Il
libro "Senza radici" è incentrato su una delle
tematiche su cui oggi si sente molto discorrere: il Relativismo
culturale, esaminato e discusso da due autorità influenti
dei
nostri tempi: il papa(al tempo in cui scrisse cardinale Joseph
Ratzinger), e l'ex presidente del senato Marcello Pera. Prima da
stilare una relazione dettagliata circa ciò che concerne il
contenuto del libro, è necessario precisare il significato
del
termine "Relativismo": dottrina filosofica che ammette la
relatività di ogni conoscenza umana. Relativistiche infatti
si
dicono in generale le dottrine che negano che la conoscenza e
l'azione dell'uomo siano subordinate, quanto alla loro
possibilità
e al loro valore, a principi o a leggi che valgano universalmente e
necessariamente. Il libro contiene dunque una serie di considerazioni
scaturite dall'analisi dettagliata della suddetta corrente
filosofica, tese dimostrare la fallacità del
relativismo, e a farci prender coscienza di quanto questo possa
portare alla distruzione, addirittura alla paralisi di un Occidente
che ormai da tempo ha perduto le sue radici. È necessario a
questo proposito infatti , soffermarci ad analizzare il titolo del
libro che ne esemplifica il contenuto: "Senza radici". Si
parla di un Occidente ormai debole, dimentico della sua storia, non
curante degli elementi positivi che lo reggono e che ancora oggi ne
consentono un buon funzionamento , un Occidente inerme , spaurito,
poco autodifensivo , un Occidente che non sa più cosa vuole,
che non sa più a cosa tendere, che non conosce
più gli
obiettivi che si era prefissato, un Occidente povero di orgoglio, un
Occidente " SENZA RADICI". A questo proposito vi sono
all'interno del libro interessanti analisi circa i rapporti che
intercorrono tra la cultura occidentale e quella islamica e ancora,
fondamentali considerazioni circa alcune delle problematiche che oggi
fanno più discutere. Pera inizia con il dire che affermare
che
il modello delle istituzioni democratiche e dei diritti
dell'Occidente è migliore del modello dell'Islam, non
implica
che necessariamente dobbiamo essere tacciati di arroganza, come
vorrebbero le leggi relativiste. È dunque per questa
motivazione che possiamo parlare di "PARALISI DELL'OCCIDENTE",
perché quest'ultimo non ritiene che ci siano buone ragioni
per
affermare di essere migliore dell'Islam. Ecco la prima motivazione che Pera adduce per giustificare il
suo
scetticismo nei confronti della corrente relativista. Spesso infatti
l'Occidente per paura, non ritiene di dover esporsi in maniera
così
manifesta, e di rendere altrettanto manifesti i propri pensieri, e
addirittura le proprie convinzioni se queste, si pensa, possano
ledere la sensibilità altrui, e possano diventare oggetto di
scontro. Pera allora aggiunge:
<<Affermo
i principi della tolleranza, della convivenza, del rispetto oggi
tipici dell'Occidente, ma sostengo che, se qualcuno nega la
reciprocità di questi principi e ci dichiara la jiad, allora
si deve prendere atto che è un nostro avversario. In
sostanza,
rifiuto l'autocensura dell'Occidente, che trovo ingiustificata e
rischiosa>>.
Dobbiamo
considerare questo un passo chiave ai fini di comprendere il pensiero
di Marcello Pera, il quale ritiene indispensabile , allo scopo di
perseguire il bene dell'Occidente, che questo si renda conto della
situazione critica nella quale versa ormai da decenni , e che si
affretti a fronteggiare i numerosi pericoli che si prospettano,
causati dalla "mancanza di polso"di un Occidente affetto
dalla sindrome del "Linguaggio politicamente corretto", con
cui egli vuol far riferimento a quell'atteggiamento che adottano
tutti coloro che evitano di manifestare il proprio pensiero
apertamente, per paura di incorrere in situazioni che possano
suscitare il dispetto altrui e ferire 1'altrui orgoglio. Ma d'altra
parte , è pur giusto ammettere che il relativismo parte da
un
dato incontestabile, quello della pluralità dei valori, e da
una posizione anch'essa difficilmente contestabile: la non
compassibilità di tutti i valori. Ma Pera aggiunge:
<<Da
tali premesse il relativismo fa discendere conseguenze sbagliate e
disastrose, in particolare una: che gli insiemi di valori, come le
culture e le civiltà, non possano essere giudicate l'una a
fronte dell'altra>>.
