Poesie Varie
C.Baudelaire
Friedrich W.Nietzsche
W.Shakespeare
Napoletane
Romane
Max©
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Come
ti amo?
Come
ti amo? Lascia che ti annoveri i modi.
Ti amo fino agli
estremi di profondità,
di altura e di estensione
che l’anima mia
può raggiungere, quando al
di là del corporeo
tocco i confini
dell’Essere e della Grazia Ideale.
Ti amo entro la sfera
delle necessità quotidiane,
alla luce del giorno e al
lume di candela.
Ti amo liberamente, come
gli uomini che lottano per la Giustizia;
Ti amo con la stessa
purezza con cui essi
rifuggono dalla lode;
Ti amo con la passione
delle trascorse sofferenze
e quella che fanciulla
mettevo nella fede;
Ti amo con quell’amore che
credevo aver smarrito
coi miei santi perduti, -
ti amo col respiro,
i sorrisi, le lacrime
dell’intera mia vita! - e,
se Dio vuole, ancor meglio
t’amerò dopo la morte.
Ludovico Ariosto
1474-1553
Le
donne, i cavallier, l'arme, gli amori
Le donne, i
cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie, l'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m'ha fatto,
che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
Piacciavi, generosa Erculea prole1,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l'umil servo vostro.
Quel ch'io vi debbo, posso di parole
pagare in parte, e d'opera d'inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono;
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m'apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore e' chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensier cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco.
Ludovico Ariosto - Orlando Furioso
(1)Erculea prole: Il cardinale Ippolito d'Este, figlio di
Ercole I, al cui servizio era l'Ariosto quando scrisse questi versi
Amo in te
- Nazim Hikmet
Amo in te
l'avventura della nave che va
verso il polo
amo in te
l'audacia dei
giocatori delle grandi scoperte
amo in te le
cose lontane
amo in te
l'impossibile
entro nei tuoi
occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato
affamato infuriato
ho la passione
del cacciatore
per mordere
nella tua carne.
amo in te
l'impossibile
ma non la
disperazione.
GIORDANO BRUNO - La
Verita' entro di noi
Lascia
l'ombre ed abbraccia il vero.
Non cangiare il presente col futuro.
Tu sei il veltro che nel rio trabocca,
mentre l'ombra desia di quel c'ha in bocca.
Aviso non fu mai di saggio o scaltro
perdere un bene per acquistarne un altro.
A che cerchi si lungi diviso
se in te stesso trovi il paradiso?
Anzi, chi perde l'un mentre e' nel mondo,
non speri dopo morto l'altro bene.
Perche' si sdegna il ciel dare il secondo
a chi il primiero non caro non tenne;
cosi', credendo alzarti, vai a fondo;
ed ai piacer togliendoti, a le pene
ti condanni; e con inganno eterno,
bramando il ciel, stai ne l'inferno.
(da "Lo spaccio della bestia trionfante")
Torquato Tasso
1544-1595
Morte di Clorinda
Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch'a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.
- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l'alma sì; deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
Non morì già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti<1> sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace."
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come a' gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.
Pianto Antico
- Giosuè Carducci
L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde
melograno
da' bei
vermigli fior,
nel muto orto
solingo
rinverdì tutto
or ora
e giugno lo
ristora
di luce e di
calor.
tu fior della
mia pianta
percossa e
inaridita,
tu dell'
inutil vita
estremo unico
fior,
sei ne la
terra fredda,
sei ne la
terra negra;
né il sol più
ti rallegra
né ti
risveglia amor.
LInfinito
- Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta
parte
dell'ultimo orizzonte il
guardo esclude.
Ma sedendo e
mirando, interminati
spazi di là da
quella, e sovrumani
silenzi, e
profondissima quiete
io nel pensier
mi fingo; ove per poco
il cor non si
spaura. E come il vento
odo stormir tra
queste piante, io quello
infinito
silenzio a questa voce
vo comparando:
e mi sovvien l'eterno,
e le morte
stagioni, e la presente
e viva, e il
suon di lei. Così tra questa
immensità
s'annega il pensier mio:
e il naufragar
m'è dolce in questo mare.
