Rifugio Re Alberto (21/6/2003).

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N.B.: le fotografie sono in preparazione: manca poco! Le ho già scannerizzate e devo solo ripulirle, scontornarle e preparare le didascalie.

L'escursione al rifugio Re Alberto I (del Belgio, per la cronaca...) costituisce un vero e proprio classico fra le passeggiate alpine alla portata più o meno di tutti: la meta infatti si trova in uno dei punti più belli e spettacolari delle Dolomiti di Fassa, il che a mio modesto avviso equivale a dire che si trova in uno dei punti più belli e spettacolari fra tutte le montagne del mondo, pari pari. Andare a dare un'occhiata sul posto per crederci!

Un po' di leggenda.

Le Dolomiti di Fassa sono forse le più celebri fra i vari massicci dolomitici: sono quelle, per intenderci, della leggenda di Re Laurino e dell'Enrosadira.

Come sarebbe, chi è Re Laurino e cos'è l'Enrosadira?

E sia, accennerò molto brevemente alla leggenda di Re Laurino!

Anzi, ho cambiato idea: se v'interessa, cercatevela! Anche perchè della leggenda del Re dei Nani e del suo meraviglioso giardino di rose esistono molte versioni, come ad esempio si può leggere in www.enrosadira.it oppure in www.bolzano.net o anche in www.alpedisiusionline.it. La lettura forse più consigliabile, però, a mio avviso rimane ancora quella che si può trovare insieme a molte altre leggende delle Dolomiti nel bellissimo libro "I Monti Pallidi" di C.F. Wolff.

In ogni caso, fra tutte queste versioni della leggenda restano in comune alcuni punti fermi, primo fra tutti quello dell'incantesimo lanciato da Re Laurino contro il suo meraviglioso giardino di rose affinchè si trasformasse sia di giorno che di notte in un aspro bastione di roccia. Così facendo il Re dimenticò però di menzionare il crepuscolo, momento nel quale ancor oggi la montagna si colora di un rosa acceso sotto gli ultimi raggi del sole e tradisce così l'esistenza del roseto nascosto. Questo magico tingersi di rosa della nuda roccia viene appunto chiamato dalle genti ladine Enrosadira.

Un po' di geografia.

Il massiccio delle Dolomiti di Fassa è piuttosto vasto ed articolato e di conseguenza punti di accesso diversi sono consigliabili a seconda della meta prescelta. Nel caso del rifugio Re Alberto due sono le possibilità, una più facile ed una più difficile, anche se non proibitiva: la prima è quella che sto per descrivere, mentre l'altra, che percorsi in un passato ormai lontano con mio padre e mio fratello, parte dal rifugio Fronza alle Coronelle e raggiunge la meta per mezzo della ferrata del Passo Santner... ma di questa conto di parlare in un futuro che spero prossimo!

La mia escursione.

Tanto per cominciare, devo ammettere che la mia intenzione originale non era quella di andare al rifugio Re Alberto!

In effetti, ancora al momento di partire da casa dei miei suoceri sono un po' incerto su quale meta scegliere: pianificando l'escursione nei giorni precedenti ero stato tentato dal "giro delle Coronelle", una via a quota relativamente alta che valicando in successione tre passi (Coronelle, Zigolade e Vajolon) fa compiere il giro completo delle Coronelle e dei Mugoni, ma al momento buono non sono poi così certo di avere nè abbastanza tempo, nè abbastanza "gambe" a disposizione.

In pratica, ci pensa l'ora tarda alla quale la sera prima sono arrivato a casa dei suoceri a risolvermi il dubbio: tutto sommato, concludo che farei meglio a limitarmi ad andare a Vigo di Fassa, prendere la funivia per il Ciampedìe (a quota 2000 metri), da lì raggiungere con una comoda passeggiata il rifugio Gardeccia (m.1950) per poi cominciare la salita vera e propria, raggiungendo in sequenza le Porte Neigre (m.2243), con i rifugi Vaiolet e Preuss, e la conca del Gartl con il rifugio Re Alberto (m.2621), per arrivare infine al rifugio Santner (m.2741), sul valico omonimo in cima alla ferrata menzionata prima... ma dalla parte più facile, però!