In
altre parole vuole farci intendere che la concezione relativista deve
essere applicata solo ed esclusivamente in determinate circostanze,
per certi contesti, e necessariamente deve essere estraniata da
altri, quelli ad esempio in cui bisogna muovere un confronto tra due
diverse culture. A questo proposito viene menzionato il problema
della reciprocità. Pera ci dice che se da una parte
l'Occidente è un paese libero, aperto all'afflusso di nuove
culture, disposto ad ospitarle e a rispettarle, dall'altra parte vi
è
un mondo islamico chiuso, bigotto, intrappolato nella propria erronea
convinzione di primeggiare sulle altre culture. Pera infatti ricorda
le parole di padre Gheddo:
<<In
nessun paese islamico i cristiani sono totalmente liberi come i
musulmani lo sono in Occidente; gli è consentito costruire
le
moschee vicino alle nostre chiese, al contrario in quasi nessun paese
musulmano è concesso costruire una chiesa>>.
Perché
allora ci si chiede, ci ostiniamo ad accordare questo diritto,
perché
ci sentiamo in obbligo di accordarne molti altri? Perché
pensiamo di essere presuntuosi se tentiamo di difendere il nostro
paese, i valori che sono insiti nella nostra cultura, le radici che
ne costituiscono il fondamento? Allora è meglio affievolire
la
fede o abbassare la voce piuttosto che rischiare un conflitto? Dunque
il cristiano debole alla fine diventa un cristiano arrendevole?
Quando la chiesa, il clero, i credenti vorranno disintossicarsi da
quel relativismo che ha rischiato di offuscarne l'identità e
affievolirne il messaggio e la testimonianza? Questi sono gli
interrogativi che Marcello Pera si pone, perché quel
relativismo che predica l'equipollenza dei valori e l'equivalenza
delle culture, non orienta alla tolleranza, altresì
all'arrendevolezza. Oggi infatti sembra che, in funzione degli
insegnamenti che il relativismo tenta di impartire, non c'è
nulla per cui valga davvero la pena combattere, imporsi, far sentire
la nostra voce, perché il cristiano ha paura, paura di dirsi
cristiano, paura di sostenere le radici del suo credo, e della sua
cultura. Allora spontaneamente dovrebbe sorgerci una domanda:
"quant'è vero questo?" Sarebbe troppo difficile
rispondere, anche se dobbiamo per forza di cose ammettere che la fede
nel mondo islamico è considerata un valore molto
più
che nel mondo Occidentale, volendo trascurare il fanatismo religioso
che spesso accompagna il credo islamico. Dobbiamo pur dire che senza
dubbio l'Occidente ha numerose colpe, che la chiesa occidentale ha
molto sbagliato in passato, che non possiamo dirci innocenti, ma ora,
e nel libro Marcello Pera lo sottolinea più volte, dobbiamo
andare avanti, non dobbiamo soffermarci troppo sugli errori commessi
e voltarci spesso in dietro, dobbiamo bensì guardare ai
numerosi meriti da imputare all'Occidente, quale ad esempio quello di
essere una cultura aperta al dialogo, forse anche troppo. Per non
rinnegare ciò che siamo, la nostra cultura, dobbiamo
"combattere", ossia rinunciare a quell’arrendevolezza che
ormai ci contraddistingue, e non permettere a nessuno di poter
"comandare" in casa nostra. Il concetto che ho appena
esposto, di cui si fa portavoce Marcello Pera, è
esemplificato
in una frase presente all'interno del libro:
<<L'integrazione
presuppone un dialogo a partire dalla mia posizione, l'aggregazione
presuppone l 'accondiscendenza>>.