Passero solitario
- Giacomo Leopardi
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla
campagna
Cantando vai finché non more
il giorno;
Ed erra
l'armonia per questa valle.
Primavera
dintorno
Brilla
nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla
intenerisce il core.
Odi greggi
belar, muggire armenti;
Gli altri
augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero
ciel fan mille giri,
Pur
festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in
disparte il tutto miri;
Non compagni,
non voli,
Non ti cal
d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così
trapassi
Dell'anno e di
tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto
somiglia
Al tuo costume
il mio! Sollazzo e riso,
Della novella
età dolce famiglia,
E te german di
giovinezza, amore,
Sospiro acerbo
de' provetti giorni,
Non curo, io
non so come; anzi da loro
Quasi fuggo
lontano;
Quasi romito, e
strano
Al mio loco
natio,
Passo del viver
mio la primavera.
Questo giorno
ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si
costuma al nostro borgo.
Odi per lo
sereno un suon di squilla,
Odi spesso un
tonar di ferree canne,
Che rimbomba
lontan di villa in villa.
Tutta vestita a
festa
La gioventù del
loco
Lascia le case,
e per le vie si spande;
E mira ed è
mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in
questa
Rimota parte
alla campagna uscendo,
Ogni diletto e
gioco
Indugio in
altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria
aprica
Mi fere il Sol
che tra lontani monti,
Dopo il giorno
sereno,
Cadendo si
dilegua, e par che dica
Che la beata
gioventù vien meno.
Tu, solingo
augellin, venuto a sera
Del viver che
daranno a te le stelle,
Certo del tuo
costume
Non ti dorrai;
che di natura è frutto
Ogni vostra
vaghezza.
A me, se di
vecchiezza
La detestata
soglia
Evitar non
impetro,
Quando muti
questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto
il mondo, e il dì futuro
Del dì presente
più noioso e tetro,
Che parrà di
tal voglia?
Che di quest'anni
miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi,
e spesso,
Ma sconsolato,
volgerommi indietro.
Silvia
- Giacomo Leopardi
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita
mortale,
quando beltà splendea
negli occhi
tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e
pensosa, il limitare
di gioventù
salivi?
Sonavan le
quiete
stanze, e le
vie dintorno,
al tuo perpetuo
canto,
allor che
all'opre femminili intenta
sedevi, assai
contenta
di quel vago
avvenir che in mente avevi.
Era il maggio
odoroso: e tu solevi
così menare il
giorno.
Io gli studi
leggiadri
talor lasciando
e le sudate carte,
ove il tempo
mio primo
e di me si
spendea la miglior parte,
d'in su i
veroni del paterno ostello
porgea gli
orecchi al suon della tua voce,
ed alla man
veloce
che percorrea
la faticosa tela.
Mirava il ciel
sereno,
le vie dorate e
gli orti,
e quinci il mar
da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal
non dice
quel ch'io
sentiva in seno.
Che pensieri
soavi,
che speranze,
che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci
apparia
la vita umana e
il fato!
Quando
sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi
preme
acerbo e
sconsolato,
e tornami a
doler di mia sventura.
O natura, o
natura,
perché non
rendi poi
quel che
prometti allor? perché di tanto
inganni i figli
tuoi?
Tu pria che
l'erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo
combattuta e vinta,
perivi, o
tenerella. E non vedevi
il fior degli
anni tuoi;
non ti molceva
il core
la dolce lode
or delle negre chiome,
or degli
sguardi innamorati e schivi;
né teco le
compagne ai dì festivi
ragionavan
d'amore.
Anche peria tra
poco
la speranza mia
dolce: agli anni miei
anche negaro i
fati
la giovanezza.
