il tragico assume per un’altra manifestazione di quella
civiltà: la filosofia.
Per i greci il pensiero “è spinto in avanti dalla
fantasia” (F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, 1873, Mi
1973 p.281) e che l’organo della conoscenza è in prima istanza l’intuizione
geniale. Ribaltando i presupposti hegeliani, che ponevano le origini del
filosofare in un cominciamento assoluto, libero da ogni passato mitico,
Nietzsche sostiene che la filosofia prende le mosse dal presentimento fantastico
delle cose supreme, cioè dal mito, e pone così in crisi il concetto di ragione
che tanta parte della cultura moderna ha attribuito ai greci.
Ma il mito (favola rappresentativa) non è la forma
più sublime dell’intelligenza intuitiva e geniale? La sua fortuna non è data
dalla universalità del messaggio? Certamente non si tratta di una razionalità
illuministica o positivistica, che sono comunque una forma riduttiva di
razionalità.
2. Il
significato tragico delle filosofie preplatoniche che sono particolarmente
rappresentative del senso tragico della sapienza antica.
Alle origini delle filosofia greca Anassimandro descrive, attraverso la
riflessione sull’Archè (il principio), il senso tragico della visione del mondo
ellenica. Anassimandro cerca, infatti, di 'spiegare' l'enigma della realtà,
ponendo la lotta, la “guerra”, quale significato del mondo.
Il limite è colpa: delimitare “l’Infinito”,
'fissare' ciò che non ha limite in un limite in un finito è la tragedia
"necessaria" dell'essere.
L'”Essere” è il 'senza-limite', l'infinito, e le
cose del mondo nascono distruggendo la loro origine, sono finite, limitate, e
nella loro realtà annullano “il Principio” illimitato da cui provengono.
L'universo è per una tragica necessità: l'essere è distruzione di sé, perché il
finito esiste negando la propria origine infinita.
Il limite non è infinito, la sua origine è la sua
morte. Dopo Anassimandro la storia della filosofia naturalistica è
caratterizzata da questa coscienza nei suoi sviluppi pitagorici ed eraclitei.
Il “cosmo” pitagorico ha, infatti, la propria
matrice nell'armonia dei due principi antitetici: l'illimitato e il limitante.
“Cose soltanto illimitate o soltanto limitate non
potrebbero esserci. Poiché, infatti, è manifesto che gli enti non possono
essere costituiti né solamente da elementi finiti né solamente da elementi
infiniti, è evidente che il cosmo, e in esso tutte le cose, sono costituite
dall'armonia fra elementi limitati e illimitati.”(Strobeo, Ecl. 21,7 a, in
Pitagorici, Testimonianze e frammenti, Firenze, 1964, vol. II, pp.194-196.).
Unità di “infinito” e “limite”, con-cordia dei contrari: nella riflessione
della scuola pitagorica emerge per la prima volta un tentativo di
razionalizzare la tragedia, di attenuare la lotta, il contrasto, da cui tutto scaturisce,
in una "armonia", in un "accordo". Anassimandro ha lasciato
si in eredità la concezione della tragicità dell’Essere, ma la tradizione
pitagorica ha interpretato il dissidio quale armonia cosmica: musica generata
dai contrari.
Eraclito fa propria la tematica del filosofo di
Mileto e della scuola pitagorica, identificando la lotta per cui la realtà è,
con la “ragione”. L"'enigmatico" fonda la coscienza tragica
affermando che 'tutto è e non è' nello stesso istante: vita e morte.
Egli non "con-verte" il contrasto di due
principi opposti in armonia - come fanno i Pitagorici - ma comprende che il
significato stesso del mondo è tragico perché la vita coincide con la morte e
l'essere con il non-essere. Scoprire la “ragione” nascosta ai più, vuol dire svelare
la morte nella vita.
“L'uomo nella notte accende una luce a se stesso,
spento negli sguardi; vivo si afferra al morto (dormendo con lo sguardo
spento), sveglio si afferra al dormiente” (Clemente Alessandrino, Stromata, 4,
141, 1,in G. Colli, La sapienza greca, vol. III, Milano, 1980, p.64). Per il
filosofo di Efeso filosofare vuol dire svelare la tragedia nascosta, senza
rinchiuderla in un "ordine razionale". Per questo, anticipando il
tema del teatro sofocleo, l"'oscuro" dice: “Morte è quando vediamo stando
svegli, sonno quanto vediamo dormendo”(Ippolito, Confutazione,9,9,2, in G.
Colli, La sapienza, cit., p.22.) Ma la filosofia della “natura”, dopo Eraclito,
dimentica questo filosofare all'interno della tragedia, l'eredità di
Anassimandro e dei Pitagorici -la comprensione del contrasto fra illimitato e
limite e l'armonia razionalizzante.
Con Parmenide teorizza l'identità dell'essere.
L’essere si autofonda e ogni alterità non è.
L'essere è uguale a se stesso, necessario, e la
sua sostanza è il suo stesso essere, perché non nasce e non muore, non conosce
tormento, ma un unico mostrare.
Il filosofo di Elea ha teorizzato la visione del
mondo dei Greci, cogliendo il senso della Necessità, ma dimenticando il
significato tragico. Tutto è da sempre, uguale, limitato e ogni alterità è
impossibile perché sarebbe non essere; l’Essere è univoco.
Della percezione ellenica della realtà, Parmenide
ha voluto annullare l'aspirazione all'alterità, quella 'impossibile' speranza
dell'insperabile: “Se uno non spera l’insperabile, non lo troverà, perché esso
è inesplorabile e inaccessibile.”(Clemente Alessandrino, Stomata,2,17,14, cit.
p.70).
Che Eraclito aveva ammesso: “Ciò che è altro
dall'essere non è: ciò che non è non è nulla: dunque l'essere è
uno.”(Simplicio, Phys. 115,11, in Parmenide. Testimonianze e frammenti, a cura
di M. Untersteiner, Torino, 1925,p.72.). L'essere è identico, limitato, eterno,
necessario: nulla di diverso è possibile, la possibilità non è. La visione del
mondo dei Greci è tragica perché si fonda su questa intuizione dell'essere
identico che genialmente Parmenide ha teorizzato. L'uomo può cercare di
eccedere l'essere, e Sofocle rappresenterà questo tentativo umano di superare i
limiti, ma la sua vita è allora vanità,'illusione'.
Tutto è da sempre, uguale, necessario. Il
“desiderio” è un'impossibile aspirazione. La “ragione”, che per Eraclito era
differire enigmatico, per Parmenide è identità assoluta: la tragedia della
visione del mondo greca è dai due filosofi teorizzata in queste antitetiche
affermazioni che, pure, manifestano la stessa sapienza drammatica del reale.
“Se non esiste l'essere né il non essere né l'essere e il non essere insieme,
ed è impossibile pensare altre possibilità, nulla esiste” (Sesto Empirico, Adv.
math. VII 65, in Sofisti. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner,
Torino, 1949, vol II, p.46.).
Le affermazioni parmenidee "mancano di
significato" perché l'essere identico a sé è privo di senso, "è"
necessariamente uguale, non differente.
Tutte le possibilità della filosofia della natura
si annullano a vicenda e la Sofistica può giustamente fondare la propria
dialettica sull'assurdo a cui ha indotto l'ontologia. Il pensiero sapienziale
(naturalistico), cercando di "aderire" all'ambiguità del reale, ha
dato forma al 'labirinto' del pensiero. La sapienza del Sileno si riafferma:
“La cosa migliore è la realtà impossibile: non essere.”
Ma i Greci, partiti da questa coscienza: “per
trovare la forza di vivere, posero innanzi a sé la luminosa creazione del sogno
olimpico (F.Nietzsche).
Gorgia ha dimostrato quello che filosofia e
tragedia avevano manifestato: l'essere si fonda su una tragica contraddizione,
l'Essere è enigma; ora, il popolo greco ha un'unica possibilità: il sogno
olimpico.
L'armonia, la misura, l'equilibrio sono il sogno
di questa coscienza tragica. La terza alternativa alla “necessità” parmenidea è
il "sogno olimpico" a cui la filosofia darà il significato di
metafisica.
Platone nel Fedone, raccontando la propria storia
ideale, sostiene che il metodo naturalistico lo ha indotto al dubbio è, in un
certo senso, al nichilismo. Cosciente del nichilismo, sceglie "il sentiero
che ci guida oltre il male della natura, verso la verità che desideriamo".
“E necessario che nei veri filosofi sia chiara questa opinione... Pare che ci
sia un sentiero che ci porta lontano con la ragione nella ricerca; perché fino
a quando abbiamo il corpo e la nostra anima è confusa con il male, noi non
conquisteremo mai sufficientemente quello che desideriamo, che diciamo essere
la verità”(Fedone 66b.).
La convinzione del non senso della
"apparenza" è il fondamento della 'luminosa' creazione olimpica:
"per trovare la forza di vivere" inizia la ricerca metafisica.
Nell'Apologia e nel Fedone, i dialoghi sulla morte
del maestro, questa problematica diventa la "questione"
dell'esistenza. In essi Platone ci ha lasciato una testimonianza drammatica
della propria coscienza, del valore della morte e della vita. Il tempo
dell'esistenza terrena è il tempo della prigionia perché -la vita- è confusa
con il male.
Questa teoria, di derivazione orfico-pitagorica,
rappresenta l'a priori dell'immagine che Socrate delineerà della morte. Due le
ipotesi sulla morte: una, di origine orfico-pitagorica, si riferisce alla
diffusa credenza sulla trasmigrazione dell'anima, l'altra, invece, immagina il
nulla.
“Il morire è come non esser nulla e non avere
nessuna sensazione di nulla... Ora, se non è nessuna sensazione, ma come un
sonno, in cui colui che dorme non vede nessun sogno, la morte sarebbe un
guadagno meraviglioso. Penso, infatti, che se uno dovesse scegliere quella
notte in cui ha dormito senza vedere alcun sogno e paragonarla con le altre
notti e giorni della sua vita, e dovesse, dopo un'attenta considerazione, dire
quanti giorni e notti nella sua vita abbia vissuto meglio e più dolcemente di
quella notte, credo che non solo un qualsiasi cittadino, ma perfino il gran re
li troverebbe poco numerosi rispetto a tutti gli altri giorni e notti. Se
dunque tale è la morte, io, per me, la chiamo un guadagno, perché tutto il
tempo non pare niente più che una sola notte.”(Platone, Apologia di Socrate, 40
c-e).
Il nulla della morte è preferibile rispetto
all'esistenza: perché la vita è una illusione il cui senso è la morte o una
prigionia il cui motivo è il dolore. La Coscienza tragica del destino
rappresenta l'origine drammatica del filosofare. Socrate: “Non è allora vero
che felici sono coloro che non hanno bisogni... E chi sa se non sia esser morti
il vivere e viver l'esser morti? E forse noi siamo realmente dei morti”
(Platone, Gorgia 492e). Vivere è l'assurdo oscillare fra il dolore e la morte.
La tragedia e il nichilismo sono le ultime parole della cultura greca
preplatonica. Per vivere, allora, 'bisogna cantare a se stessi un incantesimo (Fedone
114 d), immaginare la luminosa creazione metafisica.
Per dimenticare il non-senso Gorgia aveva scelto
la retorica, Platone opta per la ricerca metafisica.
"Una vita priva di ricerca non è degna di
essere vissuta" (Apologia di Socrate 38a): i limiti del labirinto naturalistico si possono oltrepassare solo
con la decisione di correre il rischio della "bella avventura", di
varcare i limiti della miseria della natura. Il pensatore metafisico, infatti,
è simile ai cigni i quali quando presentono di dover morire, cantano il loro
canto più lungo e più bello felici di essere in procinto di tornare presso al
dio a cui sono sacri. E gli uomini, invece, per la paura che hanno della morte,
mentono riguardo ai cigni e dicono che essi cantano per il dolore della morte e
la tristezza dell'ultimo viaggio”(Fedone 84e -85a).
Il canto
finale di un cigno, un sogno di verità al di là della miseria dell'esistenza:
questo l’esercizio del filosofare.
Il senso della razionalità è aspirare a conoscere
(il bene) e ricordare la bellezza "attraverso la contemplazione del vasto
mare della bellezza in sé"(Simposio, 210 d).
Gli uomini, non potrebbero desiderare il bene ed
il bello se non lo avessero visto e conosciuto in precedenza. L’uomo vive in
esilio rispetto al mondo delle idee. L’idea infatti è rappresentazione
dell’invisibile per cui l’essere è.
Ora per il filosofo metafisico “ciò per cui
l’essere è” non può che essere il Bene, perché il bene è l’oggetto del
desiderio. Il Bene fonda l’Essere.
Infatti, se l’Essere è lacerato dal “desiderio”(oggetto
del quale è il bene), il “Bene” rappresenta il fondamento stesso dell’essere.
E’ fondamentale comprendere il motivo per cui le teorie platoniche sono
raccontate dai miti: l’illimitato non può essere per Platone de-finito, ma
unicamente “visto” o immaginato, quindi narrato e non teorizzato.
La filosofia fa volgere in su lo sguardo
dell’anima, perché si occupa dell’essere invisibile.
La conoscenza è immaginativa, perché la ragione è
capacità di vedere, di un’idea dell’invisibile che permetta l’avventura
metafisica. Se il non essere, che l’essere implica, nega l’essere stesso la
tragedia non è superata. Platone si rende conto che il desiderio giunge alla
negazione dell’essere e che se non c’è identità tutto è illusione: per questo
negli ultimi dialoghi abbandona la metafisica e sceglie la matematica quale
compito del filosofo.
LA
FONDAZIONE DELL’IO NEL PENSIERO DI AURELIO AGOSTINO
La continuità fra i saggi sulla civiltà greca e questo
studio su Aurelio Agostino consiste in un rovesciamento di prospettiva. Dal
problema dell’essere alla questione dell’esistenza, dal tema del desiderio a
quello della volontà, dal motivo tragico al senso drammatico della coscienza.
Ma, soprattutto, dalle teorie della Necessità, all’avvenimento della libertà
del soggetto. La distanza temporale fra Agostino e il mondo greco è al tempo
stesso diversità teoretica.
La storia della filosofia occidentale cambia
orientamento grazie al pensatore delle confessioni, in primo luogo la nuova
prospettiva emerge dalla fondazione del concetto dell’io. Per i Greci
l’aspirazione all’Alterità si era ridotta alla necessità del “desiderio”,
anelito vano, ma immutabile dell’essere; la Differenza agostiniana fonda,
invece, l’identità del soggetto e la sua libertà dinanzi al reale. Il dramma
del pensiero che scopre in se un Differire(Rinviare ad un’Altro), origine della
coscienza nella libertà, si contrappone alla tragedia di una tensione incapace
a superare i limiti e che ricade su di sé.
Il rapporto fra Agostino e la filosofia antica non
si riduce solo all’influenza esercitata da platonici e neoplatonici; emerge e
si staglia in un mutamento-rovesciamento che Agostino opera rispetto alla
cultura greca. L’a priori della speculazione diviene, infatti, un Evento - la
presenza nel tempo del Logos “della ragione di tutte le cose”, diverso e
insieme manifesto nella storia - da cui ogni riflessione si deve originare.
L’immagine della ragione ne risulta riformulata. Fondamento della mens non è
più il “desiderio” - il desiderio di un’alterità che si svela e riduce, poi, a
identità -, ma la memoria, cioè la coscienza del proprio essere in rapporto al
Logos, differente dall’io, ma pur origine del suo costituirsi. La razionalità
da tensione all’enigma del reale -nel mondo greco- si configura in Agostino
quale coscienza di un significato infinito, da conflitto con il “destino”, che
annichilisce, si muta in memoria di una Differenza che fonda la soggettività.
La cultura greca era giunta ad intuire il
desiderio -il “desiderio ” dell'iperuranio (Platone) o il movimento verso la
sostanza soprasensibile (Aristotele) o il “ritorno” di (Plotino) di un oggetto,
nella conoscenza del quale l’anima si annullava perché identica al suo fine;
Agostino delinea invece, l'autocoscienza- fondamento dell'io, quale ricordo di
sé in quanto conoscenza di un'Alterità.
L'anima cade nell'oblio dell'anamnesi (celebrazione)
e dell'estasi (conoscenza amorosa) nella prospettiva platonica e plotiniana; la
mens, considerando la Differenza, ricorda sé. La tragedia si muta in dramma, il
mito si "rovescia" in storia.
Il rapporto della soggettività con il Dif-ferire
che la precede e la fonda è il presupposto della storia perché il limite (è
possibilità di relazione, non più momento negativo in quanto il limite riporta
alla necessità di una Relazione di Amore) non deve più essere dimenticato nel
sogno di “luoghi” impossibili; diviene, invece, il luogo in cui l'io vuole,
sceglie e attribuisce un significato all'essere e alla natura.
La storia presuppone un incontro o uno scontro fra
due realtà diverse, ma relative, la teoria dell'io che si fonda nel Differire è
il suo principio.
Nel 397 fu iniziata la stesura del testo che
dimostra il valore razionale della memoria e della storia.
Le Confessioni, infatti, sono una rappresentazione
del significato che storia e memoria hanno nella fondazione dell’autocoscienza,
del valore che la riflessione sugli avvenimenti dell'esistenza acquista nella
formazione dell'io.
Il libro X è il primo in cui inizia la riflessione
sul presente: e il presente si scopre essere memoria. “Tu sei tutti i miei
beni, tu onnipotente, che sei con me prima ancora che io sia con te. Dunque,
mostrerò... non chi ero, ma chi sono diventato e sono ora.
Confesserò, dunque, quello che so e quello che
ignoro di me poiché quello che so lo so in quanto tu ti fai luce per me e
quello che non so di me lo ignorerò fino a che le mie tenebre non si
trasformeranno come luce meridiana nel tuo volto.” (Aurelio Agostino,
Confessioni, X,4.6;5.7) Questi brani delineano il presupposto della teoria
della memoria: la riflessione sull'io si fonda su un primum rispetto all'io.
"Tu sei con me prima che io sia con te";
nell'io c'è un fondamento che riguarda la coscienza, ed è, però, allo stesso
tempo, "differente" dalla coscienza.
L'oggetto che Agostino vuole conoscere è il
presente -a cui il passato lo ha riportato- e il presente, l'essere che è
davanti a sé, è l'io ("quello che sono"). Per la prima volta nella
cultura occidentale la riflessione non è sull'anima in senso astratto, ma sulla
coscienza; non sul principio razionale della conoscenza, ma sull'esistenza,
oggetto di conoscenza per se stessa. “Chi sono? Un uomo fornito di corpo e
anima.
Ma la vita del corpo è l’anima... E Dio è la vita
della vita.”(Conf., X,6.9-10).
Il dramma che Agostino vuole qui rappresentare è
quello di colui che scopre di non potersi conoscere, non per una incapacità
psicologica, ma per l'impossibilità della ragione ad identificare in sé il
proprio fondamento.
“L'uomo è corpo, ma la vita del corpo non è corpo;
infatti, la chiamiamo anima; ma la vita dell'anima non è l'anima, perché
l'anima non è uguale a se stessa, e allora la vita della vita -cioè dell'anima,
vita del corpo- la chiamiamo Dio.”(Conf., X,6.9-10).
Questo
susseguirsi di interrogativi e deduzioni si svolge secondo un principio: il
motivo dell'essere e dell'esistere non si identifica con se stesso ma con una
Realtà Differente, che Agostino chiama Dio.
C'è una sproporzione nella realtà tutta
(Conf.,X,6) per cui il reale non coincide con il proprio senso e l'animus si
accorge di essere diverso da se.
La questione è, dunque, conoscere la differenza
che fonda l’identità. “Chi è costui che è oltre la mia anima?”. Per conoscere
sé deve indagare intorno a Dio. Ma quale sarà il metodo per questa conoscenza?
“Cosi salendo, un passo dopo l'altro, verso colui che mi ha creato, arrivo nei
campi e nelle vaste dimore della memoria.”(Conf.,X,8.12). “Chi può toccare il
fondo? Questa forza è propria del mio animo e appartiene alla mia natura, ma io
non riesco a comprendere tutto me stesso, a capire ciò che sono”(Conf.,X,8.12).
C’è nell’animus un principio di essere infinito, per cui l’io non si conosce in
modo esaustivo. La coscienza si configura quale sproporzione non solo rispetto
all’essere, ma addirittura rispetto a se stessa. Nel libro X delle Confessioni
emergono caratteristiche nuove della filosofia agostiniana: il pensiero greco
aveva indagato rispetto all’“anima”, connotandone le capacità, le funzioni, ma
non aveva teorizzato il concetto di coscienza, la riflessione secondo cui il
soggetto si fa oggetto del sapere. La prima fondazione di questo nuovo
principio è attuata da Agostino per il quale: la memoria è il principio del
riconoscimento non solo delle cose conosciute in precedenza e conservate per
immagini nell’infinito “penetrale”, ma è la originaria possibilità per l’uomo
di essere presente a se stesso. Di avere autocoscienza di se. “Dunque quando mi
ricordo della memoria, la memoria stessa è presente a sé attraverso se stessa.”(Conf.,X,16.24).
“Chi capirà queste cose?... Sono diventato per me stesso come una terra aspra e
piena di difficoltà. Eppure non stiamo scrutando le regioni del cielo o
misurando le distanze degli astri o cercando la ragione dell'equilibrio della
terra: sono io che ricordo, io animo... Ed ecco, invece, l'origine della mia
memoria non è comprensibile per me, mentre io non potrei neanche dire me stesso
senza quella.” (Conf.,X,16.25). L'animus vuole nominarsi e scopre il principio
di questo conoscersi nella memoria, senza della quale l'io non può essere.
Questa scoperta stupisce il filosofo: le capacità della memoria sono infinite e
profonde, "eppure si tratta di me stesso". È importante comprendere
il senso di questa meraviglia che non è una pura affermazione retorica; la
conoscenza del mondo può destare ammirazione, ma la sapienza di sé quale limite
in cui, pure, emerge un indefinibile, illimitato, desta "quasi un senso di
terrore": “Grande è la forza della memoria, Dio mio, la sua profonda e
infinita complessità suscita quasi terrore”(Conf.,17.26). “Che cosa sono,
allora, mio Dio? Qual’è la mia natura? Una vita varia, multiforme, infinita,
intensa... Per tutti i luoghi (della memoria) io trascorro e mi aggiro ora qui
ora lì e mi addentro quanto posso, senza trovare limite alcuno: tanta forza è
propria della memoria, tanto vigore di vita è nell'uomo vivente, eppure
mortale.”(Conf.,X.17.26). La memoria è senza limiti: ora, in quanto è
impossibile possedersi totalmente, delimitarsi, la coscienza presuppone questa
possibilità illimitata. Non una de-finizione dice all'uomo la propria essenza,
ma una pre-senza dell’animus a sé; e solo la memoria rende l'assenza presenza,
in quanto è principio non del passato, ma del prae-sente, cioè dell'essere che
si sa nell'istante. Così il tema della Differenza si ripropone: la memoria è
senza limiti, varia, molteplice, immensa, mentre l'uomo è limitato e mortale:
l'animus non coincide con sé, "deborda", è mistero. La memoria si
configura quale principio dell'io, luogo in cui emerge un originario Differire.
Agostino, fondando l'identità dell'uomo, ha scoperto che l'io ha per origine un
illimitato, una sproporzione. L'io è tale perché non coincide con sé, senza
Differenza non c'è identità. Una Diversità originaria fonda la memoria, rendendola
coscienza del differire strutturale. Prova ne è la struttura metodologica del
libro X, che non si configura in un'analisi della capacità ricordativa, ma si
sviluppa in un susseguirsi di interrogativi. Metodo conoscitivo della
coscienza, infatti, non è l'autoanalisi, ma il "movimento della memoria'
che è trascendente nel suo protendersi verso ciò che supera l'animus. “Io,
salendo attraverso il mio animo verso te che rimani al di sopra di me, supererò
anche questa mia facoltà che si chiama memoria, perché voglio attingere te là
dove ti si può attingere.”(Conf.,X,17.26). Il principio della vita è il termine
della ricerca di Agostino, perché il senso di ogni realtà "ec-cede"
la realtà stessa. Così nella ricerca di Differenza - per sapere l'identità - e
di identità - per cogliere la Differenza - bisogna varcare i limiti della
memoria. “Supererò anche la memoria, ma per trovarti dove?... Trovarti fuori
dalla memoria significa averti dimenticato. Ma come potrei incontrarti, se non
avessi memoria di te?”(Conf.,X,17.26). Solo la presenza di Dio all'uomo rende
possibile la presenza della coscienza a sé, perché Dio è il Differire
originario che fonda la memoria. In Agostino la filosofia è platonica mentre la
morale è cristiana. Per molti critici parlare di platonismo in Agostino vuol
dire riconoscere la sua identità di filosofo, far riferimento alla sua adesione
al Cristianesimo significa, invece, prospettare nel pensatore una accettazione
dell'incarnazione quale possibilità di salvezza spirituale e morale. Agostino
filosofo è platonico, razionalista, Agostino cristiano, invece, è autorità
morale.
(Liberamente sintetizzato da Tiziana Liuzzi, STUDI
DI FILOSOFIA GRECA E TARDO-ANTICA, ed. Laterza)
La concezione creazionistica, cioè quella
posizione che non assolutizza il mondo, ma lo concepisce come relativo, vale a
dire come qualcosa che rimanda sempre «oltre», ad un Assoluto che è
completamente «fuori» del mondo, che lo trascende e che perciò è a partire da
esso inafferrabile, incomprensibile, misterioso, ma che, allo stesso tempo, lo
«pone», lo «chiama» ad essere, lo crea e quindi è in esso presente (immanente)
con il suo amore creativo, una tale concezione risponde meglio delle altre
all'esigenza di salvaguardare:
1. il
movimento e quindi la verità dell'esperienza sensibile e perciò il valore della
sensibilità e dell'uomo sensibile;
2. il
principio d'identità e quindi la ragione e perciò il valore della razionalità e
dell'uomo razionale;
3. la
fondamentale bontà della realtà mondana e quindi il valore della vita terrena
che rende possibile un sano ottimismo;
4, la individualità personale dell'uomo e la sua
inalienabile dignità come singolo;
5. ed
infine la vera mondanità del mondo e umanità dell'uomo, le quali sono il
necessario presupposto della eliminazione di ogni falsa sacralizzazione e
quindi idolatrizzazione dell'intramondano, le quali a loro volta sono la
condizione necessaria per un approccio non prevenuto al mondo che è «soltanto»
creatura e conseguentemente allo sviluppo delle scienze e della tecnica.
Solo se confido nella mia sensibilità e nella mia
razionalità che mi presentano il mondo e me stesso come da una parte
ontologicamente consistente, e cioè reale e non illusorio, ma dall'altra anche
precario, fuggevole e quindi contingente, posso evitare sia la riduzione
illusionistica, sia l'assolutizzazione razionalistica della realtà e posso
concepire il mondo e me stesso come creato, cioè come pensato-voluto-amato da
un altro che chiamo Dio. Solo se sono in armonia con la condizione ontologica
del mio essere (e del suo mondo), solo se mi comprendo come contingente, posso
arrivare con sicurezza all'affermazione della esistenza di Dio trascendente.
Infatti, se io e il mondo in cui vivo, siamo creati, è certo che esiste un
Creatore. Se invece rifiuto questa mia condizione, non arriverò mai a
riconoscere l'esistenza del Creatore. Il riconoscimento della mia condizione
«naturale» (cioè essere contingente e quindi creato) e il riconoscimento della
esistenza di Dio-Creatore sono interdipendenti. Perciò molto giustamente scrive
Joseph Comblin: «L'uomo che vive armoniosamente la sua esistenza di uomo, che
accetta la condizione umana e le sue leggi, non può non scoprire Dio e porsi
dinanzi a lui e in lui. Altrimenti come potremmo parlare di conoscenza
naturale? Se Dio si manifesta all'uomo in modo naturale, questo non può
avvenire per mezzo di una trasmissione di conoscenze esoteriche. Deve avvenire
attraverso il gioco spontaneo dell'esistenza umana, quando il gioco sia
corretto. Dio non ha bisogno di esperienze particolari aggiunte alla condizione
umana per manifestarsi alla universalità degli uomini. Si deve trattare di una
conoscenza semplice, spontanea, facilmente accessibile a tutti gli individui,
qualunque siano le esperienze individuali della loro esistenza singolare.
L'uomo deve poter riconoscere Dio nelle situazioni normali della vita. Non che
occorra postulare necessariamente una straordinaria esplicitazione della
coscienza (...). Infatti per far conoscere Dio, la sua esistenza e la sua natura
a una persona, non si tratta tanto di darle concetti, proposizioni e
ragionamenti, non si tratta di darle segni evidenti della sua presenza, ma di
mettere questa persona in una situazione tale che da sé e spontaneamente,
irresistibilmente essa arrivi a cercarlo, a scoprire e a interpretare i suoi
segni, a raggiungere la sua evidenza. Nessuno dimostra Dio a un altro. E' un
passo che ognuno deve fare per conto suo » (Teologia della città, p. 473).
Questo, crediamo, è il senso dell'affermazione della possibilità della
conoscenza naturale di Dio fatta dal Concilio Vaticano I, il quale dice: «Eadem
sancta mater Ecclesia tenet et docet, Deum, rerum omnium principium et finem,
naturali humanae rationis lumine e rebus creatis certo cognosci posse... » (DB
1785).
Lo confermano due testi della Sacra Scrittura,
quello del libro della Sapienza dove sì dice: « Davvero stolti per natura tutti
gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e dai beni visibili non
riconobbero colui che è, non riconobbero l'artefice, pur considerandone le
opere... Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si
conosce l'autore » (Sap 13, 1-5). E quello di San Paolo che scrive: « In realtà
l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini
che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può
conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla
creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere
contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna
potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio,
non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno
vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa.
Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la
gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo
corruttibile... »(Rom 1, 18-23). (Teologia Fondamentale, Carlo Skalicky, “ut
unum sint” Roma, p.54-56)
Fra cinquecento e seicento abbiamo il sorgere di
un senso di concretezza e una attenzione spiccata alla individualità. Mentre
infatti nel trecento quei temi erano inseriti all’interno di una prospettiva
fondamentalmente teologica, quì essi, pur senza affatto rinnegare uno spirito
religioso, vengono slegati da quella prospettiva e sviluppati anzitutto in
riferimento all’uomo e al suo agire mondano. Avviene così che al richiamo
medievale alla trascendenza, espresso plasticamente nella sua forma più estrema
dal gotico, si sostituisce una religiosità che guarda piuttosto al divino che è
nel mondo e nell’uomo.” (Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone, Profilo di Storia
della Filosofia, Filosofia Moderna, vol.2, ed SEI - Torino, p. 6-7)
Nato il 5-IX-1568 da un ciabattino analfabeta, in
una terra desolata dal malgoverno spagnolo, dalle calamità naturali e dalle
scorrerie turche, C. non potè mai liberarsi totalmente dai limiti della
superstizione e dell'autodidattismo; ansioso di spaziare con l'indagine per
tutti i libri e soprattutto nel grande libro vivo del creato (Dizionario
enciclopedico, UTET, III). Campanella, si consacrò nell'ordine domenicano dove
potè compiere gli studi, ma nel 1599 fu arrestato perché accusato di eresia e
di cospirazione contro il governo spagnolo di Napoli. Trascorse 27 anni nella
prigione napoletana dove scrisse La città del Sole , la descrizione di una
società ideale sul modello della Repubblica di Platone, un’isola felice, un
mondo fattibile e giusto, ma rigidamente disciplinato e gerarchicamente
diretto: “... è la città distinta in sette gironi e s’entra dall’una all’altro
per quattro strade e per quattro porte alli quattro angoli del mondo spettante,
è un principe sacerdote tra loro che s’appella sole e in lingua nostra si dice
metafisico, questo è capo di tutti, in spirituale e temporale e tutti li
negozzi in lui si terminano”. Uscì di prigione nel 1626, ma, nuovamente
perseguitato, fu costretto a cercare rifugio in Francia. Le sue opere, 82 in tutto,
si occupano di molti e diversi temi filosofici; fra i suoi trattati vanno
segnalate la Theologia e la Metaphysica. Fatalmente finisce più volte per
cadere sotto i rigori dell'Inquisizione: infrazioni disciplinari, intemperanze
verbali, opinioni eterodosse dispute incaute forniscono al Sant'Uffizio materia
per un duplice processo che si concluderà in Roma nel dicembre 1597 con
l'ordine drastico di far ritorno alla nativa Calabria. Costretto questa volta a
obbedire, C. trova in patria un ambiente di sordo malcontento sociale,
inasprito da contese giurisdizionali, da calamità naturali, da incursioni
turchesche, lievitato da oscuri presagi di sconvolgimenti cosmici imminenti. In
quel cupo ambiente egli getta il seme della ribellione con la propria trascinante
facondia e delinea il programma di una Futura repubblica comunistica e
naturalistica destinata a restaurare il secolo d'oro dopo che gli Spagnoli, i
Feudatari, il clero saranno stati spazzati via. La congiura viene subitamente
repressa. Subirà un lungo, snervante processo, reiterate torture, sofferenze
inenarrabili sopportate con raro stoicismo. Appena libero, eccolo riprendere la
battaglia, caldeggiare le imprese missionarie, difendere generosamente Galileo,
polemizzare contro gli atei, discutere la predestinazione, prender parte attiva
in favore della Francia nella battaglia pubblicistica scatenata contro la
Spagna, sempre rinnovando un invitto entusiasmo giovanile. Si mise in salvo in
Francia, povero come sempre, amareggiato da continue persecuzioni dei suoi
nemici, fervido ancora nel combattere l'errore, nel convertire gli eretici, nel
caldeggiare i suoi grandi ideali politici, e là si spense cristianamente il
21-V-1639 lasciando incompiuta l'ultima sua impresa: l'edizione organica delle
sue opere. Fra queste, oltre alle bellissime lettere, tengono oggi il primo
posto le poesie, tardi tornate in luce (solo nel 1834 un filologo svizzero,
Giovan Gaspare Orelli, le riesumava parzialmente), ma che presto hanno additato
nel C. uno dei più alti vertici della lirica italiana; in forma rozza e
tormentata, talora avvolte in oscuri concetti filosofici, in laconismi potenti,
in immediatezze dialettali. Le poesie del C. si innalzano subitamente in un
clima rarefatto di colloqui dell'anima con sé stessa e con Dio; nei più duri
anni del carcere, quando la sofferenza fisica sembrava sul punto, di stroncare
le ultime speranze del recluso e la sua stessa fortissima fibra, gli accenti di
lamentazione, di ribellione, di accorato abbandono al divino volere toccano una
purezza e una profondità di timbro che ha raro riscontro nella storia della
poesia. Sul piano sociale, C., condannò apertamente l'egoismo, il
particolarismo, l'ozio parassitario, le inumane condizioni di vita dei
diseredati e sognò di risolvere i mali sociali con un progetto di repubblica
ideale: La città del sole scritta nel 1602 e pubblicata nel 1623, retta secondo
un rigoroso comunismo monastico, governata da sapienti, spartana nei costumi;
l’astrattismo delle concezioni si rivela nell'estensione del comunismo anche
alla vita familiare, ma il libretto serba un suo intramontabile fascino per il
calore di interessi sociali, l'esaltazione della fratellanza umana, del
coraggio, delle virtù morali, del sano esercizio fisico, per i precorrimenti
del progresso scientifico, per le geniali idee pedagogiche, anticipatrici del
Comenio, del Froebel e delle più moderne esperienze. C. riassume in sé le
istanze rinnovatrici tentando l'erezione di un totale edificio dottrinale
ispirato al più genuino umanesimo cristiano (Dizionario enciclopedico, UTET,
III).
PROFILO
di storia DELLA FILOSOFIA, Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone. ed SEI p.46-48
(testo liberamente sintetizzato) Nell'ambito della letteratura utopistica un
posto a sé spetta alla Città del sole, la anima l'attesa di una profonda
trasformazione «e sarà grande monarchia nova e di leggi riforma e di arti, e
profeti, rinnovazione». Un tema caro al Campanella e che ritorna costantemente
in tutti i suoi scritti, così come nei diversi progetti che egli elaborerà.
Nella Città del sole confluiscono motivi religiosi e politici. Questa città, di
cui narra un navigatore genovese, ambientata nell'isola di Taprobana (l'odierna
Ceylon), è organizzata secondo un ordinamento politico gerarchico al cui sommo
sta un principe sacerdote, il Sole, o Metafisico, attorno a cui stanno tre
magistrati, Pon, Sin e Mor, il corrispettivo politico delle tre primalità
filosofiche di Campanella. Poche sono le leggi, ma la vita sociale è ugualmente
rigidamente determinata secondo regole precise, attente soprattutto alla
procreazione e all'educazione. Nell'isola i Solari vivono secondo un assoluto
comunismo, dei beni, delle donne, dei figli, delle abitazioni. Tutti lavorano e
perciò nessuno ha bisogno di lavorare più di quattro ore al giorno. I solari
infine professano una religione naturale in tutto simile al cristianesimo,
eccezion fatta per i sacramenti, che essi non conoscono. Come si vede la
struttura gerarchica trae il proprio fondamento da motivazioni filosofiche e
religiose. Ciò è visibile particolarmente nella figura del Metafisico, il quale
è al tempo stesso capo politico e sacerdote. L'una e l'altra funzione peraltro
gli vengono dalla sua sapienza che, come il nome indica, è metafisica. La
convinzione di Campanella è quella di una profonda unità tra politica,
religione e filosofia, che sola può condurre alla vera sapienza e garantisce
contro la tirannide: «non sarà mai nè crudele, né scellerato, nè tiranno uno
che tanto sa».
La sua utopia
dell'ordine a svantaggio della libertà, contiene aspetti inquietanti. La
riflessione di Campanella appare ancora tutta inscritta nelle tematiche del
naturalismo rinascimentale nell'ingenua convinzione che il sapere da solo sia
garanzia di retto governo, questo è l’atteggiamento di larga parte del
razionalismo rinascimentale, troppo convinto del potere taumaturgico della
razionalità umana. La convinzione di essere investito di una missione, che lo
porterà a cercare sempre nuovi contatti per dare pratica attuazione alle sue
idee di riforma universale, l'inquietudine esistenziale, l'incomprensione ed il
fallimento segnano questa vita sofferta e tormentata. Egli fu filosofo e
letterato ed i suoi sonetti sono tra i momenti più alti della poesia italiana
del seicento. Peculiarità di Campanella fu quella di innestare sugli elementi
naturalistici un'ulteriore riflessione teologica facendo rivivere nella sua
Teologia il concetto platonico di partecipazione (sottolineare l'intima
presenza di Dio a tutti gli esseri e il riassurnersi in lui di ogni
perfezione). Egli tuttavia accentua notevolmente la fondazione teologica
dell'ordine naturale del cosmo, sottolineando che se è vero che la natura ha in
sé quanto le è necessario per agire, essa è pur sempre tale perché così è stata
creata da Dio. Questo gli permette di
intendere la natura come un complesso di realtà viventi, ciascuna senziente,
animata e tendente al proprio fine, e tutte d'altra parte unificate ed
armoniosamente dirette a un fine universale da una comune anima del mondo.
Le tre "primalità»
dell'essere
Della tradizione
tomista accetta la fondamentalità della nozione di essere per definire sia Dio
sia le creature partecipi dell'essere divino. Ispirandosi poi con Agostino,
egli intende l'essere come intimamente strutturato secondo le tre «primalità»
divine di potenza, sapienza, amore partecipate da Dio con l'essere ad ogni
creatura. Le tre primalità sono dedotte dall'intreccio reciproco che esse
manifestano in ogni ente. «Ogni ente, potendo essere, ha la potenza di essere.
Ciò che può essere, sa di essere; se non avvertisse di essere, non amerebbe se
stesso e non sfuggirebbe il nemico che lo distrugge, e non seguirebbe l'ente
che lo conserva, come fanno tutti gli enti. Il sapere emana dal potere... Gli
enti amano quel che sanno... L'amore profluisce dalla sapienza e dalla potenza”
(Teologia 1,3,12).
L'autocoscienza
Su tale base
metafisica, si costruisce la gnoseologia campanelliana, che vede il conoscere
come intimamente legato all'essere stesso delle cose, e fa dell'autocoscienza
(o autotrasparenza dell'essere a se stesso) una caratteristica fondamentale di
ogni essere. «Noi affermiamo che la sapienza appartiene allo stesso essere
delle cose, e che una cosa viene sentita e conosciuta perché è la stessa natura
conoscente... Il conoscere è essere; dunque qualunque ente, se è molte cose,
conosce molte cose; se è poche, conosce poche" (Metafisica II, 59). Questa
struttura metafisica del conoscere si presenta in maniera aurorale negli esseri
interiori e si realizza in pienezza nell'anima dell'uomo. Campanella parla di
una originaria ed innata conoscenza di sé che l'anima possiede e che viene
disturbata dal sopraggiungere di conoscenze esterne. Nel recupero
dell'autocoscienza originaria sta per Campanella la fondamentale
giustificazione riflessa del nostro sapere, con cui si sconfigge ogni possibile
dubbio scettico e si pongono le salde basi della metafisica. Con il tipico
procedimento agostiniano, che sarà ripreso da Cartesio, egli osserva infatti
che anche colui che afferma di non sapere nulla, ha originaria coscienza di sé
come di colui che non sa, e quindi conosce il proprio essere, e sa cosa sia il
sapere e la verità. Certo è possibile non conoscere molte cose, e quindi anche
dire di non conoscerle; ma l'anima ha di proprio che sa di non sapere o quindi
conosce originariamente se stessa proprio mentre avverte di non conoscere le
cose diverse da sé. Su queste basi, non è difficile a Campanella fondare una
metafisica dell'assoluto e una originale visione religiosa dell'uomo.
Conoscendo e amando sé come ente, l'anima conosce e ama l'essere di cui è
partecipazione, e quindi conosce e ama Dio. Di Dio l'anima ha quindi una
conoscenza originaria, che costantemente accompagna la conoscenza innata che
essa ha di se stessa. L'uomo quindi, oltre che animale ragionevole e libero, è
anche animale «religioso». La religione è una caratteristica naturale dell'uomo
che, in quanto conosce e ama sé, già conosce e ama Dio. La vita spirituale, con
cui l'uomo ritorna alla originaria autocoscienza di sé (dalla dispersione nelle
realtà esteriori) , è anche essenziale ritorno a Dio, una «reminiscenza» di
Dio, presente fin dall'origine con le sue tre primalità nell'anima dell'uomo.
Contro i tentativi contemporanei di ridurre la religione a puro fatto storico o
strumento politico (si ricordi la posizione di Machiavelli), Campanella
sostiene quindi energicamente la connaturalità per l'uomo dell'atteggiomento
religioso.
Genesi di
un’utopia
(Sentieri della
Filosofia, La “Città del Sole” e il pensiero utopistico fra cinquecento e
seicento a cura di Giuseppe Scalizi, ed. Paravia). Campanella insiste nel
concepire il corpo sociale e le varie costruzioni politiche come entità in se
inerti, se non inserite nell’alveo di un contesto generale di ordine religioso
e spirituale rappresentato dal papato. Chi si prende cura, come fece Machiavelli, soltanto di aspetti legati alla
potenza terrena degli Stati finisce per limitarsi alla parte perdendo di vista
la totalità. Come bene affermò Luigi Firpo: “Malgrado il naturalismo e il
razionalismo, Campanella è un’intimo assertore degli ideali della controriforma
per la sua avversione profonda all’agnosticismo incredulo del Rinascimento e
dell’individualismo anarchico della Protesta: il suo universalismo organico e
gerarchico e di inconfondibile stampo cattolico”(L. Firpo, Lo Stato ideale
della Controriforma, Laterza, Bari 1957, p.324). La totalità organica su cui si
sofferma Campanella, è dominata da un’eterna Legge, la Legge di natura, la cui
massima rappresentazione è il Cristianesimo rettamente inteso, un Cristianesimo
mondato da ogni abuso. La religione viene ad essere non uno strumento per
l’educazione di rozzi popoli, o uno strumento atto a rendere più sicuro e forte
il potere di un principe, ma l’autentica anima dello Stato. Medioevale è il
quadro tratteggiato dal Campanella: unità di tutte le genti sotto un potere
centrale che vede la coscienza della potestas sacerdotale con quella politica
(idem p.13). Il metafisico dei Solari, in questo senso, dovrebbe essere
considerato un pontefice in grado di far convergere nelle proprie mani sia la
potestà sacerdotale che quella temporale(Sentieri della Filosofia, La “Città
del Sole” di Campanella, Giuseppe Scalici, ed. Paravia,p.25). Il Cosmo,
nell’ottica campanelliana, non è inteso quale orizzonte ultimo dell’essere: la
totalità di cui facciamo parte è infatti l’immagine di una dimensione divina: è
il grande simulacro di Dio...(idem,p.16) Si riteneva all’epoca che esistesse
un’ininterrotta tradizione di pensiero, religioso e filosofico, inaugurata da
Ermete Trismegisto (il mitico Thot) in un imprecisato periodo dell’antichità egizia e fatta propria in
epoche diverse da pensatori “ispirati” quali Orfeo, Mosè, Pitagora, Platone,
Plotino, Giamblico, ecc... I punti salienti di tale tradizione possono essere
così sintetizzati:
- assoluta
perfezione del principio divino;
- cosmo inteso
quale esplicazione, in forme visibili, della divinità;
- esistenza di
un’Anima del mondo capace di vivificare, organizzare la materia, e di
determinare il divenire degli enti, le loro trasforazioni, le loro
interrazioni;
- “caduta”
dell’uomo da una situazione originaria di perfezione;
- primato
individuale dell’anima sulla materia del corpo;
- agire umano
finalizzato al ritorno presso la sfera divina (idem, p,16-17). Lo riconosciamo
in un giudizio complessivo sulla cultura del Quattrocento e Cinquecento,
formulato in iu recente saggio di E. Garin: "La crisi del sapere medievale aveva non solo cancellato
barrière, ma distinzioni antiche. L'artista si era fatto scienziato, il
filologo teologo, lo storico moralista, il fisico filosofo. Furono i
"nuovi filosofi" inquieti e ribelli, una specie di cavalieri erranti
del sapere, che si mossero fra sogni e magie, fra utopie e illusioni di paci
universali e perpetue, fra riflessioni critiche capaci di ogni sondaggio
interiore, fra vagabondaggi mistici in mezzo allé anime delle stelle e a
formule matematiche capaci di tradurne i moti, finalmente non più circolari”(idem,
p.18). I primi uomini, è scritto nel Senso délle cose, avevano una conoscenza
diretta al Dio che da poco aveva creato il mondo e spesso si manifestava ed
elargiva benefici. Spesso si indica la nécessita del ritomo al culto dell'unico
vero Dio "naturalmente" sentito da tutte le genti. La religione non è
mai, per Campanella, una sovrastruttura, uno strumento di dominio o l'esito di
un'arte: è una realtà viva e presente; nell'armonia del cosmo, nell'uomo e —
come istinto — in tutti glî altri enti. Religione è ciò che "lega"
tutte le cose e le rivolge alla loro origine prima, non per esteriore
imposizione ma intimamente. A questa religione innata, naturale e razionale
insieme, a questo spontaneo tendere verso Dio» si sovrappongono le religioni positive,
con i loro riti diversificati, dogmi e sacramenti. Ogni epoca ha manifestato
diverse forme di religiosità, ma non sono mai esistite civiltà atee (Sentieri
della Filosofia, La “Città del Sole” di Campanella, Giuseppe Scalici, ed.
Paravia,p.19). .
(Ciancio-Ferretti-Pastore-Perone, Profilo di
Storia della Filosofia, Filosofia Moderna, vol.2, ed SEI - Torino, p.183-194)
Verità della
mente umana e orizzonte metafisico
Vita e opere: La vita di Gian Battista Vico ci è stata in
gran parte descritta da lui stesso nella sua autobiografia (1725-1728). Nato a
Napoli nel 1678, si rivelò un genio precoce. Dopo gli studi giuridici, per la
sua preparazione culturale furono determinanti i nove anni (1681-1693)
trascorsi in qualità di precettore nel castello di Vatolla nel Cilento che
possedeva una ricchissima biblioteca. Furono anni di intense letture e
riflessioni che spaziavano dal campo della letteratura classica a quello del
diritto e a quello della filosofia. Tornato a Napoli vi trovò un ambiente
culturale assai interessato alle nuove correnti... Il suo pensiero si ispirò
tuttavia costantemente al platonismo, mediato attraverso la tradizione
rinascimentale e arricchito di altri importanti termini di riferimento quali
Bacone, Galileo e il giusnaturalismo. Vico fu una mente largamente
assimilatrice, ma non per questo ecclettica. Anzi il suo pensiero, che
recepisce insieme le esigenze di una nuova ragione inventiva e sperimentatrice
e quelle della tradizione platonica e della tradizione religiosa, giunse a
risultati così originali che il suo tempo non poté apprezzarli. In effetti Vico
condusse una vita abbastanza oscura e non riuscì a ottenere che una cattedra di
retorica malatamente retribuita. Di tali ristrettezze risentono anche le sue
opere. Basti pensate che il suo capolavoro, la Scienza Nuova, dovette essere
scritta in forma più succinta perché non bastavano i fondi per la
pubblicazione. Forse anche per questo motivo Vico ottenne scarsa comprensione
presso i suoi contemporanei.
Il vero e il
fatto
Nel De
antiquissima Vico enuncia un principio fondamentale della sua filosofia: il
Vero e il fatto si convertono reciprocamente, per cui «il criterio e la regola
del vero consiste nell'averlo fatto». La verità di una cosa è nei principi e
negli elementi che la producono. Di conseguenza non si può conoscere veramente
la cosa senza possedere tali principi ed elementi: la scienza come
«conoscenza»; solo chi è in grado di produrla li possiede.
La verità delle
scienze
Tale principio
vale anzitutto a limitare le pretese della ragione, senza però cadere nello scetticismo. A Cartesio Vico contesta la
possibilità di fondare sul cogito una scienza assoluta. Il cogito infatti vale
semplicemente ad accertare la mia esistenza, ma non è conoscenza della natura
del mio essere: la coscienza di me non è scienza di me, giacché essa non
produce il mio essere, ma semplicemente lo riconosce.
Riguardo al
nostro essere come a quello della natura, solo Dio ne possiede la verità, in
quanto ne è autore. L'uomo invece deve limitarsi a raccogliere gli elementi
delle cose ricomponendole dall'esterno, senza riuscire a penetrarle
dall'interno come fa la mente divina.
«La scienza umana sembra una sorta di
anatomia delle opere della, natura. Così, per fare un esempio illustrativo, la scienza
umana ha sezionato l'uomo in corpo e animo; e l'animo in intelletto e volontà;
dal corpo ha poi tolto o come sul dirsi, astratto figura e moto, e da queste cose, come da tutte le altre, ha
tratto fuori l'ente e l'uno» (De Antiquissima I, 2).
Movendo dagli
elementi astratti la mente umana ricostruisce la realtà fornendone però una
semplice immagine. Tuttavia movendo da questo limite che le è costitutivo, la
scienza umana può attingere una sua verità in misura in cui essa costruisce,
fa, cioè produce immagini, entità, connessioni, e producendole ne possìede i
principi e le regole.
E quello che
avviene nell'aritmetica e nella geometria, dove la mente partendo dall'uno e
dal punto costruisce delle realtà che, essendo opera sua, conosce
perfettamente. Le altre scienze invece garantiscono tanto meno il loro valore
di verità quanto meno sono astratte e cioè quanto meno i loro oggetti si
riducono a prodotti di operazioni mentali. Così la meccanica è meno sicura
della matematica, la fisica meno della meccanica e la morale meno della fisica.
Il grado di
verità proprio del sapere non dipende tuttavia dalla semplice corrispondenza al
factum umano, ma anzitutto dall'essere l'operare umano un'immagine di quello
divino. La mente deve riconoscere in sé la presenza di un'attività più alta:
«La mente umana si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio
io conosco la mia propria mente».
Sulla base di
questa apertura metafisica della mente non si può dunque dire che essa sia
semplicemente creatrice, ma piuttosto che è tale nell'atto stesso in cui è
imitatrice delle idee divine e partecipa della loro potenza. La necessità di
ammettere una verità divina a fondamento di quella umana risulta dal fatto che
l'uomo 1a presuppone e la applica sempre, anche quando sembra averla smarrita:
«Dio mai si allontana dalla nustra presenza, neppure quando erriamo, poiché
abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto l'apparenza dei
beni; vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti, ma ciò dimostra
che siamo capaci di pensare l'infinito»(De Antiquissima I, 6). La coscienza
dell'errore e del finito implica la coscienza della verità e dell'infinito.
L'uomo artefice della
storia
La sfera della
realtà più propriamente umana e, come
tale penetrabile dall'interno è il mondo della civiltà umana prodottosi
storicamente. La scoperta di questo mondo rende possibile la più originale
applicazione del principio del vero e del fatto, dando luogo a una scienza «
nuova». Essa avrà la stessa certezza della matematica poiché studia una realtà
i cui principi sono nell'uomo stesso, ma sarà superiore alla matematica per la
sua concretezza, poiché non muoverà dall’astrazione, ma dai principi generatori
della concreta fattualità storica. Infatti il presupposto fondamentale di tale
scienza è che: «questo mondo civile, egli certamente è stato fatto dagli
uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritrovare i principi dentro
le modificazioni della nostra medesima mente umana» (Scienza Nuova, 3° ediz.,
I, 3).
In questo senso
la Scienza Nuova è anche una "metafisica della mente umana", e cioè
una scienza dello spirito umano. Essa salda strettamente l'indagine sulla
storia a quella sull’uomo, e ciò non solo nel senso che non si può conoscere la
storia senza conoscere la mente umana che ne è autrice, ma anche nel senso
inverso. Infatti se si considera l'uomo prescindendo dal suo sviluppo storico
si rischia di isolarne, astrattamente, una sua dimensione o di assolutizzare
uno stadio del suo sviluppo. Così la filosofia ha sempre corso il rischio di
considerare l'uomo quale deve essere e non anche quale è (e questo sarebbe il
limite di Platone), oppure ha sopravvalutato la ragione facendone una facoltà
indipendente e assoluta (come è avvenuto in Cartesio). La concreta realtà
dell'uomo è comprensibile soltanto conoscendo la legge del suo farsi, che si
rivela solo in questo suo farsi e cioè nel suo divenire storico. Vico caratterizza
il suo metodo di indagine, aderente alla storia, parlando di collaborazione tra
filosofia e filologia(e per filologia Vico intende non solo la scienza delle
lingue e delle letterature antiche ma anche della cultura in genere dei popoli
antichi), la mancanza di questa collaborazione ha ingenerato l’errore in molti
filologi e filosofi: «La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza
del vero; la filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio, onde viene la
coscienza del certo... »
(Scienza Nuova,
Degnità x).
La filologia
porta l'autorità dei fatti, ma una filologia come mera raccolta di fatti è
altrettanto erronea di un'analisi puramente razionale dell'uomo. Tra filosofia
e filologia vi deve invece essere un rapporto di conferma reciproca, cosicché
si possa accertare il vero e inverare il certo. La «scienza nuova» dovrà dunque
procedere ricercando nei fatti storici le leggi che ne regolano il prodursi e
che saranno convalidate dal loro rivelarsi conformi alla natura, della mente
umana. Per scoprire queste leggi occorre individuare quali sono le costanti della storia: “Poichè
questo mondo di nazioni è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno
con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini, poiché tali
cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere
d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano in
nazioni» (Scienza Nuova, I, 3). La validità di leggi attribuita a queste
costanti storiche troverà poi conferma, secondo Vico, nel loro essere principi
primi ed effettivi ed effettivi di spiegabilità del mondo storico.
Come si è detto,
la Scienza Nuova, in quanto scienza della storia, è una metafisica della mente
umana, e anche, per il suo attenersi
ai fatti, una
«filosofia dell'autorità». Ma in terzo luogo essa è detta una «teologia civile
ragionata della Provvidenza divina». Infatti l'analisi della storia mostrerà
che la semplice mente umana non è sufficiente principio di spiegazione della
storia stessa, o meglio che la mente stessa, nel suo operare storico, è retta
da un principio superiore.
L'opera della
Provvidenza risulta dal fatto che i fini che la storia realizza vanno al di là
delle intenzioni degli uomini e ciò sia nel senso che li attuano spontaneamente, sia nel senso che realizzano
certi fini di giustizia e di progresso pur perseguendo intenti utilitaristici e
individuali(Scienza Nuova, Conclusione). In questo modo, come mostreremo più
chiaramente, la storia risulta essere una struttura molto complessa: infatti
proprio movendo dal fatto che essa è intelligibile all'uomo, in quanto egli ne
è l'autore si viene a riconoscere che l'uomo stesso, mentre fa e mentre guida
la storia, è egli stesso guidato. Si coglie in ciò una tensione tra storia
umana e storia divina, tra libertà e Provvidenza. È questo il motivo peculiare
della visione vichiana della storia, quello a partire dal quale più se ne sono
potute divaricare le interpretazioni.
I corsi storici
L'interpretazione
della storia fornita da Vico muove soprattutto da un’analisi delle lingue
antiche, poiché e da un’analisi del diritto delle nazioni in quanto esso
esprime i principi dell'organizzazione civile, che costituisce il vero e
proprio prodotto storico dell'umanità.
La legge
fondamentale della storia è quella del suo sviluppo in tre età... Religione, nozze e sepolture sono
dunque i principi fondamentali della civiltà(Scienza Nuova, Idea dell'Opera).
La religione è il primo principio perché è attraverso di essa che gli uomini
vincono il loro arbitrio disordinato e stabiliscono degli ordinamenti civili
fondati sulla volontà dègli dei. I matrimoni comportano la stabilità di vita e
la trasmissione ordinata dei patrimoni e dei poteri. Le sepolture sonò legate
alla fede nell'immortalità dell'anima, che innalza l’uomo al di sopra del
bruto.
L'organizzazione
civile dell'età degli dèi è la famiglia del gigante, che trae la sua
legittimazione unicamente dalle rivelazioni divine fatte attraverso gli
auspici. Su questa età Vico si diffonde poco giacché mancano i documenti.
La seconda età
ebbe inizio quando presso gli uomini che si erano stabiliti e organizzati si
raccolsero altri uomini che cercavano protezione e rifugio per sfuggire ai
pericoli della vita selvaggia.
Nacquero così le
prime città e le prime organizzazioni politiche caratterizzate dalla
distinzione fra signori e servi.
I signori sono
gli eroi che impongono il diritto con la forza, un diritto non comunicato a
tutti e legato alle parole del signore. Quando i servi rivendicano ai signori i
propri diritti, questi per meglio difendersi si uniscono in ordini nobiliari
dando vita così agli stati aristocratici. In questa età sorgono anche le prime
lingue articolate che hanno carattere mitico e poetico in quanto opera della
fantasia. La conquista dei diritti civili da parte dei servi segna il passaggio
alla terza età: ciò avviene attraverso le leggi agrarie e soprattutto con la
concezione delle nozze solenni, che danno diritto alla trasmissione ereditaria.
Nascono allora gli stati popolari fondati sul «diritto umano dettato dalla
ragione umana tutta spiegata».
Questa forma di
governo non è necessariamente democratica, ma può essere anche monarchica
purché in essa viga «la ragione naturale, che eguaglia tutti». Conforme a
questi caratteri è anche la lingua di questa età, fatta di voci convenzionali,
di cui «sono signori assoluti i popoli».
La legge delle
tre età costituisce la « storia ideale eterna, sopra la quale corrono in tempo
le storie di tutte le nazioni». Essa cioè è la norma di sviluppo di ogni
civiltà, e la sua universalità è dimostrata, secondo Vico, dal fatto che i
popoli l'hanno seguita senza che vi sia stata influenza dell'uno sull'altro. La
storia ideale eterna come legge di sviluppo della storia è poi anche legge di
sviluppo dell'uomo in generale. La storia cioè si è svolta secondo certi gradi
e un certo ordine perché lo spirito umano può svilupparsi solo in quel modo:
prima come senso, poi come fantasia, infine come ragione: « Gli uomini prima
sentono senz’avvertire; dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso,
finalmente riflettono con mente pura» (Scienza Nuova, Degnità LIII). Nell'età
della ragione l'uomo che passa dalla fanciullezza, in cui dominano il senso e
la fantasia, all'età adulta, in cui domina il pensiero razionale, ripete in
sintesi lo sviluppo storico dello spirito umano.
La sapienza
poetica
La storia ideale
eterna implica la presenza nella storia della Provvidenza. L'ordine e la norma
della storia temporale si impongono infatti solo perché c'è una forza superiore
e provvidenziale che dalla paura, dall'utilità, dalla violenza e dalle rivolte
sa trarre un progresso civile. Ciò significa che nell'agire umano è presente
una vis veri, un principio di verità divina, che nelle diverse età si fa presente
all'uomo in modo diverso.
Nelle prime due
età il vero assume il carattere del certo e cioè di ciò che è stato divinamente
rivelato o tramandato dagli antenati.
Non si tratta
dunque di una verità razionalmente mostrata, ma piuttosto attestata dal senso
comune, che è «un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da
tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere
umano». Nel senso comune l'arbitrio umano ha una regola cui attenersi.
Vico si diffonde
in particolare sul sapere proprio della seconda età, la sapienza poe tica, che in effetti costituisce una delle
sue scoperte più originali. Innanzitutto tale sapienza è detta poetica perché
il primo linguaggio, in cui essa si esprime, è fantastico e sublime e non
ancora razionale; infatti «la fantasia tanto è più robusta quanto è più debole il
raziocinio». Carattere della poesia è «alle cose insensate dare senso e
passione, ed è proprietà de' fanciulli di prender cose inanimate tra mani e,
trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa
degnità filologica-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fauciullo,
per natura, furono sublimi poeti» (Scienza Nuova, Degnità XXXVII).
Per questo
«tutte le storie barbare hanno favolosi principi» ed è nei miti che dobbiamo
rintracciare la storia, la cultura e la sapienza dei popoli antichi.
I miti dunque
non sono semplici favole e nemmeno un rivestimento poetico di una «sapienza
riposta», ma una comprensione fantastica della verità.
Gli antichi,
incapaci di esprimersi per concetti, usavano degli universali fantastici che
sono modelli fantastici, ritratti ideali, universali in quanto possono
rappresentare realtà particolari ad essi somiglianti; così, ad esempio, i greci
non concepirono l'idea della prudenza, ma raffigurarono l'eroe Ulisse come
modello fantastico di ogni uomo prudente.
Con l'analisi
della sapienza poetica Vico raggiunge alcuni notevoli risultati.
In primo luogo
stabilisce l'autonomia della poesia, nel senso che si tratta di una forma espressiva specifica indipendente dal
linguaggio razionale.
I tropi del
linguaggio poetico: allegoria, metafora, metonimia, sineddoche, ecc., «i quali
si sono creduti finora ingegnosi ritruovati degli scrittori, sono stati
necessari modi di spiegarsi di tutte le prime nazioni poetiche». La poesia cioè
non è il risultato di un'operazione estetica sul linguaggio razionale, ma è una
forma espressiva naturale e originaria.
In secondo luogo
alla poesia non è assegnata una funzione puramente estetica, ma una funzione
rivelativa: essa custodisce la verità sentita e immaginata quale l’appresero i
primi uomini. In terzo luogo, e conseguentemente, è rifiutata l'origine
convenzionale del linguaggio. Questa suppone infatti l'attribuzione al
linguaggio della funzione meramente operativa di rendere possibile la
comunicazione dei concetti, e inoltre non permette di spiegare lo stesso
momento convenzionale del linguaggio (che pure esiste): le convenzioni,
infatti, possono venire stabilite solo a partire da un precedente linguaggio
(non convenzionale). Al contrario la natura metaforica e fantastica del linguaggio
originario spiega la sua dimensione rivelativa, il fatto cioè che in esso sia
presente una comprensione primitiva della verità, nel senso di una prima
interpretazione in termini universali della realtà, attraverso gli universali
fantastici.
Sulla scorta di
quest'analisi della sapienza poetica Vico giunse a risultati come quello della
« discoverta del vero Omero ». Poiché il linguaggio dei miti primitivi sono il
patrimonio di tutto un popolo e poiché Omero si deve considerare come il primo
autore della lingua greca, e i suoi poemi furono sentiti come patrimonio culturale
comune di tutte le genti greche, Vico vede in essi non l'opera di un singolo
poeta, ma l'espressione della sapienza poetica di tutto il popolo greco.
La sapienza
poetica, in quanto è sapienza su cui si reggono e progrediscono i popoli antichi,
è soprattutto sapienza metafisica e giuridica.
Essa ha per
contenuto i principi di giustizia e di ordine che devono guidare la vita
civile, ma tale contenuto si manifesta in forme diverse a seconda che operi
attraverso il senso o la fantasia o la ragione.
Ciò significa
che da un lato la verità si produce storicamente ma dall'altro è essenzialmente
sovratemporale, si che in ogni età può essere presente nella sua interezza.
Provvidenza e
libertà umana
La verità della
storia è dunque una verità metafisica nella storia. Nella storia si realizza la
mediazione tra umano e divino: nel fare umano si rivela il vero divino, e
d'altra parte il vero umano si attua attraverso il fare divino (della
Provvidenza).
La verità si
manifesta attraverso e nonostante l'arbitrio umano e può anche essere sviata
dall'arbitrio stesso o da motivi contingenti.
La Provvidenza è
la legge della storia, ma una legge trascendente. Che la storia sia spiegabile
attraverso l’ordine provvidenziale non significa che essa sia necessitata, ma
piuttosto che ogni sviluppo storico deve attenersi ad esso per non degenerare,
ed anche che in esso la storia trova possibilità e garanzia di superare ogni
fattore degenerativo.
La forza e
l'opera della Provvidenza si manifestano nella sua capacità di servirsi degli
strumenti umani, anche più rozzi e refrattari, per produrre un ordine di
giustizia. E tuttavia tale ordine resta affidato alla libertà dell'uomo.
Che il processo
storico non abbia carattere di necessità risulta particolarmente evidente nella
dottrina dei regressi e dei ricorsi. Viro individua nel compimento del
progresso giunto all'età della ragione i germi di un possibile regresso: «Gli
uomini prima sentono il necessario: dipoi badano all'utile; appresso
avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel piacere; quindi si
dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrappazzar le
sostanze»(Scienza Nuova Degnità LXVI).
A questa decadenza
dei costumi corrisponde una decadenza della cultura nello scetticismo e nella
falsa eloquenza, mentre gli stati popolari finiscono nell'anarchia e poi nella
tirannide. A ciò la Provvidenza offre tre rimedi; o un forte monarca che
risollevi lo stato, o l'assoggettamento a una azione migliore e più forte o la
regressione nella barbarie da cui inizia un nuovo corso storico, che ripete le
tappe del corso precedente, per quanto a un livello superiore. In questo
modo gli uomini, che avevano smarrito
la verità nello Scetticismo e nella dissolutezza, poterono recuperare un
rapporto immediato con essa attraverso il ritorno al senso e alla fantasia. La
possibilità dei regressi e dei ricorsi storici dimostra che il progresso
storico non è garantito sempre e che tuttavia la Provvidenza guida sempre la
storia, ma anche qui attraverso possibilità diverse e non in modo univoco e
necessitante.
L'età della
ragione in particolare sembra essere l'età critica della storia. Infatti mentre
nei primi stadi della civiltà la Provvidenza si impone con la forza della
certezza, nell'età della ragione il vero diventa oggetto di libera ricerca e
compito da realizzare consapevolmente. Il piano provvidenziale può qui operare
solo in quanto riconosciuto compiutamente dalla ragione "tutta
spiegata". La filosofia succede allora alla religione, «così ordinando la
provvidenza: che, non avendosi appresso a fare più per sensi di religione (come
si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la filosofia intender le
virtù nella lor idea»(Scienza Nuova, Conclusione). Ma poiché nella filosofia la
custodia della verità è affidata al libero giudizio della ragione, maggiore è
la possibilità della caduta nell'errore e nello scetticismo, per cui «si
diedero gli stolti dotti a caloniare la verità».
Questa
possibilità di smarrimento significa che la ragione non è una facoltà
pienamente indipendente e creatrice di verità.
Innanzitutto
essa non può essere svincolata dal senso e dalla fantasia, a rischio di diventare
vuota. E in questa prospettiva il fine della storia non è il semplice
esplicarsi della ragione, ma l'armonia di senso, fantasia e ragione. Inoltre
essa è subordinata alla verità divina come alla sua norma.
Per questi
motivi la ragione deve essere solidale con il senso comune e con la tradizione
in cui si manifesta l'opera provvidenziale: «La provvedenza ci si fa
apertamente sentire in quelli tre sensi: uno di meraviglia, l'altro di
venerazione ch'hanno tutti i dotti finor avuto della sapienza inarrivabile
degli antichi, e 'l terzo dell'ardente desiderio onde fervettero di riceverla e
di conseguirla » (Scienza Nuova, Conclusione). È questo il motivo più profondo
per cui devono convergere filosofia e filologia, vero e certo. La storia non si
può semplicemente dedurre dalla sola mente umana con una pura costruzione
razionale, perché la stessa mente umana si rivela a se stessa solo attraverso
l'opera provvidenziale, a cui dunque deve fare riferimento per conoscere la
propria verità.
Se allora si può
dire che la filosofia succede alla religione, ciò non significa che la annulli,
ma al contrario che ad essa spetta il compito di custodirla: «Da tutto ciò che
si è in quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza
porta indivisibilmente seco lo studio della pietà, e che, se non siesi pio, non
si può daddovero esser saggio» (Scienza Nuova, Conclusione).
Accettare la
negazione niciana a causa del suo esito radicalmente nichilistico è
IMPOSSIBILE, al punto che, giunge a togliere credibilità fondamento e dignità a
Dio negandolo.
Nell’intero
sviluppo di tale ontologia il fondamento (Dio) è stato ridotto a cosa o ente;
per farne, appunto, un ente disponibile al gioco strumentale dei nostri calcoli
umani.
Davanti a questo
Dio dell’Onto-teo-logia non è possibile alcuna autentica esperienza di ascolto,
poiché le orecchie sono troppo disturbate dal vano frastuono della chiacchiera
teologica e filosofica.
Il Grund
dell’onto-teologia scade ad idolo, diventa davvero un Dio morto ed idiota e
rischia sempre di essere assunto come un assoluto terrestre (Pietro Prini, in
“Storia dell’esistenzialismo”, edito da studium)
Alcuni filosofi
manipolano e fraintendono il messaggio cristiano, ritenendolo una religione
senza redenzione. Ritenendo che i discepoli hanno interpretato il messaggio di
Cristo fino a snaturarlo.
Disperati, non comprendono il rapporto tra finito e infinito; sono
convinti che non potrà mai darsi alcuna conciliazione tra l'Essere infinito di
Dio e la finitezza della creatura; insomma, il rapporto tra finito e infinito
non consente neanche un superamento di tipo hegeliano; il male del mondo non è
in alcun modo redimibile: "nessuna redenzione, né in cielo, né in terra,
né cristiana, né paranormale (in questo siamo d’accordo) possibile. La morte in
croce del Cristo e il suo grido di abbandono sono il segno del suo fallimento,
aalmeno del fallimento della sua pretesa divina.
Di conseguenza l’interpretazione della passione e morte del Figlio come
sacrificio espiatorio è la più grande mistificazione compiuta dal
cristianesimo.
Non si capisce, perché mai questi nostri filosofi si fermano solo al
mistero del Venerdì Santo e dimenticano che c'è anche il Sabato Santo e la
Domenica di Pasqua.
Nel riferirsi ad Heidegger, pongono
in evidenza, il fatto che nella storia della metafisica occidentale, il destino
dell'Essere (Grund) è venuto a coincidere con il sottrarsi, l’indebolirsi
dell’Essere; e tale “indebolimento” non è stato solamente il risultato
dell'accresciuta consapevolezza dei limiti del pensiero, ma anzitutto il
carattere costitutivo dell'Essere stesso; entra definitivamente in crisi il
concetto di essere e l’uomo si trova gettato nel caos e nel nulla
Ma l’ascolto del Figlio, porta non ad un concetto distruttivo e
negativo del silenzio. Il silenzio diviene l’inizio della vita divina nel
credente, la "realtà prima". Nell'ascolto il credente, si manifesta
come “realtà seconda”:
Il Figlio rinvia al Padre.
La Parola rimanda al Silenzio.
Il Rivelato rimanda al Dio nascosto ("Deus Absconditus").
Sottolinea giustamente Massimo Cacciari nel suo saggio dal titolo “Del
Silenzio” (edito da Adelphi), che il termine "Re-velatio" non va
inteso solo come manifestazione divina, ma al contrario come un "tornare a
velarsi".
Dunque il silenzio è l'altra sponda,
la profondità nascosta di ciò che si rivela, il sentiero che conduce alle
insondabili profondità di Dio. Il Silenzio è il Padre da cui scaturisce
eternamente la Parola che è il Figlio. A questo punto ci colleghiamo subito col
nostro tema che, non lo si dimentichi, coincide col ritrarsi del fondamento;
poiché il Padre è essenzialmente esuberanza di comunicazione nella delicatezza
di un amore personale che non vuol fare imposizione alcuna.
Sillogismo:
“Chi non frena le passioni è pieno di brama, chi è pieno di brama non è mai
sazio e non è mai sereno, chi è in questo stato è infelice e disgraziato,
quindi chi non frena le passioni è un disgraziato!!!”
LA
LEGGE NATURALE (liberamente tratto da J. Maritain, La Conquista della libertà,
Antologia del pensiero etico politico, ed. La Scuola-Brescia). Ricordiamo le
parole di S. Paolo in Rom. 2,14: "quando i Gentili che non hanno legge,
fanno secondo natura le cose contenute nella legge, costoro, pur non avendo
legge, sono legge a se stessi". Sofocle scrive di Antigone, che
consapevole di trasgedire la legge umana, è colpita da questa, obbediva ad un
comandamento migliore, la legge non scritta ed immutabile: “queste leggi non
nate dall'arbitrio di oggi o di ieri, vivono sempre e per sempre, e nessuno sa
da dove sono nate".
Tutti
gli uomini hanno in comune la natura umana, ed avendo l'intelligenza agiscono
comprendendo quello che fanno, con il potere di determinare le proprie scelte.
Ma dal momento che l'uomo è dotato di intelligenza, egli stabilisce i suoi
fini. L’uomo deve accordarsi con i fini richiesti dalla sua natura. Ogni genere
di cose, di esseri, ha la sua legge naturale che consiste nella normalità del
suo funzionamento. Questa naturalità è di rilevanza morale per l'uomo. Proprio
la libertà o libero arbitrio implica e necessita di obblighi morali. Ogni uomo ha obblighi morali! La legge naturale
per l'uomo è legge morale, perché l'uomo l'ubbidisce o disubbidisce
liberamente. Il fine dell'uomo (come vedremo) è trascendente, per questo la
legge naturale implica anche sensibilità, esigenze, aspettative di ordine
superiore al bene immanente. La legge naturale è la formula ideale di sviluppo
di un dato essere. Diciamo allora che, nel suo aspetto ontologico, la legge
naturale è un ordine che si riferisce alle azioni umane, uno spartiacque tra
ciò che conviene e ciò che non conviene, tra il proprio e l'improprio, che
dipende dalla natura umana e dalle necessità immutabili che vi sono radicate.
Il precetto non uccidere, come altri del decalogo, è un precetto di legge
naturale. E' naturale, rispettare il proprio essere nei propri simili, in cui
si riconosce un'appartenenza al proprio destino. L'uomo, in quanto uomo, ha
diritto di vivere, perché anch'io sento di avere in me lo stesso diritto. Per
riassumere, diciamo che la legge naturale è sia ontologica che ideale, ma è
anche pratica e politica perché è l’unica che può costruire positivamente la
società. E' ideale, perché si fonda sia sull'essenza umana che sulle necessità
comuni e immutabili del genere umano. E' ontologica, perché struttura l'unico
progetto possibile per l’uomo (che vuol essere o divenire veramente umano). Non
solo le regole prime e fondamentali ma anche le più piccole regole dell'etica
naturale significano conformità alla legge naturale, (cioè, gli obblighi
naturali o i diritti di cui noi oggi non abbiamo idea alcuna e di cui gli
uomini diverranno consapevoli in un lontano futuro). Un angelo che conoscesse
l'essenza umana secondo le sue capacità soprannaturali (tu che ora mi leggi,
sei forse quell'angelo bellissimo di purezza e semplicità, da saper individuare
in te, tutte le esigenze della legge naturale e da potermele insegnare?) e
tutte le situazioni dell'esistenza possibili per un uomo, potrebbe conoscere la
legge naturale nell'infinità della sua estensione. Noi non lo possiamo, per
quanto i teorici del secolo XVIII credettero di averla conosciuta. La legge
conosciuta e sperimentata, in quanto misura della ragione è legittimazione
degli atti umani. Gli uomini la riconoscono con minore o maggiore difficoltà,
ed in gradi differenti, correndo il rischio di sbagliare qui come altrove. Il
preambolo della legge naturale è: "fai il bene ed evita il male". La
legge naturale è l'insieme delle cose da fare (e da non fare) in maniera
necessaria. Che nella determinazione di queste cose sia possibile ogni sorta di
errore e di aberrazione, che la nostra
natura è ancora rozza, e che innumerevoli accidenti possono falsare il nostro
giudizio, prova soltanto che la nostra visione è scarsa. L'errore, anche di un
popolo, non è una prova contro la legge naturale, così come l'errore in una
addizione non è la prova contro l'aritmetica. La conoscenza che l'uomo ne ha è
andata aumentando a poco a poco che si andava sviluppando la sua coscienza
morale. Questa conoscenza continuerà inesauribile finchè esisterà l'uomo.
S.Tommaso d'Aquino dice che la ragione umana scopre le regole della legge
naturale sotto la guida delle inclinazioni (positive o negative, comunque
indimostrabili proprio perché istintive) della natura umana. Questa conoscenza
si fa strada prima per esperienza che per concetti. Si capisce come la
conoscenza della legge naturale è andata modellandosi continuamente secondo le
inclinazioni della natura umana, partendo dalle più fondamentali. [La
conoscenza degli aspetti primordiali e preistorici della legge naturale fu
espressa dapprima in schemi di precetti e proibizioni sociali più che in giudizi
personali; di modo che noi potremmo dire che questa conoscenza si è sviluppata
sia nelle inclinazioni che nella società umana, conoscenza incorporata nella
eredità più antica e più generale della comunità. In queste intelaiature o
schemi dinamici antichi, possono intervenire molti contenuti diversi, per non
parlare delle deviazioni pervertite che possono mescolarsi a quelle
fondamentali, come alcune pratiche tribali]. E' così che nei tempi antichi e
nell'età medioevale si diede più peso, nella legge naturale, agli obblighi
dell'uomo che ai suoi diritti. La grande conquista del secolo XVIII fu di
portare in piena luce i diritti dell'uomo come se richiesti anche dalla legge
naturale. Legittima richiesta. Ma la grande conquista fu pagata dagli squilibri
ideologici. L'attenzione si spostò, dagli obblighi dell'uomo, soltanto sui suoi
diritti. Una visione verace e comprensiva avrebbe fatto attenzione sia agli
obblighi che ai diritti impliciti nelle esigenze della legge naturale.
La
persona è parte della società politica in quanto cittadino, e tuttavia la
trascende in ragione dei valori assoluti ai quali essa si riferisce. Mentre la
società politica guarda al tempo, la persona deve proiettarsi in un destino
superiore al tempo[L'abbiamo già notato: è per la improvvisa irruzione del
monoteismo prima e del messaggio evangelico poi che codesta trascendente
dignità della persona umana s'è resa manifesta e completa.]. Ma di quì la
coscienza di questa dignità ha conquistato a poco a poco la sfera dell'ordine
naturale stesso, penetrando e rinnovando la nostra coscienza della legge di
natura e del diritto naturale. Quando gli apostoli rispondevano al sinedrio,
che voleva impedir loro di predicare in nome di Gesù: "E' meglio per noi
ubbidire a Dio che agli uomini", affermavano così la trascendenza della
persona umana nello stesso ordine naturale. Già nell'ordine naturale la persona
umana trascende lo Stato, in quanto l'uomo ha un destino superiore al tempo e
mette in gioco energie finalizzate a tale destino. L'universo delle verità e
degli ideali, di scienza, di saggezza, d'arte e di poesia, verso il quale tende
l'intelligenza, deriva, per natura, da un dominio più elevato che quello della
comunità politica. Il segreto dei cuori, l'universo delle leggi morali, il
diritto della coscienza di ascoltare Dio e fare il suo cammino verso di lui,
tutte queste cose, nell'ordine naturale come nell'ordine soprannaturale, non
possono essere toccate dallo Stato nè cadere in suo potere. Senza dubbio lo
Stato ha anche una funzione morale e non soltanto materiale; la legge, infatti
ha una funzione pedagogica e tende a sviluppare le virtù morali, lo Stato ha il
diritto di punirmi se, la mia coscienza essendo accecata commette un atto
delittuoso. Ma in simile circostanza lo Stato non ha l'autorità di farmi
correggere il giudizio della mia coscienza più di quanto non abbia il potere di
legiferare sulle cose divine, ne di imporre alcuna credenza religiosa,
qualsiasi essa sia. Lo Stato lo sa bene. Ed è per questo che, ogni volta che
esso esce dai suoi limiti naturali per penetrare, in nome di rivendicazioni
totalitarie, nel santuario della coscienza, si sforza di violare questa con
mezzi mostruosi di avvelenamento psicologico, di menzogna organizzata e di
terrore.
(liberamente
tratto da: J. Maritain, La conquista della libertà, Antologia del pensiero
etico politico, ed. La Scuola - Brescia, p.78) L'intelletto pratico non ha a
che fare soltanto con la creazione artistica, ma anche è prima di tutto con la
vita morale dell'uomo. V'è in questo ordine un'altra strada verso Dio, che è
compresa nell'esperienza morale e che potremmo chiamare la conoscenza morale di
Dio. Non è possibile giustificare razionalmente concetti morali fondamentali
quali: 1.- il concetto d'obbligo morale incondizionato; 2.- quello del diritto
inalienabile; 3.- quello dell’intrinseca dignità della persona umana; senza
risalire alla Ragione increata donde procedono l'uomo e il mondo e che è il
concetto del Bene. La riflessione filosofica sulla vita e l'esperienza morale
ha in tal modo le prove dell'esistenza di Dio. Quando il bambino si desta alla
vita morale, il suo primo atto e di "deliberare di se stesso"; si
tratta di scegliere la propria strada. Un bambino si astiene un giorno dal dire
una bugia, se ne astiene in quel giorno non perché rischia di essere punito se
la bugia viene scoperta o perché gli è proibito dire bugie, ma semplicemente
perché è male; non sarebbe bene farlo. In quel momento il bene morale con tutto
il mistero delle sue esigenze, gli si manifesta confusamente, in un lampo
d'intelligenza. Qual'è il dinamismo segreto del primo atto di libertà?
"L'anima in questa prima scelta morale si allontana da una azione cattiva
perché è cattiva: l'intelligenza conosce perciò la distinzione del bene e del
male e sa che bisogna fare il bene perché è bene, motivo che sorpassa l'ordine
della convenienza". "Ma poichè il valore dell'atto morale è superiore
a tutto ciò che è dato nell'esistenza empirica, (concerne ciò che deve essere), fare il bene per il bene implica
necessariamente che vi sia un ordine ideale indeclinabile della giusta
consonanza del nostro agire con la nostra essenza". Implica
necessariamente un dato oggetto dell’atto morale. E poichè, il mio vero bene è
al contempo il bene di tutti, questo è l'Unico Bene, tanto superiore e
universale da trascende tutto l'ordine empirico. Questa legge manifesta
l'esistenza di un Bene separato che trascende Egli stesso tutta l'esperienza
empirica e sussiste di per se. "Queste implicazioni non sono aperte
all'intelligenza del bambino; sono contenute nell'atto che decide per una cosa
buona in ragione del bene morale, del bene onesto di cui egli ha l'idea
esplicita, per quanto confusa"(Raison et Raisons, pp.135-137). Non è
affatto necessario ch'egli pensi esplicitamente a Dio e al suo fine ultimo
quando compie questo suo primo atto d'uomo. "Egli pensa a ciò che è bene e
a ciò che è male. Ma al tempo stesso conosce e sperimenta Dio senza saperlo,
perché in virtù del dinamismo interno di questa scelta del bene per il bene,
egli vuole e ama il Bene oggettivo separato dal suo io, come fine ultimo della
sua esistenza”.
---Opzione morale fondamentale per il Bene,
che esige continuamente di offrire tutta la vita a servizio di questo bene. La
vita umana diviene prigioniera del Bene e si dispone a fare di se un’offerta
d’amore, un’espressione sacerdotale!---
In tal
modo l'intelligenza ha di Dio una conoscenza vitale e non concettuale, con il
moto di volontà verso questo bene, e al tempo stesso verso il Bene. In altri
termini, la volontà andando istintivamente all’atto moralmente positivo, in
concreto va oltre l'oggetto immediato della conoscenza e trascina con se tutto
l’essere di persona all’incontro con Dio. La volontà con questo slancio puro, scelto
perché buono, si trova proiettata fino a questo oltre (l'intelligenza si
proietta in una luce di conoscenza senza concetto e senza possibilità
concettuali esprimibili, luce unicamente disponibile attraverso la
contemplazione). “La rettitudine è nell'ordine pratico la misura della verità
dell'intelligenza.”(Raison et Raisons, pp.137-139). Anche se la ragione
cosciente si trova nella ignoranza completa di Dio un uomo può in tal modo
conoscere Dio, in maniera incosciente ma reale, pratica, esistenziale e volitiva.
Ci troviamo in presenza di una conoscenza reale, ma che ha luogo nell'inconscio
dello spirito, e che è tratta fuori dalla sua notte soltanto dalla
considerazione del filosofo quando l'analizza negli altri. Ne consegue che chi
crede di essere ateo; non può esserlo in realtà se ha scelto il Bene per se
stesso, come orientamento fondamentale di tutta la sua vita. E' uno
pseudo-ateo. Ciò che lui nega è in realtà solo un prodotto concettuale, egli in
realtà non nega Dio che è l'oggetto autentico della ragione e al quale egli
crede, senza saperlo, in fondo al suo cuore. Il pseudo-ateo, crede
empiristicamente in Dio, così che egli è diviso in se stesso, perché sorgono
evidenti ostacoli tra il pensiero cosciente e le elaborazioni incoscienti o
esistenziali di Dio che egli porta in se nascoste e attive. Tale situazione è
di per se anormale. Normalmente la conoscenza esistenziale di Dio legata al
primo atto di libertà -quando è retto- richiede di passare naturalmente nella
coscienza e vi fa la sua strada. Essa crea nell'anima disposizioni ed
inclinazioni che aiutano la ragione a scoprire la verità che corrisponde loro.
Egli così ha gli elementi non solo per conoscere Dio, ma anche per
riconoscerlo, così nasce una relazione stabile e permanente, la più bella relazione
di tenera amicizia creativa che si possa concepire. Se si tratta al contrario
di un vero ateo, l'ateismo, che egli professa coscientemente è il rifiuto
aprioristico di ogni trascendenza e quindi la negazione del Bene. Il vero ateo
è l’uomo cattivo e disperatamente egoista. "Il bene morale, il dovere e la
virtù divengono fatalmente ed egoisticamente una esigenza della propria
perfezione presa per centro assoluto, un rito desolato della propria grandezza,
una sottomissione totale di se all'arbitrio del divenire deificato
(all’idolatria di se e delle sue idee), e perdono la loro vera natura"
(Raison et Raisons, p.163). L’orgoglio diabolico della propria superiorità
culturale o spirituale, per ergersi razzisticamente sugli altri uomini
=super-io.
La
libertà di ciascuno deve essere protetta, l'uomo deve lavorare per sottomettere
a sé ogni forma di barbarie, la città deve essere forte e difendersi
efficacemente contro le azioni dissolventi e contro i suoi nemici. Ma l'opera
politica verso cui tutto questo deve tendere è il miglioramento delle
condizioni della vita umana stessa e di procurare il bene comune della
moltitudine in tal maniera che la persona concreta (non soltanto una categoria
di privilegiati), acceda realmente alla misura d'indipendenza che conviene alla
vita civile, e che volta a volta le garanzie economiche del lavoro e della
proprietà, i diritti politici, le virtù civili e la cultura dello spirito
assicurano. La possibilità dello sviluppo consiste prima di tutto nella
fioritura della vita morale e razionale. Liberazione ed emancipazione
permanente da ogni forma di schiavitù ed asservimento al male morale. Il
progresso è possibile solo se la società conosce le esigenze di un ideale
storico elevato, capace di sollevare
tutte le energie di bontà e di progresso nascoste nelle profondità dell'uomo e
oggi represse, negate o pervertite. Lottiamo insieme per l'instaurazione di una
città fraterna in cui l'uomo sia liberato dalla miseria e dalla servitù. Vi è
una speranza più grande che deve essere portata agli uomini, per il quale si
può domandare agli uomini di lavorare, di combattere e di morire: la verità
dell'immagine di Dio in noi, la libertà e la fraternità universale. Se la
nostra società agonizza è perché non osa abbastanza, perché agli uomini non
abbastanza propone. Una nuova civiltà vivrà a condizione di sperare, di volere
e di amare veramente ed eroicamente la verità, la libertà e la fraternità.
CONCLUSIONE: La sana società umana è fondata sulla moralità intrinseca del bene
comune e della vita politica. Ispirazione personalistica e comunitaria
dell’organizzazione sociale, legame organico della società civile con la
religione (senza costrizione religiosa né clericalismo). Il diritto e la
giustizia, l'amicizia civica e l'uguaglianza che essa comporta, come principi
essenziali della società. Opera comune ispirata dall'ideale di libertà e di
fraternità tendente come a suo limite superiore alla instaurazione di una città
fraterna in cui l'essere umano sia liberato dalla servitù e dalla miseria.
Questa realtà politica è negata o misconosciuta, sia dall'antico individualismo
borghese, sia dai totalitarismi massificanti di oggi. E' qualcosa di nuovo che
gli uomini dovranno costruire dopo questa guerra, in mezzo alle rovine, se
l'intelligenza, la buona volontà e le energie creatrici prevalgono in essi.
(Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
L'uomo
è un animale dotato di ragione, ma è immensa la parte di animalità in tale
rapporto. La parte dell'immorale è più grande ancora nella vita sociale e
politica che nella vita individuale. Ne consegue che un lavoro di educazione,
che sottomette l'irrazionale alla ragione e sviluppa le virtù morali non è
facile. Purtroppo c'è chi conta, per raggiungere i propri fini sulla potenza
del male e della corruzione. Questo è fare la rovina degli uomini e mettersi al
servizio del male. Noi emergiamo ancor poco dall'animalità e così grande è in
noi la parte della malvagità e della
perversione. Le condizioni storiche e lo stadio ancora inferiore dello sviluppo
dell'umanità rendono difficile alla vita sociale di comprendere pienamente il
suo fine. Ma la filosofia politica che si fonda sulla realtà deve lottare volta
a volta contro due errori opposti: da una parte uno pseudo idealismo
ottimistico, che va da Rousseau a
Lenin, e che alimenta gli uomini di false speranze, pretendendo stimolare,
snaturando l'emancipazione alla quale essi aspirano, d'altra parte uno
pseudo-realismo pessimistico che va da Machiavelli a Hitler, e che piega l'uomo
sotto la violenza, non ritenendo di lui che la animalità che lo rende schiavo.
(Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
L'idea
di diritto naturale è un'eredità del pensiero cristiano e del pensiero
classico. Non risale alla filosofia del XVIII secolo, che l'ha più o meno
deformata, ma a Grotius e prima che a lui a Suarez e a Francesco de Vitoria; e
più oltre a S. Tomaso d'Aquino; e più oltre a Sant'Agostino e ai Padri della
Chiesa, e a S. Paolo; e più oltre ancora a Cicerone, agli Stoici, ai grandi
moralisti dell'antichità e ai suoi grandi poeti, a Sofocle in particolare
(Antigone è l'antica eroina del diritto naturale, che gli antichi chiamavano la
legge non scritta). L'uomo è dotato di intelligenza e con essa determina a se
stesso i propri fini. In virtù della natura umana, uguale a tutti, vi è una
disposizione comune che si ha l'obbligo di cercare e di attuare, questa legge
scritta nei cuori, secondo la quale la volontà umana deve agire per
realizzarsi. La legge naturale non è altro che questo. I grandi filosofi
dell'antichità sapevano, i pensatori monoteisti sanno ancor oggi, che la natura
deriva da Dio e che la legge non scritta deriva dalla legge eterna che è la
saggezza creatrice stessa. Conoscendo il principio reale di questa legge, la
credenza in questa legge è più ferma e più irremovibile presso coloro che
credono in Dio, che presso gli altri. La legge e la conoscenza della legge sono
due cose differenti. La legge è scritta nel cuore dell'uomo, ma in tali
profondità da essere facilmente nascosta. Gli uomini la conoscono più o meno
difficilmente e a gradi diversi, e quì come altrove rischiano di commettere
errori. La sola legge pratica in comune è la legge morale fondamentale:
"fai il bene ed evita il male". Ma solo quando il Vangelo sarà
penetrato fino al fondo della sostanza umana, solo allora il diritto naturale
apparirà in tutto il suo splendore. [La nostra persona in qualità di Presidente
dell'Associazione Giustiazia e Verità può divenire luogo di confronto riguardo
alle esigenze della Legge Naturale]. Il fine per il quale la famiglia esiste è
di crescere delle persone umane e di prepararle a compiere il loro destino
totale. E se lo Stato ha una funzione educativa, se l'educazione non è fuori
della sua sfera, è per aiutare la famiglia a compiere la sua missione e per
completarla, mai di sostituirsi ad essa per cancellare nel bambino la sua
vocazione di persona umana e per sostituirla con quella di strumento vivente e
di materia dello Stato. In definitiva, i diritti fondamentali come: 1.-il
diritto all'esistenza ed alla vita, 2.-il diritto alla libertà personale o il
diritto di condurre la propria vita come padroni di se stessi e dei propri
atti, 3.-il diritto a perseguire la perfezione della vita umana morale e
razionale, 4.-il diritto a perseguire il bene eterno (senza del quale non vi è
vera felicità), 5.-il diritto all'integrità corporale, 6.- il diritto alla
proprietà privata, 7.-il diritto di sposare secondo libera scelta, 8.-il
diritto di associazione, 9.-il rispetto in ciascuno della dignità umana, sia
che egli rappresenti o non rappresenti un valore economico per la società.
Tutti questi diritti e valori assoluti sono radicati nella persona, che ha un
destino superiore al tempo. Il regime totalitario di un solo partito è la
peggior forma del regime dei partiti. Ciò che è richiesto ad una democrazia non
è abolire i partiti politici, ma regolare la costituzione dello Stato (delle
assemblee legislative e degli organi di governo) in modo tale che questi, pur
essendo sottomessi al controllo delle assemblee, siano nei problemi più
importanti, sottratti al dominio dei partiti. Ma progresso nell'organizzazione
e progresso nella coscienza sono due progressi simultanei per questo non deve
essere concesso il massimo delle libertà democratiche la dove non vi è la
maturità per viverle, la dove esse saranno un deterrente per l'anarchia e per
la criminalità. La tentazione che viene dalle antiche concezioni socialistiche
è quella di accordare il primato alla tecnica economica e nello stesso tempo di
tendere a rimettere tutto all'autorità dello Stato, amministratore del
benessere di tutti con la sua meccanica scientifica e burocratica; il che, si
voglia o no, conduce verso un totalitarismo a base tecnocratica. Contro lo
stato corporativistico, paternalistico opponiamo la libertà delle associazioni
che sono di rango istituzionalmente inferiore allo Stato, ma devono essere
considerati come un dato insostituibile del passaggio ad un regime
autenticamente umanistico, lo stato porrà ogni cura nel tutelare le
associazioni di cittadini. L'idea di uno Stato economico è una mostruosità. La
vita e l'organizzazione politica della Stato concernono la vita comune delle
persone umane e la loro direzione verso un'opera comune (la quale suppone la
forza, la pace e l'armonia del corpo sociale): questo deve tendere, come al suo
ideale supremo, alla conquista della libertà e alla fraternità. Esse sono di un
odine superiore alla vita e alla organizzazione dei gruppi economici. Il
progresso contrastato dell'umanità va nel senso della emancipazione umana (non
soltanto nell'ordine politico, ma anche nell'ordine spirituale), in maniera che
le diverse forme di servitù, per le quali un uomo è al servizio di un'altro
uomo, siano a poco a poco abolite a misura che la storia umana si avvicina al
suo termine. Il che suppone non soltanto il passaggio a stati di organizzazione
migliore, ma anche il passaggio a una coscienza migliore della dignità della
persona umana in ciascuno di noi e del primato dell'amore fraterno fra tutti i
valori della nostra vita. Così avanziamo verso la conquista della libertà e di
tutte le libertà: spirituali, politiche, sociali ed operaie. E si può sperare
di veder uscire dalle rovine una ricostruzione, avendo fiducia nel popolo, in
quel popolo che da completamente il suo lavoro e la sua pena e quando è
necessario il suo sangue. Nella comunione con il popolo sta l'ultima fortuna
della cività. (liberamente sintetizzato da: Maritain, CRISTIANESIMO E
DEMOCRAZIA , ed. di comunita'-1950- Milano)
(JACQUES MARITAIN ed.. Borla)
Abbiamo
urgentemente bisogno di un'azione che nasca dalla contemplazione, e questa è
dono di Grazia. Ecco il mondo chiede dei santi, cioè uomini puri nei loro
pensieri, nelle loro azioni trasparenti. Se i credenti non gli danno ciò che
comanda, tanto peggio per essi e per tutti; egli si vendicherà su di loro, e
cercherà la sua consolazione presso il diavolo. Comunque come dicono S. Paolo,
Maometto ed altri uomini di Dio: noi abbiamo ricevuto la missione di combattere
per la verità. Qual'è l'origine del disordine moderno? La naturalizzazione del
cristianesimo! Rousseau ha snaturato il Vangelo strappandolo all'ordine
soprannaturale, trasportando alcuni aspetti fondamentali del cristianesimo sul
piano della semplice natura. Una cosa assolutamente essenziale per la fede è la
soprannaturalità della Grazia. Togliete questa soprannaturalità e la fede si
corrompe. Godimento inverosimile per tutti i filosofi da strapazzo. Ecco perché
si trovano ovunque, nel mondo moderno, analogie depravate della mistica
cattolica e brani di cristianesimo laicizzato. Dal falso dogma della bontà
naturale, Rousseau non è il primo che ne abbia cavato pazzie. Duemila anni fa,
nel 213 a.C., l'imperatore Tsin-Sceu-Hoang-ti diede ordine di bruciare tutti i
libri e fece crudelmente suppliziare i letterati che tentarono di opporsi a
quella distruzione; egli aveva letto, stando a certi commentatori, in Confucio
e in Mencio quella veneranda verità che all'origine l'uomo era buono, e ne
aveva dedotto, da despota evoluto alla Rousseau, che le lettere e la civiltà
sono causa della corruzione del popolo. Ma Rousseau aveva dietro di se tutta la
sapienza cristiana, e la caduta è stata di conseguenza tanto più rovinosa e
pesante. Eliminato il riferimento trascendente la natura è buona e va
assecondata in tutti i suoi istinti, perché: 1- non ci sono in noi fomiti di
concupiscenza e inclinazioni guaste che ci piegano al male; 2- l'uguaglianza
diviene il pretesto per disprezzare le gerarchie naturali e razionali. 3- La
rivoluzione diviene un mito accecante, quando si presume dall'intervento
rivoluzionario i risultati ottenibili solo per Grazia. Così si sono attuate
immani carneficine e dittature orribili come quelle di stampo marxista. Cosa
dire poi della legge dell'amore? Esso viene ridotto al rango più sciocco e più
vile, un vago umanitarismo.
Osserviamo
l'atteggiamento delle filosofie politiche moderne nei riguardi del
cristianesimo. L'individualismo borghese è delle tre, il più religioso e il più
pericoloso. Praticamente ateo e decorativamente cristiano, non rivolgeva una
sfida alla religione, ma la credeva inventata dai preti e progressivamente spodestata
dalla ragione e si serviva di essa come una forza di polizia che facesse da
guardia alla proprietà privata nei confronti degli sfruttati e oppressi o
comunque come una banca dove -dopo tutto- mentre si arricchiva in questo mondo,
poteva assicurarsi ad ogni buon fine contro i rischi inconoscibili dell'al di
là. Gli Stati totalitari (la loro ideologia non è scomparsa con loro), eredi
del vecchio antagonismo dell'Impero pagano contro il Vangelo, hanno perseguito
spudoratamente la divinizzazione del potere politico (“il potere logora chi non
lo ha ”) trasformato in potenza che asservisce, inebria, succhia e stritola. Il
comunismo, che si situa nella linea storica del razionalismo moderno,
dell'umanesimo antropocentrico e delle aspirazioni democratiche passate sotto
l'obbedienza immanentistica (e in lotta ideologica con le proprie fonti
cristiane), deve in realtà essere considerato come un'eresia cristiana. Esso è
universalista come la Chiesa. Sono energie d'origine cristiana interamente
laicizzate ch'esso mette in opera nei suoi militanti. La trasformazione
dell'uomo, che il cristianesimo domanda alla grazia interiore, in funzione
anche della vita eterna, il comunismo la domanda alla rivoluzione collettiva,
che rinnova la storia e la società per la sola vita di questo mondo. Il suo
ateismo è un risentimento morale e religioso contro la trascendenza divina. E'
proprio dall'interno della civiltà cristiana, che il comunismo conduce la
propria battaglia; ed essa vuol essere più un processo di sostituzione o di soppiantamento
che d’aggressione, come se, nel giudizio segreto che il comunismo da di se
stesso, i soli veri cristiani -per la terra e liberati dal Dio trascendente-
fossero i comunisti. Donde consegue che comunisti e cristiani hanno cattiva
coscienza gli uni verso gli altri. Anche quando tendono sinceramente la mano ai
cattolici, i comunisti sentono oscuramente che la loro vocazione e di
soppiantarli. Le concezioni del mondo e della vita che non riconoscono
l'elemento spirituale, l'elemento eterno nell'uomo, sono incapaci di evitare
l'errore nella costruzione di una società veramente umana, perché sono incapaci
di riconoscere tutti i diritti della persona e proprio per questo di
comprendere la natura stessa della società. Tutti gli uomini del mondo devono sentirsi
impegnati nella costruzione di un progetto spirituale e al contempo politico
per il compimento della vita personale, come espressione di tutte le
potenzialità intrinseche, che completano il processo di umanizzazione. Quello
che vi è di più profondo nella persona, la sua vocazione sovra temporale, a
questo la società e la sua opera devono essere indirettamente subordinate, cosa
che presuppone una trasformazione radicale ed un grande ritorno verso lo
spirito. Gli uomini d'oggi hanno bisogno di segni: vedere concretizzato un
nuovo stile di santità, perché ogni rinnovamento sociale è opera di santità.
La
strada dell'esempio e della testimonianza quotidiana non eclatante. Leggendo il
percorso spirituale di uomini illuminati, grandi taumaturghi, ovvero di uomini
dotati di possibilità concesse solo agli angeli (creature non divine ma
ontologicamente a noi superiori sul piano della creazione). Mi sono spesso
guardato dentro, intuendo a volte tali possibilità inespresse. Questo portava a
colpevolizzarmi, perché in fondo poteva dimostrare la mancata coerenza della
mia adesione alla volontà di Dio. Ma mi sbagliavo solo in parte, i carismi
straordinari sono concessi ad uomini designati, non necessariamente in funzione
della loro santità, ma per lo svolgimento di missioni straordinarie, sempre e
comunque per essere "a servizio" di necessità spirituali. Quindi,
solo nella logica divina, si realizzano queste possibilità soprannaturali di
potenza. Il predestinato non si percepisce privilegiato, tutt'altro, sarebbe
ben lieto se dipendesse da lui, di starne fuori. Certo Dio non forza mai la
libertà delle sue creature, che si assoggettano a questa condizione insolita
solo per il fine di salvare anime. Questi uomini sono umili, poveri,
disinteressati, benevoli e misericordiosi, tutti nell'avvicinarli si sentono a
proprio agio. Così non è certo per chi gestisce in proprio "un
potere" ottenuto dalle tenebre. Ora Jacques, torniamo sul tuo libro, dici
che la nostra ordinaria vita morale è tanto fragile, a motivo dei
condizionamenti del nostro ambiente, come del regno sotterraneo, tenebroso e
nascosto del nostro carattere incosciente(inconscio). Lacerati e a volte
disperati dal nostro dramma ci rivolgiamo spontaneamente a quegli uomini che Bergson
chiamava gli "eroi" della vita spirituale. Più conosciamo la santità
dei santi, e la vita morale di coloro che hanno corso l'avventura di dare tutto
per entrare in ciò che essi descrivono come l'unione divina e l'esperienza
delle cose di Dio, più sentiamo che la verità sola può dare tali frutti e che
la certezza e la concretezza che sostiene tutto in questi uomini non può
mentire. Un atto, il minimo atto di vera bontà, è, per dire il vero, la
migliore prova dell'esistenza di Dio. Ma la nostra intelligenza è troppo
ingombra di nozioni, di sovrastrutture egoistiche, per vederlo; allora noi lo
crediamo sulla testimonianza di coloro nei quali la vera bontà risplende
inequivocabile. Anche questa è una prova dell'esistenza di Dio, prova basata
sulla testimonianza che può nascere
solo nell’ambito del rapporto con Dio. Rimane indispensabile una qualche forma
di esperienza personale della Sua presenza, che si rivela in fondo all'anima,
di quello stesso Dio di cui noi sentiamo parlare dai suoi amici. Questa intuizione
e percezione personali, aprono la strada ad un rapporto reale che se avviene
sul piano dello spirito non manca di manifestare subito i suoi frutti
materialmente. Questa è la logica e la razionalità della fede, che operando una
sintesi, si volge affascinata al bene più grande e compie la sua opzione
fondamentale, vero matrimonio dell'uomo con Dio, vero gaudio e gioia e pace e
dolcezza intima ed esterna dei sensi. L'uomo ha finalmente trovato se stesso è
giunto alla sua casa.
Non è
intellettivamente onesto chi nega l'esistenza di Dio, come non lo è chi nega la
storicità inconfutabile di un illustre personaggio. In questo secolo di
confusione nazionale e mondiale, desideriamo rivolgerLe un pressante appello.
Siamo convinti che la radice profonda dei mali che affligge l’umanità, nasca da
un processo di dissoluzione morale. E’ finita l’epoca del compromesso. Crediamo
che la politica vada intesa come servizio al bene comune e che non vi sia altro
bene che l’ordine naturale dei valori trascendenti (Giustizia, Verità, ecc.).
La persona umana va tutelata dal concepimento fino alla morte, va tutelata la
famiglia cellula primaria della società. Operiamo sul piano politico e
legislativo per una autentica rinascita spirituale e morale di tutta l’umanità,
al di là delle etichette e degli interessi di parte, lottiamo sotto la bandiera
comune dei valori eterni e trascendenti, comune patrimonio dell’umanità. Tanti
problemi finora irrisolti troveranno soluzione. Accendiamo nel mondo una nuova
luce di speranza e di vittoria, squarciamo il buio presente.
(J.
Maritain, La conquista della libertà, Antologia del pensiero etico politico,
ed. La Scuola - Brescia) L'umanesimo integrale significa in primo luogo il
riconoscimento che l'uomo è un'essenza mista, interamente animale ed
interamente spirituale. Contro il dualismo cartesiano che separa l'anima dal
corpo, il realismo di Maritain sottolinea l'unità strutturale della realtà
umana, condizionata dal suo corpo ma intrinsecamente libera nella sua
spiritualità (Cfr. Tre riformatori: Lutero, Cartesio, Rousseau, tr. it.,
Brescia, Morcelliana, 1967). "L'uomo è una persona che si tiene in mano
per mezzo della sua intelligenza e della sua volontà. Egli non esiste soltanto
come un essere fisico; c'è in lui un'esistenza più nobile e più ricca: la
sovraesistenza spirituale propria della conoscenza e dell'amore". Ma
"quest'uomo è anche, in un altro senso, un individuo materiale, un frammento
di una specie, una particella dell'universo fisico, un solo punto nell'immensa
trama delle forze e delle influenze d'ordine cosmico, etnico, storico..., alle
cui leggi egli è sottomesso"(L'educazione al bivio, tr. it., Brescia, La
Scuola 1975, pp. 20 e 22). Maritain distingue nell'uomo, senza separarle,
l'individualità materiale e la personalità spirituale, come due punti di vista
per considerare l'unità dell'uomo che è "persona" anche nella sua
carne, come è "individuo" anche nella sua anima, ed è quindi oggetto
delle conoscenze scientifiche, filosofiche e spirituali. Ma l'unità dell'uomo è
un'unità gerarchica, perché è lo spirito che anima ed unifica la carne, per cui
bisogna affermare il primato dello spirituale, ed il diritto alla vita su tutti
i condizionamenti fisio-psichici e socio-ambientali. L'uomo ha dei diritti in
quanto è concepito, non in quanto gli altri glieli riconoscono; è un soggetto
di diritto, un protagonista del suo divenire, una persona che si fa
personalità. Il bene è dovuto a me perché io sono un "io". Per poter
disporre dei suoi propri fini e rivelarsi capace di autodeterminazione, il mio
io deve essere un microcosmo che mi appartiene, di cui io sono il padrone
(affinché la mia libertà non cavalchi il determinismo dei miei istinti e del
mio inconscio)"(Neuf lecons sur les notions premieres de la philosophie
morale, Paris. Téqui, 1951, p.164). L'uomo, come personalità, è superiore alla
natura fisica, e uguale in dignità a tutti gli uomini nella comunità sociale, è
inferiore a Dio, ma in questa relazione
(conscia o inconscia) amorosa si realizza pienamente la sua personalità. Si
trova, quindi, al centro di numerose relazioni, "condizionato" dal
basso ad opera della natura istintiva, delle condizioni sociali e del divenire
storico, "influenzato" dall'alto ad opera dell'educazione, della
cultura, della poesia, della religione. L'uomo non è quindi una parte della
natura e della società, ma è un tutto che supera la natura, entra in un
rapporto dinamico di interrelazione nella società e si apre a Dio; per questo
motivo non può essere considerato un mezzo per lo sviluppo industriale o per il
miglioramento sociale, perché è un "fine" in se steso. L'uomo nasce
"sociabile" e diventa "sociale" tramite l'educazione; la
socialità gli è connaturata, è un "animale politico", anzi una
persona sociale che entra in società non solo per bisogno, come gli animali, ma
anche per generosità e dedizione, con l'unico scopo di arricchire la società.
Vi sono due movimenti nella storia, uno orizzontale, verso un costume
democratico all'interno e all'esterno della vita di tutti i popoli, ed uno
verticale verso la salvezza personale nella beatitudine eterna, verso la
realizzazione trascendente. Tra i due processi di liberazione vi è una naturale
correlazione, perché l'uomo non raggiunge la propria salvezza personale se non
impegnandosi nella comunità per la liberazione di tutto l'uomo. L'umanesimo
integrale consiste proprio nella perfetta relazione tra trascendenza e
immanenza, tra fede e scienza, tra religione e politica, tra umanesimo e
cristianesimo, tra cristianesimo e tutte le religioni. Le aspirazioni
connaturali sono proprie dell'uomo in quanto uomo; le aspirazioni trasnaturali
sono proprie della persona in quanto persona e si realizzano solo in Dio, in
cui la persona trova la più compiuta espressione. L'umanesimo liberal-borghese
e l'umanesimo social-marxista non possono soddisfare le aspirazioni dell'uomo,
perché si fermano alla natura e alla società, la liberazione dal bisogno e
dall'oppressione non bastano, l'uomo ha bisogno di una liberazione morale e di
una redenzione religiosa per liberarsi dalla "pena di vivere", dalla
miseria esistenziale, dall’assurdo della sofferenza e della morte. La
condizione umana è quella che è, propria di una creatura, fatta ad immagine di
Dio, ma decaduta dal suo ruolo, ferita nel suo essere, ed in condizione di
pena; rifiutare questa condizione è impossibile, si è liberi "in"
questa condizione e non "da" questa condizione; accettarla
semplicemente non basta, perché è umanamente inspiegabile, bisogna superarla in
un umanesimo eroico che solo la fede può alimentare e sostenere con il realismo
di personalità perfettamente compiute: i santi. E' questo l'esistenzialismo di
S. Tommaso, che riconosce l'esistenza senza negare l'essenza, che attribuisce
alla persona una dignità assoluta, ma insieme sottolinea i suoi limiti, e la
pone in un rapporto di redenzione con l'Assoluto, senza disperazione e senza
presunzione. La perfezione non è nel successo o nel possesso, ma nell'amore,
che accetta di esistere in un rapporto di servizio verso gli altri e di
riconoscenza verso Dio, che soffre e lotta con l'umanità per liberarla dal
male.
(Meridiani
dell'Educazione - Collana di Pedagogia straniera contemporanea diretta da Aldo
Agazzi- JACQUES MARITAIN - LA SCUOLA EDITRICE - 1962) Un messaggio educativo
illuminato ed ispirato dalla visione cristiana della vita, che è tale anche in
chi non si riconosce cristiano, ma questa pedagogia non può se non dirsi
cristiana per la concezione della dignità umana che l'anima. In un proposito di
concorrere ad una riunificazione organica dei veri valori che costituiscono la
dignità umana universale. La visione filosofica del neo tomismo, riportata alle
esigenze di una società democratica. (J.Maritain,
Pour une philosophie de l'educatio, A. Fayard, Paris, 1959, pagg. 252.) Maritain afferma la necessità di
una fondazione filosofica della pedagogia, circa il fine dello sviluppo umano e
della educazione. Ora i mezzi della sociologia e della psicologia sono validi
solo se vengono riferiti al fine della vita umana. Ora accettare un
atteggiamento ateleologico significa negare lo stesso concetto dell'educazione,
che implica uno sviluppo finalizzato. L'educazione non è fine a se stessa, ma
ha come fine l'uomo. Maritain rifiuta ogni fenomenismo ed afferma che non si
conosce per conoscere indefinitivamente, né si vuole per volere
incessantemente, ma si conosce per possedere il vero e si vuole per raggiungere
il bene, cioè l'essere. Per questo non esiste una pedagogia asettica ma essa
deve dipendere dalla filosofia. La pedagogia segue i flussi ed i riflussi delle
correnti filosofiche; infatti essa non è una scienza autonoma, ma dipende dalla
filosofia. Così ogni pedagogia che escluda la metafisica è una pedagogia della
morte. "Certo la psicologia è uno degli aspetti fondamentali della
pedagogia; tuttavia la conoscenza del soggetto non è che il presupposto della
scienza dell'educazione: è chiaro che l'adulto deve adattarsi al fanciullo, ma
l'educazione propriamente detta non comincia che quando il fanciullo si adegua
all'educatore, alla cultura, alla verità, al sistema di valori che egli ha la
missione di trasmettergli. L'esperienza pratica è indispensabile, ma essa
stessa non si giustifica che in relazione ai principi che la dirigono. Metodi,
programmi, organizzazione, tecniche educative, tutto questo è senza dubbio
importante ma resta secondario. Ciò che viene in primo piano è la verità di cui
è testimone l'educatore, il tipo ideale di vita che domina la sua intelligenza
e la sua personalità. Ciò non significa forse che per sua natura la pedagogia è
funzione della filosofia, della metafisica? Non vi è pedagogia neutra".
Ogni pedagogista adora un Dio: Spencer la natura, Durkheim e Dewey la società,
Wundt la cultura, Emerson l'individuo. Oppure tutto si riduce ad adattarsi al
fanciullo, a lasciar fare in ogni cosa la natura, ovvero negare la pedagogia.
Di fatto le grandi battaglie pedagogiche si combattono oggi fuori delle
frontiere propriamente pedagogiche: sul terreno della filosofia. Solo
agganciandosi alla filosofia, la pedagogia potrà acquistare il suo carattere di
scienza autentica, di cui il positivismo offre solo una derisoria
contraffazione". Ma una autentica pedagogia tiene conto della realtà del
soggetto educato e della sua destinazione soprannaturale. L'uomo buono per
natura, come afferma Rousseau, non è mai esistito, l'uomo concreto si trova o
in grazia o in disgrazia in rapporto a Dio. Tuttavia una educazione che non
finalizzasse ai Valori Eterni, non completerebbe l'uomo che è chiamato ad
andare oltre la civiltà e la storia, è destinato ad andare verso Dio. Così solo
la religione monoteista può essere propositiva di vera pedagogia. Pur nella
distinzione tra religione e cultura, tra natura e grazia, tra ragione e fede,
distinzione ma non opposizione o dissociazione tra vita religiosa e vita
civile, conseguenti al naturalismo ed al laicismo, che hanno minato alla radice
la nostra società. L'umanesimo integrale esige un'educazione integrale, che sappia
rispettare la globalità dello sviluppo umano nei suoi diversi fattori
biologici, psicologici e spirituali e soprannaturali nell'unità del processo
educativo. Unità che esige il rispetto e la autonomia di ogni livello. Solo la
persona può educare la persona, e
l'educazione è un incontro personale, sullo sfondo culturale
dell'ambientazione storica. "Desidererei che ci fossero delle giornate di
studio in cui gli studenti in filosofia ed in teologia potessero incontrare i
rappresentanti delle più diverse scuole di pensiero, scienziati, artisti,
missionari, sindacalisti, imprenditori..." Il personalismo pedagogico non
solo rivaluta la funzione e il valore dell'educatore, quanto sottolinea la
persona dell'educando, concedendole il diritto di iniziativa e di organizzazione.
"Gli studenti dovrebbero costituire dei gruppi di studio autonomi per la ricerca ed il lavoro,
e delle squadre di disciplina spontanea, per la disciplina morale e politica
della vita scolastica. In questi gruppi gli studenti potrebbero esercitare le
virtù civiche e sociali, in primo luogo l'amore del prossimo, cosicché la
scuola, nella sua struttura tradizionale non può educare il comportamento
morale e sociale, sarebbe in grado di provvedere a quelle virtù etiche e
civiche, che sarebbe compito specifico della famiglia e della società, ma per
la quale la famiglia è spesso impreparata ed ha sempre meno tempo a
disposizione, e della quale purtroppo, la società degli adulti, tutta presa
alla ricerca dell'utile non si interessa." Per Maritain il gruppo è
fondamentale, perché rappresenta la mediazione tra l'individuo e la grande
società, nel gruppo è possibile una educazione sociale e democratica, lontana
dagli equivoci dell'individualismo e del collettivismo, ma tutto finalizzato
alla pienezza esuberante della personalità individuale. "Una educazione
orientata verso la sapienza, centrata sulle umanità, mirante a sviluppare negli
spiriti la capacità di pensare con rettitudine e di godere della verità e della
bellezza, è un'educazione alla libertà, un'educazione liberale, propriamente
umana ed umanistica." Così tutti gli istituti scolastici devono offrire
una educazione liberale di base. "Studio più intuitivo e concreto,
liberato da ogni fardello di pseudo-scienza. Ma che cosa rispondere alla
difficoltà principale, ossia al fatto che, per un gran numero di ragazzi e
ragazze, la vita intellettuale, le arti liberali e gli studi classici non sono
che oggetto di noia, e che, in conseguenza, l'educazione liberale, in
proporzione della sua estensione ad un numero sempre maggiore di giovani,
sembra destinata a degenerare? Sono lontano dal credere che tutti i ragazzi e
tutte le ragazze in questione siano da catalogare tra gli incapaci... Una
chiara massima in questo campo è, come dice Mortimer Adler, che "la migliore
educazione per la persona più dotata è, sotto forme equivalenti, la migliore
educazione per tutti". Dobbiamo però stare molto attenti a non considerare
l'attività intellettuale come la migliore possibile, perché allora faremmo
caste di uomini più importanti. "Contro un tale pregiudizio consideriamo
S. Paolo che si è guadagnato la vita come tessitore di tende, senza parlare di
Gesù stesso che era falegname". E' interessante rilevare come questo
principio di una educazione liberale per tutti sia una conseguenza della
concezione cristiana della vita che vuole in tutti rispettata la dignità
spirituale e la fondamentale uguaglianza di fronte a Dio. Lo studente non deve
essere un contenitore capiente di informazioni, ma deve avere una conoscenza
universale che gli apra il gusto della verità e della bellezza". "In
altre parole, l'educazione popolare deve diventare liberale, e l'educazione
liberale deve diventare popolare." Maritain critica l'agnosticismo dello
stato liberale: "società senza idea di se stessa e senza fede in se
stessa, disarmata nell'ordine intellettuale come nell'ordine politico davanti a
coloro che vorrebbero usare della libertà per distruggere la libertà". Lo
Stato ha il dovere di insegnare ai cittadini le regole di vita, concordemente accettate dalla
società stessa. Le motivazioni di queste scelte riguardano la coscienza
personale e non lo Stato. A ciascun gruppo religioso o spirituale presente
nelle società, quel comune codice di regole pratiche debbono essere insegnati
da appartenenti al gruppo stesso. Anche
se il principio della libertà nell'educazione ha una limitazione: non si può
insegnare l'errore, non si può educare al male. L'educando ha diritto alla
verità ed al bene. La libertà non consiste nell'ignoranza e nemmeno
nell'indeterminatezza, quando piuttosto alla cosciente e deliberata adesione
alla verità oggettiva. Il libero arbitrio in pedagogia non può in alcun modo
essere disponibile nei confronti del male o dell'errore. D'altronde l'educando
non potrebbe essere libero di scegliere il proprio destino se non fosse messo
di fronte alla verità. L'educando è libero di scegliere o di rifiutare la
propria fede religiosa, solo se ha ricevuto una fede religiosa, perché in
pedagogia non si può rifiutare ciò che non si conosce. Così proprio una scuola
agnostica o neutra, come vorrebbero i laicisti, violerebbe il principio della
libertà, perché non porrebbe l'educando in condizione di fare la sua scelta.
"L'idea tomista dell'uomo coincide con quella greca, giudea e cristiana: è
quella di un uomo come animale dotato di ragione, la cui suprema dignità
consiste nell'intelligenza; di un uomo come libero individuo in relazione
personale con Dio, la cui suprema rettitudine consiste nell'ubbidire
volontariamente alla legge di Dio; di un uomo come creatura peccatrice e
ferita, chiamata alla vita divina e alla liberazione apportata dalla grazia, la
cui suprema perfezione consiste nell'amore". E' chiaro il personalismo
dell'educazione, contro la tesi naturalistica che vuol ridurre l'educazione
protesa a soddisfare utilitaristicamente i propri bisogni ed interessi, a
discapito della ricerca del bene, e contro le tesi socialiste, che trasformano
l'uomo ad "allevamento di un animale per l'utilità dello Stato".
Questo spirito immanentistico nega il valore della persona umana, perché ne
nega la sua trascendenza, rinchiudendo l'uomo nel circolo mortale di una
esistenza fenomenologica. L'inarrestabile crisi contemporanea è la conseguenza
del progressivo laicizzarsi della cultura fino all'ateismo, che promette un illusorio
paradiso terreno. La società contemporanea è il frutto della dissoluzione della
cultura e della civiltà cristiana medioevale. Il personalismo pedagogico e
l'umanesimo integrale rappresentano il ritorno alla Trascendenza, ai Valori
Eterni ed Assoluti, rifondano il senso di Dio e il rispetto della persona
umana. Non si negano le esigenze di attivismo, non si rifiutano i contributi
scientifici, ma si incarnano in una visione spirituale dell'uomo e della
storia. (J. Maritain, Pour une philosophie de l'éducation, A. Faayard, Paris,
1959 pagg. 252)
"Un'ultima
osservazione dev'essere fatta. Data la presente situazione della cultura, il
primo servizio che la religione può attendersi dalla scuola, è che la scuola
restauri negli studenti l'integrità della ragione, della ragione naturale.
Finché l'insegnamento, nel suo complesso, tanto nella scuola che
nell'università, è permeato da una visione filosofica che non si affida che
all'esperienza sensibile, ai fatti, alle cifre, che dissolve la ragione e nega
il suo specifico potere di conoscenza,
come pure le certezze più valide di cui l'intelligenza umana è capace (e
la prima di queste è la conoscenza razionale dell'esistenza di Dio); finché si
coltiva un'informazione caotica in luogo di un sapere integrale e dell'unità
spirituale, il terreno stesso e gli strati naturali sui quali possono
prosperare le convinzioni religiose presso i giovani resteranno ingrati e
sterili. Ora, forse che l'attività della ragione è capace da se stessa di
raggiungere le sue piene dimensioni naturali senza l'equilibrio superiore
creato nella coscienza comune dalla fede e dalla ispirazione religiosa? Forse
che la filosofia è capace, nella concreta realtà, di raggiungere la sua piena
integrità razionale senza gli stimoli interni e l'incremento che riceve dalla
conoscenza teologica? E' un'altra questione, che io qui mi limito a
ricordare(Maritain in De la philosophie chrétienne - Parigi, Desclée de
Brouwer, 1933). Se si risponde che in effetti ragione e filosofia richiedono di
essere aiutate in tal modo, bisognerà dire che la civiltà umana e la sua
guarigione dipendono da un complesso di cause che secondo la parola di
Aristotele, "si causano l'una l'altra". In ogni caso, sarebbe un non
senso richiedere ai membri del corpo insegnante di essere più sapienti della
cultura generale del loro tempo e dei suoi grandi rappresentanti, e di sapere
compensare essi stessi la deficienza di questi ultimi e il fatto che gli
scenziati non hanno compiuto il lavoro costruttivo che l'umanità attendeva da
loro. Ciò vuol dire che il problema più cruciale cui è interessato il nostro
sistema educativo non è un problema di educazione, ma un problema di
civiltà."
L'EDUCAZIONE
MORALE E LA RELIGIONE. La formazione della vita morale e delle virtù è una
parte essenziale, a dire il vero la più importante, del fine primario
dell'educazione. L'educazione scolastica e universitaria non sono attrezzate
per assicurare questa formazione in maniera intera e completa; tuttavia è loro
dovere contribuire efficacemente alla formazione morale della gioventù.
Tuttavia l'assistenza dell'educazione religiosa è fondamentalmente richiesta.
Se l'esistenza di Colui che è l'Essere Assoluto, il Bene Assoluto, non è
riconosciuta, nessuna certezza del valore incondizionato ed obbligante della
legge morale e delle norme dell'etica può essere validamente stabilita, né
diventare oggetto di una adesione efficace. La scuola e l'università hanno
dunque l'obbligo non solo di illuminare gli studenti nel campo della morale, ma
anche di permettere loro di ricevere una piena educazione religiosa.
IN
ORDINE ALL'APPLICAZIONE PRATICA: Il problema pratico riguarda le scuole e le
università laiche (non confessionali) e gli istituti statali. E' opinione largamente
diffusa che il carattere laico del programma (ciò che in francese si dice l'
istruzione, distinguendola dalla educazione) corrisponda nel sistema scolastico
moderno al carattere laico dello Stato moderno, e che di conseguenza
l'insegnamento religioso debba essere impartito fuori dei locali scolastici.
Non è questo il mio parere, ma anche in questo modo di vedere, una ispirazione
religiosa, se i maestri ne hanno una, non è esclusa a riguardo
dell'insegnamento del programma più di quanto non lo sia a riguardo della vita
civile. Ciò che è escluso in ogni caso, è che le istituzioni secolari
dogmatizzino in materia religiosa e prendano posizione a favore di una
confessione religiosa particolare (o assumano un qualsiasi atteggiamento di
ostilità verso la religione). Una netta distinzione tra Stato e Chiesa non
significa che debbono vivere nella reciproca ignoranza e in un mutuo
isolamento. La soluzione, nella sfera educativa, è da ricercarsi in una sana
applicazione del principio pluralista. La formazione religiosa deve essere resa
possibile -non a titolo obbligatorio, ma come materia opzionale- e deve essere
impartita dai rappresentanti delle diverse confessioni, in accordo con i
desideri degli studenti e dei genitori. Chi non si avvarrà dell'insegnamento religioso
dovrà frequentare lezioni di: buone maniere, di moralità civica. Ma se non si
considera la religione un errore o una superstizione, io non vedo perché si
possa ritenere che Dio abbia meno diritto di aver un posto nella scuola che
l'elettrone. Tutti gli osservatori seri convergono che la frattura tra la
religione e la vita è alla radice del disordine spirituale di cui noi oggi
soffriamo. In tre riformatori Maritain cerca l'origine di questa dissociazione:
in Lutero che ha separato la morale dalla fede e la fede dalla Chiesa, in
Cartesio che ha staccato la teologia dalla filosofia, separando la cultura
dalla religione, e in Rousseau che ha diviso la coscienza del bene e del male
dalla religione, preludendo all'autonomia morale di Kant. Se si aggiunge che
Machiavelli separa la politica dalla morale, Pufendor stacca il diritto dalla
morale, la legge naturale della coscienza umana, dalla legge eterna di Dio, e
A. Smith dissocia l'ordine economico dall'ordine morale, sarà facile
comprendere come nella cultura moderna la religione e la coscienza siano
ridotte alle dimensioni di un fatto soggettivo-individuale e come la politica,
il diritto, l'economia, l'arte, i costumi e la stessa educazione siano intesi
in un senso utilitaristico ed in ultima istanza amorale.
Oggi
anche la teologia morale si sviluppa nel solco antropologico, in quanto essa è
la comprensione che l’uomo raggiunge di se lungo la storia. Tuttavia tutte le
ricerche e le conclusioni dell’antropologia sono sempre il punto di partenza
della teologia. L’unico specifico della teologia è che si riferisce all’uomo
credente, tuttavia l’elemento naturale è sempre il presupposto del Creatore per
la salvezza della creatura. E’ questo elemento naturale il nostro specifico e
lo specifico del nostro approfondimento. L’etica si fonda sulla ragione, mentre
la morale si fonda sulla rivelazione. L’etica però deve indicare alla morale i
naturali principi antropologici dell’agire morale, in ultima analisi il
soprannaturale non annulla, ma include il naturale. La morale personalistica
porta all’essenza dell’uomo, ai suoi significati, è interpersonale perché
l’uomo si realizza sempre di fronte ad un “tu” con cui genera una
relazione creativa. Il pluralismo è un
diritto di ogni uomo, con esso può raggiungere la propria forma interiore ed
esteriore e può realizzare il proprio mondo ideale. Così nessuna ideologia può
pretendere di assolutizzarsi, altrimenti si sfocia nell’idolatria della
dittatura. Grande sospetto e vero allarme deve suscitare in noi il termine di
pluralismo etico, facilmente sarebbero decurtati alcuni valori, mentre altri ne
sarebbero strumentalizzati. Il valore morale è tale proprio perché è assoluto.
Il divenire culturale e tecnologico così in rapida evoluzione hanno categorie
che non sono le categorie dell’etica e del suo divenire nel costante sforzo che
l’uomo deve compiere per autocomprendersi e per realizzarsi. Dal punto di vista
culturale e tecnologico l’uomo può utilizzare le precedenti scoperte, ma dal
punto di vista etico egli deve partire da zero per costruire la sua coscienza
etica. Le altrui scoperte non lo esimono dalla fatica di dover fare in prima
persona tutto il cammino etico, partendo da zero. Questo è comprensibile dal
fatto che il valore che è vivente mi interpella personalmente a differenza del
dato culturale e tecnologico che posso possedere. Mentre in realtà io posso
farmi solo possedere dall’ideale e dal valore che per natura mi trascende
infinitamente e prescinde dalla risposta che altri hanno già dato prima di me.
Di fronte al valore sono solo e nudo, viene coinvolta non solo la mia
intelligenza, ma anche la mia volontà e la mia libera adesione, non posso
delegare nessuno alle mie scelte personali e queste necessitano di un
dinamismo, di una tensione e di una conversione continua. MAI LA CULTURA DEVE
SCHIACCIARE L’UOMO, nessuna filosofia deve pretendere una superiorità sull’uomo
stesso e sulla sua natura. Questa natura umana è composta sia di una dimensione
metafisica che di una dimensione storica. Per questo il personalismo di
Maritain è anche il personalismo biblico e di tanti testi sacri di molte
religioni. La vita dell’uomo è in realtà la stessa capacità di dilatarsi
continuamente di fronte al valore, come cresce la comprensione del valore così
cresce la vita umana per intensità e per qualità. Questo rapporto con il valore
è la caratteristica dell’uomo in tutta la sua esistenza. Inoltre l’uomo deve
essere liberato da ogni dualismo perché è arte ed armonia di unità, pertanto
tutto in lui è nobile degno e converge all’unità. Non solo l’uomo è persona, ma
è tale perché è essenza storicizzata, perché riesce a fare sintesi di tutte le
esperienze e di tutte le sue ricchissime dimensioni interiori. L’uomo si scopre
come un prodigio di amore divino e umano, uscito dalle mani di Dio e fatto a
sua immagine e somiglianza. L’uomo è ricerca continua, dinamica e gratificante
di significato. Ecco l’inferno: non avere nessun significato più da trovare,
tutto è scoperto tutto è noia. L’uomo è essere ed anche coessere perché si realizza
solo nella relazione d’amore. L’uomo si differenza nettamente dagli animali
perché non è natura, ma persona, non è specie ma nome. E’ irripetibile nella
sua essenza ed è irripetibile nel suo cammino di libertà che distinguendolo da
chiunque lo rende mistero affascinante. Allora, io sono quello che con la mia
libertà ho costruito di me. La cultura è espressione intima ed indispensabile
di una creatura tanto evoluta quanto incredibilmente ricca spiritualmente.
Nella sua cultura, l’uomo si gioca il suo futuro, per questo sono da tanti anni
in atteggiamento di sacrificio per l’impianto culturale esposto in questo libro
e sto andando incontro a tanti sacrifici che si possono giustificare solo dalla
consapevolezza di quanto sia indispensabile per tutta l’umanità un nuovo
impianto culturale. L’eredità culturale precedente, passa dall’acuto giudizio
della storia, viene assunta rielaborata e sempre resa più appropriata per
rispondere a nuovi problemi e per seguire il cammino evolutivo. Se questo
sforzo culturale fallisse allora andremmo incontro a grandi rovine, sofferenze
ed ingiustizie, i cattivi e gli uomini peggiori avrebbero il sopravvento sui
buoni non potendo questi essere promossi dal vero dal bello come fondamento
della cultura.. Stiamo attenti a non confondere il progresso scientifico con
quello etico, la linea evolutiva della scienza non sempre è stata e mai quella
della felicità e del vero bene dell’uomo. La cultura e la scienza non sono
buone in se stesse, ma solo nella misura che sono vivificate dal valore. Il
valore è quindi ontologicamente superiore a tutto: alla cultura alla scienza ed
all’uomo stesso, visto che l’uomo senza valore si trasforma sempre in un
mostro. Il punto segreto e vitale da cui ha origine l’illuminato agire
dell’uomo e lo “spirito”. Tutto ciò che esce dalle mani di Dio è natura e
quando viene offerto nelle mani dell’uomo diventa cultura. L’opera di
trasformazione della natura da parte dell’uomo si chiama cultura. L’uomo in
quanto spirito ed in quanto libertà deve trasformarsi in soggetto-creatore del
suo mondo e della sua storia. Astraendosi dalla natura e da se stesso può
organizzarla ed organizzarsi, ma mai può manipolare e manipolarsi per non
entrare in drammatico conflitto con il principale ed assoluto Soggetto-Creatore
che è Dio. La cultura è quindi sempre dinamica, luogo di questo dinamismo è la
libertà dell’uomo, che quando non si apre al valore, per necessità di ordine
spirituale, deve aprirsi al demoniaco ed al capriccio. L’uomo diviene pericolo
a se stesso. Come l’essere è l’anima del mondo, così il valore è l’anima della
cultura. La attuale cultura di massa, massificata e massificante, apre il
periodo doloroso della crisi dell’uomo con se stesso e con tutto quello che lo
riguarda. L’uomo viene fuori avvilito, cresciuto solo materialmente e
psichicamente ma sprovvisto di profondità interiore. Anche gli altri divengono
oggetti, perché manca la capacità di ascolto e di interiorizzare, è ferita
l’interiorità umana. Ora l’uomo si trova isolato ed al tempo stesso ammassato
ad altri uomini, da qui nasce il senso di paura con cui si vivono le relazioni.