Dovrebbero
a questo punto sorgere spontanee alcune domande:" Cosa vuol dire
essere ospitali?" "Qual è il limite che separa il
concetto di aggregazione da quello di accondiscendenza?" Ma
soprattutto: "Potremmo risolvere qualcosa adottando una linea di
condotta più ferrea e rigorosa?" "Non rischieremmo
forse così di incappare in pericoli maggiori?" "E la
guerra potrebbe servire a qualcosa?" " Sarebbe l'unico
provvedimento veramente giusto da adottare come antidoto alla
degenerazione?". La multiculturalità è letta da
Marcello Pera come abbandono di ciò che è
proprio, fuga
delle cose proprie. Dovremmo domandarci quanto effettivamente ci
sentiamo legati alle nostre tradizioni, alla nostra cultura, e cosa
siamo disposti a fare pur di salvaguardarla. Marcello Pera considera
l'atteggiamento dell'Occidente a dir poco ipocrita, perché
questo rifiuta di esporsi con asserzioni forti pur evitare il
conflitto. Dice Marcello Pera infatti:
<<
Migliore non si può dire,preferibile è
sospetto,desiderabile va così e così se
utilizzato con
accortezza, uguale va benissimo>>.
"Perché
dobbiamo dire che la cultura islamica è pari a quella
Occidentale se effettivamente non lo pensiamo?" " Perché
dobbiamo limitarci a designare con il termine diverso ciò
che
consideriamo diverso negativamente? " E poi, quel relativismo
che predica 1'alienabilità di certi valori talvolta si
contraddice, apparendo esso stesso un paradosso. Marcello Pera
rimarca molto su questo concetto all'interno del libro, adducendo un
esempio molto significativo. Egli infatti ci dice che nella nostra
società viene multato chiunque non rispetti la
sacralità
del Corano ; se invece si tratta di Cristo,viene attinto il valore
supremo della libertà di opinione. " Ma il relativismo
non sostiene l'importanza di vivere in un mondo in cui tutte le
culture siano equipollenti?" "Dunque perché il
cristiano ha meno diritto di rimanere ancorato al proprio credo
rispetto al musulmano?" "COMBATTIAMO" direbbe Marcello
Pera, per conquistare pari diritti. Ma la guerra è
considerata
immorale. Di qui scaturisce un'importante distinzione tra guerra
immorale e guerra condotta al fine di perseguire ciò che
è
giusto. È infatti necessario designare con il nome di "
Guerra immorale " quella fatta per annettere uno
stato,
ad esempio; ma quando si tenta di evitare una guerra a tutti i costi,
e infine ci si rende conto che questa è necessaria alla
nostra
sopravvivenza, allora la guerra assume una valenza diversa;
è
a questo punto che si può parlare di guerra non dico giusta,
ma quantomeno giustificata. In funzione di questo, non vanno esaltati
i pacifisti che ripudiano il concetto di guerra, bensì i
costruttori di pace, che si impegnano al fine di evitarla, ma che
quando appare strettamente necessaria, la prendono in considerazione.
Dopo aver tracciato un profilo abbastanza dettagliato circa ogni
aspetto del pensiero del nostro ex presidente del senato, è
necessario accennare alcuni fondamenti su cui poggia il pensiero di
Joseph Ratzinger, che discute delle stesse problematiche di Marcello
Pera; seppure con qualche sfumatura, le convinzioni di quest'ultimo
sono in qualche modo riconducibili a quelle di Pera. Ratzinger
però
esamina in maniera più esauriente le differenze che esistono
tra laici e religiosi, definendo i primi come coloro che si sentono
liberi da ogni costrizione religiosa, e che di conseguenza perseguono
una diversa morale. Ma non esclude, al contempo, che seppure questi
sono uomini che non si sentono in grado di adempiere a tutto
ciò
che comporta la fede religiosa, comunque siano alla ricerca assidua
della verità, che spesso si sentano mancare il terreno sotto
ai piedi, per assenza di questa verità che tanto rincorrono.
A
questo proposito, in nome di quelle radici che legano il laico dal
cristiano, egli sostiene che sarebbe saggio fondare un'etica comune,
unica, della religione “che vada oltre la distinzione tra
etica
laica ed etica religiosa”. Ratzinger crede che il motivo per
il
quale il cristianesimo abbia perso credibilità, sia da
rintracciare nel fatto che l'opinione comune sostiene che la
religione ed i precetti religiosi non sono più in armonia
con
il principio di razionalità, fondamento della scienza
moderna.