Ahi come,
come passata
sei,
cara compagna
dell'età mia nova,
mia lacrimata
speme!
Questo è quel
mondo? questi
i diletti,
l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto
ragionammo insieme?
questa la sorte
dell'umane genti?
All'apparir del
vero
tu, misera,
cadesti: e con la mano
la fredda morte
ed una tomba ignuda
mostravi di
lontano.
Il Cinque Maggio - Alessandro Manzoni
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la
spoglia immemore
orba di tanto
spiro,
così percossa,
attonita
la terra al
nunzio sta,
muta pensando
all'ultima
ora dell'uom
fatale;
né sa quando
una simile
orma di pie'
mortale
la sua cruenta
polvere
a calpestar
verrà.
Lui folgorante
in solio
vide il mio
genio e tacque;
quando, con
vece assidua,
cadde, risorse
e giacque,
di mille voci
al sònito
mista la sua
non ha:
vergin di
servo encomio
e di codardo
oltraggio,
sorge or
commosso al sùbito
sparir di
tanto raggio;
e scioglie
all'urna un cantico
che forse non
morrà.
Dall'Alpi alle
Piramidi,
dal Manzanarre
al Reno,
di quel securo
il fulmine
tenea dietro
al baleno;
scoppiò da
Scilla al Tanai,
dall'uno
all'altro mar.
Fu vera
gloria? Ai posteri
l'ardua
sentenza: nui
chiniam la
fronte al Massimo
Fattor, che
volle in lui
del creator
suo spirito
più vasta orma
stampar.
La procellosa
e trepida
gioia d'un
gran disegno,
l'ansia d'un
cor che indocile
serve,
pensando al regno;
e il giunge, e
tiene un premio
ch'era follia
sperar;
tutto ei
provò: la gloria
maggior dopo
il periglio,
la fuga e la
vittoria,
la reggia e il
tristo esiglio;
due volte
nella polvere,
due volte
sull'altar.
Ei si nomò:
due secoli,
l'un contro
l'altro armato,
sommessi a lui
si volsero,
come
aspettando il fato;
ei fe'
silenzio, ed arbitro
s'assise in
mezzo a lor.
E sparve, e i
dì nell'ozio
chiuse in sì
breve sponda,
segno
d'immensa invidia
e di pietà
profonda,
d'inestinguibil
odio
e d'indomato
amor.
Come sul capo
al
naufrago
l'onda s'avvolve
e pesa,
l'onda su cui
del misero,
alta pur dianzi
e tesa,
scorrea la
vista a scernere
prode remote
invan;
tal su quell'alma
il cumulo
delle memorie
scese.
Oh quante volte
ai posteri
narrar se
stesso imprese,
e sull'eterne
pagine
cadde la stanca
man!
Oh quante
volte, al tacito
morir d'un
giorno inerte,
chinati i rai
fulminei,
le braccia al
sen conserte,
stette, e dei
dì che furono
l'assalse il
sovvenir!
E ripensò le
mobili
tende, e i
percossi valli,
e il lampo de'
manipoli,
e l'onda dei
cavalli,
e il concitato
imperio
e il celere
ubbidir.
Ahi! forse a
tanto strazio
cadde lo spirto
anelo,
e disperò; ma
valida
venne una man
dal cielo,
e in più
spirabil aere
pietosa il
trasportò;
e l'avviò, pei
floridi
sentier della
speranza,
ai campi
eterni, al premio
che i desideri
avanza,
dov'è silenzio
e tenebre
la gloria che
passò.
Bella Immortal!
benefica
Fede ai trionfi
avvezza!
Scrivi ancor
questo, allegrati;
ché più superba
altezza
al disonor del
Gòlgota
giammai non si
chinò.
Tu dalle
stanche ceneri
sperdi ogni ria
parola:
il Dio che
atterra e suscita,
che affanna e
che consola,
sulla deserta
coltrice
accanto a lui
posò.