Per la verità, faccio prima il tentativo di raggiungere il Gardeccia in macchina: la strada c'è, tanto che alcuni anni fa ci arrivò perfino una tappa del Giro d'Italia, ma non sono affatto certo che sia aperta. Decido comunque che vale la pena di provare, tanto più che su Internet, mamma di tutte le conoscenze, avevo trovato che il periodo di chiusura avrebbe dovuto essere nei mesi di luglio ed agosto: ahimè, non era affatto vero! In realtà la strada è sempre chiusa al traffico privato ed è percorribile solo da appositi pullman navetta che fanno capolinea in un piazzale fra Pera e Pozza, come ho poi scoperto al ritorno.

Lì faccio il primo errore della giornata, scegliendo di prendere la funivia per il Ciampedìe (forza dell'abitudine: esisteva già quando andavo in vacanza a Vigo da bambino): con il senno di poi, avrei fatto meglio a prendere proprio la famosa navetta... solo che non so da dove parte, non conosco gli orari, non ho voglia di perdere tempo ad informarmi, eccetera eccetera. Insomma, vado a Vigo, parcheggio vicino alla stazione della funivia, cambio alla svelta le scarpe e prendo la prima corsa disponibile per il Ciampedìe.

Non mi ricordavo la vista mozzafiato che si ha non appena usciti dalla stazione d'arrivo della funivia!

Di fronte, a chiudere la prospettiva della vallata del Gardeccia, troneggia l'inconfondibile sagoma a tre punte del Catinaccio; a destra, lo scenario selvaggio dei pinnacoli dei Dirupi di Larsec; a sinistra, la lunga sequenza della Croda di Davoi, delle Coronelle, dei Mugoni e delle Zigolade; in mezzo, io, a godermi lo spettacolo, respirando a fondo l'aria frizzante del mattino a duemila metri, mentre ammiro il perfetto blu cobalto del cielo assolutamente terso, con un'aria limpida come non mai.

Bene, la giornata è splendida, la voglia di andare c'è e allora via, di buon passo lungo il falsopiano che porta verso il Gardeccia. Per la verità, mi accorgo subito di non essere nella mia giornata migliore: mi sento bene, ma sento anche che i passi non mi vengono fuori "giusti". In sè, la cosa non è particolarmente grave: so che ci sono giorni buoni e giorni meno buoni, che in questi ultimi il prezzo da pagare è quello di un po' più di fatica, ma anche che comunque riesco lo stesso a giungere a destinazione.

In realtà, problemi ben peggiori mi stanno attendendo al varco!

Tutto va abbastanza bene fino al rifugio Vajolet: le gambe non sono quelle dei miei giorni migliori, ma tutto sommato sto andando ad un passo accettabile, a maggior ragione visto che mi trovo ben oltre i duemila metri. Giunto al rifugio, proprio dove avevo previsto una tappa per riprendere fiato e per mandar giù un po' di cioccolato, di destrosio e di integratore salino, trovo ad aspettarmi un bel vento freddo e teso che vien giù dal nord, dalla direzione del Passo Principe: pazienza, mi infilo la giacca a vento e procedo lo stesso come previsto. Tuttavia, malgrado la giacca a vento ho freddo lo stesso e la cosa non mi piace affatto.

Dopo un po' di pausa riprendo il cammino, liberandomi della giacca a vento non appena torno in una zona più riparata, e risalgo con calma la ripida Gola delle Torri in direzione del rifugio Re Alberto: raggiunto quel punto, il più è fatto e rimane solo un quarto d'ora o poco più di marcia su un facile sentiero in moderata pendenza per raggiungere il rifugio Santner, la mia meta.

Intanto, però, la salita si fa davvero piuttosto dura (per me...), su un sentiero ben visibile ma un po' sconnesso e decisamente ripido. La cosa non mi turba troppo, comunque: molti anni fa avevo già percorso quella via e me la ricordavo come un monotono sentiero a zig-zag, facile anche se ripido, che risaliva poco a poco il versante dello scosceso vallone tenendosi sulla destra.