Ma le due cose possono convivere; la scienza è valida quando
i
suoi teoremi sono dimostrabili, ma questo non esclude che essa possa
svilupparsi su un terreno religioso. In analogia con il pensiero di
Marcello Pera, egli menziona la "Political corretness", che
vorrebbe erigere un solo modo di pensare e di parlare. J.Ratzinger si
schiera contro tutti coloro che sostengono questo atteggiamento, e
invita a non adottarlo perché indurrebbe alla soppressione
della libertà di pensiero, e cosa molto peggiore, della
libertà di religione. Analogamente Marcello Pera, come
già
scritto in precedenza, è convinto che il valore di
"Educazione
politica" sia da considerare soltanto come una manifestazione di
ipocrisia,e timore insieme. Ipocrisia, perché dire che non
siamo una cultura più civile rispetto a quella islamica,
equivale ad affermare ciò che effettivamente non pensiamo;
timore, perchè sostenere di essere migliori dell'islam,
implicherebbe rischiare troppo. Mi
riservo ora
il diritto di esporre il mio pensiero circa quanto
è
stato affermato all'interno del libro da J.R e M.P, e circa la
modalità con cui determinate cose sono state dette. Credo
innanzitutto che è pur lecito dire sempre quello che si
pensa,
e rendere manifeste le proprie convinzioni nel momento e nelle
circostanze adatte, ma al contempo sono convinta che ciascuno
dovrebbe far ricorso alla moderazione, ponderando le parole,
soprattutto se le personalità che si fanno portavoci di
determinati pensieri, sono autorevoli ed influenti. A mio avviso
l'asserzione: "La cultura Occidentale è migliore di
quella islamica", è probabilmente troppo drastica, forte
e intransigente,da rischiare di offendere profondamente anche chi,
vivendo onestamente, non merita di essere offeso. Infatti
ciò
che da me è valutato negativamente, è il fatto
che non
si può considerare denigrata un'intera cultura che si fonda
su
precetti religiosi per molti aspetti analoghi a quelli del
cristianesimo. Ritengo a questo proposito giusto affermare che
talvolta manifestazione di fanatismo sono insite nella religione
islamica, così come lo sono state in quella
cristiana-cattolica di qualche secolo fa, ma è pur giusto
fare
un distinguo tra coloro che abbracciano la fede islamica, ed i
fanatici di religione islamica. Seppure noi rintracciamo numerose
differenze tra la nostra cultura e quella islamica, intesa nel senso
più ampio, considerando i vari ambiti in cui essa si
manifesta, non possiamo arrogarci il diritto, ad esempio in ambito
morale, di affermare che quest'ultima sia peggiore rispetto alla
cultura occidentale. Questo non toglie che, come i fatti hanno
dimostrato, ci siano stati e tutt’ora persistano, numerosi
tentativi da parte di fanatici musulmani, di imporre in maniera
prepotente, folle, e addirittura “omicida”, la
propria presenza e
la propria cultura. Marcello Pera e Joseph Ratzinger espongono le
proprie considerazioni, che possono essere concepite o meno;
è
l'obiettivo cui vuole tendere soprattutto Marcello Pera che a mio
avviso può essere assolutamente contestabile: quello atto a
mostrare l'assurdità della cultura islamica e ancor peggio,
della religione islamica. Credo che tutte le religioni si sviluppino
su precetti che invitano al dialogo, all'amore nei confronti del
prossimo, alla tolleranza; lo stesso Corano, libro sacro della
religione islamica, si fa portavoce di tali principi. Le "lotte
per la religione" che i fanatici sostengono, non sono
supportate da messaggi contenuti nel Corano; esse, secondo me,
scaturiscono da un'erronea interpretazione di tale testo. L'America
ci dice : "Portiamo la democrazia anche dove il significato di
questa non può, almeno per il momento, essere concepito".