Primo Levi - Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è
un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è
stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetelele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Poesie incivili
(aprile 1960)
Frammento alla morte
Vengo da te e torno a te,
sentimento nato con la luce,
col caldo,
battezzato quando il vagito
era gioia,
riconosciuto in Pier Paolo
all'origine di una smaniosa
epopea:
ho camminato alla luce della
storia,
ma, sempre, il mio essere fu
eroico,
sotto il tuo dominio, intimo
pensiero.
Si coagulava nella tua scia
di luce
nelle atroci sfiducie
della tua fiamma, ogni atto
vero
del mondo, di quella
storia: e in essa si
verificava intero,
vi perdeva la vita per
riaverla:
e la vita era reale solo se
bella...
La furia della confessione,
prima, poi la furia della
chiarezza:
era da te che nasceva,
ipocrita, oscuro
sentimento! E adesso,
accusino pure ogni mia
passione,
m'infanghino, mi dicano
informe, impuro
ossesso, dilettante,
spergiuro:
tu mi isoli, mi dai la
certezza della vita:
sono nel rogo, gioco la
carta del fuoco,
e vinco, questo mio poco,
immenso bene, vinco quest'infinita,
misera mia pietà
che mi rende anche la giusta
ira amica:
posso farlo, perché ti ho
troppo patita!
Torno a te, come torna
un emigrato al suo paese e
lo riscopre:
ho fatto fortuna
(nell'intelletto)
e sono felice, proprio
com'ero un tempo, destituito
di norma.
Una nera rabbia di poesia
nel petto.
Una pazza vecchiaia di
giovinetto.
Una volta la tua gioia era
confusa
con il terrore, è vero, e
ora
quasi con altra gioia,
livida, arida: la mia
passione delusa.
Mi fai ora davvero paura,
perché mi sei davvero
vicina, inclusa
nel mio stato di rabbia, di
oscura
fame, di ansia quasi di
nuova creatura.
Sono sano, come vuoi tu,
la nevrosi mi ramifica
accanto,
l'esaurimento mi inaridisce,
ma
non mi ha: al mio fianco
ride l'ultima luce di
gioventù.
Ho avuto tutto quello che volevo, ormai:
sono anzi andato anche più
in là
di certe speranze del mondo:
svuotato,
eccoti lì, dentro di me, che
empi
il mio tempo e i tempi.
Sono stato razionale e sono
stato
irrazionale: fino in fondo.
E ora... ah, il deserto
assordato
dal vento, lo stupendo e
immondo
sole dell'Africa che
illumina il mondo.
Africa! Unica mia alternativa.
Verrà la
morte e avrà i tuoi occhi
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Uomo del mio tempo
- Salvatore Quasimodo
Sei ancora quello
della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella
carlinga,
con le ali
maligne, le meridiane di morte,
-t'ho visto-
dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di
tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua
scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore,
senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre,
come uccisero i padri, come uccisero,
gli animali
che ti videro per la prima volta.
E questo
sangue odora come nel giorno
quando il
fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai
campi". E quell' eco fredda, tenace,
è giunta fino
a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o
figli, le nuvole di sangue
salite dalla
terra, dimenticate i padri:
le loro tombe
affondano nella cenere,
gli uccelli
neri, il vento, coprono il loro cuore.
Alle fronde dei salici
- Salvatore Quasimodo
E come potevamo noi cantare
con il piede
straniero sopra il cuore,
fra i morti
abbandonati nelle piazze
sull’erba dura
di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei
fanciulli, all’urlo nero
della madre
che andava incontro al figlio
crocifisso sul
palo del telegrafo?
Alle fronde
dei salici, per voto,
anche le
nostre cetre erano appese,
oscillavano
lievi al triste vento.
Ed è subito sera
-
Salvatore Quasimodo
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di
sole:
ed è subito sera.
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