Ogni manifestazione dell’uomo risponde a criteri ben precisi ed a parametri, il
suo comportamento è stereotipato, è un prodotto artificiale molto lontano dal
suo vivere in armonia con la natura. Ma dove non c’è interiorità, non c’è più
pudore da salvaguardare, il corpo diviene un oggetto che devo sfruttare per
raggiungere i miei obiettivi. L’uomo massificato ha perduto lo sguardo
dell’insieme e con esso l’intuizione spirituale e la contemplazione. La cultura
contemporanea è vuota di valore, l’uomo ha così perso il senso della storia ed
ha anche perso il progetto d’amore ad ampio respiro che si può articolare nella
storia. Al massimo fa piccoli progetti che si articolano a medio o a breve
tempo. Ha perso le categorie della storia e gli sono rimaste le categorie del
tempo. Sartre disse: ”L’uomo contemporaneo agisce continuamente, ma molto
spesso non sa perché agisce e ciò provoca la nausea”. La libertà si impigrisce,
perché all’uomo vengono offerti tanti servizi e tanti schemi già
preconfezionati. L’uomo che esercita la sua libertà ed esce dagli schemi,
invece che essere considerato normale viene considerato sovversivo. E’ a questo
contesto che si ricollega la concezione di Hegel, di Marx e di Comte per i
quali il singolo deve giungere a immolare “liberamente” se stesso per lo stato,
per la collettività, per l’umanità. Il rischio odierno è quello di cadere
nell’anonimato delle masse, nella fuga dalla responsabilità e nella volontà di
essere dominati, che diviene una necessità nel momento in cui non trovo punti
di riferimento su cui potermi poggiare e su cui poter costruire la mia
identità. Il relativismo ha distrutto tutto, l’unico appiglio è la mentalità
collettiva ed il conformismo, il ripercorrere il sentiero e gli schemi mentali
già preconfezionati dalle multinazionali: sono vivo, esisto perché consumo. La
solitudine e la meditazione, l’interiorità e la contemplazione sono
indispensabili per non essere cancellati come individui dalla massa. La vera
solitudine, non genera paura, ma una dolce pace. Non sono in ascolto del nulla
o del vuoto, ma di Dio amore. La vera solitudine pone l’uomo oltre che di
fronte a se stesso anche di fronte a Dio. Quando l’uomo resta indifferente
verso il bene o la verità, non vuol dire che non li comprende (il Creatore ha
imposto la conoscenza del bene e della verità
in ogni creatura), ma che semplicemente non vuole scomodarsi, non vuole
rinunciare ai suoi idoli e per questo rinuncia deliberatamente ad una condizione
costitutiva del suo essere uomo. L’uomo si perde e si abbrutisce quando si
chiude nella sua autosufficienza e si eleva a criterio del bene e del male. Il
fondamento culturale, comunque evidentemente falso, viene dato prima
dall’illuminismo che ritiene come la ragione spiega il mondo ed oggettiva anche
Dio, e dal positivismo che fa della scienza la spiegazione ed il criterio di
giudizio di ogni realtà. E’ terribile constatare come affermazioni così assurde
e prive di fondamento logico abbiamo fatto la storia di tutto il 1900 fino ai
giorni nostri. L’esperienza religiosa è fondata nell’intimo dell’uomo e questo
non può essere negato. Il criterio di verifica se una religione è autentica è
questo: “La vera religione deve permettere all’uomo di sviluppare tutte le sue
potenzialità di amore, di ascolto e di dedizione totale. L’uomo veramente
religioso giunge ad essere libero veramente da tutto e da tutti tranne che da
Dio. Mediatore e ministro, sacerdote e profeta tra Dio e il Creato.” Infatti il
mondo non ha in se la ragione della sua sussistenza, ma fa riferimento a Dio
che lo ha creato. La vera libertà si fonda quindi sullo spirito e non sulla
realtà materiale e biologica. Dice S. Tommaso: “Quando un’uomo, arriva all’età
di ragione (intorno ai quattro anni), la prima cosa cui deve attendere il suo
pensiero è di deliberare di se stesso. E se egli si ordina a quel fine che è il
suo vero fine, egli viene liberato dal peccato originale mediante la grazia
santificante che egli riceve in quel momento”(Summa theol. I-II, p. 89, a.6).
Con la Fede l’intelligenza si incontra con la luce della verità e con essa
diviene un tutt’uno, trasfigurandosi. Quando la volontà dell’uomo si incontra
con la volontà di Dio, nasce la beatitudine dell’unione amorosa con Dio che si
chiama Carità. Tutto questo è vissuto con gioia, gratitudine e umiltà verso il
Creatore che si è degnato di scendere in intimità con la sua creatura. Infine
con la Speranza l’uomo recupera il senso di tutta la sua vita, comprende che
quando lui si è allontano da Dio, da questi non è stato mai abbandonato o
odiato. Percepisce la fedeltà dell’amore di Dio che, nonostante tutto ha
accompagnato ogni attimo della sua esistenza, con l’amore e l’ansia di una
madre, preparando sempre una alternativa e delle condizioni favorevoli alla sua
redenzione e alla sua realizzazione. La ostinazione finale si conclude con un
urlo eterno ed agghiacciante, tanto disperato da non potersi immaginare. Ora,
quando la nostra conoscenza scaturisce da un vero rapporto con Dio, essa diviene
pura, lucida e chiara, essa diviene una proposta culturale autentica al
servizio dell’uomo proprio come avviene del presente lavoro. La coscienza è
quindi la consapevolezza di questa tensione verso il bene, verso Dio. Essa può
contemplare il bene, desiderarlo ed incarnarlo nella sua situazione. La
coscienza deve continuamente essere coltivata ed accudita, perché rimanga
efficiente e non si ammali. Nella sua coscienza l’uomo deve essere coerente
anche quanto questa coerenza non va nel solco del suo interesse materiale. La
coscienza diviene sintesi fra l’io dell’uomo e il Tu di Dio, questo rapporto
porta l’uomo a potenziare il suo spirito al punto che mutano gli equilibri di
forza con il mondo esterno. L’uomo spirituale, illuminato e trasfigurato si
trova immerso ed abbandonato alla provvidenza, scompaiono le passioni e le
concupiscenze e le inquietudini giornaliere. Il velo tra il tempo e l’eternità
diviene così sottile che il desiderio di abbracciarsi con Dio diviene
struggente e l’amore per questa dimensione rimane in piedi non per se stesso,
ma per i nostri fratelli che amiamo, che non vogliamo tradire o abbandonare, e
che vogliamo continuare a beneficare. Ritorniamo ora alla legge naturale che a
noi sta tanto a cuore. La legge naturale è una
legge non formulata (ed è il momento che qualcuno si decida a farlo),
non scritta, ma costitutiva di ogni uomo cioè posta dal Creatore nel cuore di
ogni uomo (ROM 2,15). Da qui scaturisce
tutta la vita morale perché scorga dai fondamenti dell’esperienza umana... E’ quello
che ogni uomo comprende ed intuisce per potersi realizzare, è come una carta
del tesoro o una mappa per non perdersi in un paese straniero. La legge
naturale è come una bussola infallibile, violarla, strumentalizzarla o
accoglierla rappresenta la materia su cui Dio ci giudicherà. Siamo “obbligati”
ad agire conformemente alla nostra natura, esigenza data dalla nostra
somiglianza con Dio, nelle specifiche proprietà razionali e spirituali che
trovano il loro compimento nella capacità di credere e lottare, di sperare e di
programmare e nella capacità di amare e di donare gioia e salvezza. Allora i
principi dell’ordine morale scaturiscono dalla stessa natura umana(Dignitatis
humanae,14). Se in teoria la natura va distinta dalla grazia, in pratica esse
non possono dissociarsi. Così ogni religione positiva nel proporre la vita
divina o la vita della grazia al tempo stesso operano per la promozione umana
sul piano naturale. Non è un caso che le grandi religioni si siano piegate in
maniera mirabile nel soccorrere le necessità e nell’alleviare le pene di interi
popoli e di intere nazioni pur tanto geograficamente lontane. Nessuna legge
umana, positiva o pseudo-divina è legittima se viola una legge naturale. La
legge naturale inoltre è fondata solo per il bene dell’uomo, solo in funzione
di essa si può legiferare per la riduzione della libertà individuale di coloro
che non sono degni o che sono dannosi alla società. Chi è contro la legge
naturale è sicuramente dannoso per se e per gli altri. Così tutte le leggi umane
e divine poggiano la loro autorità obbligante sulla legge naturale, che in
primo luogo nella volontà di Dio Creatore trova il suo fondamento. Quindi la
legge naturale è anche divina. Le norme naturali sono immutabili perché si
riferiscono al fondamentale e non vanno confuse con tutte quelle norme che sono
culturalmente condizionate. La legge naturale se è un imperativo categorico
della coscienza, ha però spesso la necessità dinamica di autorealizzarsi di
attualizzarsi nel concreto tessuto storico, da qui nasce la difficoltà di una
catalogazione definitiva ed esaustiva della legge naturale. Per noi questa
difficoltà però può essere superata, restringendoci solo a normare quello che è
immutabile e stabile nella costituzione stessa dell’uomo e nella sua essenza.
E’ importante la focalizzazione della norma universale, perché essa è certa e
non mutabile, in questo la norma universale ha il grande valore di lodare o di
denunciare, di promuovere o di condannare un’azione pre-morale. Hanno il ruolo
importantissimo del discernimento, in questo senso rappresentano un contenuto
culturale certo ed inderogabile. Una certezza su cui l’uomo può fare un
investimento, una direzione certa e sicura su cui ci si può avviare con
fiducia. Inoltre il male intrinseco verrà evitato con assoluta certezza perché
esso non corrisponde oggettivamente alla concreta realtà umana. Ecco, quanto
esplicitamente esprime la Gaudium et Spes: “Nell’intimo della coscienza l’uomo
scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la
cui voce che lo chiama sempre, ad amare e a fare il bene e a fuggire il male,
quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: obbedire ad essa è la
dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è
il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio,
la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere
in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e
del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri
uomini, per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi
morali che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale.
Quando più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi
sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle
norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza
sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua
dignità. Ma ciò non si può dire quando l’umo poco si cura di cercare la verità
e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito alla abitudine
del peccato.” (GS,16). L’uomo è
l’essere che viene orientato al Bene, questo costituisce la sua dignità. L’uomo
attraverso la sua ragione comprende l’obbligatorietà del bene e comprende
altresì che la sua realizzazione passa nella concretizzazione di esso. Essendo
necessaria ed inevitabile la nostra appartenenza alla società ne consegue che
devo realizzare anche il bene della società, anche quando questo non potrà mai
diventare da me fruibile. Consideriamo l’esperienza dell’apostolo S.Paolo che
nella sua giovinezza vive nella proccupazione di farsi giusto davanti a Dio.
Egli vuole raggiungere questo obiettivo con lo sforzo esclusivamente personale
attraverso l’obbedienza alla legge, ma questo lo pone nel continuo tormento di
trovarsi imbrigliato nelle contraddizioni umane. Paolo nella giovinezza vive
l’esperienza religiosa in una dimensione legalistica ed è pieno di odio nel
considerare la gioia e la incredibile libertà dei primi cristiani, mentre lui
si trovava imbrigliato in un numero enorme di leggi, precetti, regolamenti,
decreti, riti e consuetudini, che nonostante tutti i suoi sforzi egli era costretto
a non poter rispettare con grave conflitto della sua coscienza e con gravi
sensi di colpa. Nella conversione al cristianesimo potrà gridare al mondo: “Ama
è fa ciò che vuoi, perché pieno compimento della legge è l’amore!”. Nella
conversione scopre lo spirito di Dio inabitare in lui, così alla obbedienza ai
regolamenti sostituisce l’obbedienza allo spirito, in quel momento si accorge
di diventare umano e divino, cioè naturale. In quel momento si accorge di
essere veramente onesto davanti a Dio ed agli uomini. Critico ed ostile solo a
quelle leggi che non sono in sintonia con la legge naturale che ormai distingue
chiaramente in se. Da questo nuovo rapporto con lo spirito di Dio, nasce l’uomo nuovo, sintesi della libertà
umana e della santità di Dio. Quanto intensa, gioiosa, avventurosa ed
affascinante diventò la sua vita, ne possiamo avere solo una pallida idea
leggendo gli atti degli apostoli e leggendo le sue lettere di mirabile
antropologo, filosofo e teologo. Si comprende come la vita divina non sia una
proprietà insita nell’uomo, ma esclusivamente un dono di Dio, che gusto ed
imparziale desidera fare a tutti purchè trova l’uomo predisposto a ricevere i
suoi doni. La realtà dell’uomo, essendo sempre sotto il giogo del suo limite e
del peccato, non può in se stessa giungere da sola a Dio se questi non andasse
incontro all’uomo. A motivo della sua fragilità l’uomo necessita di strutture e
di leggi oneste, necessita che gli venga indicato il cammino certo ed
inequivocabile per cui può giungere alla sua realizzazione. Proprio questo è lo
scopo del presente lavoro. Se l’uomo non riconosce di essere dinanzi a Dio,
subito rinuncia al suo essere reale e si dissolve, regredisce dal livello di
identità personale a quello di natura, divenendo prigioniero di se stesso,
delle cose e dei sistemi filosofico-materiali di questo mondo. Da essere
destinato alla felicità, si trasforma in fruitore del piacere. Rinuncia
all’eternità per subire la stessa condanna delle cose: la morte e l’assurdità.
Dio non è propriamente un’altro diverso da me, ma è il mio amore. Quando
obbedisco a Dio io non obbedisco ad uno che è fuori di me, ma obbedisco solo al
mio amore. Purtroppo c’è nell’uomo qualosa che invece della potenza del proprio
essere, chiede il potere ovvero la prepotenza su tutto e tutti. E’ l’uomo di
oggi, scollato dal suo Creatore, idolatrando se stesso genera tanto tormento
per se e per tutte le creature con cui entra in contatto. Pascal definisce il
rapporto tra l’uomo e Dio come il gioco di due bambini che si tirano la palla.
Essi, in questo gioco si divertono moltissimo, ma che succede quando un bambino
egoisticamente decide di trattenere la palla per se? Questo è l’amore: donarsi
continuamente nella fedeltà e nella dedizione sempre rinnovata, come un fuoco
che si alimenta sempre e divampa in un incendio. Sento in me un tale incendio
d’amore per ogni uomo e per tutti gli uomini del pianeta, mi sforzo di
contenere questo fuoco ma non riesco a farlo. L’uomo illuminato scopre il
mistero della sua vita e si accorge di essere un dono gratuito di Dio, diviene
allora spontaneo fare di tutta la vita una lode ed una gratitudine perenne.
L’illuminato non ama Dio per quello che può dare, o il bene per i suoi frutti,
ama Dio e il bene per se stesso. Lui illuminato e trasfigurato è divenuto bene
vivente, luce del mondo e sale della terra. L’identità umana è rappresentata
dall’essere fatto per Dio. Per il buon ebreo la vita è memoria, ricordo e
celebrazione, atto spontaneo di gratitudine al suo Dio. E’ necessario per
l’ebreo santo fare memoria di tutta la storia meravigliosa della salvezza,
momenti ineffabili in cui Dio e l’uomo hanno collaborato. La storia ed il
categoriale, ovvero le categorie di spazio e tempo, così importanti ed
indispensabili, sono comunque destinate ad essere superate. Il progetto di
amore e di salvezza iniziato da Dio non può fermarsi di fronte alla morte,
altrimenti Dio non sarebbe Dio ed il suo amore non sarebbe vero-santo. Questo
progetto d’amore trova il suo normale compimento in quell’assoluto di bene o di
male che ognuno di noi avrà meritato. Possiamo ora con tanta gioia vedere la
ricompensa a tante lacrime e a tante lotte che abbiamo sostenuto perché il
“tuffo” nel cuore di Dio già si avvera
e si pregusta, quando lo spirito purificato dalla concupiscenza in un impeto
d’amore si slancia fra le braccia del suo Dio. Quel momento beato è
incredibilmente vicino visto che per Dio non valgono le categorie dello spazio
e del tempo. Ecco l’esperienza più bella per un uomo in assoluto: travalicare
le categorie dello spazio e del tempo per stare in intimità con Dio e poi
reimmergersi nello spazio e nel tempo per portare tanta luce di verità ed
amore. Anche chi giunge per pochi momenti ad amare Dio in maniera pura assapora
la fluidità dello spazio del tempo, che come un velo si rendono meno
consistenti e si trova con la punta
dello spirito in un luogo di gioia e di luce viva, beatitudine, consolazione,
comunione ineffabile, vortice di gioia ed esultanza che si trasforma in danze e
canti e musiche che mai senso umano ha potuto godere o concepire. Per noi è una
grande fortuna poter intuire queste cose con la punta dell’intelletto e con la
punta dello spirito. Se le sperimentassimo nella loro intensità, per prima cosa
il nostro povero corpo -non sopportando tanta gioia- ci lascerebbe
immediatamente e per secondo la vita su questa terra ci sembrerebbe
insopportabbile e questo è contrario alla giustizia. Con Dio la mia libertà non
è violata, ma potenziata, come un gioco a palla, Dio mi restituisce sempre la
libertà che gli offro con amore, arricchita di tanti gioielli spirituali. Dio è
allora il tesoro della mia vita. Per il peccatore la legge diventa un peso a
cui volentieri vorrebbe sottrarsi, ma per chi ama, la legge è gioia, è sangue
delle sue vene. Per l’uomo onesto la legge è sempre un potenziamento della sua
libertà. Senza nessun timore ora passo finalmente a ufficializzare quella legge
che ogni uomo si porta impressa nel cuore. In primo luogo onoriamo tutti gli
uomini illumianati e santi tra cui: Buddha, Gandi, Maometto, Gesù di Nazareth e
tantissimi altri dall’oriente all’occidente, dal nord e dal sud che ora
chiamiamo a solennizare ed autenticare questo impianto normativo, frutto comune
del loro insegnamento e che deve essere accolto con gioia ed amore. Questo
discrimina finalmente e certamente gli uomini in giusti o ingiusti, facendo
giustizia di tanti sopprusi e di tanto sangue innocente. Oggi 21 novembre 1997
venerdì è la mia giornata libera dall’insegnamento, sono in casa con i miei
figli Giovanni Paolo Fedele e con Caterina Maria Stella. Oggi sono il loro
unico babysetter, li nutro, cambio loro i pannetti, non appena però si
distraggono nei loro giochi fuggo a scrivere qualcosa. Giovanni ha 26 mesi non
sa ancora parlare tranne qualche piccola parolina, ma ad un tratto esulta
emozionato, cerca di attirare la mia attenzione su un fatto per lui molto
importante. La sorellina di 12 mesi e 8 giorni, come una farfalla senza fare
leva o appoggiarsi, cammina libera per la stanza, si gira su se stessa e
sceglie sicura la sua direzione, inconsapevole della sua paura di cadere. Così
auspico all’umanità, che finalmente venendo in possesso di una verità etica
certa, universale, oggettiva ed assoluta, possa finalmente uscire dalle sue
paralizzanti incertezze e dirigersi sicura verso la verità in condizioni di
sempre maggiore chiarezza e per il bene di tutti. Intorno al 565 a.C., nasce
Buddha, il suo insegnamento è laico, proprio come il nostro. Il suo
insegnamento non si fonda su una rivelazione soprannaturale, ma sull’ascolto
della legge naturale iscritta in ogni uomo e formula così i suoi cinque
precetti etici:
1 - Non
rubare e non possedere ciò che non ti sia dovuto;
2 - Non
uccidere, non sfruttare o opprimere il tuo prossimo;
3 - Non
commettere adulterio;
4 - Non
usare bevande inebrianti, o sostanze stupefacenti;
5 - Non
mentire mai.
La
meditazione di questi cinque precetti sono sufficienti per comprendere tutti
gli altri che seguiranno a motivo della nostra autorità morale, e dell’autorità
di tutti gli uomini giusti che ci hanno preceduto. Così disponiamo:
6 -
Porrai al di sopra della tua vita gli ideali di Giustizia (non fare ad alcuno
il male che non vuoi ricevere) e di Verità (non dire bugie, non testimoniare
mai il falso);
7 - Non
mancare mai contro il pudore e non utilizzare mai la sessualità al di fuori di
quell’amore che indica il dono onesto, fedele e totale di te ad un’altra
persona;
8 -
Onora l’autorità ed in particolare quella dei genitori, sii rispettoso e non
superficiale della sapienza degli anziani;
9 - Non
abbrutire la tua vita con il lavoro eccessivo, l’uomo vive più di aria e
libertà gioiosa che di pane;
10 -
Non essere volgare e non essere pigro;
11 -
Proteggi ovunque e comunque potrai farlo le vedove, gli orfani, gli innocenti e
la natura dall’inquinamento;
12 -
Non dovrai invidiare, ne desiderare nulla che appartenga al tuo prossimo;
13 -
Offrirai un decimo del tuo tempo e un decimo delle tue sostanze (tasse
comprese), spontaneamente al bene ed alla costruzione della tua società, ovvero
a vantaggio del prossimo.
14 -
Onora il Signore Dio, padre e benefattore di ogni vita, onora per amor suo
tutti gli uomini che onestamente si dedicano alla sua gloria. Questo
deliberiamo e solennemente dichiariamo essere la legge naturale che trovasi nel
cuore di ogni uomo.
L'umanesimo
integrale attinge forza dalla legge naturale. Quest’ultima ha una sua
oggettività ed una sua intrinseca legittimazione. La comprensione di tutto
questo entra in una dinamica precisa che anticipa l'evoluzione dell'umanità. Il
monoteismo rappresenta il superamento del politeismo, ma questo dato
inconfutabile è pur contestato da chi vuole sminuire il monoteismo e quello
stupendo impianto morale che ha permesso tante conquiste, in ordine alla
dignità della persona umana ed al progresso dell’umanità. Quindi, regole e
canoni che ormai sono imprescindibili dalla coscienza collettiva al punto che
sono ormai patrimonio inderogabile dell'umanità. Ma questa conquista e solo una
tappa delle tante che ancora sono davanti a noi. Solo un ignorante può
concepire il dogma come rigido, ed irrazionale, infatti il dogma si evolve con
l’evolversi di tutta l’umanità. La verità continuamente si svela e si
approfondisce. Infatti il dogma è solo uno stadio di quella conoscenza che
esige di essere meglio compresa, così l'affermazione assoluta può essere sempre
meglio inculturata, chi si accontenta di slogan o di esemplificazioni o chi
vede slogan e semplificazioni riduttive è un poverino. Ma il vero credente non
è un poverino, è un grande uomo, si proietta verso l'Assoluto e da esso viene
attirato, con tutte le facoltà e con l’intelligenza, elabora la fede come somma
della sua maturità e del suo amore che si fa sintesi. Inoltre, la fede senza
intelligenza si trasforma in superstizione, mentre, la scienza senza fede si
ritorce per distruggere e non per aiutare l'uomo. Solo il tapino vede nelle
conquiste della comunità dei credenti, una scatola chiusa e vuota, fatta di
apparente rigidità al punto che la comunità dei credenti non può -secondo lui-
rendersi interprete credibile del disagio sociale e di quello personale. Mentre
il tapino di cui sopra ritiene la mitologia greca molto più consona al
soddisfacimento dei suoi porci piaceri, ovvero la legittimazione del suo
peccato. Lui uomo del 2000,
culturalmente e tecnicamente attrezzato vuole cimentarsi con la mitologia greca
eletta a modello di categorie morali, pretendendo di annientare quello che è il
cammino evolutivo dell'umanità, perché non accetta che qualcuno o qualcosa
metta inquietitudine nella sua corrotta coscienza. Vigliacco vuole venire alle
mani con donne e bambini sapendo per certo di restare vincitore. Ma il Dio di
Abramo e di Maometto, di Buddha e di Gandi attende questo idolatra per
scaraventarlo dalla sua pseudo cultura resa funzionale alla sua idolatria
comoda e complice, ma che lui non potrà più trovare come un alibi quando il
nostro messaggio conquisterà culturalmente il mondo o quando dovrà presentarsi
dinanzi al tribunale di Dio. Questo perverso cerca di costruirsi dio in modo
comodo e accomodante, complice del suoi vizi, lui come opzione fondamentale ha
scelto il male, il Male sarà il suo destino.
Derivano
da Dio ed hanno per termine l'uomo. Derivano da Dio ed hanno per termine Dio e
la sua gloria, e la nostra gloria in Dio. Sono una costante disposizione
dell'anima a desiderare ed a realizzare il bene. A fondamento di queste
innumerevoli virtù troviamo: la religione, l’amore per la conoscenza della
Verità, la prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperanza.
VIRTU'
TEOLOGALI Derivano da Dio ed hanno per
termine Dio e la Sua gloria, e la nostra gloria. FEDE è credere veri gli interventi di Dio nella storia oppure
credere negli ideali assoluti universali e trascendenti. La fede è un atto di
conoscenza che si ottiene sia per esperienza personale (verificata nel cammino
della chiesa), sia come rivelazione dai testi sacri. Ma l'esperienza ed i testi
sacri si verificano a vicenda. Da questa conoscenza nasce la fiducia nell'amore
e nella bontà di Dio come fondamento esistenziale della fede. Nella vita
quotidiana abbiamo la lotta al peccato (ovvero a tutto quello che non è Dio),
che si manifesta attraverso: la non credenza, l'apostasia, l'eresia, la
superstizione. SPERANZA ovvero attesa di un futuro migliore, non turbandosi per
le contrarietà della vita, neanche per le persecuzioni, ma vivendo sicuri della
vittoria definitiva del bene. Vivendo sicuri delle promesse di Dio: attesa del
regno di Dio e della sua logica, dimensione essenziale è la gioia. Peccato corrispondente:
nella disperazione non si confida più nel fatto che il bene spirituale è sempre
e comunque superiore al male, ci si radica nella presunzione, non si riesce più
a confidare nella grazia. I film di terrore tendono a confondore il senso oggettivo
del reale, infatti mostrano il male malefico o satanico molto forte nei
confronti del bene. Ma a livello spirituale come mostrano gli esorcismi non
esiste proporzione tra il bene che è di natura divina ed il male che è solo
sovrumano, quest'ultimo se vi è corrispondenza umana, è completamente
soggiogato al bene, come le tenebre vengono disintegrate dalla presenza della
luce. I film di terrore portano a disperare della potenza del bene sul male e
di contro portano a credere erroneamente nella potenza del male. Questi film
insinuano un non retto pensare e percepire la divinità. CARITA', amore divino e
spirituale, la forma pura e santa dell'amore, una incarnazione della presenza
di Dio sulla terra. L'amore è a diversi livelli: fisico, psichico, spituale. Fisico
o Eros: "tu sei un bene per me, io ho bisogno di te" (concupiscenza -
compiacenza). Psichico o Philia: "io voglio questo bene insieme a
te", filantropia, condivisione, solidarietà. CARITÀ, Amore Spirituale o
Agape, trattasi di un amore oblativo, puro, assolutamente disinteressato, mosso
dal solo bisogno di donarsi senza restituzione, amore a livello divino, per cui
amiamo Dio per se stesso sopra ogni cosa, e il prossimo come noi stessi per
amore di Dio. "Io ti amo perché ho bisogno di donarmi a te". Peccato
corrispondente: egoismo, dominio, l'altro rimane un mezzo, l'altro viene
strumentalizzato fin'anche a distruggendolo. Nell'amore autentico e
genuinamente umano tutte e tre queste dimensioni devoro armoniosamente reagire.
Non solo io ma anche l'altro è un fine.
I
peccati contro Dio: non credere più possibile la propria salvezza, presunzione
di salvarsi senza merito, negare la verità conosciuta, oppressione dei poveri e
degli innocenti, negare il giusto compenso all'operaio, invidia della grazia
altrui, ostinazione nei peccati, impenitenza finale, peccato impuro contro
natura. Con questi l'uomo si oppone ai beni spirituali della verità e della
grazia, e perciò, anche potendolo, difficilmente si converte. Peccati
direttamente contrari al bene dell'umanità, tanto che provocano più degli
altri, i castighi di Dio.
Sillogismo:
“Chi non frena le passioni è pieno di brama, chi è pieno di brama non è mai
sazio e non è mai sereno, chi è in
questo stato è infelice e disgraziato, quindi chi non frena le passioni è un
disgraziato!!!”. Superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia ed accidia
sono i sette vizi capitali. Essi provengono dal “peccato originale”, dalla
parte di animalità che è in noi, e in noi resteranno fino alla nostra morte, rappresentano
la concupiscenza del nostro corpo terreno e dovrò abituarmi a convivere ed
anche a difendermi da essi. Uno di questi sette è per ognuno di noi il vizio
dominante. I vizi capitali possono essere vissuti con tre gradi diversi:
veniale, grave, mortale. Vi sono tre dimensioni di possesso che i vizi capitali
esercitano sul genere umano: lieve, grave, mortale. E' lieve o veniale in tutti
gli uomini ammirabili, condizione di vera maturità sul piano spirituale e
umano. In questo stato si percepisce debolmente la lusinga del peccato, la luce
dei loro valori trascendenti sconvolge continuamente le "tenebre" che
non riescono a condensarsi e ad organizzare una seria strategia di attacco,
così il castello spirituale rimane inespugnabile. Sono libero di abbandonarmi a
qualche lieve trasgressione, a qualche atto voluttuoso, perché il mio
discernimento, la mia libertà e la mia volontà sono fortemente radicate nel
bene. Quando desideriamo vivere onestamente sotto il profilo spirituale e
desideriamo essere coerenti con i nostri principi e siamo disposti
all’inevitabile sacrificio, allora sperimentiamo la gioia della libertà
interiore. La forza di questi vizi è sovrumana, se riesco a dominarli significa
che lo Spirito Santo mi sta aiutando, non devo quindi inorgoglirmi. Il vizio è
grave quando già mi condiziona e mi costringe alla sua volontà quando pur non
volendo soggiacere al vizio, mi
costringe. Io sono diventato più debole, mentre lui è diventato più
forte, mi domina. E' grave, quando il male riesce ad accecare le mie facoltà
mentali, al fine di rendere confusa la determinazione del bene e del male,
labile il discernimento, indebolendo la mia volontà e soggiogandola nel momento
della tentazione. Non si viene fuori facilmente da questo stato, uscirne è
indispensabile ma comunque sempre molto penoso. Occorre avere pazienza per
anni, occorre una strategia vincente. Il vizio subentra quasi inavvertito, e si
radica nelle mie ossa, nella mia struttura psichica, diviene una componente del
mio essere e della mia persona, concorre ad influenzare nell'intimo la mia
personalità. Sradicare il vizio è sempre molto doloroso perché è come sradicare
una parte di me. Ma andare contro me, è difficile a motivo dell'istinto di auto
conservazione e della continua confusione che le tenebre provocano verso la
comprensione di ciò che è bene e di ciò che è male, come verso l'indebolimento
della volontà. Il vizio mi possiede in maniera grave quando mi vergogno, mi
accuso, mi schifo (atteggiamento sempre sbagliato), ma ricado continuamente. Per
liberarsene è sempre questione di lacrime e sangue, di una umiliante risalita
dalla gola dell'inferno, risalita che a volte può durare qualche decennio, ma è
anche una questione di grazia (che ha una sua logica espiatoria e purificatoria
di tutta la realtà di peccato accumulata nella vita), fino alla completa
liberazione, fino al riscatto dall'asservimento. Beati coloro che sono liberi
prima di presentarsi al cospetto di Dio.
E' mortale, quando non lotto più contro il vizio, lo giustifico, lo
ritengo virtù, un mio modo naturale di essere persona, quando l'ho integrato
con buona pace della mia coscienza. Ritengo il vizio (vedi il fenomeno
dell'omosessualismo), una componente intrinseca della mia persona, lotto per
affermare la mia identità con il peccato, divenendo missionario ed ambasciatore
del male. Morire in questa condizione equivale alla perdizione, a perdere il
possesso di Dio. Infatti commetto la più grave delle profanazioni, affermo bene
il male e male il bene. Dichiaro mentendo che Dio è male, mentre satana il bene
è il mio dio. E’ mortale quando stanco di lottare mi arrendo ad esso e lo
legittimo moralmente e culturalmente. Essi nascono dal cuore dell’inferno e
portano la morbosità fine a se stessa e svincolata dal valore. Il piacere è
santo ed è lecito quando viene a me spontaneamente come un dono o come
conseguenza di un’azione virtuosa. Non può esistere vittoria sui vizi capitali,
se non c’è penitenza. La mortificazione e la penitenza sono le condizioni
ordinarie di ogni vita spirituale. IL VIZIO è l'abitudine a fare il male
ripetendo atti cattivi. Quelli che seguono la mentalità del mondo (beati i
ricchi, i prepotenti ecc...) non possono essere veramente felici, non hanno
pace nell’anima camminano anche verso la loro sconfitta terrena. L'analisi di
questo argomento si basa esclusivamente su considerazioni esperienzali, non
abbiamo bisogno di credere realtà che riscontriamo drammaticamente e
quotidianamente in noi. Tra i vizi capitali ve ne è uno soggettivamente
dominante! Riguardo alla loro pericolosità essi sono tutti letali. Il
"vizio", è una abitudine cattiva (come la virtù è un’abitudine
buona), che mi possiede e dalla quale io non riesco o non voglio liberarmi.
Ogni vizio riduce la mia libertà e di conseguenza la capacità di donarmi, il
mio potere di amare. Quando diciamo "ti amo!", per onestà dovremmo
dire: "Ti amo al 70%, perché la restante parte è posseduta dai miei vizi e non da me, sono parzialmente occupato
dai miei vizi". Solo chi è libero dai vizi può dire "ti amo",
gli altri devono dire "ti amo, però...". O io ridicolizzo in me i
vizi capitali o da essi ne sono ridicolizzati. Il vizio, mi afferra per la
catena con cui mi tiene mi sbatte per terra come un fuscello. O ci sono io, o
c'è lui, o vivo io in me o vive lui in me. Così la battaglia contro i vizi
capitali è sempre una battaglia "mortale", perpetua, fino all'ultimo
momento della nostra esistenza terrena. Tuttavia, avere una retta spiritualità,
significa (anche dopo un ventennio), riportare la vittoria fondamentale, la
capacità di dominarsi e di dominare, se non si vince questa battaglia interna
non ci si deve proporre a compiti di responsabilità sociale. Esse sono intrinseche alla natura umana ed
hanno presa su di noi proprio perché abbiamo un corpo così limitato e soggetto
a tanti bisogni. Ma i vizi capitali divengono devastanti ed incontrollabili
proprio quando vi è un vuoto spirituale.
SUPERBIA:
Alta opinione di se, con ostentazione ed esaltazione delle proprie doti, unita
ad un atteggiamento altero e sprezzante nei confronti degli altri. Un proverbio
dice: "La superbia andò a cavallo e tornò a piedi", non è infrequente
vedere i superbi umiliati. Il superbo è empio perché rifiuta a Dio la lode e la
sottomissione dovuta. Il superbo è
incapace di ricevere perchè si pone al di sopra degli altri. Attenti al senso
di superiorità come a quello di inferiorità, in entrambi si nasconde la
superbia. Devo essere serenamente convinto che, in quanto uomo, non sono
inferiore e non sono superiore a nessuno. Dalla superbia, deriva l'arbitrio del
proprio pensiero accecato, e da questo la Superstizione che è in realtà un
credere alla paura ed al male, questo equivale ad un culto reso a chi non è
Dio, oppure a Dio ma in modo non conveniente, perché tendente a
strumentalizzarlo: perciò l'idolatria o il culto di false divinità o di
creature; il ricorso al demonio, agli spiriti al fine di ottenere cose
umanamente impossibili, queste sono sempre sconvenienti e dannose. Il santo
orgoglio è l'estremo baluardo contro la depravazione. Infatti quello che in
certe drammatiche ed esasperate circostanze potrei fare, non curante del
giudizio di Dio o del prossimo, mi astengo dal farlo per una forma di pudore,
come potrei sopravvivere dopo aver commesso una tale azione? La mamma di una
mia alunna, risponde ad una inserzione che offre del lavoro e si trova di
fronte ad un mago che con i poteri di satana prima che ella possa esprimersi le
dice: "signora, lei non è adatta ai nostri scopi!" La signora chiede
di capire anche a motivo del suo incomodo ed il mago le risponde: "Lei
sarebbe disposta a spogliarsi nuda, a calpestare un crocifisso ed a partecipare
ad una messa nera?" la signora risponde: "Non farei mai una tale
azione!". Si ci sono azioni (che per un santo orgoglio che abbiamo di noi
stessi), che non faremmo mai per tutto l'oro del mondo. Essa genera o il senso
di superiorità o quello di inferiorità. Ma Dio ci ha messi nella condizione di
aver bisogno di tutti; infatti abbiamo bisogno di tutte le persone che ci
circondano. Il peccato di SUPERBIA consiste nella presunzione di erigerci a
giudici assoluti del bene e del male, per l’arbitrio egoistico ch L'umanesimo
integrale attinge forza dalla legge naturale, la quale ha una sua oggettività
ed una sua intrinseca legittimazione. La comprensione di tutto ciò è dinamica
perché segue o anticipa l'evoluzione dell'umanità. Lucifero l’angelo più bello
del Paradiso si insuperbì, lui che era la creatura più riflettente della luce
del suo Creatore, si insuperbì. Così divenne Satana, ovvero la creatura più
brutta dell’universo e guida di tutti gli angeli ribelli chiamati demoni, che
per odio verso il loro Creatore e per invidia verso di noi, cercano in
tantissimi modi diversi di farci perdere l’anima e di farci dannare per
l’eternità insieme a loro. Il peccato di SUPERBIA è tipico dei teologi, degli
uomini intellettivamente dotati e di tutti coloro che si avvicinano a Dio. E’
somma temerarietà avvicinarsi a Dio con presunzione. Esiste però, un’orgoglio
positivo e benefico che si sperimenta quando siamo felici e giustamente
orgogliosi di over operato bene e di aver prodotto molto frutto. Questo mi
gratifica, mi ricompensa di tutti i miei sacrifici, mi incoraggia ancor di più
nell’operare il bene. Non usiamo i doni di Dio per calpestare i diritti di Dio
e i diritti degli altri uomini e così ritenerci a loro superiori. Bisogna
essere umili, poiché tutto quello che facciamo di bene è un dono di Dio, che
nella sua bontà si è degnato di arricchirmi di tanti doni e che mi ha dato la
grazia di poterli bene usare. Fare il bene è molto difficile, mentre fare il
male è molto facile. Il bene va fatto: nei modi giusti, alla persona giusta, al
momento opportuno. Il santo orgoglio mi impedisce di operare il male, non tanto
per amore del bene, quanto per amore di me stesso, infatti non posso tollerare
proprio per santo orgoglio, alcune forme di depravazione. E’ l’ultima barriera
di difesa contro il male. Non commetto il male perché sono buono, ma perché
sono egoista e non posso danneggiarmi o depravarmi.
AVARIZIA: Eccessivo attaccamento a ciò che si
possiede, l'avaro è un uomo triste, incapace di godere le sue ricchezze, come
il proprietario di un fiume che muore di sete per timore di ridurre l'acqua.
Egli vive schiavo delle sue ricchezze, vive in loro funzione, la sua condizione
naturale è la solitudine. S.Antonio da Padova fu invitato al funerale di un
uomo religioso ma ricco avaro. Il santo si rifiuta di presenziare il funerale,
e rivolto ai presenti dichiara inutili le lacrime e le loro preghiere, in
quanto il defunto già è all'inferno. In una famiglia ricca del tempo questa
pubblica diffamazione dell'onore doveva costare la vita. Il santo sereno
prosegue: "Gesù ha detto, dove sarà il tuo tesoro, la sarà il tuo cuore,
il cuore di vostro padre si trova nella sua cassaforte". I figli subito
controllano e trovano fra le monete d'oro un cuore sanguinante, il figlio
maggiore col suo pugnale apre il petto del padre (con la stessa arma avrebbe
dovuto uccidere il santo), ma ulteriore stupore, nel petto del padre non vi era
il cuore. Ma perché tanta crudeltà, tanto dolore, chi vorrebbe sapere che suo
padre amato è all'inferno, perduto per sempre? Riflettendo, ho compreso il
grande dolore di Dio, Padre del Cielo, per la perdita di un figlio carissimo,
così Dio stesso s'incarica di ammonire i figli del ricco avaro affinchè si
discostino dalla condotta egoistica appresa dal padre, il culto del denaro, e
salvino la loro anima, per questo invia loro S. Antonio. La santa avarizia è la
capacità di vivere sobriamente, in funzione di un benessere superiore di ordine
personale e collettivo. E' il capitalizzare finalizzato all'investimento e
quindi al progresso, alla solidarietà sociale. L’avaro è incapace di amare e di
godere. Infatti gode chi sa spendere ed ama chi sa donare. L’avaro è colui che
ama il denaro per il denaro e vive solo in funzione di accumularlo o di
accumulare oggetti di valore. Quando è angosciosa e triste la vita dell’avaro,
egli non ha amici veri.
LUSSURIA:
fornicazione, libidine, lascivia, sfrenatezza. Oggi vi è un approccio
superficiale riguardo alla concezione della sessualità così tanto centrale
nella vita dell'uomo. Sono tanti i peccati sessuali e sono tutti di materia
grave a motivo dell'importanza sulla conformazione dell'essere di persona. Le
varie concretizzazionei della lussuria (materia grave, libero consenso......)
alcuni peccati sessuali una certa mentalità odierna vorrebbe eliminare. La
sessualità non deve essere vista in modo negativo, essa è un dono, ma ogni dono
abusato diventa dannoso. Il dono grandissimo della sessualità ci chiama alla
responsabilità. Il merito di Froid è stato quello di sottolineare la importanza
della sessualità, ma questa deve essere considerata i fattori che indicano la
realizzazione umana, la differenziazione sessuale, porta caratteristiche sul
piano biologico-psicologico-spirituale. La sessualità è quindi un modo diverso
di essere per tutto l'uomo. La sessualità è molto discussa ma anche con molta
banalità, frattanto si è accresciuta la corruzione dei costumi, sostenuta dai
mezzi della comunicazione di massa, che va di pari passo con l'esaltazione del
sesso. Ma la legge di Dio è scritta nel cuore dell'uomo ed essa è eterna, ma in
contrasto con le vere esigenze dell'uomo, notiamo anche un permissivismo da
parte di alcuni moralisti, un licenzioso edonismo, non avere più la chiara
percezione del bene e del male. I giovani quindi rimangono senza una proposta
morale, senza la proposta di una pedagogia dell'amore. Sono numerosi quelli che
oggi che di fronte a tante opinioni diverse, non sanno cosa devono credere per
vero - colpevole silenzio delle comunità dei credenti - La chiesa non può
restare indifferente di fronte alla confusione degli spiriti. Ogni giorno i
vescovi constatatano le difficoltà di proporre con chiarezza ed i fedeli con
difficoltà a comprendere. Gia importanti documenti sono stati pubblicati,
poichè le opinioni erronee continuano a diffondersi. La dottrina della Chiesa
si esprime sul fondamento biblico e
sulla legge morale naturale impresse nella coscienza umana, per questo
il pronunciamento della Chiese Cristiane coinvolgono tutti gli uomini. Come i
dieci comandamenti, che sono anche legge naturale e per questo riconosciuti da
tutti i popoli. Gli uomini del nostro tempo sono persuasi che essi devono
scoprire le leggi presenti nel loro cuore e di portarli allo sviluppo per la
realizzazione di tutti. In campo morale l'uomo non deve emettere giudizzi di
valore secondo il proprio arbitrio, perché la legge scritta da Dio nel cuore
non è stata data da te, ma per quella legge che è in te tu sarai giudicato.
L'uomo ha una legge scritta da Dio nel suo cuore inoltre a noi cristiani
infatti Dio mediante la sua rivelazione Dio ha fatto conoscere il suo disegno
di salvezza, Colui che ha detto Gv. 8,12 “Io sono la Luce della vita”. Se uno disattende la sua legge di crescita
si demolisce spiritualmente. Certo molte esigenze sono mutate, ma mai potrà mutare la legge eterna, perché il
bene ed il male sono di natura ontologica e superano le categorie dello spazio
e del tempo, certo mutano le contingenze, ma la luce della morale naturale non
cambierà mai. Come la luce che illumina ogni uomo sia che vada a piedi sia che
vada in aereo, questi principi fondamentali sono contenuti nella legge eterna
oggettiva universale, è quel radar interiore che ti permette di capire ciò che
è bene e ciò che è male è la parte divina di te, e la parte più nobilec che è
in te. Dio ordina dirige e governa l'universo traendo il cuore degli uomini con
delicatissimi vincoli d'amore. Sei peggio di una bestia se non riconosci nei
dieci comandamenti la legge eterna. Offuscato dalle tenebre interiori Dio rende
partecipe l'uomo sicche egli possa sempre conoscere la legge immutabile.