E' sbagliato, sbagliato perché ciascun popolo ha il diritto
di
maturare da sé, di attraversare autonomamente fasi storiche
che lo possano portare "ad un grado superiore di
civiltà
". Ma è pur certo che se da un lato ogni popolo
ha il
diritto di crescere rispettando i propri tempi, dall'altro ciascun
popolo ha il dovere morale di non intaccare la sensibilità
altrui. Con questo non intendo fare "di tutta l'erba un
fascio" come Marcello Pera, ma credo che, qualora i fanatici
islamici tentino con mezzi ingiustificati di "imporsi ",
sia necessario emarginare il fenomeno, possibilmente senza ricorrere
a strumenti analoghi. Marcello Pera vorrebbe chiarirci il concetto di
"guerra giusta "; ma io non credo che possa
esistere
una guerra giusta, perché se c'è in atto una
guerra
vuol dire che nessuno è davvero innocente, che la colpa sta
nel mezzo, che ciascuno ha sbagliato. Neppure dopo la lettura
approfondita del libro "Senza radici", ritengo di
possedere gli strumenti adatti per poter sostenere o meno la
validità
della corrente relativista, ma nonostante ciò sento di poter
dire che non basta condannare, non è lecito giudicare la
cultura di un popolo, se si è trascurato di analizzarne le
fasi storiche. Poichè gli sbagli che ha commesso la nostra
chiesa secoli fa sono pressappoco analoghi a quelli che oggi commette
l'islam, io mi chiedo: "Forse non ci sono state circostanze
storiche adatte a far sì che la cultura islamica potesse
evitare di forgiare "mostri fanatici? " "Perché
questi si sentono minacciati da noi?". Bisogna ammettere come
più volte ha precisato Marcello Pera, che non esiste
reciprocità. E' a questo proposito che Marcello Pera si
sente
in diritto di parlare della cultura occidentale come di una cultura
superiore, che conosce le regole dell'ospitalità, che non
teme
un confronto. In merito a questo vorrei sostenere quanto affermato da
P. Credo che l'Occidente infatti possa vantare meriti indiscutibili:
in particolare quello di essere una civiltà disposta ad
accettare la diversità, e a convivere con essa. Dico quindi
che non si può parlare di cultura superiore ad un'altra
perché
persegue una morale che ben si confà al nostro modo di
pensare; si può parlare però, a mio avviso, di
cultura
che rispetto ad un'altra, ha avuto più
possibilità di
maturare, perché le situazioni storiche che ha vissuto
glielo
hanno concesso. Vorrei espormi a proposito di una delle problematiche
che all'interno del libro viene particolarmente approfondita, quella
che tratta delle radici dell'Occidente. Infatti ritengo innanzitutto
che la chiesa occidentale abbia costituito il primo, vero fondamento
della civiltà europea, e che gli abbia dato un contributo
considerevole. Al di là delle differenze che intercorrono
tra
la morale laica e quella religiosa infatti, ritengo opportuno
affermare che la chiesa abbia eretto una morale civile cui tutti
attingono e fanno riferimento.
Sulla
copertina del libro c'è un'asserzione di J.R. e una di M.P.
La
prima rispettivamente dice:
<<L'Occidente
non ama più se stesso: della sua storia ormai vede soltanto
ciò che deprecabile e distruttivo, mentre non è
più
in grado di percepire ciò che è grande e
puro>>.
Non
sono d'accordo, perché non credo che l'Occidente viva
nell'ombra degli sbagli commessi; d'altronde, pur avendo già
più volte ribadito che questo vanta numerosi meriti,
è
giusto che abbia riconosciuto i propri errori , che li abbia presi in
esame, e tentato di porvi rimedio. Marcello Pera invece dice:
<<Soffia
sull'Europa un brutto vento. Si tratta dell'idea che basta aspettare
e i guai spariranno da soli, o che si può essere
accondiscendenti anche con chi ci minaccia, e potremo
cavarcela>>.
Non
credo che sia preferibile aspettare passivamente ciò che
verrà
senza intervenire, ma allo stesso tempo mi chiedo: " Qual’
è
il rimedio che Pera vorrebbe adottare?" "Vorrebbe forse
proporre la guerra giustificata dai "buoni
propositi" dell'Occidente, sul modello di
quella che
egli apostrofa come "guerra
giusta?”.
La
guerra non è mai la soluzione dei mali; talvolta
è
causa di questi. Il risentimento non ci aiuta ad andare avanti;
viceversa ci porta alla distruzione. L'accondiscendenza allo stesso
modo, non porta al traguardo che vogliamo raggiungere. “E
allora
quale sarebbe l'atteggiamento idoneo da adottare?”.
Bisogna avere pazienza, e tentare di
persuadere coloro
che vogliono farci del male, del fatto che l'Occidente non
costituisce una minaccia, che è disposto ad ascoltare anche
le
ragioni degli altri se questi, con medesima volontà, sono
disposti a prestare orecchie alle nostre.
Valentina Castellano