Che strano! Mi accorgo subito che il sentiero si sta portando verso il versante sinistro della gola e che comincia a svilupparsi su roccette, facili ma ottime per spezzare il ritmo del passo. D'altronde i segnavia, anche se non sempre evidentissimi, non lasciano dubbi: sarà che mi ricordo male, in fondo sono passati buoni trentacinque anni, ma come avevano fatto quelli della GS a portar su per quelle roccette una comitiva di un paio di centinaia di adolescenti senza che succedessero disastri?

Dopo un po' mi trovo davanti ad un tratto attrezzato con cordino d'acciaio ed allora mi restano pochi dubbi: mi sa proprio che il sentiero dev'essere stato spostato rispetto ad allora! Porca miseria, questa proprio non me l'aspettavo... in fondo, cosa sono trentacinque anni? Uno non fa a tempo a distrarsi un attimo che gli cambiano le cose sotto il naso!

Comunque, mi accorgo subito che le corde sono lì solo per dare maggior sicurezza, perchè le roccette col tempo sono diventate lucide e levigate a causa degli innumerevoli passaggi, ma che di effettivo pericolo proprio non ce n'è: meglio, visto anche che non mi sono portato l'imbragatura.

Il problema piuttosto è un altro: una cosa è camminare a passo uniforme su un sentiero, per quanto duro questo sia, ma tutt'altra faccenda è il ritmo irregolare imposto al passo dalla marcia su roccette. Insomma, comincio a sentire la fatica più del solito: faccio una tappa supplementare e provo a mandar giù un altro po' di "carburante" (cioccolato, destrosio, integratore salino) ma quando riprendo ho subito l'impressione di non avere assimilato nulla. Dopo un po' provo nuovamente ad alimentarmi, ma la situazione non cambia: non sono ancora preoccupato, ma un po' stupito sì, per la verità! Francamente non credevo di essere in uno stato atletico così scadente...

Entro in piena crisi quando sono a tre quarti di salita: le gambe diventano molli, mi ronzano le orecchie, devo fare tappa ogni pochi passi. Dopo un po' vedo che le roccette sono finite e che sono rientrato sul vecchio sentiero che mi ricordavo e decido che ormai mi conviene cercare di arrivare in cima. Bene o male, arrivo a cento metri dal rifugio, con appena una decina di metri di dislivello ancora da superare... e di colpo mi accascio sul sentiero, completamente privo di forze.

Cerco di attendere il recupero delle energie, ma mi sento sempre peggio. Passa un tizio... e quasi mi scavalca senza fermarsi. Ne passa un altro: idem. "Ma dov'è andata a finire la solidarietà in montagna?", mi chiedo. Passa un crucco ed a gesti mi fa segno di mangiare e bere, poi prosegue per la sua strada.

Infine si ferma una coppia di signori: gente della mia età, più o meno. Lui ha un cappellino da ciclista di un club di Bareggio ed è magro e scattante come un grillo, lei è meno snella ma in compenso molto materna: con piglio deciso prende il controllo della situazione, spedisce il marito al rifugio a cercare soccorsi ed intanto mi assiste. Non so se è grazie alle cure di quella premurosa signora o perchè sono ormai alla soglia dell'esplosione, ma finalmente riesco a liberarmi lo stomaco: un attimo dopo comincio già a sentirmi meglio.

A quel punto comincio a capire cosa dev'essermi successo: è stata senza dubbio una congestione a ridurmi in quelle condizioni, probabilmente a causa di quel vento teso, giù al Vajolet, che mi ha bloccato la digestione e mi ha praticamente lasciato senza energie da consumare. Anzi, ogni nuovo tentativo di rifocillarmi non faceva altro che peggiorare la situazione. Naturalmente, come molto spesso accade in montagna anche questa volta non si tratta di chiamare in ballo la sfiga, ma l'imprudenza: mi sarebbe infatti bastato indossare una semplice canottiera di cotone ed una camicia anzichè una maglietta senza niente sotto e con ogni probabilità tutto quel disastro non mi sarebbe capitato. Mea culpa...

