Il simulacro e gli immensi spazi della libertà

Immaginiamo per un istante una scena del passato, del secolo scorso: su una nave transoceanica, uomini giunti per la prima volta alle porte dell’America. Raffiguriamo nella nostra immaginazione i loro sguardi, nello svegliarsi un mattino, dopo un lungo viaggio, e veder emergere dalle acque la Statua della Libertà, il simbolo di ciò che hanno cercato fino a quel momento. Cosa vedono, quegli uomini, in quell’immagine titanica? Vedono forse la risposta a tutte le loro speranze, come l’avevano sognata per anni? Per rispondere a queste domande e per ritrarre quei volti illuminati e quegli occhi accesi non basterebbero tutti i libri mai scritti. Possiamo solo limitare la nostra indagine a ciò che rimane di quei momenti, la statua e, ancor di più, ciò che essa rappresenta. Tralasciando l’aspetto tecnico, che colpisce maggiormente è lo sguardo fermo, deciso, penetrante. Il messaggio comunicato, non è a caso posto all’ingresso della nazione, è chiaro: la libertà è una scelta vera, seria, e va posta alla base delle proprie azioni e della propria vita. È un impegno morale che, una volta scelto, diviene irrinunciabile, poiché, nell’abbandono dei suoi principi, si rinuncerebbe a una parte di sé. Certamente l’intraprendere questo sentiero etico in maniera totale e con passo coerente è di per sé una scelta lunga e dolorosa. Pochi sono quelli che riescono a porre la libertà e, soprattutto, la ricerca di libertà per sé e per il prossimo a fondamento delle proprie azioni. Fra questa minoranza si inserisce, senza alcun dubbio, Nelson Mandela. Figura ormai archetipica nel mondo moderno, che tanto ha bisogno di modelli assoluti di forza d’animo e tenacia morale. Un uomo che ha dedicato l’intera vita alla battaglia per i diritti, per il rispetto, per la concordia e la dignità di tutti gli uomini, indistintamente. Potrebbe sembrare una decisione “banale” per i lettori di oggi, forse perché ne viene fatto abuso, eppure rimane il modo più sintetico per accennare, perlomeno, a una vita straordinaria. Ma il fatto più incredibile, nonché la novità assoluta del suo operato, è il successo. Mandela è riuscito a cambiare il suo paese e, in un certo senso, il mondo, dandoci la prova tangibile della possibilità di riuscita di un progetto di questa portata. È un incontrovertibilmente vero che, dedicando la propria esistenza ai propri principi, abbattere una prigionia razziale per un popolo intero (l’apartheid) è un’opera fattibile. Il successo, comunque, non è garantito. Cosa fare pertanto in caso di sconfitta, nel veder crollare quanto costruito in anni di devozione e cura? Se la libertà è il tratto principale della vita, essa deve necessariamente essere tale anche della morte; a tale interrogativo, questa potrebbe essere la risposta di pensatori esemplari quali Cicerone e Dante. “Servitus postremuum malorum omnium (est), non modo bella, sed morte etiam repellendum.” scrive Cicerone, in altre parole la schiavitù deve essere rifiutata in modo assoluto, senza farsi scrupolo di sacrificare la stessa vita, poiché è la vita da schiavo la vera morte. Esemplificato in una canzone popolare, accessibile a un pubblico vasto, si potrebbe sintetizzare una parte di questa riflessione in un celebre ritornello di Giorgio Gaber: “Libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.” Ciò che perseguono questi grandi personaggi di ieri e di oggi non è una libertà spicciola, di poter agire a proprio piacimento, ma è una libertà “aperta”, la libertà di poter condividere tale condizione con gli altri. Cicerone, Dante e lo stesso Mandela, non potrebbero che essere d’accordo. Tornando alle parole di Mandela: “I bambini, finalmente, dovranno poter giocare nei campi senza essere più tormentati dai morsi della fame […]”, vorrei sottolineare l’espressione “dovranno poter”. La potenzialità d’azione, tantopiù se si tratta di un’azione semplice e innocente come il gioco di un bambino, diviene quindi un dovere assoluto che non è solo morale, ma va rintracciato nella natura stessa dell’uomo. Ciò che ci caratterizza maggiormente e ci rende uomini è proprio il desiderio di guardare oltre i limiti, la propensione alla ricerca di spazi infiniti, in cui muoversi liberamente. Combattere per un progetto di giustizia e libertà assuma un nuovo valore. Non è puramente un dovere morale o politico, diventa la realizzazione del proprio destino di uomo. Libertà è la condizione naturale dell’individuo, non è altro che un ritorno. Come l’uccellino, di cui narra Leopardi in una favola, che fugge da una cattività abbondante di cibo e ozio per volare su campi vasti e aperti, allo stesso modo l’uomo non fa altro che tentare di far ritorno al suo naturale ambiente di libertà limpida e semplice, cercando un luogo in cui vivere in armonia con il resto del mondo. Questo luogo è l’America per gli emigranti del Transatlantico, è il campo da gioco dei bambini sudafricani per Mandela, è la campagna fresca vista in volo per Leopardi. Ciò che conta è nutrire un cuore giovane, vivo; “Di libertà l’amore/ Regna in un giovin cuore”.