Bisogna cercare sinceramente la verità , a torti molti pretendono che per
seguire ..... bisogna seguire una pseudo carità. Per quanto riguarda alcuni
gesti la Chiesa ha codificato un giudizio non suscettibile di variazione.
Masturbazione, rapporti pre matrimoniali,
adulterio, omosessualità. la legge di carità non è mai vaga, "se tu
desideri una donna per possederla, tu hai commesso adulterio. Ma per la
rivelazione divina, come per la legge naturale l'adulterio è sempre stato un
male e sempre lo sarà, perché offusca la santità dell'amore. Colonna e sostegno
della verità e interpreta autenticamente i principi dell'ordine morale che
concernono il pieno sviluppo e il cammino di santità dell'uomo, per non cadere
nella contraddizione. Il linguaggio della genitalità consiste nella capacità di
progettare insieme il mio futuro, armonizzandolo con il futuro dell'altra
persona. La sessualità ha sempre una dimensione creativa, coinvolgente ed
esclusiva. La genitalità ha un valore grandioso, essa si realizza in tutto il
suo splendore soltanto nel matrimonio. Vi sono comportamenti morali che le
religioni monoteistiche hanno sempre stigmatizzato, il cristianesimo in
particolare nello spazio e del tempo non ha mai cambiato le norme morali
riguardanti la sessualità. La violenza e la perversione sessuale sono dilagate
nel mondo a causa di una contro progetto della cultura dell’egoismo. Bisogna
tenere nel debito conto la pari dignità dell'uomo e della donna. La sessualità
umana è inscritta nella spiritualità
della persona ed una collaborazione con Dio nel chiamare alla vita nuove
creature. Certamente è importane che fra i coniugi ci sia un sincero amore in
purezza di cuore, ma anche gli atti degli sposi devono corrispondere alla legge
di Dio. La sessualità è data per la generazione feconda sia sul piano
spirituale e a volte sul pino generativo, come una santa alleanza con Dio e con
il patner, tutto finalizzato alla cultura ed alla promozione della vita.
RAPPORTI PREMATRIMONIALI, si tratta di una perdita di senso morale, di contro
una pubblicità di massa che spinge addirittura i preadolescenti a vivere
"senza inibizioni" molti rivendicano il diritto ai rapporti
prematrimoniali, ma questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana
nel quale l'atto sessuale può essere legittimo solo nel matrimonio. Nulla
stabilisce che gli impegni tra privati siano tutelati. Quello che Dio ha
congiunto, l'uomo non lo separi, è l'essere una carne sola. Se Dio non
congiunge in matrimonio non possono considerarsi una carne sola. Mentre
l'unione dei corpi nell'impudicizia contamina....L'unione dell'uomo e della
donna non è legittima se non si raggiunge una stabile comunione di vita. 1 tim
,10 L'esperienza ci insegna che
affinchè l'unione sessuale esprima .....è necessario il matrimonio, sia per il
bene della coppia che per quello della comunità. O non ci sarà la prole o essa nascerà in condizione
instabile. Il fidanzamento è una condizione transitoria, non è suggellata
dall'alleanza pubblica, solenne e sacramentale. L'uomo è la donna sono una
carne sola dopo che Dio li ha confermati nel loro sacro proposito di riunirsi
in una sacra alleanza per tutta la vita, la violazione di questa condizione è
sempre un male morale. “FIGLIO MIO, STAI ATTENTO CHE FRATE CORPO NON SI
TRASFORMI IN FRATE PORCO.” E’ il vizio capitale più penoso, perché subito dopo
averlo consumato una diffusa amarezza e diffusi sensi di colpa si diffondono
per tutto il proprio essere. Riguarda la deviazione del piacere e dei fini
della sessualità. Il piacere è benefico solo quando questo proviene dalla
giustizia e dalla dignità. Chi domina questo vizio assai penoso è destinato ad
avere la virtù corrispondente della verginità spirituale, chiamata castità.
OMOSESSUALITÀ.
Alcuni
fondandosi su false osservazioni di ordine psicologico... giustificano
l’omosessualità, patologia perfettamente curabile. Quelli irreversibili o
incurabili o irrecuperabili sono solo coloro che non vogliono guarire da questa
patologia e si ostinano in essa. Si presume una erronea naturalalità di queste
unioni perché la loro tendenza sarebbe naturale, analoga alla vita matrimoniale
in quanto essi si sentono incapaci di vivere una vita solitaria. Non bisogna
mai considerare una situazione come irrecuperabile, sul piano personale la loro
colpevolezza verrà giudicata con prudenza, ma non può essere attribuita una
giustificazione morale alla congiunzione carnale contro natura, che violenta e
deturpa il senso della sessualità. Certo occorre una comprensione, un
atteggiamento di carità verso il singolo, mentre non si deve avere alcuna
esitazione a bocciare il fenomeno in se nella sua oggettività. E' un uso della
sessualità non significativo, è una grave depravazione, è la negazione di Dio stesso e dell’odine da lui
fondato. Giungono a disonorare tra loro
i loro corpi, Dio li ha abbandonati a passioni infami, accesi di passioni
abominevoli si chiudono la porta del regno di Dio. La situazione è gravissima,
tuttavia l'individuo va accolto con amore e va aiutato al fine di rigenerare e
riportare vittoria in questa penosa condizione. Il combattimento può a volte
essere arduo ma non impossibile. Gli atti sono intrinsecamente disordinati e non
possono trovare nessuna giustificazione. Esci fuori dal fango, esci come puoi
da una situazione che è come l'inferno.
MASTURBAZIONE.
A livello adolescenziale, e comunque a carattere occasionale può essere un atto
senza conseguenze morali negative, anche in considerazione della sessualità
impulsiva dell’uomo.
Ci sono
tre tipi di lussuria: degli occhi, delle orecchie, del corpo. Quello degli
occhi consiste nel piacere provato ad essere guardati e desiderati ed a
guardare con desiderio il proprio e l’altrui corpo. Piacersi e piacere di per
se non è peccato quando lo si fa con assenza di morbosità ed in presenza di
modestia e pudore. Il pudore è la sfera di dignità del nostro corpo, che non
deve essere dato in pasto a tutti, ma solo goduto dal nostro partner. Quello
delle orecchie si ha quando si desidera moltissimo essere lodati dagli altri.
Quello del corpo si ha quando il piacere si ricerca morbosamente attraverso il
contatto di cibo, di vestiti. La santa lussuria è il piacere che ci giunge come
una legittima conseguenza di una vita virtuosa e onesta.
IRA:
L’ira è una reazione sproporzionata, un impeto di odio violento ed esagerato
verso il prossimo. Chi ha questa attitudine, molto probabilmente nell’infanzia
ha subito spesso la violenza e l’aggressività. E’ una persona poco matura e
quindi poco disponibile alla comprensione e non riesce a sopportare alcuna
situazione di disagio, verso cui reagisce con violenza. “L’ira non compie cosa
è giusto d’avanti agli occhi di Dio”. Esiste anche una giusta ira: l’ira di
Dio, che dopo aver tanto pazientato si abbatte sui peccatori. Gesù arriverà con
delle fruste a cacciare i mercanti dal tempio. Davide userà la santa ira contro
Golia, mentre Dio la usò contro Sodoma e Gomorra. Reagire alla violenza o
difendere un innocente con legittima difesa è una giusta ira. Tutti abbiamo il
dovere di difendere la giustizia e di testimoniare la verità, a volte purtroppo
è indispensabile la giusta ira. IRA: moto dell'animo di violenza ed irritazione
essere accecati dall'ira, rabbia, infiammarsi per l'ira e perdere il controllo
di se, odio, disposizione a nuocere, avere in odio tutto, detestare il mondo e
l'umanità. Si tratta di una reazione sproporzionata, una punizione eccessiva,
una mancanza di moderazione. I danni ed i traumi che si possono procurare al
prossimo sono emormi. Per guarire: se non perdono e non comprendo come posso
sperare di essere a mia volta compreso e perdonato da Dio? La pazienza, la
mitezza ed il dominio di se sono la più grande manifestazione di potenza
possibili ad un uomo. La santa ira invece, è l'ira di Dio, quella che non ci
pone in una condizione di omertà se non di complicità verso il male. E' una
reazione per la giustizia e la verità gravemente violate.
INVIDIA:
L’invidioso è una vittima di se stesso. Ti trovi ad invidiare proprio come ti
trovi addosso l’influenza, senza averla chiamata. L’invidia è pericolosissima
perché ha il potere di toglierti la serenità e ti allontana le benedizioni di
Dio. E’ una esplosione pura di cattiveria. Astiosa irritazione verso la
ricchezza, il successo, la felicità e la fortuna altrui. Proverbio:
"crepare d'invidia" consumarsi per invidia. Infatti l'invidia è come
un fuoco nelle viscere e giunge ad
avvelenare il sangue. L'invidia blocca le benedizioni di Dio, e ci conduce alla
povertà. Per guarire: piangere e pregare di essere liberati da questa sventura.
Incominciare a pregare ed ad amare la persona che abbiamo invidiato finchè non
desideriamo sinceramente che sia più felice, più fortunata, più ricca, più ...
di me. Volesse il cielo ch'io sia il peggiore e che tutti in tutto siano
migliori di me, allora si che sarei felice e fotunato.
Non v’è
altro rimedio che piangere e supplicare il Signore di esserne al più presto
liberati. Si deve subito incominciare a pregare ed a desiderare il bene ed ogni
bene, per la persona verso cui sentiamo invidia, si deve anzi chiedere al
Signore un grande amore per questa persona e desiderare il suo maggior bene che
superi di gran lunga quello che noi mai potremmo ottenere. Desiderare che abbia
e che sia più di noi in tutto. Il demonio, ve ne accorgerete subito, fuggirà a
questo punto immediatamente da voi, non potendo sostenere l’amore e voi ne
avrete una grande consolazione. Esiste anche la santa invidia, essa consiste
nel desiderare l’altrui virtù e l’altrui abilità, essa è legittima ed
addirittura virtuosa, rappresenta un’emulazione ed imitazione del bene,
risponde alla domanda: “Se ci è riuscito lui, posso riuscirci anch’io! La santa
invidia è compiacersi di quello che altri hanno realizzato al fine di poterlo
imitare, è una imitazione della virtù e di ogni opera buona(emulazione), è
un'imitazione pacifica, generosa e benigna del bene.
ACCIDIA
: svogliatezza, indolenza, pigrizia, noia, malinconia, negligenza. Noia e
disgusto per il proprio dovere e per tutto quello che è virtù (sovraesposizione
al sensibile, chiusura alla grazia). Sbuffare del proprio dovere, lamentarsi
sempre, avere a noia una buona azione, odiare il bene con le sue necessità,
indugiare quando squilla la sveglia al mattino. Resistenza verso il bene ed
inclinazione verso il male. Per guarire: farsi violenza ed imporsi l'ubbidienza
incominciando dalla sveglia del mattino. L’accidia è la negligenza
nell’esercizio della virtù necessaria a compiere bene un’azione. E’ una
resistenza alla santificazione ed alla perfezione. La stanchezza e la
resistenza che noi sentiamo nel compimento del nostro lavoro e dei nostri
doveri è una manifestazione d’accidia. Essa è indolente, pigra e giunge fino a
sentire una repulsione verso il nostro dovere ed il bene che invece dobbiamo
compiere. Inspiegabilmente, misteriosamente, al di fuori della mia volontà mi
trovo ad odiare la preghiera, il cammino verso la perfezione, il dovere
quotidiano, in una parola mi trovo appesantito ed addirittura impedito
nell’affrontare il bene. Il bene per sua natura necessita di gioia e di
entusiasmo, di zelo e di tutto il nostro impegno per uscire da questo stato di
purificazione delle nostre intenzioni. L’accidia, infatti, indica che l’ideale
è posseduto nella nostra vita in maniera ancora poco pura. La santa accidia è quella che comprende,
come al di la di ogni realizzazione, quello che conta sono le intenzioni del
cuore, equilibrio e moderazione verso gli altri e verso noi stessi. Non non
siamo gli aguzzini di nessuno neanche di noi stessi.
GOLA: avido, bramoso, cupido. Proverbio:
"uccide più la gola che la spada". Coloro che non riescono a mangiare
tutti i cibi, (oggettivamente, in se, essi sono tutti buoni e gustosi) e dicono
questo mi piace, questo non mi piace. Ma l'organismo ha bisogno di tutti gli
elementi nutritivi, sovente privati di una alimentazione completa ci ammaliamo.
Per guarire: rovinare il gusto dei cibi, non chiedere mai quelli preferiti, mangiare
alla sera o il giorno dopo il cibo avanzato o leggermente deteriorato. La santa
gola è tipica di quando in modo non richiesto godiamo della gioia della mensa e
ringraziamo sia Dio come chi ha lavorato per noi.
L'impresa
più gloriosa della conquista delle vette più alte, o di giungere oltre tutti i
misteri della scienza e della tecnica e quella di vincere se stessi. Le virtù
opposte ai vizi capitali sono: l'umiltà, la liberalità, la castità, la
pazienza, la sobrietà, la fraternità e la diligenza nel proprio dovere.
“Siate
soprattutto uomini. Fino in fondo. Anzi, fino in cima. Perché essere uomini
fino in cima significa essere santi. Non fermatevi, perciò, a mezza costa: la
santità non sopporta misura discrete. Siate capaci di accoglienze ecumeniche,
provocatori di solidarietà planetarie, missionari “fino agli estremi confini
della terra”, profeti di giustizia e di pace. Siate disposti a pagare con la
pelle il prezzo di quella comunione per la quale Gesù Cristo, vostro
incredibile amore, ha donatola vita”. don Tonino Bello
“Per questa
grazia, infatti, siete salvi mediante la fede, e ciò non viene da voi, ma è
dono di Dio; ne viene dalle opere, purché nessuno possa vantarsene.” Ef. 2,8-9
“Dio, infatti,
ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede
in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il figlio nel
mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. chi
crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato.” Gv.
3,16-18
“A quanti però
lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di dio: a quelli che
credono nel suo nome, i quali non da sangue, ne da volere di carne, né da
volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.” Gv. 1,12-13
“Ecco, sto allo
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da
lui, cenerò con lui, ed egli con me.” Apo.3,20
“Io tutti quelli
che amo li rimprovero li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti.”
Apocalisse 3,19
“Chi crede nel
figlio ha la vita eterna,..su chi non crede, l'ira di Dio rimane
sopra di lui.”
Gv.3,36
“Io sono la via
, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo
di me.” Gv.14,6
“Quindi se uno è
in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate,
ecco ne sono
nate di nuove.” 2cor.5,17
UNIFICATORE
DELLE DIFFERENZE
Dobbiamo opporci
alla frantumazione della realtà totale.
Le due direzioni della crisi della
categoria della totalità hanno messo in discussione non solo lo spazio e la
legittimità della metafisica, ma anche l’atteggiamento della tradizione
filosofica che pone la conoscenza della verità come guida dell'agire politico.
(“Chi ha orecchie per udire,
oda......” Mc. 7,16)
La trasformazione pratica del mondo secondo
la libera volontà di autorealizzazione, non più vincolata da alcuna legge
naturale o metafisica, prende il posto della contemplazione della verità nel mondo(“Difatti tutti hanno peccato, e sono privi
della gloria di Dio.” Rm.3,23). Il personalismo di Mounier è dunque il
personalismo della crisi o una filosofia della crisi, egli si ingabbia e muove
all'interno delle coordinate storiche che sono la crisi del mondo borghese
capitalistico ad opera di Marx e la crisi del mondo borghese cristiano ad opera
di Kierkegaard. Esse sono conseguenti alla frattura rivoluzionaria aperta nel
pensiero contemporaneo e causata dalla
crisi del sistema hegheliano (“Poiché il salario del peccato è la morte, ma il
dono di dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.” Rm.6,23).
Mounier ha colto
nel sistema hegheliano il capolavoro e il massimo responsabile di quel gioco
delle idee totalizzanti e giustificatrici della storia che hanno distratto il pensiero e
l'orizzonte inglobante di ogni ente.
Frantumazione
della realtà totale e negazione dell'essere e dell'esistenza , di un senso che
possa essere unificatore delle differenze.
HEGHEL afferma
che se tutto è possibile all'uomo, tutto è permesso all'uomo, tutto è permesso sull'uomo.
è data da quella presunzione della RAGIONE
dell’UOMO che misconosce un’ETICA UNIVERSALE per un Abbandono del significato
trascendentale del pensiero, con la conseguente indipendenza assoluta dell’uomo
che distrugge ogni realtà spirituale e ogni responsabilità per la creazione.
Tutto deve essere fruito egoisticamente in una visione unilaterale. Ma l'essere
ci comprende e non è puro oggetto da dominare, ne è totalmente dominabile,
esige ed offre ascolto.
L'autonomia spirituale consiste in una
interiorizzazione vitale dell'altro, mediante l'intelligenza e
l'amore.
Heideger parla di EVENTO IMPREVEDIBILE, LA CUI CONSAPEVOLEZZA APRE ALL'UOMO IL
SUO LIMITE. MA aprendo l'uomo al suo limite, lo apre alla storia, agli altri ,
all'essere. Questo segna l'incontro dell'Universo col mio universo, questo è
"il senso della libertà” e il “senso del reale” che impongono un criterio
metodologico alla ricerca scientifica, essa si liberi da ogni apriorismo
dottrinario.
Oggi sono
sparite le illusioni autonomistiche e l'ottimismo razionalistico di dominare il
mondo.
LA SCINTILLANTE
SUPERFICIE DELL'EFFIMERO HA MOSTRATO LA SUA VUOTAGGINE E LA SUA IPOCRISIA.
Il vuoto
dell’uomo è anche il sovvertimento dell'essere nel suo ordine e nella giusta
gerarchia dei suoi valori (Rosmini). Questo sovvertimento dei valori porta solo
apparentemente a una reificazione
dell'uomo e
personalizzazione delle cose, ma di fatto SOTTOMETTE L'UOMO AL CONSUMO, ALLA
PRODUZIONE, AL PROFITTO SPECULATIVO e lo rende un oggetto, un animale umano.
From nel “IL
BORGHESE” dice che l’uomo si muove tra le cose, ha perduto il senso dell'essere
e del mistero, cristiano senza inquietudine, miscredente senza passione, per la
sua sicurezza psicologica e sociale fa ribaltare l'universo delle virtù...ecc.
Dal Big
Ben si originano le categorie dello spazio e del tempo: intorno però c’è già il
vuoto che non è il nulla. Il vuoto ora non riesco a comprenderlo e a definirlo
ma è già una manifestazione dell’Essere.
Dal Big-Ben
nasce la materia, ovunque essa arriva nascono le categorie di spazio e di
tempo. Dal Big-Ben, si sono formate le galassie, esse continuano a fuggire le
une dalle altre espandendosi nel vuoto. Ma se gli angeli come i demoni possono
spostarsi in un attimo in un qualsiasi punto dello spazio e non del tempo,
infatti questo movimento nel tempo caratterizza solo la onnipotenza divina. Gli
angeli quindi, possono a seconda della loro natura, attraversare diverse
dimensioni (materiale, psichica e spirituale), ma non possono comunque
svincolarsi dallo spazio interdimensionale e dal tempo, non possono gestire il
vuoto o vivere in esso, non possono andare avanti o indietro nel tempo. Mentre
noi umani siamo condizionati dallo spazio dimensionale e dal tempo, loro (gli
spiriti) sono condizionati solo dal tempo.Gli angeeli sono condizionati a
vivere il presente e non possono oltrepassare la materia cosmica e
pluridimensionale e quindi non possono gestire il vuoto. Lo spazio e il tempo
sono così in continua generazione, perché l'universo fisico è in continua
espansione nel vuoto fino ad annientarsi. Tutto ciò che è nato è destinato a morire! Con l’universo nato dal
Big-Ben tutti gli esseri in esso formati moriranno. Ma Dio ha intenzione di
assumesse la sua famiglia umana e angelica e di sottrarla al destino
dell’universo.
OGGI 1/3/92 NON HO ANCORA CONCEPITO
L'UNIVERSO METAFISICO SE QUALCUNO HA UN PENSIERO Più EVOLUTO DEL MIO LO PREGO
DI VOLERMELO COMUNICARE.
_
(CORAGGIO
FRATELLI TEOLOGI DI ALTRE CONFESSIONI
MONOTEISTICHE, IL TEMPO STRINGE)
Prospettiva: elaborarione di una teologia
comune per la rinascita di una nuova civiltà mondiale.
In quei
giorni, Dio condusse Abràm e gli disse: ”Guarda il cielo e conta le stelle, se
riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. Egli credette
al Signore, che glielo accreditò come giustizia(Genesi 15,5-7). Rivendico
questa comunione familiare di tutti i figli di Abramo, ovvero di tutti i
monoteisti. Sarà ritenuto volgare, un giorno, il proselitismo attivo tra le
religioni monoteiste, al punto che una deve difendere gli interessi delle altre
e viceversa. Nessuno osi fondare, da questo mio lavoro, una nuova religione.
Non è nostra competenza l’argomento su quale sia la migliore religione, ogni
uomo segua la sua nella libertà della sua coscienza, chi viene sorpreso a fare
proselitismo nella nostra associazione venga prima rimproverato e poi
allontanato.
Prospettiva:
elabolarione di una teologia comune.
Risolvere
il problema religioso (gli interrogativi esistenziali sul perchè si nasce, si
muore, il dolore, il senso della vita, il male, ecc.) è fondamentale per la
formazione della coscienza morale, infatti per fare scelte responsabili è
necessario possedere un discernimento su ciò che è bene e su ciò che è male, ed
avere chiaro l’obiettivo e lo scopo di tutta la mia vita. Questa conoscenza mi
può essere data sia dall’osservazione della legge naturale (come un’uomo che
vede un sentiero nella notte con la luce della luna), che dalla rivelazione
(che nella stessa comprensione eccelle per quantità e qualità come un’uomo che
vede un sentiero con la luce del sole). La dimensione religiosa è centrale per
risolvere il problema umano ed il problema morale. E’ inutile mandare l’uomo
nello spazio, quando quest’uomo che abbiamo mandato li non sa chi è e qual’è il
significato della sua esistenza. La somma tecnologia allora si potrebbe
trasformare nella più grande rovina. I danni che uno può fare con una clava,
non sono certamente paragonabili a quelli delle armi chimiche, batteriologiche
o nucleari. Ne consegue che la coscienza necessita di un processo di formazione
permanente, per orientarsi verso scelte responsabili. Solo un grande e globale
sistema di significato (concezione della vita) può sottrarre l’uomo dall’ansia
di queste domande esistenziali e rispondere al suo bisogno di senso e di significato.
Non c’è società che non sia retta da leggi morali e non c’è realtà morale che
non si fondi sui contenuti culturali o sui principi morali di una religione.
Quando questo patrimonio morale viene messo in discussione o si disperde,
incomincia subito il lento ma inarrestabile declino di quella società. Così
sono scomparsi grandi civiltà. Ogni civiltà rappresenta un codice linguistico,
morale, mentale e comportamentale indispensabile perché gli uomini possano
collaborare a costruire la loro sicurezza e il loro benessere. Il nostro
tentativo deve avere la priorità assoluta perchè il futuro dell’uomo dipende
necessariamente da un progetto di umanesimo globale ed integrale. Tutto,
contrariamente, potrebbe precipitare in visioni individualistiche e unilaterali.
Urge elaborare un monoteismo virtuale perché tutti i credenti in Dio possano
armonizzarsi alll’interno di categorie culturali comuni. Solo la comunione di
tutti i figli di Dio (o di quello che Dio rappresenta: gli ideali assoluti
universali e trascendenti) potrà salvare il mondo dall’assurdo e potrà dargli
un progetto idoneo ad affrontare senza pericoli il terzo millennio.
Per
venire incontro alle esigenze di un dialogo ecumenico, e per elaborare delle
categorie spirituali universalmente condivisibili elaboro una teologia
monoteistica virtuale. Il riconoscimento di un principio supremo che sostenga e
fortifichi l’unità e l’amore fra tutti gli uomini “religiosi”(vedi vocab.) del
pianeta, facendo comprendere teologicamente la loro unità e la loro comune appartenenza.
La condivisione del monoteismo infatti è il fondamentale, mentre la religione
specifica è il categoriale.
Già nella rivelazione dei dieci comandamenti
di Mosè (comandamenti comunque fondati sulla legge naturale, per questo, li
ritroviamo nei principi fondamentali di tutte le religioni positive) si trova
la piena realizzazione dell’uomo. Le religioni, quindi sono come tante vie per
essere aiutati in questa realizzazione. Vie importanti perché il mistero
sovrannaturale del male, vince facilmente le resistenze deboli dell’uomo.
Questo raggio di luce divina che è racchiuso nel nostro cuore anela a ritornare
alla sua fonte. L’Associazione si dedica all’evoluzione spituale dell’uomo con
il riconoscimento di un monoteismo virtuale ed ecumenico, rifuggendo ogni forma
di volgare proselitismo e in filiale attenzione di tutte le autorità religiose
che rappresentano i nostri maggiori alleati. Siamo figli e servi devotissimi di
ogni autorità religiosa che sappia dimostrarsi maestra di spiritualità. Questa
autorità religiosa è credibile solo se testimonia con la coerenza delle sue
opere sante e se ci fa da guida all’amore ecumenico. L’Associazione riunisce
uomini di ogni fede religiosa ed atei, ritiene volgare il proselitismo e
professa l’assoluta libertà di ogni uomo nel santuario della sua coscienza. Si
impone solo di non dire bugie, neanche le più piccole, di non fare ad alcuno
quel male che non si vorrebbe ricevere. Questa è per noi la base fondamentale
per il dialogo, mentre ogni aderente alla nostra Associazione deve accettare
almeno globalmente i nostri ideali e porre per iscritto gli eventuali motivi di
dissenso, affinchè diventino base di ulteriore riflessione ed approfondimento.
Se si riconosce che, quando indichiamo il
nome di Dio, intendiamo l’ideale assoluto, universale e trascendente degli
ideali di Giustizia e Verità. Comprendiamo come al di la delle parole e dei
concetti, il nostro messaggio è genuinamente laico o genuinamente razionale e
prescinde (per lo meno non necessita di categorie di credo religioso), da una
fede in Dio in senso stretto. Così chi non ha il dono della fede fra noi si
troverà a suo agio nel momento in cui riconosce, appunto il principio
spirituale degli ideali di Giustizia e Verità.
Tuttavia è necessaro trovare un linguaggio che
accomuni tutti gli uomini che credono in Dio, e a tal fine elaborare un
linguaggio religioso che sia ad essi utile. Per servire e tutelare ogni
identità e cultura, che necessita di un linguaggio teologico per comunicare. Porta a un corretto atteggiamento ecumenico
che parte dal riconoscimento della inequivocabile religione naturale. Tutto ciò
che è negativo non è legale o da noi tollerabile.
Dobbiamo amare il bene e odiare il male con
tutto il cuore: questo principio è in concreto già un atto religioso è il
fondamento di ogni religione positiva come di quell’unica religione naturale e
universale.
Il nostro unico obiettivo è quello di far
riconoscere ad ogni uomo che: “La gloria di Dio (o quello che Dio rappresenta
gli ideali di Giustizia e di Verità) è anche la vera gloria dell’uomo”. Così
siamo rispettosi di ogni autorità religiosa e la aiutiamo nel suo compito tanto
fondamentale che è quello di far conoscere il grande amore di Dio ed il suo
progetto di felicità nei confronti di ogni uomo.
-MONOTEISMO
VIRTUALE-
IL
DISCORSO UMANO SU DIO (At 17, 16s.) In
Atene, mentre Paolo stava aspettando, il suo animo si infiammava di sdegno,
vedendo come la città era piena di idoli. [17] Intanto discuteva nella sinagoga
con i Giudei e con i 'timorati di Dio', e discuteva anche nel mercato ad ogni
ora del giorno con quelli che vi capitavano. [18] Anche alcuni dei filosofi
epicurei e stoici si misero a parlare con lui, e alcuni dicevano: "Che
cosa intende dire questo seminatore di chiacchiere?". Altri poi, sentendo
che predicava Gesù e la risurrezione, dicevano: "Sembra essere un
predicatore di divinità straniere". [19] E così lo presero e lo portarono
all'Areopago dicendo: "Possiamo sapere qual è questa nuova dottrina che tu
ci insegni? [20] Infatti le cose che tu dici ci suonano strane. Vogliamo dunque
sapere di che si tratta". [21] Tutti gli Ateniesi infatti, e gli stranieri
residenti ad Atene, non trovano miglior passatempo che quello di riferire o di
ascoltare le ultime novità. [22] Allora Paolo, ritto in mezzo all'Areopago,
disse: "Ateniesi, sotto ogni punto di vista io vi trovo sommamente
religiosi. [23] Infatti, passando e osservando i vostri monumenti sacri, ho
trovato anche un altare su cui stava scritto: «A un Dio ignoto!». Ebbene,
quello che voi venerate senza conoscerlo, io vengo ad annunziarlo a voi: [24]
il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che in esso si trova. Egli è signore
del cielo e della terra e non abita in templi fabbricati dagli uomini, [25] né
riceve servizi dalle mani di un uomo, come se avesse bisogno di qualcuno,
essendo lui che dà a tutti vita, respiro e ogni cosa. [26] Egli da un solo
ceppo ha fatto discendere tutte le stirpi degli uomini e le ha fatte abitare su
tutta la faccia della terra, fissando a ciascuno i tempi stabiliti e i confini
della loro dimora, [27] perché cercassero Dio, e come a tentoni si sforzassero
di trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. [28] In lui infatti
viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri
poeti: "Di lui, infatti, noi siamo la stirpe". [29] Essendo dunque
noi della stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile a oro,
o ad argento, o a pietra, che porti l'impronta dell'arte o dell'immaginazione
dell'uomo. [30] Ma ora, passando sopra ai tempi dell'ignoranza, Dio fa sapere
agli uomini che tutti, e dappertutto si convertano, [31] poiché egli ha
stabilito un giorno nel quale sta per giudicare il mondo con giustizia, per
mezzo di un uomo che egli ha designato, accreditandolo di fronte a tutti, col
risuscitarlo da morte". [32] Quando sentirono parlare di risurrezione dai
morti, alcuni lo canzonarono, altri dicevano: "Su questo argomento ti
sentiremo ancora un'altra volta". [33] Così Paolo se ne uscì di mezzo a
loro. [34] Ma alcuni uomini si legarono a lui e abbracciarono la fede. Tra essi
c'era anche Dionigi l'areopagita, una donna di nome Damaris ed altri con loro.
È
POSSIBILE UNA CONOSCENZA “RAZIONALE” DI DIO?
Lo
stolto pensa: Dio non esiste.
Il Sal 14,1-7 esprime così la sua certezza:
“Lo stolto pensa: non c’è Dio. Sono corrotti, fanno cose abominevoli: nessuno
più agisce bene. Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se
esista un saggio: se c’è uno che cerchi Dio. Tutti hanno traviato, sono tutti
corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno. Non comprendono nulla tutti i
malvagi, che divorano il mio popolo come il pane? Non invocano Dio: tremeranno
di spavento, perché Dio è con la stirpe del giusto. Volete confondere le
speranze del misero, ma il Signore è il suo rifugio. Venga da Sion la salvezza
d’Israele! Quando il Signore ricondurrà il suo popolo, esulterà Giacobbe e
gioirà Israele”.
Rom 1,19 “[19] Poiché ciò che è noto di Dio è
loro manifesto in loro: [20] infatti dopo la creazione del mondo Dio manifestò
ad essi le sue proprietà invisibili, come la sua eterna potenza e divinità, che
si rendono visibili all'intelligenza mediante le opere da lui fatte. E così
essi sono inescusabili, [21] poiché, avendo conosciuto Dio, non lo glorificarono
come Dio né gli resero grazie, ma i loro ragionamenti divennero vuoti e la loro
coscienza stolta si ottenebrò. [22] Ritenendosi sapienti, divennero sciocchi,
[23] e scambiarono la gloria di Dio incorruttibile con le sembianze di uomo
incorruttibile, di volatili, di quadrupedi, di serpenti”. Queste affermazioni
bibliche indicano come tra il naturale e il soprannaturale, tra ragione e fede
non vi è assoluta discontinuità.
Dio
creatore di tutto.
(Il
Vaticano I, nel Dei Filius, 24.4.1870)
DS 3001
L'unico Dio è creatore di cielo e terra. [can.1: contro chi nega l'esistenza di
Dio]. [can.3: contro il panteismo: «una e unica è la sostanza di Dio e di tutte
le cose»]. DS 3002 Dio ha creato non
per bisogno, ma liberamente, per manifestare la sua perfezione. [can.2: contro
il materialismo]. DS 3003 Ciò che ha
creato, Dio lo governa con la provvidenza.
La
Rivelazione.
DS
3004 Dio può essere conosciuto con
certezza dalle cose create, attraverso il lume naturale della ragione. Tuttavia
ha voluto fare conoscere sé e la sua volontà attraverso una via soprannaturale:
il Figlio incarnato. [can. 1: contro chi nega la possibiltà della teologia
naturale]. [can. 2: contro il deismo]. [can. 3: contro il razionalismo]. DS
3005 La rivelazione non era in sé
necessaria, ma in vista dell'ordinazione soprannaturale dell'uomo a partecipare
di beni che superano l'intelligenza umana. DS 3006 Scrittura e Tradizioni. DS 3007
Interpretazione.
La fede .
DS 3008
Siamo tenuti a prestare a Dio che si rivela il pieno ossequio dell'intelletto e
della volontà nella fede: la fede trascende la ragione e ne chiede la
subordinazione. La fede è l'inizio dell'umana salvezza, una virtù
soprannaturale con la quale, con l'aiuto della grazia di Dio, crediamo che son
vere le cose che ci ha rivelato. Non per la verità intrinseca percepità col
lume della ragione naturale, ma per l'autorità di Dio che si rivela, che non
può né ingannare né ingannarsi. [can. 1s: contro l'autonomia della ragione:
"Dio non può comandare la fede"]. DS 3009 Miracoli e profezie: segni della rivelazione certissimi e adatti
all'intelligenza di tutti. [can. 3: contro il fideismo: «bisogna credere solo
per una mozione interna»]. [can. 4: contro l'agnosticismo e il mitologismo]. DS
3010 Nessuno può credere senza
l'illuminazione dello Spirito Santo: la fede è un dono soprannaturale,
attinente alla salvezza. Con la fede l'uomo presta libera obbedienza a Dio,
consentendo e cooperando alla sua grazia. La fede non coincide con la carità,
rimanendo la prima anche in assenza della seconda. [cf. Orange, 3.7.529, can.
7: occorre il lume dello Spirito santo, non basta il lume della ragione, per
attingere la salvezza]. DS 3011 Oggetto
della fede sono le cose contenute in verbo Dei scripto vel tradito e quelle che
la chiesa propone tamquam divinitus revelata con giudizio solenne o col
magistero universale e ordinario. DS 3012 È necessario averla, per piacere a
Dio; è necessario perseverarvi. DS 3013
ARGOMENTI ESTERNI La chiesa
stessa -veluti signum levatum in nationibus- «è perpetuo motivo di credibilità
e testimonio della sua missione divina». DS 3014 ARGOMENTI INTERNI Dio dona la sua grazia a coloro che sono
nell'errore, illuminandoli internamente.
Fede e
ragione
DS 3015
C'è un doppio ordine di conoscenza: soprannaturale e naturale; DS 3016 Il ruolo della ragione è: sviluppare
l'analogia, in base a ciò che conosce naturalmente; cogliere il nesso dei
misteri fra loro e con il fine ultimo dell'uomo, anche se sulla terra siamo
pellegrini e quindi un velo rimane sempre. DS 3017 Non v'è opposizione
fede-ragione, lo stesso Dio che è autore
della rivelazione ha anche creato la ragione umana. DS 3018 Fede e ragione
devono reciprocamente sostenersi:
* la ragione (utilità delle scienze umane)
dimostra i fondamenti della fede e coltiva la scienza delle cose divine;
* la fede e la ragione si liberano
reciprocamente dagli errori e si istruiscono.
Di Dio
è possibile una conoscenza in senso molto ampio. Non come una dimostrazione (demonstratio)
matematica-oggettiva, ma lo si può conoscere (cognoscere) in una esperienza
‘personale’. Lo si può conoscere per
ANALOGIA: es. (il pane e Giovanni sono ‘buoni’: si predica di due
soggetti un medesimo attributo in parte comune e in parte diverso). Concilio
Lateranense IV: (DS 806) «tra Creatore e creatura non si può notare una
somiglianza tale che non si debba poi osservare una dissomiglianza ancora
maggiore». TEOLOGIA NEGATIVA: di Dio si può dire soprattutto ciò che non è:
in-visibile, in-corporeo, in-finito, ecc. È una ‘dotta ignoranza’, un sapere di
non sapere. Dionigi Pseudo-Aeropagita: «in ordine a Dio, le negazioni sono
vere, le affermazioni sono insufficienti». 1.
affermazione: dal finito all'infinito, dagli effetti creati si risale al
Creatore [catafatica]; 2. negazione: il nostro linguaggio, il nostro modo di
esprimerci è finito [apofatica]; 3. sovraeminenza: se c’è il buono finito, c’è
anche il buono infinito (le perfezioni finite devono essere attribuite a Dio in
modo insuperabile).
a.
PROVA COSMOLOGICA. Tutto il cosmo interpella con la sua esistenza, il suo
ordine, la sua bellezza, la sua caducità.- Aristotele e S. Tommaso: “non si può
risalire all'infinito tra gli anelli della catena: ci dev'essere un
‘super-anello’, la causa prima, Dio”. * movimento: tutto ciò che si muove è
messo in moto da un altro un motore
immobile. * causalità: nessuno è causa di se stesso, quindi certamente
deve esiste una causa prima non causata. * contingenza: ogni cosa esiste
condizionata da altre, in senso graduato. Quindi deve esistere un Essere
necessario, non condizionato, assoluto. * gerarchia dell'essere: le cose sono
più o meno belle, buone, ecc. Questo si può dire perché esiste il massimo della
perfezione. * finalità: ogni cosa agisce secondo un ordine e una finalità,
anche nel campo del non-intellettivo, certo una Intelligenza superiore e libera
ha posto l'ordine e la finalità.[A. Einstein, W. Heisenberg, C.F. von
Weizsäcker: “nella natura ci sono delle leggi, che l'uomo riconosce e applica.
Quest'ordine non deriva dall'uomo. Come l'uomo con il suo spirito fa progetti
ordinati, così dev'esserci uno Spirito che ha progettato ordinatamente la
natura, e la rende intelligibile allo spirito umano”].[M. Heidegger: “perché
esiste qualcosa anziché niente? Stupore! Pur contingente, l'essere è
(limitatamente) necessario: in quanto è, non può non essere. L'essere limitato
(creato) si spiega alla luce dell'essere assoluto (Dio)”]. *Conclusione: Dio è
il fondamento in-fondato libertà dalla dipendenza e dal limite.
b.
PROVA ONTOLOGICA. Non si dimostra Dio a partire dal mondo. Dio deve essere
dimostrato a partire da Dio! Non si parte dal mondo per affermare Dio, ma da
Dio per affermare il mondo (Anselmo d’Aosta). L’idea di Dio include in sé
l’essere(Bonaventura, Cartesio, Hegel). Ma [Gaunilone] tra piano logico e piano
ontologico non c’è passaggio necessario: ciò che è nella mia testa non è
necessariamente nella realtà. Risposta: questa non è un’idea come le altre,
infatti rappresenta l’esigenza della coscienza collettiva. Nell’impostazione
platonico-agostiniana (Cf.= idealismo), pensiero ed essere non sono sganciati,
il pensiero è una forma di partecipazione all’essere e di comprensione
dell’essere.
c.
PROVA STORICA. Cicerone: “Dappertutto e sempre nella storia dell’umanità si è
creduto nella esistenza degli dei: dunque si tratta di un’idea innata”.
d.
PROVA ANTROPOLOGICA. 1. Agostino: Dio è la verità primordiale, Dio è fine e
compimento dell’uomo, esigenza del cuore dell’uomo. 2. Kant: Dio è un postulato
della ragion pratica, possibilità e garante dello sforzo morale dell’uomo e
della felicità che vi è connessa, esigenza della coscienza dell’uomo. 3.
Rahner: L’uomo sperimenta dentro di sé lo scarto fra ideale e reale. L’uomo non
è chi vorrebbe essere, perché a causa del suo peccato non riesce a realizzare
neanche l’approccio trascendente possibile. Perché protestiamo? Se fossimo
fatti per il limite, non ce ne rammaricheremmo. Ma ci prepariamo a superare il
limite nel momento in cui lo avvertiamo come tale. Siamo chiamati a realizzarci
nella libertà. Ma la libertà - a fronte di tanti condizionamenti - è
un’aspirazione più che un dato effettivo. Che cosa mi dà il coraggio di credere
alla libertà? L’AMORE il desiderio del bene. Cos’è il bene? Soffrire il limite
perché siamo fatti per l’assoluto, quindi il bene è l’Assoluto.
MOTIVATI
A CREDERE
Credere
in Dio non è contrario alle esigenze della ragione: nell’uomo c’è un’apertura
fondamentale a Dio! ALLORA VALE LA PENA DI FARE TEOLOGIA “RAZIONALE”! Ci
invitano a questo movimento ed
approfondimento non solo la dignità che il Creatore ha posto nella ragione
umana, ma anche inequivocabili testi biblici: nell’A.T. : Gen, 1; 2. /Sap 13; Sal 14. Nel N.T.:il mondo è
metafora del Regno di Dio è colto nella natura e nella storia. Nelle lettere di
S. Paolo ai Romani, la creazione, la coscienza dell’uomo e quindi i pagani
possono conoscere Dio. S. Giovanni afferma che l’uomo anela alla salvezza e ne
ha comprensione: Logos endiathetos-prophorikos. C’è quindi una teologia
naturale già nella BB, non trattasi di
una teologia ‘sistematica’ perché la logica biblica è quella esistenziale, ma
chiaramente si comprende come ci sia tra l’ordine della savezza e l’ordine
della creazione una spontanea continuità. Abbiamo inequivocabilmente una via
cosmologica ed una via psicologica. Nell’esplicitazione del dato teologico la
Chiesa ci regalerà espressioni come queste: il S.C. affermerà: Gratia supponit
naturam - Fides supponit rationem. il VAT I espliciterà:
La fede è obsequium rationi
consentaneum; il VAT II aggiungerà la prospettiva storico-salvifica (GS 19-22 /
DH 14). La fede è nell’uomo, non esiste in astratto ma è un actus humanus: c’è
una INCULTURAZIONE che esige una
fondamentazione razionale. La fede va comunicata universalmente: 1Pt 3,15: deve
cercare la TRASMISSIONE mediante l’aggancio con la ragione che è una radice
comune a tutti gli uomini. La fede non si motiva da sola, ma ha una sua
RAGIONEVOLEZZA: da questa nasce la teologia razionale che ha il compito di dimostrare (non la fede, ma) la conformità
della fede alle esigenze della ragione, infatti tra realtà creata e realtà
della salvezza non c’è contraddizione: la fede è un vedere dentro e al di là: è
dare senso al bisogno di senso che trova risposta nelle cose puramente
materiali. La conoscenza “naturale”. Cosa intendiamo per “conoscenza naturale”?
Ma la Chiesa e la Fede cristiana ci dicono che questo Dio che noi conosciamo
nella Rivelazione, è un Dio che, in un certo senso, senza definirne i limiti,
può essere conosciuto dalla ragione umana a partire dalle realtà create. Lo
stesso concetto da un altro punto di vista: “Dio è”, è un’affermazione di fede,
ma non un’affermazione fideistica, non irresponsabile di fronte alla ragione
umana. Nell’AT, la conoscenza si fonda sull’azione di Dio che entra a contatto
personale con gli uomini e si fa conoscere. In certi testi, però, si afferma
anche che Dio fa conoscere qualcosa di Sé nel fatto stesso della Creazione del
mondo: Sal 19, 2: “i cieli narrano la gloria di Dio”. La Gloria (nel senso di
manifestazione-presenza) di Dio, ha una dimensione cosmica; Dio fa sentire nel
cosmo la sua presenza. E’ un’idea presente nel libro della Sapienza (libro
“greco”, scritto in ambiente alessandrino), 13, 1 ss: dalle creature, per
analogia, si conosce il Creatore. Nelle Sacre Scritture (anche nel NT) si parla
si questa possibilità di una certa conoscenza tramite la Creazione, possibilità
che spesso non si realizza per il colpevole atteggiamento degli uomini, per il
loro “sguardo non limpido”; cfr. Rom 1, 19-23: la non scusabilità di coloro che
hanno trasformato e ridotto l’essere di Dio nell’immagine e nella figura degli
idoli, esseri corruttibili; in particolare, ciò che l’uomo può conoscere di Dio
è perché Dio stesso lo ha manifestato. La conoscenza di Dio non è quindi
qualcosa che l’uomo può raggiungere nella freddezza e nella “scientificità”
pura [modernamente intesa], ma è una conoscenza nella quale l’aspetto morale
(non solo intellettuale) ha un ruolo fondamentale. La mente e il cuore ottusi,
infatti, confondono l’immagine di Dio in un modo non scusabile. Ma è importante
ribadire che non si tratta di un semplice processo di conoscenza “fredda” e
distaccata, ma dato il particolare “oggetto”, giocano un ruolo determinante gli
elementi soggettivi dell’uomo. Cfr. DF (DS 3004; 3025), tenendo presente che il
contesto del Vaticano I era di lotta contro il razionalismo e idealismo. Dio si
lascia conoscere anche tramite la Creazione. Mostrare la possibilità
dell’esistenza di Dio (in un momento storico che non conosceva la separazione
moderna di “filosofia” e “teologia”) a partire dalla Creazione era uno degli
obiettivi dei pensatori medioevali. Il Medio Evo parla di due libri dati dalla
Provvidenza di Dio: la Parola e la Creazione, “libri” aperti alla conoscenza
della Verità. Nel XIX secolo, il fiorire del razionalismo nel suo tentativo di
ridurre la fede alla ragione, ha portato ad una reazione esattamente opposta,
soprattutto negli ambienti del tradizionalismo francese, fortemente fideistico:
è impossibile conoscere Dio mediante la Creazione. D’altra parte, però, cfr. DS
2751 ss; 2765 ss; 2811 ss: in alcuni di questi testi si utilizza anche la
parola “demonstratio” parlando della ricerca dell’esistenza di Dio. Il Vaticano
I, nella costituzione Dei Filius, ha tentato una mediazione fra razionalismo e
fideismo: l’atto di fede non è qualcosa di cieco e “ir-razionale”, ma non è
nemmeno riducibile alla sola ragione; cfr. DS 3004 (e il corrispondente canone
3026): “Dio, principio e fine di tutte le cose, con la luce naturale della
ragione umana e a partire dalle realtà create, in modo certo può essere
conosciuto”. Il testo di riferimento è il già citato Rom 1,20. Il Vaticano non
va al di là dell’affermazione della possibilità reale. Anche se il tono del DS
3025, non appare molto ottimista: di per sé, dice il concilio, molte cose non
sarebbero impossibili alla ragione umana, ma nelle condizioni presenti, con
l’aiuto della Rivelazione, queste Verità che di per sé la ragione umana
potrebbe raggiungere da sola, la Rivelazione le fa conoscere a tutti in modo
più chiaro. DS 3015: con ancora maggior chiarezza si delineano due ambiti di
conoscenza: una via naturale e una soprannaturale. La conoscenza di Dio
mediante la Creazione è sempre conoscenza di quell’Unico Dio che procede già
nella Creazione verso il proprio donarsi pieno d’Amore. Possiamo dire, quindi,
che la conoscenza di Dio non è della “natura pura”, ma è di quel Dio che già
nella Creazione inizia a darsi completamente.
MORFOLOGIA:
Religio - religare - religere (negligere): prestare una scupolosa attenzione,
riverenza e timore dinanzi al sacro - praticare il culto agli dei: religiones
sono i culti Trekseia, latreia - din. Il concetto è proprio della cultura
occidentale: ciò che è della religione per l’occidente, non lo è altrove.
Tratto comune: al di là e al di fuori del mondo e della vita quotidiana c’è
un’altra realtà, una «potenza», da cui l’uomo dipende, con cui l’uomo si mette
in relazione: religione è il rapporto con questa realtà: Tommaso d’Aquino:
«Religio proprie importat ordinem ad Deum» (STh II-II,q.81, a.1) 1.
riconoscimento dell’esistenza del Divino, comunque percepito; 2. riconoscimento
della dipendenza da questa realtà: -nell’essere , in quanto creati,
-nell’agire, in quanto ci sono delle leggi, -nel benessere, in quanto ci sono
premi e castighi; 3. sforzo di attirarsi
la benevolenza del Divino con la preghiera, il culto e i sacrifici: - compiuti
personalmente, - compiuti per mezzo di sacerdoti; 4. contatto con il mysterium
fascinosum et tremendum: timore-amore-desiderio.
PERCHÈ
L’UOMO È RELIGIOSO? - Perché sperimenta l’esperienza della fragilità e
vulnerabilità: l’uomo cerca un aiuto presso la Potenza; ESPERIENZE:
-L’esperienza della natura esistente e grandiosa: l’uomo si stupisce, perché
dietro le cose c’è la Potenza. - Esperienza della sofferenza, del male, della
morte. La morte c’è, ma c’è anche l’aspirazione a vivere dopo la morte. -Esperienza del vuoto, della mancanza di
senso, dell’inquietudine: nessuna realtà terrestre riesce a colmare le sue
aspirazioni, solo l’Infinito può riempirlo; - Esperienza della chiamata alla
ricerca ed all’incontro. Il cosmo con il suo ordine , con la sua bellezza, con
la sua caducità veicola un messaggio. S. Tommaso: "non si può risalire
all'infinito tra gli anelli della catena: ci dev'essere un 'super-anello', la
causa prima, Dio”. Dio è il fondamento increato è libertà dalla dipendenza da
ogni realtà limitata. Nessuno è causa di se stesso all'infuori di Dio. Egli è
il movimento di tutte le cose, come causa prima non è condizionato da nulla perché
assoluto, a differenza di tutti gli elementi del creato che sono fra loro
gerarchicamente interdipendenti, d'altronde, agisce secondo un ordine e una
finalità, una Intelligenza superiore e libera ha posto l'ordine e la finalità.
Infatti nella natura ci sono delle leggi, che l'uomo riconosce e applica.
Quest'ordine non deriva dall'uomo. Come l'uomo con il suo spirito fa progetti
ordinati, così dev'esserci uno Spirito che ha progettato ordinatamente la
natura, e la rende intelligibile allo spirito umano.
SI PUÒ
CONOSCERE DIO?
(Sal
14,1 Lo stolto pensa: Dio non esiste)
Sap
13,1-5 conferma: [1] Davvero stolti per natura tutti gli uomini / che vivevano
nell'ignoranza di Dio, / e dai beni visibili non riconobbero colui che è, / non
riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere. [2] Ma o il fuoco o il
vento o l'aria sottile / o la volta stellata o l'acqua impetuosa o le luci del
cielo / considerarono come dèi, reggitori del mondo. / [3] Se stupiti per la
loro bellezza, li hanno presi per dèi, / pensino quanto è superiore il loro
Signore, / perché li ha creati lo stesso autore della bellezza. / [4] Se sono
colpiti dalla loro potenza e attività, / pensino quanto è più potente colui che
li ha formati. [5] Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature / per
analogia si conosce l'autore.
ROM
1,19 conferma: [19] Poiché ciò che è
noto di Dio è loro manifesto in loro: [20] infatti dopo la creazione del mondo
Dio manifestò ad essi le sue proprietà invisibili, come la sua eterna potenza e
divinità, che si rendono visibili all'intelligenza mediante le opere da lui
fatte. E così essi sono inescusabili, [21] poiché, avendo conosciuto Dio, non
lo glorificarono come Dio né gli resero grazie, ma i loro ragionamenti
divennero vuoti e la loro coscienza stolta si ottenebrò. [22] Ritenendosi
sapienti, divennero sciocchi, [23] e scambiarono la gloria di Dio incorruttibile con le sembianze di
uomo incorruttibile, di volatili, di quadrupedi, di serpenti.”.
Conclusione:
1- Tra il naturale e il soprannaturale, tra ragione e fede vi è continuità. 2-
NO al razionalismo che afferma: la ragione è tanto forte da rendere l'uomo del
tutto autonomo. 3- NO al fideismo che afferma Dio si può conoscere solo
attraverso la fede. 4- Infatti, Dio può essere conosciuto con certezza dalle
cose create, attraverso il lume naturale della ragione. Tuttavia, ha voluto far
conoscere sé e la sua volontà attraverso più vie soprannaturali. Di Dio è
possibile una conoscenza per analogia. Tra Creatore e creatura non si può
notare una somiglianza tale che non si debba poi osservare una dissomiglianza
ancora maggiore.
LA
CREAZIONE COME PRESUPPOSTO DELL'ALLEANZA
Non ci
troviamo di fronte al Dio dell'essere, ma dell'agire, dell'esperienza, della
salvezza. Il Dio potente che ha liberato dall'Egitto dev'essere il Dio di tutto
il mondo.
CREAZIONE
E SALVEZZA SONO MOMENTI DISTINTI MA RELAZIONATI
Il
disegno unico di Dio è la realtà definitiva, non i momenti distinti in cui esso
si svolge. Il disegno si estende a tutti i popoli, anche se il popolo eletto vi
ha un posto particolare.
LA
RELAZIONE TRA CREAZIONE E SALVEZZA
Dio ha
creato dal nulla. Rimane evidente la unicità di Dio e la bontà di tutto il
creato, come l'unità di tutte le tappe della storia della salvezza. Dio ha
creato tutto per mezzo del suo Spirito, tutto si muove verso di lui e in lui ha
consistenza. L'uomo e il mondo hanno
senso da sempre nel suo progetto di amore e di salvezza. L'unico in cui tutto
sussiste e l’unico in cui tutto sfugge all’assurdo.
CREAZIONE
DEL MONDO E L’AUTONOMIA DELLE REALTÀ TEMPORALI
La
creaturalità è connotata da dipendenza ed autonomia, riconoscere la bontà della
creatura è riconoscere il creatore, al contempo riconoscere Dio come creatore
esige l'apprezzamento delle creature. Il mondo è dotato di leggi autonome, è
opera di Dio, è luogo di incontro con Dio. Il mondo essendo creato in lui,
conduce all'incontro con Dio. Ma, così com'è, va purificato, va salvato da
tutte quelle scelte di egoismo e di cattiveria che hanno ipotecato il destino
dell’umanità.
TUTTA
LA REALTÀ DIPENDE TOTALMENTE DA DIO.
Tutta
la realtà, in quanto l'uomo la trasforma, è riferita a Dio: il lavoro dell'uomo
compie il disegno di Dio, ed è un dono di Dio.
NO al
DUALISMO bene-male, sacro-profano,
ma assunzione
della realtà creata a strumento di salvezza, elevazione di tutto il cosmo per
mezzo dello Spirito.
LA
LIBERTÀ DELLA CREAZIONE
La
libertà umana è limitata e si appoggia alla libertà originaria, quella divina.
DIO CREA PER AMORE GRATUITO E AGISCE LIBERAMENTE. In Gen 1 abbiamo una linea
divisoria tra Dio e la creatura. Il Creatore trascende infinitamente la
creatura. Il mondo non perfeziona Dio, né ne è un'emanazione. In Dt 7.6 ss:
salvezza e creazione sono frutto della libertà divina. Dio ha creato la
libertà, per manifestare la sua perfezione, mediante questi beni egli si
partecipa alle creature.
LA
CREAZIONE DAL NULLA
In Gen
1: non c'è niente che possa opporre resistenza all'azione di Dio. Sap.9,1;
Sir.39,17; 42,15; 2Pt.3,5; Rm.4,7; Eb.11,3; Gc.1,18: attraverso la creazione,
si è compiuta una rivelazione ed al contempo è un appello all'uomo perché
risponda a Dio. IL FINE DELLA CREAZIONE è: " la gloria di Dio" e la
"felicità dell'uomo". La manifestazione di Dio e della sua bontà, il bene e la pienezza dell'uomo non sono
altro che Dio stesso. Indispensabile per l'uomo giusto è quindi la sofferenza e
la persecuzione. Presupposto e conseguenza della sovranità universale di Dio è
il fatto che non può esserci un qualcosa di indipendente da Dio, o sottratto al
suo dominio universale. Il caos, il diabolico, non sono mai un ostacolo, ma una
metafora plastica del non-essere. Il cielo e la terra, tutto può trovare senso
solo in Dio. * Vat I (DS 3025): tutto l'essere della creatura dipende
totalmente e assolutamente da Dio. NO alla GERARCHIA se non intesa come
servizio, perché tutto dipende da Dio. Nulla nelle creature ad immagine di Dio
è ontologicamente superiore o inferiore perché
l’io è nel mondo - il mondo è in Dio e Dio è in tutti.
L'INIZIO
TEMPORALE DEL MONDO.
Non c'è
tempo se non c'è la materia: la temporalità è il trasformarsi e l'avvicendarsi
delle creature. Il mondo ha avuto un inizio temporale. In sé l'idea di
creazione non implica l'inizio temporale della creatura: tutto il processo
dell'esistenza della creatura dipende totalmente e radicalmente dall'azione di
Dio, la cui costante presenza nel mondo si colloca su un piano trascendente: se
la realtà fosse 'da sempre', vorrebbe dire che da sempre dipende da Dio.
Compiuta l'opera, questa sussiste autonomamente e richiede la collaborazione
dell'uomo per compiersi. DIO crea continuamente. Ciò che crea sussiste
continuamente perché il suo creatore lo vuole. Dio è fedele alla sua opera, in
maniera sempre rinnovata, e colmata. Dio conserva e porta a termine ciò che ha
iniziato. Il fondamentale concetto di provvidenza: "Dio ha creato e dirige
il mondo con sapienza ed amore". Nell’AT abbiamo la fedeltà di Dio nel
guidare la storia e nell'attenzione agli uomini (Dt.4,19; Sal.22,9; Is.41). Dio
ha scelto l'uomo come partner nella edificazione del regno. Tutte le creature
si realizzano nel temposecondo la temporalità, perché il progetto di salvezza
consiste nel trascendere la temporalità con l’eternità. La divinità si incarna
nei giusti e nei saggi, questa incarnazione è l'assunzione in Dio della
temporalità e del cambiamento. Dobbiamo costruire e lottare per questo mondo se
vogliamo meritare ciò che lo trascende. IL CONCORSO DIVINO, Dio non è lontano, non si è ritirato, ma è
presente nel mondo. La creatura è libera e consistente è l’autonomia della sua
libertà.
L’AZIONE
DELL'UOMO in comunione con l’AZIONE DI DIO,
deve
essere sempre trascendente, mai concorrente, "sullo stesso piano
dell’amore". L'azione è tutta di
Dio, anche se non solo sua perché lo lasciamo agire in noi. Viviamo alla
costante presenza di Dio in tutto quello che facciamo. L'azione è tutta
dell'uomo anche se non solo sua: libertà umana in comunione con la libertà di
Dio. Queste due libertà agiscono insieme per costruire e realizzare la Storia
della Salvezza! Il male non è voluto da
Dio(viene permesso), ma nessun ambito gli è estraneo. Il male dunque proviene
dalla sua assenza, perché impegno prioritario di Dio nelle sue creature è
quello di custodire e di vigilare sulla loro libertà, affinché siano veramente
responsabili di tutte le loro azioni.
LA
CREAZIONE E L'AUTO-COMUNICAZIONE DI
DIO
DIO
ONNIPOTENTE: SENZA DEL QUALE NULLA ESISTE.
DIO
TRASCENDENTE: DEL QUALE NON SI PUÒ PENSARE NULLA DI MAGGIORE.
DIO
TOTALMENTE ALTRO: DEL QUALE SI PUÒ PARLARE SOLO PER ANALOGIA.
DIO
SANTO: FONDAMENTO DELLA LIBERTÀ E DELLA PERSONALITÀ.
DIO
AMORE: DISTINZIONE E UNITÀ. PERSONALITà E COMUNIONE.
-RIVELAZIONE DEL PADRE NELL'ANTICO
TESTAMENTO-
L'atteggiamento
di Dio è storico, non filosofico: il monoteismo giudaico si fonda
sull'esperienza degli interventi di Dio nella storia del popolo. Chi ha
compiuto con tanta potenza atti di salvezza deve essere anche il creatore del
mondo, il Dio dell'alleanza è anche il Dio creatore.
a. concretezza: Dio impegna con il suo popolo,
la Bibbia è la narrazione dei " magnalia Dei". Contano quindi non gli
attributi ma le sue opere e le sue parole, che le interpretano. La domanda non
è se Dio esiste ma: “Dio è con il suo popolo?”.
b. progressività e dinamicità della
rivelazione che si compie attraverso le opere, prototipo è l'esodo dall’Egitto.
c. gratuità: la Parola di Dio non è solo per
insegnare ma una profezia in rapporto con la salvezza. L’azione di Dio nella
storia degli uomini suscita l’adesione alla fede, il desiderio di conoscere la
fede attraverso lo studio della Scrittura, della storia, della filosofia e di
ogni scenza. Chiaro deve essere il senso del mistero della trascendenza divina
e dei limiti della ragione umana, come la
subordinazione della teologia alla contemplazione e alla carità. Dio per
mezzo di creature materiali, umane e per mezzo di angeli ha comunicato il suo
amore e il suo desiderio di salvezza nei confronti dell’uomo perduto. DIO È
TUTTO CIÒ CHE HA - Dio è l'essere stesso. LA SUA MISSIONE SI ATTUA PER MEZZO DEL
SUO SPIRITO che ci è donato, perché è il Dono per eccellenza. Diffonde nei
cuori l'amore, perché è l'Amore. Santifica il singolo fedele, perché è il
Santo. Costituisce la comunione di tutti i fedeli. Chi è fuori di una comunione
ecumenica è lontano e nemico di Dio nel suo fanatismo.
DIO SI
RIVELA ALL'UOMO! CONTEMPLARE DIO MEDITANDO LE REALTà TERRENE è POSSIBILE.
ATTRAVERSO QUESTA RIFLESSIONE SI COMPRENDE LA SUA: VERITÀ - BONTÀ - GIUSTIZIA -
AMORE - SAPIENZA.
-LA
RIVELAZIONE DI YHWH NELL'AT-
si esprime
attraverso l’esperienza di ABRAMO, di ISACCO e di GIACOBBE 1850 a.C-1750 a.C..:
che affrontano una difficile migrazione che va dalla Mesopotamia alla Palestina
Gen 12-36. Si rese nessario allora elaborare concetti umani per esprimere
l'Inesprimibile e per trasmetterlo ai propri discendenti: El (il re o padre
degli dei), Elyon (Altissimo), Sadday (Onnipotente), Olam (Eterno), al plurale Elohim, (per esprimere la potenza e la
grandezza). Gen 17,1-14. La Vocazione di ogni uomo è quella di essere chiamato all'espansione
vertiginosa del suo essere. Essa è rappresentata da Abramo che risponde e Dio
lo trasforma cambiandogli il nome: Ab [padre] ra [moltitudine] ham [popoli].
Abbiamo una estensione della sua paternità su tutta l'umanità, ed abbiamo la
circoncisione come un segno spirituale di appartenenza a Dio.
Nella
fase più antica, quella dei patriarchi, troviamo non il monoteismo
(=affermazione di un solo Dio) ma la monolatria (=adorazione di un solo Dio,
escludendo l'importanza ma non l'esistenza di altre divinità). Dai patriarchi a
Mosè, il nome di Dio è El (plur. Elohim), nome comune per designare la divinità
di tutti gli altri popoli vicini. Dopo Mosè, si usa il nome rivelato sul Sinai:
YHWH. E' un Dio che chiama ad uscire dalla "schiavitù", che dialoga e
che promette di impegnarsi per il futuro, misterioso, trascendente,
intransigente-geloso, un Dio personale, amico dell'uomo e di questo preciso
uomo, Abramo.
-IL DIO
DI MOSÈ-
1250 a.C.( Es.) Interviene a difesa del popolo schiavo e rivela il
suo nome: "Io sono colui che sono e sarò con te; Io sono e sarò con te,
perché pienamente e stabilmente Io sono colui che è". Dio è stabilità di
essere e di vita, Dio è unico ed è trascendente rispetto alla storia e ai
luoghi, Dio è presenza operante nel tempo.
STIPULAZIONE
DI UN'ALLEANZA SUL SINAI: il decalogo
DALLA
MONOLATRIA AL MONOYAHWISMO
Dopo
l’incontro personale tra Mosè e YHWH, per Israele gli altri dei sono nulla,
andiamo così verso il monoteismo pratico e teorico. YHWH dimostra di essere
fedele, ma non così l’uomo che cede di pronte alla prova. Il Dio di Abramo, di
Isacco e di Giacobbe è tre volte santo: sovranamente misterioso (Es.33,17-23),
moralmente perfetto (Es.11,44), misericordioso (Es.34,6), geloso (Es.20,1-11).
Grazie a YHWH Israele diventa un
popolo, nella libertà e nella solidarietà.
I
PROFETI RICHIAMANO IL POPOLO ALLA FEDELTÀ A YHWH
RAFFORZAMENTO
DEL MONOYAHWISMO- ELIA (800a.C.) ed ELISEO
1Re
18,17-40: Elia sfida con i sacerdoti di Baal sul monte Carmelo, mentre contro
il sincretismo (assemblaggio di varie teorie religiose) GIOSIA (621a.C.) attua
le riforme religiose. La purezza del rapporto con Dio è espressa da
Dt.6,4-5.14-15: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore
è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima
e con tutte le forze. Non seguirete altri dèi, divinità dei popoli che vi
staranno attorno, perché il Signore tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio
geloso; l'ira del Signore tuo Dio si accenderebbe contro di te e ti
distruggerebbe dalla terra".
YHWH
COMUNICA LO SPIRITO.
Quando
YHWH comunica, lo fa attraverso la parola e lo spirito. L'uomo è vivo perché
YHWH gli comunica il suo soffio: Sal 104. Grazie allo spirito, l'uomo può
essere interlocutore di Dio: nello Spirito si realizza la comunicazione e la
comunione tra Dio e l'uomo. Nello Spirito si realizzerà una nuova alleanza:
Ez.36,24-28 "porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere e mettere
in pratica le mie leggi". Una particolare effusione di Spirito è promessa
ad un Unto: Is.11,12: "Un
germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue
radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di
intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di
timore del Signore".
YHWH È PADRE
Os.11,1;
Ger.31,9. Non solo perché genera, ma perché liberamente sceglie Israele come
figlio. Amore paterno: hésed, fedeltà di due uomini che stipulano un'alleanza,
ed amore materno: rahamím, amore tra una madre e il frutto del suo grembo
(Os.11,8).
YHWH È
SPOSO.
Os
2,16-18.21-22.25; Ez 16,1-15; Is 62,5: "Sì, come un giovane sposa una
vergine, così ti sposerà il tuo creatore".
YHWH
SOFFRE COL SERVO SOFFERENTE E CON OGNI UOMO.
I
quattro carmi del Servo sofferente (a:Is.42,1-4; b:Is.49,1-6; c:Is.50,4-11;
d:Is.52,13-53-12), indicano che si tratta di una persona futura a cui è
affidato un ruolo di mediazione e di
espiazione, per la salvezza del popolo. YHWH è accanto alla sua sofferenza,
anzi in essa si realizza l’intimità della Sua presenza.
LA
RICERCA DEI SAPIENTI. 400-450 a.C. DANIELE.
L’incoraggiamento
nella tribolazione supera le apparenze, perchè Dio è il Signore del cosmo e
tiene saldamente in mano le redini della storia, conducendola all'adempimento
delle promesse. Mediatore è il "Figlio dell'Uomo": Dn. 7,9-10.13-14
(Schema
della Summa Theologiae di S. Tommaso d'Aquino)
Dio in
se stesso è unità. LA CREAZIONE è il frutto della esuberanza divina, gioiosa e
amorosa, gratuita. Dio infatti è misericordioso e donatore, bisogno e ricchezza
di riversare l’esuberanza della sua felicità; riversare se stesso. Dio ha
creato una ricchezza ordinata e completa. Per questo gli angeli, sono logici
sul piano intellettivo, perché rappresentano il normale prolungamento di tutto
il cammino evolutivo. Gli angeli sono puro spirito, posti al di la delle
categorie di spazio e tempo, o di necessità materiali. Poi abbiamo avuto
l'opera dei sei giorni, e con questa: l'uomo. Ora all’uomo, collaboratore di
Dio, si pone il compito di GOVERNO DEL MONDO e questo al fine di rendere reale
la sua libertà. L’uomo quindi è libero di gestire il mondo e se stesso. Ora
diventa conseguenziale pensare alla causa finale dell’uomo: DIO! FINE ULTIMO E
SUPREMA BEATITUDINE DELL'UOMO. Il godimento di Dio stesso rientra per l’uomo in
un progetto d’amore e rientra nella volontà divina di farsi dono per l’uomo.
Tuttavia, l’uomo ha bisogno dei MEZZI per il
raggiungimento di questo FINE. In particolare coloro che vivono la vita
dello spirito sono arricchiti di: virtù teologali, virtù cardinali, carismi,
vita attiva e contemplativa, stati di perfezione. Tutto questo viene seguito
dalle singole chiese monoteiste attraverso dei segni che preparano il credente
alla VITA ETERNA. Nell’opera della creazione distinguiamo sia le creature
puramente spirituali: angeli (qq. 50-64) o demoni; sia le ceature puramente
biologiche o puramente corporali: l'universo (qq. 65-74); sia in ultimo l'uomo:
composto di spirituale e corporeo qq. 75-102. Dio si impegna alla conservazione
delle creature (qq. 103-119) attraverso la collaborazione dell’uomo, ma questi
spesso accecato dal suo orgoglio diviene tanto stupido da sceglie la
collaborazione del suo invidioso antagonista: il demonio. Analizziamo i vari
stadi della vita spirituale vissuta nell’amicizia con Dio. L’incontro di queste
due coscienze libere e buone genera tutta una serie di frutti spirituali, sia
per qualità che per intensità a seconda dell’amore che attira sempre più la creatura
al suo creatore.
A. Virtù teologali (con vizi e doni)(qq.1-46)
1.
fede/incredulità; 2. speranza/disperazione; 3. carità/egoismo.
B. Virtù cardinali (con vizi e
doni)(qq.47-170)
1.
Prudenza; 2. Giustizia; 3. Fortezza; 4. Temperanza.
C. Grazie liberamente date (qq. 171-178)
1. per
la conoscenza; 2. per parlare; 3. per
miracoli.
D. Forme di vita (qq. 179-182)
1.
contemplativa; 2. attiva; 3. mista.
L'UOMO
ALLA LUCE DELLA PAROLA DI DIO
L'ANTICO
TESTAMENTO è in Gen 1,26-27 un inno a Dio Creatore. I sette giorni della
creazione sono una liturgia della luce che si compie e si rivela. Dio è autore
della realtà ed essa è buona. Il mondo è il grande cantiere, ed il grande
tempio di Dio. L'uomo è posto in relazione con Dio perché è a sua immagine e
somiglianza. L'uomo è costituito da varie relazioni: relazione sociale (non
all’insegna della sopraffazione reciproca) con inizio nel rapporto
maschio-femmina; relazione cosmica perché è chiamato a dominare la terrra, ma
nell'obbedienza al volere di Dio; relazione storica come fedeltà alla
creazione, cioè all'opera iniziata da Dio e come luogo e presupposto
dell'alleanza con Dio.
L'UOMO
IN DIO
DIO
ABITA IN NOI PER CONDURRE E DIFENDERE LA NOSTRA VITA E PER AIUARCI A SUPERARE
LE DEBOLEZZE DELLA NATURA CADUTA E INTRODURCI ALLA VITA DIVINA.
L'ADULTO
DEVE PREPARARSI A RICEVERE QUESTA COOPERAZIONE ATTRAVERSO LA FEDE.
PER
QUESTA PARTECIPAZIONE DIO CI DÀ LA REMISSIONE DEI PECCATI, IL RINNOVAMENTO
DELL'UOMO INTERIORE, LA SANTIFICAZIONE E LA FIGLIOLANZA.
IL
RINNOVAMENTO INTERNO È UN OBBLIGO DI OGNI VITA ONESTA. IL CREDENTE CERCA DI
ESSERE PERFETTO COME IL PADRE CELESTE, E LOTTA CONTRO LA CONCUPISCENZA A CAUSA
DEL DONO DELLA VITA ETERNA.
DIO
VUOLE LA SALVEZZA DI TUTTI. PERCIÒ VUOLE CHE TUTTI ARRIVINO ALLA ATTUAZIONE
DELLA VERITÀ.
MA
CONCEDE LA SUA BENEVOLENZA A TUTTI QUELLI CHE VIVONO SECONDO LA LORO ONESTA
COSCIENZA.
DALL’ESPERIENZA
UMANA SU DIO DEDUCIAMO: Dio è il principio universale ed unico, dinamico e
intelligente che governa il mondo e gli uomini. DIO è IL PUNTO DI CONVERGENZA,
la coscienza evolutiva di tutte le ricerche umane sulla divinità, comunque
fondate su un dato rivelato. Le religioni hanno sempre cercato risposte agli
interrogativi ultimi dell'uomo, alla luce di un mistero che è al di là delle
cose; con l'intuizione di un Altro che è oltre il sensibile materiale.
Nelle
Religioni monoteistiche si afferma un Dio unico, creatore, personale e buono,
che entra in dialogo con l'uomo, queste sono: Giudaismo, Zoroastrismo,
Cristianesimo, Islam, Alcune forme di induismo.
Tensioni
del monoteismo:
-1.
rendere vicino il trascendente con la presenza nell'uomo.
-2.
colmare la distanza uomo-Dio attraverso mediatori.
-3.
trovare fuori di Dio le radici del male.
-4.
armonizzare la sovranità di Dio e la libertà dell'uomo.
-5.
necessità di categorie per raffigurare il Totalmente Altro.
L'ateismo
e le quasi religioni: [GS 19-21]
"L'ateismo va annoverato tra le realtà più gravi del nostro tempo": -
Dio non c'è; - c'è, ma non siamo in grado di dire niente di lui; - non serve,
non ha senso; - c'è, ma è molto diverso dal Dio del Vangelo; - se c'è il male
Dio non c'è, o non è buono, o non è più potente del male; - Dio è incompatibile
con l'autonomia della natura.
panteismo:
identificazione tra Dio e mondo (G. Bruno, B. Spinoza).
deismo:
- Dio
'orologiaio', tanto trascendente da non agire nel mondo(Th. Hobbes, J. Locke);
- Dio è
un ostacolo allo sviluppo umano, è una proiezione dell'uomo (S. Freud);
- Dio è
una proiezione dei rapporti socioeconomici (K. Marx);
- Dio è
una proiezione del risentimento contro la vita (F. Nietzsche).
Condannare
l'ateismo non è sufficiente, occorre dialogare con gli atei. I punti fermi del
credente sono:
1- Dio non si oppone alla dignità dell'uomo,
ma ne è il fondamento;
2- La speranza dell'aldilà non esonera
dall'impegno nel mondo, ma lo esige;
3- Esporre le ragioni della fede e dare una
testimonianza luminosa.
Le
quasi-religioni sono:
Scienza,
ideologia, politica, progresso, società perfetta, arte. Se assolutizzati sono
tutti idoli che conducono ad uno sviluppo parziale della persona riducendola al
raggiungimento della carriera, del potere, ecc... insomma, di obbiettivi
inferiori.
ESPERIENZA
E CONOSCENZA DI DIO
L'ESPERIENZA
RELIGIOSA. La conoscenza di Dio deve basarsi sull'esperienza. Bisogna
discernere e non confondere la presenza di Dio, con la percezione della
presenza di Dio (LO SPIRITO DIABOLICO SPESSO SI TRAVESTE AL FINE DI INGANNARE E
DI DARE UNA DISTORTA ESPERIENZA DI DIO, AFFINCHè LE ANIME, INTIMORITE NON SIANO
ATTRATTE DA DIO COME INVECE è NATURALE). L'esperienza religiosa è autentica
quando è sempre storicizzata e verificata dalla relazione uomo-mondo, e quando
non è mai data per definitiva, senza parzialità, ma con una apertura che è
ascolto dei tempi e servizio all'uomo.
IL
SACRO è dato sia dall'esperienza indiretta, che da quella diretta. Ci si apre
al sacro attraverso:
l’esperienza che io sono unico e
irripetibile;
l'esperienza dell'ordine e del disordine, che
si constata in sé e nel mondo;
l'esperienza del mio limite e
dell’inesauribilità dell’universo;
l'esperienza del mistrero della transitorietà
e relatività delle vita;
l'esperienza della:
gioia-dolore-angoscia-conforto-fedeltà-noia-morte.
Da
tutto ciò è comprensibile come l'uomo abbia l'aspirazione all'infinito, l'uomo
come tale è apertura al mistero. L'uomo è colui che interroga la propria
realtà. L'orizzonte dell'uomo è un mistero, esso è fondamento della sua
esperienza, della sua ricerca. Mistero significa non solo enigma, ma
soprattutto armonia di contrasto, ambivalenza... CONOSCENZA DI DIO è il nome
che possiamo dare a questo mistero, a questo evento personale! Dimostrare Dio è
al tempo stesso un invito motivato a
credere nella libertà e a comprendere le dimensioni dell'amore a cui un uomo
può spingersi.
KARL
RAHNER E IL SECOLO VENTESIMO (rielaborazione libera e personale)
La
teologia non si compie nella ripetizione automatica e neutrale del kerygma
(MESSAGGIO RIVELATO), ma vive della corrente che, senza mai cessare, dal dato
della fede come custodito dalla Comunità dei credenti, fluisce al contesto
culturale in cui l'annuncio deve essere nuovamente posto, attraverso la
mediazione del teologo che -vivendo la propria personale esperienza di fede
all'interno di una determinata comunità ecclesiale ed esercitando il proprio
ministero a servizio di essa- interpreta la memoria ufficiale dell'evento, per
tradurlo nelle categorie dell'ambiente a cui è diretto. Si realizza così un
pluralismo teologico, nelle sue varie espressioni. Non ci stupiremo, pertanto,
se anche ad una questione apparentemente astratta, avvolta nel freddo cristallo
della speculazione, e dunque insensibile al corso della storia, siano invece
state date risposte diverse, ma non opposte, nello svolgersi dei secoli.
Interpelleremo dunque il XX secolo sul quesito oggetto della nostra ricerca,
approfondendo in modo specifico la posizione di Karl Rahner(Riguardo al
panorama teologico del secolo ventesimo segnaliamo, nell'abbondante
bibliografia, R. V. Gucht - H. Vorgrimler (edd.), Bilancio della teologia del
XX secolo, Roma 1972; A. Marranzini (ed.), Correnti teologiche post-conciliari,
Roma 1974; D. Ford (ed.), The Modern Theologians. An Introduction to Christian
Theology in the Twentieth Century, Oxford - New York 1989; C.E.R.I.T. (ed.), I
Cristiani e le loro dottrine, Brescia 1990; R. Gibellini, La teologia del XX
secolo, Brescia 1992. Per lo sfondo culturale e filosofico, N. Abbagnano - G.
Fornero, Storia della filosofia, IV: La
filosofia contemporanea, Torino1991). Preliminarmente dobbiamo però notare che
sulla trama complessiva della teologia odierna si possono individuare due
approcci al discorso su Dio. Un primo
approccio, che potremmo definire "dall'alto", manifesta sfiducia
verso il parlare umano su Dio. Occorre lasciare che sia Dio a parlare di se
stesso, rispettando intatta la sua alterità, cioè in ultima analisi la sua
divinità. È evidente dunque che il primato assoluto venga conferito al dato della
Rivelazione, custodito nella memoria vivente della Chiesa. Il metodo ha uno
stile piuttosto deduttivo, che parte cioè dalle premesse della Scrittura o del
Magistero e ne sviluppa tutte le possibili implicazioni. Nel cammino dal noto
al meno noto, resta tuttavia un pò in ombra la ricchezza della storia col suo
vivo travaglio e il pluralismo di interpretazioni concorrenti che già nel dato
normativo possono essere rintracciate. Si annodano attorno a tale corrente
Barth, Bonhöffer, von Balthasar. Nel Magistero cattolico tale approccio viene
adoperato ad esempio dalla Lumen Gentium. L'altro approccio è invece "dal
basso", sottolinea l'apertura all'assoluto e rappresentano in qualche modo
una predisposizione a riceverne l'irruzione. Si sottolinea ora il contesto,
l'ambiente storico, culturalmente e geograficamente caratterizzato, in cui il
kerygma(messaggio di salvezza) dev'essere incarnato. Nello stile induttivo di
tale metodo prevale un atteggiamento più ottimista nei confronti della cultura
e dell'esperienza, una disponibilità fiduciosa a coltivare il dialogo e a
restare in contatto con la realtà. Possiamo additare in Schleiermacher il primo
anello moderno di una tale linea, Gogarten e Theilard de Chardin, per arrivare
sino alla teologia della liberazione dei giorni nostri. Nell'ambito
magisteriale, è un bel campione la Gaudium et Spes (Cf. le considerazioni sul
metodo in J. Dupuis, Introduzione alla cristologia, cit., spec. 12-16.).
La figura e l'opera di KARL RAHNER
(Liberamente
sintetizzato e rielaborato)(Cf. per una biografia soprattutto intellettuale H.
Vorgrimler, Comprendere Karl Rahner. Introduzione alla sua vita e al suo
pensiero, Brescia 1987. Interessante è anche l'intervista a sfondo biografico a
cura di M. Krauss, La fatica di credere, Roma 1986.) Il metodo trascendentale di Karl Rahner: nella teologia di Rahner alcune potentissime intuizioni
determinano una struttura concettuale assolutamente unica per originalità e per
la fecondità degli sviluppi possibili. Anche Heidegger sottolinea che l'interrogativo
fondamentale della metafisica, quello sull'essere, è contemporaneamente anche
un interrogativo su colui che pone la domanda, e dunque sull'uomo. Alla luce di
tali premesse, Rahner sostiene che gli enunciati fondamentali della fede non
possono essere presentati in un modo estraneo alla mentalità e alla cultura
dell'uomo contemporaneo, perché comunque nelle affermazioni di fede l'uomo
viene co-affermato. Ogni affermazione su Dio è infatti anche un'affermazione
sull'uomo. Il metodo trascendentale significa dunque tenere presenti le
strutture antropologiche, per rendere più comprensibili i contenuti teologici;
"significa chiedersi di fronte a qualunque oggetto dommatico anche quali
siano le condizioni della sua conoscibilità nel soggetto" (K. Rahner, Teologia e antropologia, in:
Nuovi Saggi III, Roma 1969, 47.).
Ci si
pone con la Rivelazione alle spalle, e alla luce della Rivelazione stessa si
scoprono le corrispondenze tra la Parola di Dio e la struttura di colui che è
destinato ad esserne l'uditore[i chiarimenti in rapporto alla cristologia, ma
generalizzabili all'intera opera rahneriana in J. Dupuis, (Introduzione alla
cristologia, cit., 41. Cf. anche K.-H. Weger, Karl Rahner. Eine Einführung
in sein theologisches Denken, Freiburg)]. Accorgersi della corrispondenza tra il soggetto e
l'oggetto della teologia aiuta a intendere meglio entrambi:
1. L'uomo. Viene inteso non in senso
astratto, ma specifico e quotidiano: l'uomo come ciò che è ciascuno di noi, nel
modo in cui ci sperimentiamo a partire dalla nostra interiorità o dal contatto
con gli altri. Ora, l'uomo è definibile in molti degli elementi singoli da cui
risulta costituita la sua identità, e le scienze moderne hanno registrato progressi
vertiginosi nella scrutazione degli svariati aspetti particolari. Rimane però
indefinibile nella sua essenza, insuscettibile di essere circoscritto in ciò
che ne qualifica l'identità profonda. L'uomo è per essenza un mistero, non però
nella forma originaria di questo, ma in quanto orientato a questo. L'uomo è
dipendenza dal mistero nella sua pienezza, è orientamento al Dio
incomprensibile, e in tanto può comprendere se stesso, in quanto sviluppa tale
radicale dipendenza col "Santo Mistero" che è Dio. "La
trascendenza che noi siamo e facciamo, avvicina l'esistenza nostra e di
Dio entrambe come mistero" (K.
Rahner, op. cit., 99. Il mistero non va qui inteso come un enigma in attesa di
soluzione, ma come un dato che esiste proprio in qualità di impenetrabile, e da
accettare nell'amore. Cf. K. Rahner, Sul concetto di mistero nella teologia
cattolica, in Saggi teologici, Roma 1965, 391-465.). Se dunque la natura umana
è definibile come indefinibile, come dipendenza radicale dal mistero di Dio,
tanto più essa si realizza quanto più si sviluppa nella propria apertura
all'Incomprensibile. L'uomo tanto più diventa se stesso, quanto più si apre a
Dio. "Ma questo appunto accade e riesce in misura insuperabile e nel
rigore più radicale, quando questa natura donandosi al mistero della pienezza è
così privata di sé da divenire Dio stesso. L'incarnazione di Dio è perciò
l'unico caso supremo della realizzazione essenziale della realtà umana,
realizzazione consistente nel fatto che l'uomo è, donando completamente se stesso"(K.
Rahner, Teologia dell'incarnazione, cit., 101-102.). La capacità di ricevere
Dio costituisce l'essenza dell'uomo e giunge ad esplicarsi nel grado massimo
nell'unione ipostatica, ove non soltanto l'uomo si apre a Dio, ma Dio prende in
sé l'uomo. Tra l'unione ipostatica e l'auto-comunicazione divina nella grazia e
nella visione beatifica intercorre una differenza che investe non il contenuto
promesso, ma il latore e i destinatari della promessa [K. Rahner, La cristologia nel quadro di una concezione evolutiva
del mondo, cit., 178: "l'Unione Ipostatica (...) non si differenzia dalla
nostra grazia per via di quanto in essa è espresso, che è in entrambi i casi
(anche in Gesù) la stessa identica grazia, ma proprio per il fatto che Gesù
costituisce la profferta fatta a nostro vantaggio; e noi a nostra volta, non
siamo tale profferta, bensì i beneficiari della profferta di Dio"].. Rahner avverte a questo punto l'insorgenza
di due pericoli. Il primo è quello di ritenere che l'incarnazione sia un
qualcosa di deducibile a priori, indipendentemente da un’atto soprannaturale.
Il secondo pericolo è credere che l'unione ipostatica possa realizzarsi in ogni
uomo. Entrambe le tentazioni vanno respinte. Resta però vero che l'uomo si
colloca in attesa dell'avvenimento che in Dio stesso conduca a compimento la
propria natura. Egli scorge nella propria struttura una tale profonda
aspirazione, e resta in preghiera perché questa venga colmata. Così che quando
i suoi occhi incontrano gli occhi di Dio, l'uomo scopre un evento imprevedibile
rispetto al 'come', al 'dove', al 'quando', ma non rispetto al 'che cosa'.
2. Il divenire di Dio. La fede professa Dio
come colui che è, insuscettibile di
divenire, perché non bisognoso di conseguire per mezzo del mutamento, nel passaggio
dalla potenza all'atto, ciò che egli già eternamente è. Tale fede, ch’è anche
una tesi di filosofia teista, non si scontra col dato biblico, perché Dio entra
nella storia degli uomini, le due storie si incontrano e si incarnano, da
quest’incontro nasce: LA STORIA DELLA SALVEZZA.
"La storia dello sviluppo di questa
realtà umana diviene la Sua storia, il nostro tempo il tempo dell'eterno, la
nostra morte la morte dello stesso Dio immortale" ( K. Rahner, Teologia
dell'incarnazione, cit., 108. Il corsivo è nel testo). La precomprensione
filosofica di Dio, descritto da una metafisica di attributi astratti, deve
piegarsi alla realtà che Dio stesso di sé rivela nella storia della salvezza.
3. L'uomo come cifra di Dio. Ebbene, la
creatura è la grammatica di una possibile autodichiarazione di Dio, "Di
qui si potrebbe definire l'uomo come ciò che sorge allorché l'autoespressione
di Dio, la sua Parola, il verbo abbreviato di Dio. L'abbreviazione, la cifra di
Dio è l'uomo. Se Dio vuol essere non-dio, sorge l'uomo, proprio lui e
null'altro". Giunge così a felice compimento il proposito rahneriano di
mostrare che l’uomo credente non solo non si contrappone a Dio, ma annuncia Dio
come il fondamento e il compimento assoluto dell'uomo.
Il dato
di fatto dell'esistenza del dolore umano è un punto cardine di ogni filosofia e
di ogni religione. Constatiamo come il cosmo non è fatto solo di ordine ma
anche di disordine. Ma una visione troppo positiva dell'essere divino, ed
estranea alla pur minima negatività, cioè un Dio che appare radicalmente
estraneo al disordine e alla morte, e radicalmente legato invece alla
compostezza della quiete e dell'ordine, pone degli ulteriori interrogativi. Se
la sofferenza umana non viene da dio, qual'è il senso peccato-sofferenza-morte.
La conclusione è ovvia: scegliere il peccato significa scegliere il proprio
male, l'origine del male esistente nella nostra storia non è da ricercare in
Dio, bensì nella libertà dell'uomo. L’illusione dell'uomo di fare da sé, di bastare
a se stesso. Il dolore è la 'cifra' dell'uomo e della sua peccaminosità.
LA
SOFFERENZA UMANA È LEGATA ALLA LIBERTÀ E AL PECCATO DELL'UOMO.
Una
sofferenza che dipende dalla cattiveria, dalla disattenzione, dall'incuria
dell'uomo, frutto di un atteggiamento egoistico. O nella migliore delle ipotesi
una sofferenza legata al limite dell'uomo, al suo essere incapace di provvedere
a tutto. Ma la sofferenza non è sempre il castigo di Dio per il peccato
dell'uomo, avvolte rappresenta il premio d’amore concesso all’innocente che con
la sua offerta permette il recupero di chi si era perduto. Dobbiamo essere
attenti alle nostre responsabilità verso il dolore innocente esistente?
ANCHE
SE LA SOFFERENZA UMANA DERIVA DAL MALE. Il male esistente nel mondo non è ineluttabile,
non ci si deve rassegnare, non deriva da qualcosa di assoluto e inevitabile.
Dio non è un burattinaio, l'uomo non è un burattino. Ciò che Dio veramente
permette e vuole è precisamente anche l'autonomia del cosmo e delle sue leggi,
la libertà dell'uomo. La Provvidenza agisce all'interno della libertà, che
l'uomo è chiamato a vivere responsabilmente.
AUSCHWITZ sembra essere una tesi
dell'ateismo, ma questa tesi non risolve il problema: lo dissolve. La protesta
contro la sofferenza è sensata solo se si sente che la sofferenza non dovrebbe
esserci.
[Dio
non vuole la sofferenza, la permette solo perché ha dotato l’uomo di libertà.
La libertà dell’uomo quando si incontra con la libertà di Dio colloca la
sofferenza sempre in un progetto d’amore, così amore e sofferenza rappresentano
un binomio inscindibile.]
IL
MONDO ESISTENTE è la dinamica azione dell'opera di Dio, il quale chiama l'uomo
a collaborare, quindi la creazione di Dio necessita della libertà dell'uomo,
affinchè si instauri la vittoria sul male e sul disordine. Certo questa libertà
imperfetta e limitata, può essere usata male, ma la tensione è sempre verso il
progetto escatologico di Dio, cioè una creazione continua che va verso il suo
compimento definitivo. DIO è comprensibile non primariamente a partire
dall'ordine dell'universo, ma a partire dalla storia della salvezza: Dt 26,5
ss.
LA
SOFFERENZA UMANA E IL PROGETTO DI
REDENZIONE
Normalmente
non occorre cercare il dolore, ma accettarlo per amore. Gesù, infatti, non ha
cercato direttamente la sofferenza, ma l'ha combattuta. Ha accettato la
sofferenza che nasceva dalla lotta contro la sofferenza: la croce di Gesù è il
prezzo inevitabile purtroppo della fedeltà e dell'amore. La croce è la risposta
del mondo a chi lotta per la pace e la giustizia.
NON
SOLO SOPPORTARE IL DOLORE, MA COMBATTERLO
Combattere
il peccato per alleviare la sofferenza, questo è il compito della civiltà. La
speranza cristiana non si edifica sulla
rovina dei beni materiali, ma ha bisogno di questi, per portare a termine la
sua missione. Chi non ama la vita, non può amare né Dio né il prossimo. Mc 8,31
ss: “è necessario che il Figlio dell'uomo soffra molto... perchè possa
compiersi la salvezza”. Gli uomini attribuiscono a Dio la sofferenza, Gesù
insegna a riconoscerla come opera del
maligno e non del Padre.
NON
SOLO COMBATTERE IL DOLORE, MA "COMPRENDERLO"
Gesù
non ha cercato direttamente la croce, ma incontratala l'ha assunta. Il
sofferente che grida nell'agonia è in Dio. Eb 2,18; Eb 5,7-9. L'ONNIPOTENZA DI
DIO, appare anche come un'onipotenza crocifissa: non quella dello strapotere,
non quella della bacchetta magica, ma quella che creerà la libertà e
l'autonomia dell'uomo. Certo la potenza di Dio può imporsi contro ogni cosa, ma
non dobbiamo dimenticare che ci troviamo di fronte alla potenza dell'amore, che
dà spazio all'uomo e al mondo nella libertà e si prepara per il giudizio,
ovvero per il castigo o il premio. Un'onnipotenza risuscitante, (per questo le
vittime del male sembrano in apparenza perdenti) che dalla motre sa far
scaturire la vita: apre prospettive lì dove l'uomo sofferente e miope non ne
vede alcuna. Attraverso la responsabilità e l'impegno, l'onnipotenza della
condivisione apre dimensioni immensamente inimmaginabili. LA GIUSTIZIA DI DIO
si impegna anche su questa terra a 'dare a ciascuno il suo' ed a mantenere gli
impegni assunti con i suoi amanti. Divina nasce la vita dall'amore perchè esso
è a misura di Dio. Il nostro compito è credere e testimoniare che l'amore è
presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni forma di male. Il
peccato è il tentativo non riuscito di scardinare il piano di Dio, ma questo è
impossibile per il fatto che il peccato è avvolto in un amore più grande: il
perdono. Scardinare il piano di Dio è impossibile, scardinarsi però dal piano
di Dio è tragicamente possibile per il rispetto che Dio ha della libertà
dell'uomo. In Eb 12,5-11 si afferma: "Non è un Dio ostile, ma un Padre che
ama". In Gc 1,13 si afferma: "L'amore di Dio non mi protegge da ogni
sofferenza, ma mi protegge in ogni sofferenza".
ATEISMO
IN NOME DELL’AUTONOMIA DELL’UOMO
-
Immanuel Kant fa di Dio solo un bisogno psicologico, giunge così a negarne
l’esitenza. “La libertà dell’uomo, la sua aspirazione di felicità si colmano
soltanto in Dio; ma ci basta il Dio per noi, non ci serve il Dio in sé”.
- Per
L. Feuerbach, l’alienazione dell’uomo si proietta nell’idea di Dio. La prova
della mia esistenza mi viene solamente dai sensi, ed esistere in pienezza è
faticoso. Per superare questa fatica l’uomo religioso si inventa un Dio,
proiettando in uno Spirito illimitato l’angoscia per il proprio limite, il
proprio vuoto in un Dio ricco, la paura della morte in un Dio vivo, la mancanza
d’amore in un Dio amante ed amabile, l’ingiustizia sociale in un aldilà di
giustizia e beatitudine: ciò che l’uomo non è ma desidera essere, è il suo Dio.
Anziché ripiegarsi su se stesso, l’uomo deve uscire e rivolgersi all’altro
necessariamente “Homo homini Deus”. Dall’egoismo soprannaturale si deve passare
all’altruismo naturale, filantropico e umanitario.
- K.
Marx, La religione oppio dei popoli. Non tanto Dio, la cui non esistenza si da
per scontata, quanto la religione è una minaccia per i popoli che sono l’unica
e la vera religione di se stessi. L’uomo deve conquistarsi la salvezza, senza
attendersela da nessuna fonte. Provvisoriamente può essere utile, perché
esprime figuratamente il disagio dell’uomo, e può indirizzarlo nella stessa
direzione verso cui lo spinge la rivoluzione. Ma può anche impigrirlo,
lasciandolo in una felicità illusoria, appunto come oppio dei popoli. Dio non
merita neanche il disprezzo, gli si offre la micidiale indifferenza. Dio è
taciuto, si parla (materialismo dialettico) della materia -natura vivente- processo di antagonismi e armonie, che porta
all’umanizzazione dell’uomo e alla naturalizzazione dell’umanità. Soggetto
della salvezza è il proletariato, modello è la società senza classi. Dunque,
poiché l’uomo è creatore di se stesso, l’ateismo è una premessa indispensabile
all’utopia marxista. Il marxismo è stato un incendio perché:
1. è stata occultata l’eredità biblica, il
primato dell’uomo sul capitale;
2. la chiesa ha visto il disagio sociale in
modo caritativo e non strutturale;
3. la chiesa e la società non hanno elaborato
quelli strumenti indispensabili per venire incontro alle frustrazioni delle
classi operie ed ai loro legittimi diritti. Così trovandosi esagerata la
dimensione sociale; la problematica
dell’individuo è stata liquidata! Liquidato l’individuo, si è liquidato l’uomo
ed anche Dio, anche lui infatti è un individuo.
-
Nietzsche, Il superuomo al di là del bene e del male. Dio è legato alle
proibizioni che frustrano la vitalità dell’uomo, si muovono critiche e
obiezioni sul piano intellettuale, ma soprattutto su quello esistenziale. Si
rifiuta la metafisica, invenzione di Platone che ha creato un Dio-idea,
supremo, immobile, lontano. L’Ebraismo ha aggiunto un fardello di legalismo e
moralismo. Questa è la religione della massa: il Cristianesimo, che altro non è
che il platonismo del popolo. In realtà il Dio sulla croce è visto come
maledizione della vita e come limitazione delle sue espressioni. Secondo
Nietzsche le masse non seguono lui, secondo i cristiani invece non c’è una
sovranità superiore. Ma Gesù è stato una persona eccezionale, ha vissuto in
pienezza l’amore, altro che limitazione del proprio essere, nessuno ha una
pregnanza ed una espressività vitale come la sua. Dietro di lui tanti cristiani
eccellenti, come l’idiota di Dostevskij, e hanno dato senso all’umanità con il
loro amore innocente hanno permesso un futuro alla loro stanca ed assurda
quanto disumana società.
NICHILISMO:
per Nietzsche non esiste alcuna verità, Dio è morto. Per vivere in pienezza ed
in libertà è indispensabile solo l’ingegno di un SUPERUOMO che crei il senso a
partire dal niente, con la sua volontà di potenza: al di là del bene e del
male, gettandosi tutte le alienazioni alle spalle. Aneliamo pure a DIO, ma un
Dio nuovo, un Dio che sappia danzare: non Zeus, non JHWH, ma Dioniso, questo è
il Dio di cui abbiamo bisogno.
Critica:
il nichilismo è solo una conseguenza dell’ateismo, però il problema di Dio non
è risolto, si critica un’immagine di Dio, ma si anela intensamente ad un altro
volto di Dio. Ci chiediamo:
1. Come
si può rinunciare all’ontologia per la mitologia?
2. Come
si può non determinare e non decidere tra il bene e il male?
3. Come
accettare un Dio morto, che non abbia una via di salvezza per l’uomo?
- S.
Freud, «Dio, una proiezione dell’inconscio»: La religione è nociva all’uomo
adulto ed evoluto. Nell’uomo c’è l’inconscio, questo è anteriore all’io
cosciente. Come da bambini c’è bisogno di appoggiarsi al padre, per poi
emanciparsene, così può essere anche
utile Dio in una prima fase, ma poi bisogna staccarsene, altrimenti ritarda lo
sviluppo normale e costituisce una patologia.
Critica:
1. Non sembra che tutti gli uomini e le donne ‘religiosi’ siano stati degli
psicopatici; al contrario, hanno promosso l’umanizzazione del mondo; 2. Dio è
soltanto una proiezione dell’inconscio umano? Non ci sono spazi per il contatto
con una realtà ‘oggettiva’? Dove nascondere quella incredibile produzione
culturale e umanitaria su cui si è potuta costruire la nosta modernità? 3.
Quale ideale antropologico presentare per la promozione dell’uomo? L’uomo riuscito bene per Freud è solo
un’animale sano e consapevole di essere solo un animale?
-
Camus, «Dio e il problema del male». Già Diagora di Melo V secolo a.C. aveva
negato gli dèi con lo stesso procedimento deduttivo. Se Dio c’è, e c’è il male,
o non è buono, o non è onnipotente. Dio non c’è, perché c’è il male! Sul piano
esistenziale la vita è insensata, sul piano fisico sono assurdi il dolore e la
sofferenza e ad essi non può esserci riscatto, sul piano morale la menzogna, la
violenza e l’ingiustizia hanno una prevalenza. Critica:
1. -
occorre prendere visione dell’esistenza del male;
2. - ma
occorre adottare delle misure per ridurlo efficacemente;
3. - si
cerca la salute, più che la salvezza, ma la salute è un bene effimero;
4. -
una santità senza Dio? Ma la santità come produzione dell’uomo è crudele.
STILE
DELLA RISPOSTA ALL’ATEISMO
L’ateismo,
chiarisce certe rappresentazioni che ci facciamo di Dio, ma non ci dice niente
su Dio, sostituisce Dio con l’umanità. Ma è proprio questa finitudine costitutiva
che spingerebbe l’uomo alla ‘proiezione’ per superare le sue paure, creandosi
un Dio. Ma proprio questa finitudine è l’indice che l’uomo non è sufficiente a
se stesso. Questa finitudine dimostra proprio che l’antropologia non può
sostituire la teologia. Pio IX nel Sillabo condanna il panteismo, il deismo e
l‘indifferentismo; nel Dei Filius, condanna l’ateismo.
-MODELLO
APOLOGETICO:
1 -
Controbattere colpo su colpo, 2 - Motivare la fede (apologia),
3 -
Antico Testamento: (Sal 14,1; 10,4; 36,2 / Sap 13,5),
4 -
Nuovo Testamento: (Rom 1,18-20 / At 14,14-16; 17,26-29 / Ef 2,12; 4,17-19).
L’ateismo
è il non riconoscere il vero Dio, per questo è sempre un’atto d’idolatria.
S.
Anselmo: “se si concepisce Dio, egli deve essere esistente”.
S.
Tommaso: “per la salvezza è necessaria una fede esplicita”. La mancanza di fede
è sempre una condizione colpevole, perchè a tutti Dio concede una illuminazione
interiore. L’uomo adulto, nella sua maturità deve riflettere spontaneamente su
argomenti di natura esistenziale, così facendo, la grazia lo condurrà
spontaneamente alla fede.
-MODELLO
DIALOGICO: proposto dal Vaticano II, GS 19-22
1 - Chi
non segue coerentemente la propria coscienza, è in colpa;
2 -
Anche i credenti possono dare scandalo;
3 -
Occorre dialogare con gli atei, cercando di comprendere le loro ragioni;
4 - Dio
non si oppone alla dignità dell’uomo, ma ne è il fondamento;
5 - La
speranza dell’aldilà non esonera dall’impegno nel mondo, ma lo esige;
6 -
Esporre la dottrina cristiana e darne una testimonianza luminosa.
E’
necessario dare una descrizione differenziata dell’ateismo, ed è opportuno fare
attenzione agli impulsi positivi. Dobbiamo riconoscere con umiltà i nostri
errori storici e come credenti i nostri tradimenti verso Dio e verso gli
uomini. Un vero “Mea culpa dei cristiani” perchè il vero volto di Dio può
essere nascosto proprio da noi che abbiamo il dovere di rappresentarlo. Se la
conoscenza di Dio è razionale, essa è anche esperienziale. Ed è l’esperienza a
dirci che senza Dio, l’uomo non è riuscito.
-MODELLO
DIALETTICO:
K.
Barth elabora il modello dialetico, ci troviamo nel contesto pessimistico della
seconda guerra mondiale. Fra Dio e il
Mondo c’è assoluta alterità. D.
Bonhoeffer esprime l’aspetto positivo dell’ateismo che libera lo sguardo
dell’uomo, e gli permette incredibilmente di giungere al Dio biblico, quando le
sovrastrutture religiose e sacrali ve lo hanno addirittura allontanato. Si apre
una nuova concezione positiva dell’ateismo chiamato Ateismo Cristiano o
Teologia della morte di Dio. Dobbiamo vivere
come se Dio non ci fosse, per poter giungere a Lui come una scoperta
personale. Dio ha voluto l’uomo capace di una risposta libera, e dunque la
responsorialità nella fede presuppone anche una responsorialità nella storia.
L’essere è comunque il presupposto di possibilità della rivelazione. Dio si
conosce solo nella fede, ma dentro l’essere.
--------------------------
-INDUISMO- Ramanuja: «Conosciamo dalle
scritture che esite una Suprema Persona la cui natura è assoluta felicità e
bontà, che è totalmente opposta ad ogni male, che è la causa della
conservazione, della dissoluzione del mondo, che è diversa in natura da tutti
gli esseri, che è onnisciente, che con il suo pensiero e volere effettua i suoi
propositi, che è un mare di misericordia, a cui non vi è alcuno di uguale o
superiore, ed è il Supremo Brahman».
-CRISTIANESIMO-
È UNA RELIGIONE? In origine i cristiani prendono nettamente le distanze dalla
religione pagana e vengono qualificati come “atei” anche perché avevano la sola
legge dell’amore, in contrapposizione alle abbondantissime legislazioni e
prescrizioni e regolamenti del mondo romano e di quello giudaico. Il
cristianesimo non è un sentimento religioso «dal basso», ma è una grazia
«dall’alto», una rivelazione:
Preghiera: al Padre, per fare la sua volontà
(Mc 14,36)
Culto: offerta
di sé (Rom 12,1; Eb 13,15-16)
Sacrificio: la croce di Cristo: farne
“memoria” (Lc 22,19)
Sacro : Niente tabù (cose, luoghi, persone... tutto
viene desacralizzato). Desacralizzato Dio: è il Dio-con-noi-in-modo-umano.
Desacralizzato il sacredozio: non più hiereis ma presbiteri ed episcopi: Gesù è
sacerdote, ma in modo unico e irripetibile. Desacralizzati
i luoghi sacri (At.17,25;Gv.4,22-23). Desacralizzato
il tempo, i cibi, ecc. [Nello stesso tempo ha consacrato tutto, nella
incarnazione]. Nel corso del tempo, ha assunto una forma religiosa,
strutturandosi con dottrina, templi, riti, ecc. “È la vera religione, o è un
tradimento?”(Agostino). C’è contrasto tra fede (dono dall’alto) e religione
(sforzo dal basso)? K. barth: La fede cristiana -nel movimento
dell’incarnazione- è capace di assumere e redimere tutti gli elementi sani
dell’umanità. La grazia opera dappertutto: non bisogna coltivare prevenzioni
negative. La fede deve incarnarsi nella storia, deve farsi cultura, struttura,
sacramento: occorrono alla fede delle «forme religiose». Il cristianesimo è una
fede, qualcosa di soprannaturale, da Dio; ma in quanto si incarna in forme
storiche, è anche una religione, attingendo alla natura. È una religione per le
forme, ma ha un contenuto soprannaturale, rivelato.
L'ESISTENZA
CRISTIANA NEL SEGNO DELL'ESCHATON ovvero del
"TEMPO ULTIMO", del compimento della STORIA DELLA SALVEZZA,
mentre ora ci troviamo nell'ÈRA ESCATOLOGICA INTERMEDIA. L'evento cristologico
fonda e personifica in sé l'escatologizzazione del tempo. L'eternità di Dio
antecede l'origine del tempo, quindi l'eternità è il principio del progetto
storico, possiamo così parlare di un significato escatologico della storia. E'
così naturale l'irruzione dell'eternità nel tempo, gli interventi salvifici di
Dio determinano la consumazione della
storia. Il concetto di eternità è la conclusione e la consumazione del tempo.
L'incarnazione dell'azione di Dio avviene nel tempo, così possiamo parlare di
permanenza e perpetuità dell'incontro tra storia ed eternità. La croce, la
sofferenza dell'uomo innocente è giudizio definitivo della storia del male come
predominio dell'infedeltà dell'uomo. Nella sofferenza dell'innocente trionfa il
disegno di Dio ed il giudizio di Dio(Gv 3,16s). La potenza della croce si
rivela e diventa operante nella risurrezione, nel trionfo della vita sulla
morte. Il giusto non è rimasto prigioniero. Nella risurrezione brilla l'amore
esemplare di Dio. Lo Spirito compie l'universalizzazione dell'avvenimento di
salvezza. Ora c'è qualcosa di nuovo, nella libera decisione dell'uomo che si
prepara all'incontro definitivo con il mistero di amore e salvezza già compiuto
ma non ancora pienamente realizzato. Il Paradiso non chiude la storia ma rafforza la dinamica della speranza,
verso la piena consumazione che è la Parusia. Certo la risurrezione è un
avvenimento reale ma storicamente non sperimentabile se non nella potenza dello
Spirito come è testimoniato in alcuni santi, i quali sono segno profetico che
rimanda ai nuovi cieli e alla terra nuova, dove avrà stabile dimora l'amore che
tutti aspettimo e che tutti cerchiamo già di realizzare così come è possibile
su questa terra. NELLA CHIESA PEREGRINANTE, I CREDENTI CAMMINANO INSIEME
PRENDENDOSI PER MANO. La chiesa è una comunità escatologica (LG 48). La grazia
è ecclesiale perché la grazia è evento di comunione, cioè di amore. La comunità
dei credenti, la chiesa è presenza anticipata al Regno di Dio, ed accoglienza
di tale DONO. Ma tutta la storia è attesa della consumazione e del compimento
NELLA TRANSITORIA condizione incompiuta e peregrinante del presente, nella
provvisorietà della chiesa presente e universalizzazione e cosmicizzazione
dell'evento salvifico. NELLA VITA DEL SINGOLO CREDENTE la fede escatologizza
fortifica l'esistenza del credente, facendolo accedere già ora alla ai frutti
della vita eterna. Certo questo cammino implica il superamento vittorioso del
giudizio della persecuzione, che ha la finalita purificatrice, nella
testimonianza come impegno della libertà umana a decidersi pro o contro Dio.
Consapevole che la realtà terrestre non è definitiva ma piuttosto provvisoria.
-DIO SI
RIVELA ALL'UOMO-
Concilio
Vaticano II, Dei Verbum, 18 novembre
1965 [2] Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far
conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo
di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono
resi partecipi della natura divina. Con questa rivelazione infatti Dio
invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si
intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa
economia della rivelazione avviene con eventi e con parole intimamente connessi
tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza,
manifestano e rafforzano la dottrina e la realtà significata dalle parole, e le
parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La
profonda verità, poi, su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa
rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la
pienezza di tutta la rivelazione.
LA
SPECIFICITÀ DEL CRISTIANESIMO
In
concreto, non esiste la religione, ma le religioni, con differenze ancor
maggiori delle somiglianze. Diversità nella concezione del Trascendente, ma
diversità anche negli elementi comuni (es. la preghiera).
1.
Storicità: ce ne è noto il fondatore.
2.
Universalità: tende ad incarnarsi in ogni cultura.
3.
Rivelata: non è semplice frutto di saggezza umana
4.
Escatologicità: concezione del tempo non circolare ma lineare (Specificità
assoluta).
1. La
Trinità: se ne può dimostrare la non-assurdità, ma non dedurlo razionalmente. * Monoteismo sì, ma non ‘solitario’, bensì
‘trinitario’. * Un Dio personale. * Un Dio che è il Padre di Gesù e nostro.
2.
L’incarnazione: una Persona divina (la seconda), che ha assunto in eterno la
natura umana. Non un uomo divinizzato, ma un Dio fatto carne. Gesù di Nazareth,
a partire dalla sua identità ontologica, è il Maestro e Salvatore. La santità
del cristianesimo non implica la santità dei cristiani sopra i credenti delle
altre confessioni.
TEOLOGIA
CRISTIANA DELLE RELIGIONI
Dio
vuole che tutti gli uomini siano salvi (1Tm 2,4). Volontà ‘universale’ ed
‘efficace’ di ‘salvezza’, cioè di ammissione alla comunione piena con Lui. Tale
disegno si realizza in Cristo anche indirettamente, l’unico Mediatore, e non vi
è altro nome nel quale vi è salvezza (At 4,12). È necessaria la fede
soprannaturale, dono di Dio, risposta
dell’uomo a Dio che si rivela in Cristo: oscura, implicita, ma viva
nell’adesione alla coscienza. COME DIO SALVA QUELLI CHE NON SONO NELLA CHIESA?
«Nel modo che Dio sa» lo Spirito mette in contatto col mistero pasquale: LG 16,
LG 22. Infatti secondo la Bibbia: Dio si interessa dei gentili. Ma secondo la
Bibbia e i Padri, le religioni sono idolatria. [cf. contesto di persecuzione;
cf. Giustino e gli spermata tou Logou].
Le
altre religioni: - hanno valori positivi, veri e santi (NAe 2): semi gettati da
Dio; - Hanno dottrine e riti che veicolano i valori, in modo quasi
sacramentale; - la Chiesa è via ordinaria e perfetta, ma possono esserci vie
straordinarie e imperfette; - la Chiesa ha comunque un posto unico;
C’È
RIVELAZIONE NELLE SCRITTURE DELLE ALTRE RELIGIONI, ma la Rivelazione cristiana
è specifica per: - storicità (DV 2: eventis verbisque): dati ed interpreti qualificati; - progressività: mediante
eventi incompleti per sé e aperti al futuro; - Gesù è la rivelazione assoluta e
definitiva; - unicità (DV 4: nessun’altra rivelazione pubblica); C’è
ispirazione nei libri sacri delle altre religioni, perché lo Spirito santo
soffia dove vuole - Il Verbo agiva anche prima dell’incarnazione - il carisma
profetico non è del solo popolo ebraico - i libri sacri sono stati strumenti di
grazia e salvezza: lo Spirito Santo ha parlato anche per mezzo dei santi
pagani. Maometto, non è il “suggello dei profeti”, ma il Corano contiene verità
capaci di alimentare la vita di moltitudini. Sono
le religioni positive sono preparazioni all’incontro con Cristo.
Le
Religioni senza Dio:
L'altra
realtà non esiste come un ente a sé, non ha un volto, è uno stato nuovo nel
quale il soggetto passa ad esistere. Il divino non è un "tu". Nel
Giainismo, i liberati dalle imperfezioni, i "vittoriosi" entrano
nella perfezione dell'assoluto. Nel Buddismo theravada: il saggio percorre il
sentiero che lo conduce dentro lui stesso al Nirvana, uno stato di felicità che
consiste nell'assenza di sensazioni. Nella Tradizione advaitica indiana:
l'uomo, attraverso una serie di negazioni, accede al Brahaman-Atman, centro
intimo senza esteriorità, altra faccia del cosmo, al quale deve riconoscersi
identico. Nel Taoismo: legge dell'eterno
ritorno, in cui principio e fine coincidono. Nel Buddismo mahayanico: il Dharma
è una legge sussistente che ognuno deve onorare, rispettare, servire. Nello Zen: "il supremo non ha né forma,
né percezione, né nome, né concetto, né conoscenza".
Nelle
religioni teistiche esistono degli esseri supremi, talora in gran numero e
divisi in classi:
1. -
India: templi a Vishnu e Shiva.
2. -
Shintoismo: il principio supremo è raffigurato nella dea Amaterashu.
3. -
Confucianesimo: principio supremo è il Dio del cielo.
4. -
Buddismo: talora lo stesso Buddha è divinizzato.
5. - In
nuove religioni giapponesi: principio supremo è un 'grande padre'. Nelle
religioni teistiche vi è la tendenza a passare dal molteplice all'uno
(Legittima anche nel monoteismo purché non si elimini l'identità di Dio come
persona individuale), e la tendenza alla proliferazione di dèi e demoni.
I NUOVI
MOVIMENTI RELIGIOSI
L’uomo
scettico si apre all’ateismo, l’uomo inquieto si apre alle sette.
TIPOLOGIA
DI VARI MOVIMENTI RELIGIOSI
a.
Cristo sì, Chiesa no. Rifiutata la
Chiesa come mediazione di salvezza. Sette
con retroterra cristiano: Testimoni di Geova, Mormoni, ecc.
b. Dio
sì, Cristo no. Rifiutato il ruolo di Cristo come unico salvatore. Riscoperta
delle religioni euromediterranee arcaiche e religioni orientali, da India,
Cina, Tibet.
c.
Religione sì, Dio no. Si rifiuta Dio,
o almeno Dio come persona e come distinto dal mondo: Panteisti. Oppure
concentrati sull’uomo e sul suo “potenziale”, ma si parla poco di Dio:
Scientology e “Psicoterapie”.
d.
Sacro sì, religione no. Rifiuto della religione come sistema legato a dottrine
e istituzioni: New Age.
RITORNI
della magia. Magia popolare - Esoterismo - Nuovi movimenti magici. La salvezza
è conquistata mediante il rito, i gesti.
RITORNI
dello gnosticismo. La salvezza si consegue attraverso il possesso di
determinate consoscenze. Dualismo, uguale importanza del bene e del male.
Monismo panteista: esiste solo l’Uno di cui il resto è scintille. La salvezza
non è dono, ma è conquistata con la conoscenza.
NELLA
NUOVA RELIGIOSITà
Credenza
nella reincarnazione, Messaggi dall’aldilà, Ufo, Apparizioni, veggenti,
guaritori. Il problema dell’autenticità è unico: “la Chiesa giudica la
rivelazione e discerne gli spiriti!”
I
PRINCIPALI NUOVI MOVIMENTI
-TESTIMONI
Dl GEOVA-
Il
fondalore, Charles Tase Russel, nacque a Pittsburgh, Pennsylvania, Stati Uniti,
nell'anno 1852. I suoi genitori erano presbiteriani, mentre lui divenne
avventista. L'anno 1870 organizzò un corso nella sua città natale per studiare
la Bibbia. Qui ebbe l'opportunità di conoscere gli studi di William Miller
circa la seconda venuta di Cristo.
Questi, interpretando Daniele 8,14 «dopo duemilatrecento mattine e sere, il
santuario sarà purificato» e dando ad ogni giorno il significato di un anno
cominciando a contare dall'anno 457 prima di Cristo, quando Esdra tornò a
Gerusalemme con gli ebrei esiliati in Babilonia, era arrivato alla conclusione
che nel 1843 Cristo sarebbe tornato sulla terra. Nonostante il fiasco rotondo
di Miller, il giovane studente della Bibbia, Charles Russel, restò
impressionato dal clima di attesa che questi studi avevano creato nella gente e
volle approfittarne per fondare un nuovo gruppo religioso. Nel 1876 fece la grande
scoperta, seconde cui Cristo era tornato due anni prima in forma spirituale,
come «spiritualmente» era risuscitato tre giorni dopo la morte. Si proclamò
come l'ultimo dei sette messaggeri, inviati da Dio per illuminare coloro che
vivono nelle tenebre. La sua missione era quella di preparare il regno
millenario di Cristo, che durerebbe dal 1914 al 2914. Intanto tutte le sue
energie devono essere impegnate a distruggere gli errori delle religioni
esistenti. Per ottenere questo, nell'anno 1879 fondò la rivista «Torre di
Guardia e araldo della presenza di Cristo». Torre di Guardia era il posto in
cui anticamente si metteva la sentinella per avvistare l'arrivo di un nemico
alla città. Nel 1884 fondò la «Watch Tower Bible and Tract Society» (Società
Biblica della Torre di Guardia e dei trattati). Médiante le ofFerte dei seguaci
e i guadagni che ricavava dalle pubblicazioni, riuscì a impiantare una grande
tipografia e a comprare grandi proprietà. Mentre i successi in campo
proselitistico suscitavano grande interesse nell'opinione pubblica, la sua
condotta lasciava molto a desiderare. Nel 1897 la moglie di Russel, con
l'accusa al marito di crudeltà e infedeltà matrimoniale, ottenne il divorzio.
Russel appellò cinque volte senza ottenere niente. Più tardi dovette comparire
davanti ai tribunali sotto l'accusa di vendere «grano miracoloso» a sessanta
dollari il barile. Infatti, egli assicurava che il suo grano avrebbe prodotto
quindici volte più del raccolto normale; ciò che non successe mai. Fu
condannato a restituire il danaro. Vendette anche «fagioli millenari» e
«medicine miracolose» per curare l'appendicite, il tifo e il cancro. Finalmente
arrivò il 1914, anno in cui Cristo sarebbe tornato a riunire il suo ovile e dar
inizio al millennio di felicità. Inoltre, Gerusalemme sarebbe stata liberata
dal dominio pagano e sarebbero scomparse tutte le chiese, e specialmente la
Chiesa Cattolica, i governi, le banche e le scuole. Ma non successe niente di
tutto ciò. Al contrario, dal
1914 al
1917 l'umanità fu scossa tremendamente dalla prima guerra mondiale, che seminò
in tutte le parti morte e desolazione. Davanti a un fiasco così evidente.
Russel tornò a studiare la Bibbia, arrivando alla conclusione che effettivamente Cristo era tornato nel 1914,
ma in una maniera discreta, senza che nessuno se ne fosse accorto, aveva
lottato contro satana e lo aveva cacciato in un altro luogo, dove satana
continuava a fare del male. Nell'anno 1916 morì Russet mentre viaggiava da Los
Angeles a Brooklin, dove aveva stabilito il quartiere generale della sua setta.
Gli successe Rutherford, che fece ogni sforzo per cancellare dalla mente degli
«Studenti della Bibbia» (così si chiamavano prima i testimoni di Geova) il
ricordo del loro fondatore. Rutheford annunciò per il 1918 il ritorno di Cristo.
Quando si constatò il nuovo fiasco, disse che aveva parlato del ritorno al
tempio spirituale dei 144 mila eletti, in cui Cristo era tornato per
purificarlo. Nel 1919 lanciò la rivista quindicinale, chiamata «La età d'oro»,
che con gli anni cambiò nome: nel 1937 si chiamò «Consolazione» e nel 1946 «Svegliatevi». Cambiò anche il nome dei
membri dell'organizzazione in «Testimoni di Geova», intorno all’anno 1930. Dal
1922 Rutherford cominciò una campagna sistematica contro la Chiesa Cattolica,
trasmettendo conferenze per radio.
Secondo lui, «il principale nemico di Dio, e, conseguentemente, il più
grande nemico di tutta la società, era la organizzazione religiosa romana».
Accusava la gerarchia cattolica di essere la «prostituta», «la grande
Babilonia», «la madre di tulle le abominazioni che ci sono sulla terra». Nel
1920 Rutherford aveva fatto una grande profezia, secondo cui nell'anno 1925
sarebbero risuscitati gli antichi patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe ed altri
giusti dell'Antico Testamento, per godere la piena felicità nel nuovo mondo,
che doveva iniziare precisamente quell'anno. A tale scopo fece costruire un
magnifico palazzo nei pressi di San Diego, California. Ma ancora una volta, con
l'arrivo del 1925 non successe niente, tra lo sconcerto generale. Rutherford
non si scoraggiò, né diede spiegazione alcuna. Aspettò fino al 1930 e poi
occupò personalmente il palazzo, vivendo come un pascià fino al giorno della
sua morte, che avvenne nell'anno 1942. Gli successe, nella presidenza dei
testimoni di Geova, Natan Homer Knorr. Anzitutto, questi cercò di cambiare
tattica nelle relazioni umane, davanti alle forti reazioni contro
l'atteggiamento fanatico di Rutherford da parte dei governi e delle chiese
cristiane, accusate tutte di essere «sataniche». Consigliava di avere un tono
cortese nelle conversazioni, cercando di essere persuasivi e convincenti,
anziché indiscreti e dogmatici. A lui si deve l'attuale organizzazione dei
testimoni di Geova, la preparazione dei missionari e la fondazione della Scuola Biblica Gilead, da cui uscì la traduzione
della loro Bibbia (Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture),
completamente travisata. Anch'egli indicò la sua data della fine del mondo: il
1975. Ma, come in precedenza, anche lui si sbagliò. Molti ne restarono delusi e
se ne uscirono, ma altri continuarono nella speranza di assistere da un momento
all'altro alla «conclusione di questo sistema iniquo di cose». Nel 1977 morì
anche Natan Knorr, nonostante le sue ripetute assicurazioni che non sarebbe mai
morto. Ne ha preso il posto all'età di 86 anni, l'attuale présidente: Frederick
W. Franz. Secondo lui, la fine del mondo è imminente, ma non ha specificato
data alcuna. Tutti i testimoni di Geova devono ripetere che chi entra a far
parte della loro organizzazione non morirà mai. Si calcola che un terzo di loro
sono usciti negli ultimi anni. Il caso più clamoroso è stato quello dello
stesso nipote dell'attuale presidente, Raymond Franz. Costui era stato
incaricato di preparare uno studio contro la Chiesa Cattolica, utilizzando
tutti gli archivi della setta. Ma, davanti agli orrori dell'organizzazione, gli
si aprirono gli occhi e se ne usci, scrivendo un libro intitolato «Crisi di
Coscienza». DOTTRINA -Geova è il nome di Dio.
Non esiste la Trinità. -Dopo la nascita di Gesù, Maria ebbe altri figli.
Non è vergine. -Non serve il battesimo dei bambini. -Sono proibite le immagini.
-L'anima muore con il corpo. -Non esiste il purgatorio. -È proibito mangiare la
carne degli animali impuri. È proibito
mangiare il sangue degli animali. Sono
proibite le trasfusioni di sangue. -Il battesimo è un segno della decisione che
uno prende di seguire la volontà di Dio. -La Cena del Signore è un ricordo.
-Non esiste la trasmissione dei poteri, mediante l'imposizione delle mani
(ordinazione). -Tutti formano la «nazione santa» e il «popolo sacerdotale». -Si
ammette il divorzio, quando un coniuge è infedele. Solarnente la parte
innocente lo può chiedere. -Gesù Cristo non è Dio, è la prima creatura, che
uscì dalle mani di Dio. È il Figlio unigenito di Dio, nel senso che fu creato
direttamente da Dio. Tutte le altre cose furono create per mezzo di lui. Prima
di nascere come uomo sulla terra, Gesù aveva servito nei cieli come «la
Parola», cioè uno che parlava in nome di Dio. Cosi interpretano Gv 1,1,3;
14,28; Col 1,15. Secondo Russel, si tratterebbe di un arcangelo; secondo
Rutherford e altri, di un dio creato. La citazione biblica su cui più insistono
i testimoni di Geova per affermare che Gesù non è Dio, è la seguente: Il Padre
è più grande di me» (Gv 14,28). Secondo loro, ciò vorrebbe dire che se il Padre
è Dio, il Figlio dovrebbe essere uomo. Ma questo è completarnente sbagliato.
Infatti, padre e figlio sono sempre délla stessa natura: se il Padre è Dio,
anche il Figlio è Dio. Ma, allo stesso tempo, il padre è sempre più grande del
figlio. Nel caso concreto che stiamo trattando, il Padre è sempre più grande
del Figlio, proprio perché è l'origine dell'essere divino; mentre il Figlio è
generato dal Padre. In più, il Figlio è anche uomo, per cui è «inferiore» al
Padre. Si spiega cosi l'espressione: «II Padre è più grande di me» (La chiesa
cattolica e le sette protestanti, Flaviano Amatulli - Apostoli della Parola - ed. Studio Stampa - Foggia, giugno
1995 //// Ufficio Catechistico Diocesano Curia Vescovile - Via S. Benedetto, 1
- 70014 Conversano (BA) tel. 080/995.14.28).
HARE
KRISHNA: «Società internazionale per la coscienza di Krishna» La saggezza è nel
Bhagavad-gita e nel Bhagavad-Purana. Cuore
di tutto è la bhakti, devozione a Krishna. Le pratiche del culto sono date
dalla recita/canto dei nomi di Krishna, per inondarne il mondo - sobrietà nel
cibo (vegetarianesimo), nella bevanda, nel divertimento, nel sesso. Occorre
cambiare il nome, e affidarsi ad un maestro, cintura sacra, servizio nel tempio - recita del japa di 108 perle, sedici volte
al giorno, con i nomi di Krishna.
MEDITAZIONE
TRASCENDENTALE: L’Essere è uno solo, e sta a fondamento di tutto il reale. 1-
Il pensiero è vicino all’essere e deve solo raccogliersi, per capirsi come
parte dell’intero;
2-La
meditazione è il modo per arrivare all’essere;
Meccanica
di meditazione di venti minuti. Recitazione del mantra.
GLI
ARANCIONI DI BHAGWAN SHREE RAJNEESH: L’esistenza è Dio: dilatazione della
coscienza non verso l’io, ma verso Dio che sta a fondamento di ogni realtà.
Divenire consapevoli. Senti che esisti attraverso l’apertura sul reale:
1-
Nella meditazione e nel silenzio ci si accorge che c’è solo il tempo presente;
2- Giocare e danzare la vita; 3- Aver
fiducia nel maestro e sottomettersi a lui; 4- L’unico peccato è l’ego; 5- Saper
vivere sempre nella ricerca e nel dubbio.
PRATICHE:
Portare vestiti del colore del sole che sorge; il mala di 108 perle con la foto
di R.; usare il nuovo nome; meditazione; preghiera mattuttina e preghiera serale
alla presenza del maestro.
DIANETICS.
LA CHIESA DI SCIENTOLOGY: L. Ron Hubbard, Dianetics. Scienza moderna della
salute mentale. Finalità dell’uomo è sopravvivere in quattro dinamiche (io,
sesso, gruppo, genere umano). Mente
analitica: mente che sa ordinare i dati percettivi.
Mente
reattiva: risposta improvvisata ad una situazione di pericolo, causa degli
‘engrammi’, risposte non necessariamente correlate alle provocazioni. Chi non è
aberrato dagli engrammi, è clear, cioè liberato. Terapia è l’auditing.
Scientology. I fondamenti del pensiero: Riferimento
alle vite passate. Otto dinamiche. Elettrometro.
Thetan: uno spirito descritto però con categorie fisiche. Dio Infinito: un
prolungamento illimitato dell’energia, un assoluto intramondano. La religione
come sfondo di una visione del mondo a carattere tecnico scientifico. Fondata
nel 1954 da Lafayette Ron Hubbard (1911-1986), la Chiesa di Scientology si è
presto diffusa in tutto in mondo, spesso accompagnata da feroci polemiche
(Scientologia religione e gnosticismo di PierLuigi Zoccatelli, Messaggero di
sant'Antonio, febbraio 1997 p.38-41). Secondo gli specialisti Roland Chagnon e
Régis Deriqueborurg si tratta della reazione della società contemporanea a
qualcosa che rompe i suoi schemi abituali mediante la pretesa di presentarsi
non solo come religione e filosofia, ma anche come scienza esatta e insieme
tecnologia capace di assicurare risultati straordinari nell'ordine spirituale:
rimane il fatto che fra le nuove religioni nate in Occidente, la chiesa di
Scientology continua a suscitare dibattiti spesso violenti. Gli studiosi della
materia sono soliti utilizzare la categoria di "religioni dal potenziale
umano": gruppi che propongono agli uomini un radicale miglioramento delle proprie
potenzialità secon-do mezzi autodiret-tivi - famoso è lo slogan: "fa
esplodere il vulcano che è in te" - e che danno vi-ta a movimenti
considerati la realizzazione com-piuta sul piano psicolo-gico del principio
individualista per cui ognuno, in questo caso, è psicologo a se stesso, e che
si collocano così nella tradizione che Giovanni Filoramo ha efficacemente
studiato come "religione del se", Dianetics (dal greco
"dià", che significa "attraverso", e "nous", che
significa "spirito") e Scientology (dal latino "scio", "conoscere", e dal greco
"logos", "sapere", perciò, la conoscenza del sapere) sono,
rispettivamente, una metodologia e una filosofia religiosa. Pochi personaggi,
nel mondo delle nuove religioni, possono vantare una biografia più controversa
di questo fondatore: ricostruzioni
agiografiche e critiche avvelenate presentano su numerosi punti versioni
contrastanti, senza che su molti punti della sua carriera pre-scientologica sia
possibile convenire su conclusioni comuni. Si sa per certo che, dopo una
giovinezza trascorsa nel Montana, Hubbard viaggiò molto, conobbe precocemente
la psicoanalisi (da cui rimase sempre influenzato, pur criticandola
violentemente) e iniziò una prolifica attività di scrittore di fantascienza, riscuotendo nel settore un notevole
successo. Un aspetto sul quale le versioni contrastanti sono particolarmente in
antitesi fra loro è il significato della partecipazione di Hubbard, nel periodo
immediatamente successivo alla seconda guerra muiidiale (alla qua1e avrebbe
partecipato come ufficiale di marina), alle attività della loggia californiana
Agape dell'Oto (Ordo templi orientis, diretto dal celebre "mago nero"
Aleister Crowley), dedita a pratiche di magia sessuale. Con la sua usuale
precisione, così espone le tesi il professore Massimo Introvigne: "Secondo
le fonti dell'Oto, Hubbard, dopo essere entrato nella loggia, avrebbe cercato
di derubare il suo maestro Jack Parsons (un chimico che finirà per credersi
l'Anticristo e per morire nello scoppio del suo laboratorio nel 1952) fuggendo
con il suo denaro e la sua ex compagna. Secondo gli Scientology (e la loro
versione è corroborata da una discreta documentazio-ne) Hubbard si sarebbe
invece, d'intesa con le autorità americane, infiltrato con successo in una
organizzazione di "magia nera" per distruggerla; ed è vero che
occorre qualche sforzo per trovare anche solo un'eco lontana della magia
dell'Oto nella Scientologia". Una cosa è certa, alla fine degli anni
Quaranta Hubbard elabora (o termina di mettere a punto) il volume Dianetics, Scienza moderna della salute mentale e
lancia un nuovo metodo terapeutico che riscuote un notevolissimo successo,
creando una reazione generalmente ostile nella comunità medica, in particolare
presso gli psichiatri (il che spiega, almeno in parte, le punte
particolar-mente vivaci delle polemiche fra le due parti, ancora oggi
tutt'altro che sopite). L'applicazione su larga scala delle sedute di
terapeutica mentale, chiamate auditing, da cui emerge sempre più spesso
materiale su vite passate e su altre esperienze, che sembra richiedere un
quadro dottrinale più ampio; ê la necessità di una organizzazione sempre più
strutturata, inducono Hubbard a fondare, nel 1954, a Los Angeles, una
religione: la Chiesa di Scientology. Con la diffusione in America, in Australia
e in Europa (dove Hubbard si trasferisce nel 1959, nella residenza inglese di
Saint Hill Manor), arrivano anche le feroci polemiche. Dapprima Hubbard si
rifugia à bordo di una nave, l'"Apollo", dove si imbarca nel 1966 per
rimanervi sino al 1975 e da cui dirige
una sorta di congregazione religiosa scientologica - la Sea Organization,
l'"0rganizzazione del mare" - vincolata da un giuramento della durata
di un miliardo di anni. Una volta "sceso a terra" e abbandonate le
sue posizioni di dirigente della Chiesa
di Scientology, Hubbard dichiara di dedicarsi esclusivamente alla ricerca per
il miglioramento della "tecnologia". Dopo la morte del fondatore,
avvenuta nel 1986, l'espansione della Chiesa di Scientology è stata certamente
significativa. Alla metà degli anni Novanta, questa religione le cui Scritture sono costituite sulla
ricerca, i libri e le conferenze registrate
di Ron Hubbard: oltre 500 mila pagine di scritti, quasi 3 mila
conferenze registrate e oltre 100 film - è diffusa in 2318 chiese, missioni e
gruppi, presenti in 107 paesi del mondo, con un personale volontario di quasi
13 mila membri. In Italia - dove i
membri ammontano complessivamente a circa 5 mila aderenti - la prima Chiesa di
Scientology è nata a Milano nel 1978;
da allora ne sono sorte altre dieci: Brescia, Catania, Brianza, Novara, Nuoro,
Padova, Pordenone, Roma, Torino e Verona. Va precisato che il numero di membri
di Scientology è questione controversa fra gli stessi specialisti. Quando si
parla di 6 o anche 8 milioni di praticanti nel mondo, si fa riferimento alle
persone che hanno frequentato almeno un corso ma studi attendibili dimostrano
che solo il venti per cento delle persone che si accostano a Scientology ne
fanno ancora parte dopo tre o quattro anni. Valutazioni più realistiche parlano
di poco più di 1 milione di persone che si considerano effettivamente
scientologi. D'altronde, la pratica è notevole e la Scientologia, come tanti
altri nuovi movimenti religiosi, assomiglia più a una stazione che a un
palazzo: è affollata, ma se ci sono molte persone che arrivano ce ne sono anche
molte che partono.
Cenni
dottrinali : La Dianetica e Scientologia, come abbiamo accennato, rappresentano
due fasi distinte della esposizione di Hubbard. Nella visione dell'uomo di
Dianetica, la vita psichica dell'essere (paragonato volentieri a un computer)
può essere aiutata a percorrere un cammino a ritroso sulla "pista del
tempo" - attraverso le sessioni di auditing, una tecnica in cui è usato
l'"Emeter": un elettrometro paragonabile alle macchine della verità -
alla ricerca degli "engrammi", cioè delle percezioni anomale che ogni
uomo registra nel suo "mentale negativo" nei momenti di dolore o
disturbo fisico o emotivo. Mediante la terapia dell'auditing - spesso criticata
per i costi non indifferenti: le prime sessioni sono economiche, ma al termine
di ogni ciclo si è invitati a seguirne un altro -, il paziente si libera progressivamente dagli "engrammi"
fino a cancellarli, raggiungendo così l'invidiabile condizione di clear a cui
si accompagnano vantaggi di ogni genere: dall'aumento del quoziente di
intelligenza al miglioramento della salute fisica e del successo negli affari.
Pervenuti allo stato di clear, l'itinerario non è però terminato. Occorre
passare dalla Dianetica - che, secondo le parole di Hubbard, "appartiene
al mondo della psicologia - alla Scientologia, fase più propriamente religiosa
del viaggio hubbardiano. Tra Dianetica
e Scientologia vi è certamente continuità. In effetti, la Dianetica parla di
otto dinamiche in cui si manifesta l'aspirazione alla sopravvivenza; di queste,
la settima e l'ottava - che riguardano l'immortalità e l'infinito - possono
essere considerate il campo proprio della
Scientologia. La Scientologia, che riposa su un'idea molto simile a
quella reincarnazionista, si propone di far raggiungere all'uomo i vari livelli
di OT ("Tethan Operativo"), e fonda la propria cosmologia su un mito
di sapore gnostico secondo cui i tethan, spiriti puri esistiti fin
dall'origine, crearono gli universi di Mest (materia-energia-spazio-tempo).
Così riassume il mito di origine della Scientologia lo specialista Roland
Chagnon: "All'origine i tethan esistevano da soli, onnipotenti,
onniscienti, indistruttibili e immortali. Ma non avendo niente da fare,
soffrivano della loro stessa immortalità. Per uscire dalla noia, decisero di
giocare un gioco, creando universi. Tuttavia, i tethan caddero vittime del loro
stesso tranello. Si fecero assorbire dagli universi che avevano creato,
universi fatti di materia, di energia, di spazio e di tempo, fino a dimenticare
che ne erano i creatori. Di conseguenza, persero la loro potenza e la loro
onniscienza. Oggi, giacché i tethan hanno dimenticato la loro autentica
identità spirituale, credono di essere dei corpi". Grazie alla Scientologia,
seguendo i passi di un cammino iniziatico - i gradi più alti sono tenuti
segreti e gli insegnamenti, secondo quanto riferiscono alcuni transfughi,
farebbero riferimento alle disgrazie dell'umanità in seguito ai misfatti di un
tiranno, chiamato Xenu, capo della confederazione intergalattica di 75 milioni
di anni fa -, i tethan ricordano la loro origine e possono diventare di nuovo
"operativi": totalmente liberi e identificati con l'Assoluto: con
Dio, che non viene negato, ma di cui si parla molto poco. La breve ricostruzione
che abbiamo fornito non esaurisce, naturalmente, tutta la complessità del
sistema dottrinale di Scientologia, in
cui non di rado lo studioso rinviene tracce delle capacità creative tipiche di
uno scrittore di fantascienza quale fu Ron Hubbard. La ricerca religiosa è
completata anche da una ricerca etica, di non ampio spettro, che si riduce a
una serie di semplici prescrizioni non lontane, tutto sommato, dalla tradizione
morale occidentale. Oltre alle indubbie originalità del pensiero di Hubbard, ci
pare che la caratterizzazione di Dianetica e
di Scientolo-gia sia la riproposta di tematiche religiose a sfondo
gnostico, incompati-bili con la fede cristiana, caratteristiche della deriva
utopica dei nuovi movimenti religiosi del "potenziale umano"
(Messaggero di sant'Antonio, febbraio 1997 p.38-41).
-Religioni
del potenziale umano-
"fa
esplodere il vulcano che è in te"
LA
CHIESA UNIFICAZIONISTA DI SUN MYUNG MOON: «Associazione spirituale per
l’unificazione del mondo cristiano». Influsso della dottrina confuciana dello
yin e dello yang; Una chiesa che unifichi tutte le religioni; Importanza della famiglia.
NEW
AGE: Stiamo per entrare in una nuova era, l’era dell’Aquario -Niente strutture,
né gerarchie, ma un metanetwork. Non c’è una dottrina, perché non esiste la
verità, tutto è relativo. Radici: spiritualità alternative, interesse per le
religioni non cristiane -cristianesimo esoterico -spiritismo -occultismo
-neopaganesimo -ufo -astrologia -terapie alternative, medicina olistica -movimento
vegetariano -psicologie alternative -movimento della recovery -organizzazioni
sociali alternative -ecologia profonda -nuova politica -reincarnazione -il
biofeedback, -alchimia -yoga, -arti marziali -occultismo -divinazione
-agopuntura -tarocchi, -zen, -mitologia -chiaroveggenza. Principi: -Non c’è
verità, ognuno ha la sua -Tutte le religioni sono uguali, e non serve a niente
la religione della Domenica -trasformare le attività della vita quotidiana
-salvezza istantanea, benessere -Dio interdipendente col mondo, che è
interdipendente con Dio (panteismo, gnosticismo). -Uomo: «noi siamo Dio»: Dio è
il potere spirituale che è in noi, rispetto al quale è co-creatore. -Cristo è
la scintilla interiore che è dentro ciascuno di noi, scintilla dell’unità
ultima, il Cristo cosmico che è l’Io, è di ogni creatura. Gesù di Nazareth è
colui che ha realizzato in modo sovraeminente il Cristo cosmico. Cristo futuro,
maestro universale che deve venire: Cristo-Maytreia. Coscienza planetaria
(ecologia profonda).
QUATTRO
PILASTRI: I. L’universo non è una macchina, ma un organismo vivente, e tutti
formiamo una famiglia: monismo-panteismo. II. Yin e Yang: comunione. No al
cristianesimo che è divisione. III. L’io conscio è immerso nell’oceano
dell’inconscio collettivo (miti e leggende). Il sé profondo coincide con Dio.
Dio è la parte più profonda di noi (Intuizione - esperienza - reicarnazione).
(Rebirth - Channeling). IV. Astrologia: Toro -Ariete -Pesci -Acquario.
Enneagramma: stella aperta a nove punte, per classificare i tipi umani.
CONCLUSIONE
E CONFUTAZIONE:
- La
fede non è una vaga forma di esperienza di sé, ma la naturale risposta
all’impulso della trascendenza, ma stare alla presenza di Dio.
- Dio e
l’uomo sono liberi e distinti: così possono amarsi.
- La
preghiera non è introspezione, ma un
entrare nella Sua volontà.
-
L’uomo è buono, ma da solo non ce la fa: ha bisogno della grazia.
- La
sofferenza e la morte ci sono ed hanno una pregnanza.
- I
metodi di ascesi di queste sette sono a volte pericolosissimi.
NUOVI MOVIMENTI
RELIGIOSI - La sfida ad essi può essere condotta:
1- sul
concetto di felicità come unica dimensione antropologica.
2-
sulla necessità di contrapporre un’esperienza mistica personale.
3-
ribadire la positività del corpo, affermare l’accordo tra religione e scienza,
proclamare la promozione dell’io e della coscienza, come sbocco naturale della
maturità spirituale.
-Satya Sai Baba-
L'organizzazione
Satya Sai Baba (di matrice orientale e sincretistica)(MILIZIA MARIANA,UNA
RELIGIONE VALE L'ALTRA?, DI GIUSEPPE FERRARI, P.20 SETT. 1994, N.7). Satya Sai
Baba è nato il 23 novembre 1926 a Puttaparti, un villaggio situato nell'India
del Sud, nello Stato dell'Andhra Pradesh, quarto figlio di Pedda Venkappa Raju
e Ishvaramma. I genitori gli imposero il nome di Satyanarayana, la divinità a
cui si era rivolta in adorazione la madre poche ore prima della nascita del
figlio. La sera dell'8 marzo 1940 a Uravakonda, dove frequentava la scuola superiore, ebbe una brusca reazione
attribuita in un primo momento alla presunta puntura di uno scorpione al suo
alluce destro; il giorno dopo cadde in uno stato di rigidità e di incoscienza.
Nei giorni che seguirono, Satya cominciò a comportarsi in modo strano e
isterico e ogni tanto si irrigidiva dando anche l'impressione di lasciare il
corpo, cosa che avviene tuttora. I genitori, preoccupati, seguirono il
consigiio di alcuni medici e di alcuni sacerdoti hindu e a un certo punto lo
portarono da uno stregone, che utilizzò vari artifizi sottoponendolo anche a
inauditi tormenti per espellere lo spirito maligno che riteneva si fosse
impossessato del ragazzo; ma, nonostante questo tentativo, Satya non tornò
normale. Il 23 maggio 1940, dopo aver cominciato a produrre varie cose
apparentemente dal nulla, si fece chiamare Sai Baba, nome che significherebbe
«Santo Padre e Madre Divina Universali», secondo quanto affermato dai suoi
devoti nella sua biografia ufficiale. Il 28 ottobre 1940 è la data che segna
l'abbandono degli studi da parte di Satya e l'inizio della missione del guru tra
i suoi devoti; missione che, secondo quanto affermato dallo stesso Sai Baba, si
protrarrà fino al 2022, anno in cui ha preannunciato la sua morte. Una delle
peculiarità della spiritualità introdotta da Sai Baba è quella di ritenere
tutte le religioni equivalenti e in ultima analisi di stemperarle nella propria
visione religiosa; tant'è che, per esemplificare, il cristiano viene da lui
sollecitato a essere un buon cristiano e nello stesso tempo a rivolgersi a lui
per ogni necessità e a venerarlo, considerando tra l'altro che egli ritiene di
essere colui che ha inviato Gesù Cristo e un avatara (cioè una manifestazione o
discesa di Dio sulla terra in qualche forma incarnata) superiore a Cristo
stesso. Ciò viene preso in seria considerazione dai suoi seguaci provenienti
dal cristianesimo, che arrivano ad adorarlo convinti della sua divinità. Questo
è certamente incompatibile con la professione della propria fede originaria,
tanto più se si considera che il cristianesimo professa l'unica e definitiva
incarnazione di Dio nella persona di Gesù di Nazareth; non si vede pertanto
come un cattolico possa continuare a frequentare i sacramenti, cibarsi del
Corpo e Sangue di Cristo nell'Eucaristia, e contemporaneamente non ritenere
Gesù suo unico Signore, incarnato, morto e risorto per la salvezza di tutti gli
uomini. E proprio il caso di dire che il cristiano che segue Sai Baba arriva a
rifiutare il Creatore, Colui che ha creato tutte le cose visibili e invisibili,
per farsi schiavo di una creatura nella quale confidare nei momenti di bisogno
e alla quale delegare le proprie responsabilità verso gli uomini e verso Dio. A
chi sì trova in questa situazione è opportuno ricordare le parole dell'apostolo
Paolo: «Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini!»
(1 Cor 7,23). (MILIZIA MARIANA,UNA RELIGIONE VALE L'ALTRA?, DI GIUSEPPE
FERRARI, P.20 SETT. 1994, N.7)
-
Accogli il soffio del Padre, Egli viene in te eterno, Egli si libra fecondo sul
nulla e libera Adamo dalla sua inerzia. Vita alla nuova umanità! Il tuo soffio
scenda sulle zolle di terra ed i chicchi saranno un unico pane, tutti i
fratelli si daranno la mano, vivranno in un mondo più umano. nn-
-Preghiera
Indù per avere coraggio-
Rendici
coraggiosi Signore, di fronte a ciò che temiamo. Tu, donatore generoso, stacci
vicino col tuo aiuto. Allontana il malevolo, il nemico. Fà che gioiamo... di
tutte le creature, fa che le armi dei nostri nemici non prevalgano su di noi.
Guidaci verso un mondo aperto: alla luce celeste, al coraggio ed alla
benedizione. Le tue braccia sono forti, o Signore potente. Noi confidiamo
illimitatamente in te, L'atmosfera che respiriamo instilli in noi coraggio, il coraggio ci custodisca perchè siamo
senza timore davanti all'amico e al nemico, che siamo senza timore di fronte al
noto e all'ignoto, che siamo senza timore di giorno e di notte! FA CHE TUTTO IL
MONDO CI SIA AMICO (ATHARVA - VEDA XIX, 15)
-Signore,
senza di te noi rischiamo di costruire sulla sabbia, ma con te noi costruiremo
sulla roccia. Tutti i nostri sforzi rischiano di essere inutili, se tu ci
manchi. Vogliamo costruire la casa della nostra esistenza, della nostra
famiglia, del nostro futuro, del futuro dei nostri figli, su una roccia
resistente e non sulle sabbie mobili delle emozioni del momento, sulle idee di
moda, sulla febbre del consumismo, sullo spirito di accaparramento... Se tu sei
con noi, siamo certi che andremo per i sentieri giusti, che faremo le scelte
migliori per noi e per gli altri, che la nostra vita porterà… il segno della tua
abbondanza, che costruiremo un futuro di pace e di fraternità….
- DOVE
POSO IL CAPO, SIGORE? DOVE POSO IL CAPO ANCORA NON LO SO! DAMMI LA TUA MANO, LA
MANO TUA, SIGNORE; DAMMI LA TUA MANO, CHE MI RIPOSO UN PO'. Scarola Lorenzo
-Dalla
lettera di S. Paolo apostolo agli Efesini: “Fratelli, un tempo eravate tenebra,
ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il
frutto della luce consiste in ogni bontà, (GIUSTIZIA E VERITA’). Cercate ciò
che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttose delle
tenebre, poichè di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso
perfino parlarne... ma noi siamo figli della luce.”
-“Quando
cadrà il velo dai nostri occhi, quel giono,
Signore abbi pietà di noi. A noi che non abbiamo consapevolezza di
essere cattivi, donaci la forza e l'amore per sostenere la verità che è dentro
di noi e per accoglierci ancora. Donaci l'amore per sostenere la Verità. Donaci
la forza di rimanere e di non fuggire via dalla tua presenza. Grazie Signore.
Ecco l'importante della vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una
cosa tanto grande, tanto magnifica che ogni altra sia un nulla al suo confronto
e anche se si dimenticasse tutto il resto, quella non la si dimenticherebbe mai
più”. (Soren Kierkegaard)
E’
scritto: “Tutti i peccati saranno perdonati ad eccezione del peccato, contro lo
Spirito Santo, chi bestemmia contro lo Spirito Santo non avrà perdono in
eterno”. Lo Spirito Santo è la stessa realtà aconcettuale e aconfessionale di
Dio. Tutto suscita e vivifica, ama e purifica. Amante del bene e della vita,
consolatore di ogni vita. Bellezza, stupore, tenerezza e armonia. Cercato e
amato, invocato con tutti i nomi della luce e della pienezza della vita. Tutto
viene attraverso Lui e tutto con Lui torna al Padre. Sapienza eterna ed
insondabile, splendore abissale, ineffabile perfezione. Tutto comprende, tutto
ama, tutto perdona. Ovunque crea figli di Dio, si diletta di abitare nei loro
cuore e li arricchisce di santi pensieri e sentimenti. Santifica tutti gli
uomini che cercano Dio. Anima dell’anima di tutte le cose, tiene unite le tante
membra per dare vitalità a tutto il corpo. In Lui non c’è odio o alcunchè di
imperfetto. Ama e attira tutti nell’amore. Ama tutti gli uomini e li conduce all’unità.
Odia la violenza, il possesso e la sopraffazione. Non c’è gioia nel cuore di un uomo se Lui manca. Lo Spirito Santo
si sottrae immediatamente quando volontariamente ci si sottrae alla
rettitudine. Rettamente cercato, non si lascia minimanìmente attendere,
Dolcezza ineffabile, si comunica non appena si opera il silenzio esterno e
interno e si cerca con tutto il proprio essere il grande amore del Padre. Amore
increato effuso dal Padre vera vita degli uomini.
(Jean_Marie Aubert, Morale Sociale, CITTADELLA
EDITRICE) Questo libro affronta il ruolo dell'uomo nella vita economica moderna, mentre l'uomo ricerca il
suo benessere terreno sul piano di quei beni necessai alla sua sussistenza e al suo sviluppo inoltre questa ricerca
legittima riveste un carattere sociale e morale. Ma le cose sono limitate e per
questo esiste una tensione tra natura e
uomo. Il circuito economico che deriva
non deve divenire un sistema che distrugge l'uomo, proprio mentre lo vuola
affrancare da bisogni naturali gli nega
o gli sottrae i bisogni più autentici dello spirito. Dobbiamo allora sviluppare
una antropologia dello sviluppo, che inglobi l'idea della totalità,
perchè è l'uomo totale che non dobbiamo mai perdere di vista, a differenza di tutti gli esseri l'uomo è un essere in
sviluppo permanente e globale. Infatti lo sviluppo dell'uomo non è uno sviluppo
puramente biologico, ma pienamente
metafisico. Ma la tentazione materialista è sempre in agguato, dove la
negazione dell'essere si pone a favore dell'avere. Ma l'uomo immerso nell'avere finisce per divenire
assurdo e mostruoso ai suoi stessi occhi, si impone la necessità di
salvaguardare la gerarchia dei valori,
e l'equilibrio e la rettitune di questa gerarchia può realizzarsi solo quando
ci si apre al trascendente divino.
Naturale conclusione di chi non vuole esaurirsi in un semplicistico e
decurtante orizzonte terreno. Ora, sono prorpio le esigenze della
socializzazione a spingerci a elaborare quei contenuti culturali dal
profilo spirituale perchè sono gli unici
che possono definire quegli
spazzi umanizzanti in cui l'uomo rimanga signore e soggetto e non si trasformi
in strumento cosificato. La socializzazione esprime la crescita del mondo Per
ben comprendere tutta l'amplezza del fenomeno e il suo significato, dobbiamo
dire qualcosa sulle sue cause. 1) Crescita accelerata della popolazione. 2) Restringimento délle aree di contatto
umano. Un se-condo fenomeno amplifica ancor più gli effetti del primo. Non solo l'umanità aumenta di numéro, ma, ai
nostri giorni, nel medesimo spazio gti uomini entrano in contatto fra di loro
assai più facilmente che nel passato. La maggiore velocità dei mezzi di
trasporto rimpicciolisce la terra degli uomini; mentre nel Medioevo erano
necessari otto giorni per andare per esempio da Parigi a Lione, e ancora tre
con la diligenza del secolo passato, oggi per via aerea un'ora è sufficiente. E
anche l'estrema rapidità dei mezzi di comunicazione orale e visiva (telefono,
radio, televisione...) contribuisce ad avvicinare gli uomini, a metterli in
continuo contatto. La diffusione planetaria dei mezzi di cultura, la
volgarizzazione délle grandi opère (i libri tascabili. per esernpio, o i
microsolchi, ecc.») tendono a creare una civiltà e una coscienza comuni. Si
tratta, insomma, di un fenomeno di planetizzazione dell'umanità, délla sua «
presa in massa » collettiva, a opera di fasci sempre più stretti di relazioni
sociali, fenomeno cosi ben descritto da Teilhard de Chardin. 3) Infine, lo
straordinario progressa scientifico e tecnico svolge un ruolo déterminante in
questo processo. Esso è già alla base dei due fattori precedenti: progresso
délla medicina e dell'igiene che ha ridotto la mortalità infatile e allungato la durata
media délla vita; progresso délla tecnica che ha permesso una maggiore
velocità dei mezzi di spostamento e di comunicazione. Ma soprattutto ha
modellato il nuovo volto del mondo, portando gli uornini a raggrupparsi,
rendendoli più solidali e partecipi di una stessa civiltà; basti pensare alla
rivoluzione industriale che ne è il frutto e fa del lavoro urnano, a tutti i
livelli, un'opera collettiva. L'aumento della produttività a causa délia
scoperta di nuove énergie e uuove tecniche fa comunicare gli uomini nel
consurno degli stessi prodotti. Di più, un tale progresso scientifico e tecnico
è possibile solo attraverso una collaborazione internazionale che permette
all'uorno di dominare e sfruttare il suo spazio vitale. Non possiamo qui
fermarci ad analizzare, neppure brevemente, i diversi aspetti di questo
processo, che dobbiamo ora passare allé conseguenze umane, cioè alla
socializzazione in se stessa.
La socializzazione significa anzitutto organizzaziône dai rapporti
umani
La moltiplicazione délle relazioni urnane obbliga inevitabilmente a
ordinarle, regolarle razionalmente, se non si vuole rischiare di vederle finire nell'anarchia. Ogni attività umana
tende a diventare pianificata, organizzata e distribuita razionalmente. Viene così attuandosi il
passaggio da un mondo spontaneo, in cui l'iniziativa individuale agiva incontrollata, a un mondo « fabbricato » e
modellato dall'uomo, con gli inconvenienti e anche i rischi che può comportare
una sempre più crescente burocrazia e un più spinto dirigismo. Quelli cui tutto
ciò può forse non piacere, rimpiangendo il bel tempo andato dei nostri padri,
dimenticano una cosa, e cioè che il passato era luminoso solo per una ristretta
minoranza di privilegiati, mentre gettava ombre cupe su tutta un'immensa folla
di piccoli e deboli costret-ti a una fatica e a condizioni di vita più o meno disu-mane.
Del resto, l'esistenza attuale del Terzo Mondo è li per rammentarci che il
processo di socializzazione deve ancora estendersi a una vastissima porzione
délia terra fatto che comporta délie gravi responsabilita per i paesi ricchi .
Per questa sua tendenza all'organizzazione, la socializzazione si manifesta
cosi come un progressivo passaggio dall'individuale al sociale. Basti pensare
alla presa in carica da parte délla comunità di numerosi servizi un tempo
lasciati all'iniziativa individuale, ma cui ormai essa non è più in grado di
far fronte: educazione dei figli facilitata dagli assegni familiari, gratuità
délla scuola, assistenza medica e chirurgica garantita dalle mutue, la moderna
struttura ospedaliera, ecc.» Il
movimento di urbanizzazione, con la creazione di grandiosi complessi di
abitazione, di centri ammmistrativi, offre un esempio spettacolare di una
razionalizzazione di bisogni sempre più complessi e vari Un altro aspetto del
fenomeno è la diversificazioneliç dei compiti la specializzazione sempre più
spinta che la grande complessità degli scambi umani e dei legami sociali
impone. Di qui, la moltiplicazione di istituzioni specializzate.
La marcla verso l' unità umana
Chi dice organizzazione e razionalizzazione di elementi complessi dice
anche instaurazionc di una più grande unità fra essi. Ed è questo, appunto,
l'aspetto più profondo e significativo délla socializzazione: l'unità ch'essa
tende a instaurare fra gli uoinmi; ed è ancora esso uno dei principali motivi
che spinge la Chiesa a interessarsi di questo processo.
Un tale cammino verso l'unità si manifesta anzi tutto nella presa di
coscienza di una più grande solidarietà fra gli uomini. I contatti continui, la
speciallzzazione dei compiti cui abbiamo accennato comportano inevitabilmente
una solidarietà di fatto, in cui ognuno si trova a dover sempre più dipendere,
nella sua esistenza, dal contributo degli altri uomini: ogni manufatto unisce
l'utente a un numéro immenso di altri uoinini che ne hanno reso possibile
l'esistenza. L'intensificaziane dei contatti all'interno dell'umanità porta a
una specie di presa in massa di soli-darietà générale, che comporta effetti
immensi di risonanza all'avvenimento politico anche minimo: se qual-cosa
accade, foss'anche nell'angolo più remoto délla terra, esso intéressa ogni
uomo, di cui compromette la si-curezza o 1'avvenire... A esempio di questa
interdipendenza basterà citare alcuni recenti avvenimenti: quando, nel 1956, il
calonnello Nasser bloccò a Suez il trasporto del petrolio, anche il più sperduto
contadino d'Europa ebbe delle série difficoltà a spostarsi con la sua
automobile per la penuria di carburante che ne era derivata; il minimo
incidente (a Cuba, nel Congo, nell'estremo Orieate, ccc...) intéressa armai
ogni uomo, mentre ancora soltanlo pochidecenni or sono i suoi effetti si
limitavano a un piano locale. Una tale solidarietà e interdipendenza è
créatrice di fatto di unità; ogni sforzo, ogni impresa, ogni lotta si svolge
ormai in funzione di un insieme urnano. Le relazioni sempre più intense fra gli
uomini fanno loro prendere coscienm délia Îoro « totalità », del fatto cioè di
essere un tutto coerente; gli scioperi, per esempio, sempre più spesso
diventano rivendicazioni nei confronti délia socie-tà nel suo insieme (opinione
pubblica o governo che sia): da professionali, essi diventano politici. Ché
l'attuale po-liticizzazione dei problemi si generalizza, esprimendo
l'in-terdipendenza délie parti verso il tuÈto, controllato dalla politica. Di
qui, l'amplificazione del ruolo dello Stato, che interviene in un numéro sempre
più grande di settori: ciô farà correre il grave rischio dello statalismo, da
cui la Chiesa vuole presen,-are riaffermando il principio di sus.sidiarietà e
L'importaoza dei corpi intermedi. Infine, questo movimento di unificazione si
manifesta nel primato attribuito ai valori universali, nelle progressiva
scomparsa délie barrière' sociali (il desiderio délia promo-zione sociale, per
esempio, l'estensione di una medesima cultura, dei medesimi gusti, suscitati
dalla pubblicità pres-soché identica in ogni luogo...). La formazione di una
coscienza comune, che si estende a insiemi umani sempre più vasti", è
l'avvenimento più carattenstico e notevole del nostro tempo. Non possiamo qui
dilungarci; ma è necessario comprendere che proprio esso è la fanalità più
profonda del fenomeno attuale délla socializzazione...
La sociatizzazione, possibillità a rischio per l'uomo
Ci troviamo, infatti, nel cuore del problema. La socialiazazione appare
come la manifestazione, resa possibile dalla crescita del mondo, di una
tendenza profondamente umana, la tendenza alla vita sociale. Il carattere
sociale délla natura umana è all'origine di tutti i raggruppamenti umani e
dell'ascesa délla storia (per esempio, nel passato, l'im-pero romano, la
cristiamità medioevale, ecc.). Ma ai nostri giorni questa tendenza ha délle
possibilità di realizzazione veramente pÎanetarie. È la natara umana., nelle
sue esigenze più fondamentali, che vi si scopre all'opera, volendo esprimere la
sua unità e farla prorompere al di là di tutti i particolarismi. Ma allora, la
sodalizzazione diverrà comprensibile
soltanto védendola alla luce délla vera natura dell'uorno, cioè délla dignità
délla persona umana*
In verita, c'è l'uomo al centro stesso del problema; ma allora, sarà la
concezione che ognuno ha dell'ùomo ciô che darà il tono al suo giudizio sulla
socializzazione. Nella prospettiva di una antropologia puramente naturalistica
, o addirittura materialistica, la socializzazione apparirà come un fenomeno
autosufficieiate, sottoposto a un puro determinismo. E un pericolo sul quale
Giovanni XXIII ha decisamente attirato l'attenzione e che è importante
sottolineare.
I rischi della socializazione II rischio immanente délla
socializzazione, in forza délla sua stessa dialettica, è di vederla sfruttata
in funzione di una esagerazione del ruolo dello Stato; per il fatto di
implicare un passaggio. di accentuaziane dall'individuale al sociale, essa
potrebbe sfociare, al limite, in un totale assorbirnento del primo nel secondo,
L'esempio tipico di questo rischio è dato dagli Stati totalitari in cüi il
potere, che è onnipoteii.te, ha davanti a se soltanto più una massa amorfa e
uiiiform.e di individui senza volto sociale; di più, in questi casi si opera
come ima vera e proplia di-sintegrazione délia societa, per « atomizzaziolie »
dei suoi mernbri, Teii.eiido a mancare tiitti i legami reali e umani fra essi e
l'autorità,
E anche quando non cadesse in. tali eccessi, una .soc:a-lizzazione mal
compresa potrebbe ssmpre .sfociare: a una degradation^ délia dignifà delÎû
persona, che verrebbe spogliata dei suoi diritti essenziali e sottoposta a
délie co'striziom psicologiche: o giuTidichc (Bon ro-ss'altro che il terrore
poiizie:sca„ per esempio) incompatibili con la sua libertà; opp'urc un
assorbimeoto da parte dello S'tato di un. numera tropp-o grande di settori
pri^ati potrebbe far corrieiTe il mcido di bloccare agsi:l jniziativa dei
cit-ta'dim, abituati a ricevere tutto passivaiirieiite da ubio Sta-toprovvideilza, decenni or
sono i suoi effetti si limitavano a un piano locale. Una tale solidarietà e
interdipendenza è créatrice di fatto di unita; ogni sforzo, ogni intrapresa,
ogni lotta si svolge ormai in funzione di un msieme umano. Le relazioni sempre
più intense fra gli uomini fanno loro prendere coscienm délla Îoro « totalità
», del fatto cioè di essere un tutto coerente; gli scioperi, per esempio,
sempre più spesso diventano rivendicazioni nei confronti délla società nel suo
insieme (opinione pubblica o governo che sia): da professionali, essi diventano
politici. Ché l'attuale politicizzazione dei problemi si generalizza,
esprimendo l'in-terdipendenza délle parti verso il tutto, controllato dalla
politica. Di qui, l'amplificazione del ruolo dello Stato, che interviene in un
numéro sempre più grande di settori: ciô farà correre il grave rischio dello
statalismo, da cui la Chiesa vuole presen,-are riaffermando il principio di
sus.sidiarietà e L'importaoza dei corpi intermedi. Infine', questo niovimento
di uniâcazione si manife.sta nel primaîo atïnbuiîo ai valori universaU, nelle
progressiva scomparsa délie barrière' sociali (il desiderio délia proino-zione
sociale, per esempio., l'estensione di una medesima ciiltura, dei medesimi
gu;st;i„ suscitati dalla pubblicità pres-soché identica in ogni luogo..^). La
formazione di una coscienza comane, che si estende a msiemi urnani sempre più
vasti", b l'avveniiïiento più carattenstico e note-voie del nostro teinpo.
Non possiamo qui dilungarci; ma è necessario co'mp;rende:re che proprio esso è
la faialità più profonda del fenoineno attuale délia sodalizzazione...
La sociatizzazione, possibillità a rischio per l* uomo
Ci troviamo, iiüatti, nel cuore del problema. La sociadi^-zazlone
appare come la mamfestaïio'ne^ resa possibIÏe âaU.a cresciîa âel mondo, di una
tenden^a profondûmente umana, la teildea^a alla vita sociale. Il carattere
sociale délia natura umana è all'ongine di tutti i raggruppamenti uma-ni e
delTascesa délia storia (per esempio, nel passato, Fim-pero romano, la
cristiamità niedioevale^ ecc.}. Ma ai no-s.tri giorni questa tendenza ha délie
pw£ib'iîüà di rwîi^" ïo^ione veramente pÎanetarie. È. la natara urnana.,
nele sue esigen^e più Eondame'litali, che m si scopie all'opera,
volendo esprimere la sua unità e farla prorompere al di là di tutti i
particolarismi. Ma allora, ia sodalizza-zione diverrâ comprensibile soltanto
védendola alla luce délia vera natura dell'uorno, cioè délia dignità délia
persona umana*
In venta, c'è Î'uomo ai centra stesso del problema; ma allora, sarà la
concezione che ognuno ha dell'ùomo ciô che darà il tono al suo giudizio sulla
socializzazione. Nella prospettiva di una antropologia puramente naturalist ica
, o addin ttura materialistica, la social izzazione apparira come im fenomeno
autosufficieiate, sottoposto a un puro determinismo. E un pericolo sul quale
Giovanni XXIII ha decisainente attirato Fattenzione^ e che è im. portante
sottolineare.
I rischi deïïa sociaU^azione
II rischio immanente délia socializzazione, in forza délia sua stessa
dialettica, è di vederla .sfruttata m funzione di una esagerazioiie del ruolo
dello Stato; per il fatto di im-plicare un passaggio. di accentuaziane
dall'individuale al sociale, essa potrebbe sfociare, al lür^te. in un toitale
as-sorbirnento del priino nel secondo, L'eseinpio tipico di questo rischio è
datû dagli Stati totalitari in cüi il potere, che è onnipoteii.te, ha davanti a
se soltanto più una massa amorfa e uiiiform.e di individui senza volto sociale;
di più, in questi casi si opera come ima vera e proplia di-sintegrazione délia
societa, per « atomizzaziolie » dei suoi mernbri, Teii.eiido a mancare tiitti i
legami reali e umani fra essi e l'autorità,
E anche quando non cadesse in. tali eccessi, una .soc:a-lizzazione mal
compresa potrebbe ssmpre .sfociare: a una degradation^ délia dignifà delÎû
persona, che verrebbe spogliata dei suoi diritti essenziali e sottoposta a
délie co'striziom psicologiche: o giuTidichc (Bon ro-ss'altro che il terrore
poiizie:sca„ per esempio) incompatibili con la sua libertà; opp'urc un
assorbimeoto da parte dello S'tato di un. numera tropp-o grande di settori
pri^ati potrebbe far corrieiTe il mcido di bloccare agsi:l jniziativa dei
cit-ta'dim, abituati a ricevere tutto passivaiirieiite da ubio Sta-toprovvideilza,
^ <jjo¥a^ki
.mil, Maur et M^istra, ^ 63.
— quest'opera ha un carattere sociale da un duplïce punto di vista:
a) per sua stessa natura l'uomo non puô svilupparsi che nella vita in
societa. Dunque, la societa, nella sua struttura puramente naturale (d'ordine familiare, economico, culturale o
politico che sia), è destinata a essere il terreno délia grazia, a venir
trasformata da essa, a irradiarne
l'effetto e a facilitarne l'influenza, pur conservando la sua specificità
temporale;
b) anche l'opéra propriamente detta délia salvezza è, sul suo piano
soprannaturale, d'ordine sociale, ma nel rnodo più profondo, al modo di una
comunitâ (Regno di Dio) sopraimaturale.
La Chiesa visibile, in quanto comunità degli uomini sulla terra, partecipa
allora di queste due esigenze sociali, sia in quanto è Corpo mistico che si
costruisce visibilmente (e dotato a questo scopo délie opportune istituzioni),
sia in quanto riunisce degli uornini e prende in carica la loro natura sociale,
È avendo présente l'unione che si deve instaurare fra queste due
esigenze che si può comprendere la natura del legame fra evangelizazione e
trasformazione del mondo. All'economia cristiana, il carattere sociale è dunque
essenziale e si manifesta su diversi piani,
benchè integra:iitesi gli uni negli altri. Questo mistero è il
prolungameiito del mistero dell^lncani,azione: come puô il divino, senza
degradarsi e natu:ralizzarsi,
impregnare e trasformare l'umano e, nel contempo, non negare l'uomo? La
modema presa di coscienza dei valori umani m tutta quanta la loro originalità
pone coin forza questo problema. Le due fonti delta dottrina sociale cristiana
La dottrina sociale délia Chiesa discende da due fonti, il diritto
naturale e la Rivelazione, le quali,. per vie diverse, provengono entrambe,
come due correnti non contrarie, dalla
medesima fonte divina. Per tutto un aspetto, dunque, la dottrina sociale délia
Chiesa non è qualcosa che sia soltanto suo, dal momento' che essa è valida per
ogni uorno, cristiano o no, corrispondendo
allé esigenze délia natura umana. Per altro verso, tuttavia, è una dottrina
assolutamente specifica del cristianesimo, dal momento che illumina, vedendole alla luce superiore délia
Rivelazione, talune prescrizioni del diritto naturale che possono essere
misconosciute o mal comprese. Diriîfo naîumÎe e Rivelazione sono dunque le due
fonti di questa dottn:na. Ma quale è la loro relazione dialettica? La
Rivelazione non è semplicemente una giustapposizione o un'aggiunta al diritto
naturale. La relazione che intercorre fra natura e grazia obbligia a vedere il
ruolo délla Rivelazione nei confronti del diritto naturaie come quello : a) di
un sostegno e di un compimento sulla linea délla finalità natiirale; b) nello
stesso tempo, di una promozione in vista di una fînalità superiore che intégra
la prima e la supera.
Tutto ciò però non intéressa direttamente la dottrina sociale délla
Chiesa; ciò mostra assai bene che quest'ultima si limita essenziataiente al
campo del diritto naturale, in quanto illuminato dalla Rivelazione. Perciô, è
délla natura unana, foridarnento del diritto naturale, che dobbiamo ora
parlare. La natura umana
Îl termine naîura ha molti sensi (sono circa una ventina i sensi d'uso
abbastanza comuni. Questa varietà di sensi è all'origine di molti malintesi
circa la dottrina délia Chiesa a
proposito del diritto naturale; e poiché lo stesso termine puô avère délie
interpretazioni assai diverse, è bene sapere di che casa si sta parlando. La
causa maggiore délle incomprensioni o dei rifiuti del diritto naturale dériva,
nella nostra epoca, dalla grande diffusione di una di queste concezioni (formatasi nel secolo XVIII) e che uno
spirito moderno non può più accettare; ma una simile concezione non è mai stata
condivisa né da san Tommaso né dalla Chiesa.
Inadeguate concezioni délla natura
Esistono' alcune concezioni che si devono respingere, in quanto non
hanno nulla a che vedere con l'uorno reale. Pongono infatti la natura urnana:
l) o in una situazione storica originale e dunque superata: — natura nel senso
di biologico, infraumano; l'uomo naturale sarebbe il selvaggio, l'uomo délle
foreste, che vive in contatto continuo con la Natura non umana (senso attuale di « naturismo »), con la
quale sarebbe in partecipazione. Questo senso non ha nessun intéresse, poiché
darebbe a intendere che il progresso
urnano sarebbe antinaturale: la verità è piuttosto che l'autentica
natura dell'uomo (spirito incarnato) postula la capacità di progresso, di vita
in societa. Una tale concezione ha
contribuito assai a svalutare l'idea di natura, che si presenterebbe, in questo
caso, come un dato stabilito una volta per tut
te, un dato biologico, che l'uorno dovrebbe superare con la sua libertà
(proprio mentre questa esprime,, invece, un aspetto essenziale dellà sua
natura}, — natura nel senso di pre-sociale (Rousseau): è un senso assai affine
al précédente. Questo senso è il frutto di un'immaginazione e una costruzione
romantica del tutto dimentica délle
vere condizioni dell'uorno primitivo, il quale non può sopravvivere se non per
il tramite di una vita sociale, per quanto magari rudimentale. In ogni caso,
questo senso non è di nessuna utilità. per la soluzione del problema dell'üomo
storico. — natura nel senso di creatura di Dio nella sua integrità originale,
non guasta dal peccato. Questo senso è stato molto importante per i Padri délla
Chiesa (per un sant'Agostino, per esempio). Il diritto che discende da questa natura, legge naturale primordiale,
era allora sinonimo di diritto originale, quello di una umanità in stato di integrità
paradisiaca, relegata dunque nel fondo
délie età, simbolo di un'età dell'oro, ma non spiegava affatto la natara
reale e decaduta dell'uomo: e, in verità, i Padri non scorgevano in essa che
l'dea originale del piano divino, un idéale da realizzare nella forma dei
consigli evangelici (per questo vi associavano la comunità dei béni; in questo
senso di natura, la proprietà privata
non era di diritto naturate}. Nonostante tutto, questo senso conserva ancora un
certo interesse, in quanto idéale verso cui la storia urnana deve tendere
(restaurazione délla giustizia originale):
vi si tratta di un idéale, di im'aspirazione verso cui deve tendere il
diritto naturale inteso in senso metafisico (quelle di san Tommaso e délla
Chiesa); ne vedremo più avanti un esempio a proposito del diritto di proprietà.
2) oppure la intendono in un senso astrattîo e irreale. La natura veniva cosi
concepita nella forma di un'idea platonica, irreale e aprioristica. Taie
concezione era stata diffusa dalla célèbre « Scuola del diritto naturale » del
XVIII secolo (Grozio, Pufendorf.,.); ma il pensiero storico moderno, diffidente
verso ogni costruzione aprioristica, lTia rifiutata. Questa concezione di un
diritto naturale astratto ha dato origine a vari sistemi giuridici che han-do costituito come l'mtélaiatura di un
gran zhumero di ooâificaziom quanto mai particolareggiate che prétende-vano di
nfàrsi al diritto naturale, oodificaziolü m cui tutto era previsto fin nei
iniTiiini particolari, secondo un ra-
zlomiismo deduttivo dimentaco délie reali condiziom del-1'esîstenza
urnana e del progresso storico. E, in realtà, quel sistemi non. furono che dei
tentativi voiti a giustifi-care, m nome: di un diritto nahirale astratto, certe
isti-tuziom giliridiche che si erano venyte farmando. Ma di-menticavano una
cosa, e cioè che la vera natura del^uorno, neRe sue esigenze reali e concrète,
si deve scoprire esplo-rando con l'aiuto délia ragione le diverse tendenze e
in-cimazioni uinane.
3) o ancom, e più spe^so, îa intendono neî senso moder-no e cartesiano
di realtà iiativa, dato corporale {res ex' îensa)t m opposizione .al pensiero e
alla libertà; ma intesa in questo' senso, la natura indica nelVuomo ciô che in
lui è naeno specifico, ciô che egli ha in comune con tutto il mondo
extra-umano, il mondo dei corpL Questâ concezione è completamente inadeguata
per caratterizzare l'üomo nella sua originalità, in ciô che fa di lui un essere
morale, tEde soltanto perché dotato di pensiero razionale, spiri-tuale e di
libertà,
Questa concezione délia natura,, assai tipica dei tempi mo-derni, ai
nostri giorni è talmente diffusa che non si puô trascurare: per i nostri
contemporanei, Fuso di questo termine è dmique assai ambiguo; voler designare
con esso l'uomo totale, nella sua dignità di essere spirituale e li-bero,
soprattutto nell'espressione di « diritto naturale » come fonte: di moralitàJ
rischia di provocare dei gravi malintesi.
Ê allora molto importante mettersi d'accordo sul senso délie parole, e
quando si parla di natura o di diritto naturale precisare molto bene il
confenuto che si immette m quelle espressionL A questo riguardo, è un vero
peccato che certi autori cattolici, pensando forse di difendere — assai
maldestramente, perù — la dottrina tradizionale circa il diritto naturale,
diano al termine di natura il senso cartesiano di dato biologico, in
opposizione con la libertà e la responsabilità. Il mantenimento di tali
veneran-di vocaboli è cosi giustificabile solamente quando ci si fa premura di
sottrarli prima all'ambivalenza cui possono dar luogo: a tal fine, la cosa
migliore è avère ben piesente allô spirito 1'umco senso appropriato alla
funzione che gti si vuole far assolvere e che è il senso loro dato da san
Tommaso,