(Bene, ed ora che ho fatto ammenda per la mia stupidità riprendo il racconto!)

Una volta superata la parte peggiore della crisi, anche se con gambe piuttosto malferme raggiungere il rifugio diventa una cosa "quasi" facile ed un paio d'ore dopo, grazie anche alle premure della gente del rifugio ed ad un'oretta di riposo in branda, bene o male sono di nuovo abbastanza in sesto... se non per salire, almeno per ridiscendere a valle con le mie gambe!

È andata così che al rifugio Santner non sono riuscito ad arrivare, ma sarà per la prossima volta, magari salendo invece per la ferrata... e con un abbigliamento più adatto! In ogni caso, è abbastanza facile accontentarsi di una riduzione di programma se questa comunque porta ad un posto bello come il Gartl.

Quando finalmente esco dal rifugio, impaziente di rivedere il maestoso spettacolo che ho portato per anni impresso nella memoria in attesa del giorno in cui avrei potuto rivederlo, mi trovo davanti gli svettanti pinnacoli delle Torri del Vaiolet, alla mia sinistra si trova la serie di aspre cime della Croda di Re Laurino ed alla mia destra incombe la parete ovest del Catinaccio. Dietro di me ed al di là del rifugio si trova il laghetto, oltre al quale un ampio ghiaione non molto ripido porta al rifugio Santner, nascosto alla mia vista da dove mi trovo dal crinale del ghiaione stesso. È un paesaggio per me ben noto, che porto scolpito da sempre nella memoria, ma è quasi come vederlo per la prima volta: mi coglie perfino la tentazione di usare il mio malore come pretesto per trattenermi a pernottare in rifugio e prolungare così la mia permanenza in quel luogo tanto selvaggio e suggestivo.

In un modo o nell'altro riesco a vincere la tentazione: in fondo, non ho nemmeno con me lo spazzolino da denti! Il tempo è tiranno e se voglio arrivare a Ciampedìe in tempo per l'ultima corsa della funivia devo sbrigarmi a ridiscendere: abbastanza a malincuore mi avvio lungo il sentiero del mio calvario del mattino, attento a controllare lo stato delle mie gambe e chiedendomi quando mai riuscirò a tornare.

La discesa non presenta problemi significativi ed anche le gambe si dimostrano più salde di quanto avessi temuto: nel tempo previsto, e forse anche meno, arrivo al rifugio Vajolet... e ci ritrovo lo stesso vento carogna del mattino! Questa volta però non mi faccio fregare e sto ben attento a proteggermi mentre provvedo a tirare il fiato e rifocillarmi.

Intanto mi sono reso conto di non potercela fare ad arrivare alla funivia in tempo, per cui avviso mia moglie a casa del fatto che farò tardi: prendendo la navetta al Gardeccia, infatti, arrivo nel fondovalle fra Pera e Pozza e dal capolinea al parcheggio dove ho lasciato la macchina ci sono di mezzo buoni tre chilometri... in salita! Per mia fortuna, mia moglie si intenerisce e decide di venire con la macchina di suo padre a prendermi all'arrivo della navetta: cosa farei senza una moglie così?

Insomma, raggiungo il Gardeccia e mi dispongo ad attendere con numerosi altri escursionisti la famosa navetta. La prima non riesco a prenderla: c'è troppa gente in coda prima di me ed il pullmino da venti posti si riempie in un baleno. Restiamo a terra in cinque o sei ed attendiamo pazientemente l'ultima corsa. Beh, io mica tanto pazientemente, per la verità, al pensiero di mia moglie che sta morendo di noia ad attendermi giù in valle, ma d'altronde non è che possa farci comunque granchè!

Bene o male, verso le sette di sera arrivo finalmente al capolinea ed un'ora dopo sono già sotto la doccia, a casa dei suoceri.

Tirate le somme, posso concludere che: