Titolo: Il serpente Ouroboros
Titolo originale: The worm Ouroboros
Di: E.R. Eddison
Editore: Fanucci
Pagine: 440 circa
Prezzo: 16.000£

"Il serpente Ouroboros" e' ambientato su un mondo fantasy (che, a quanto scritto all'inizio, dovrebbe trovarsi su Mercurio, ma questo lo potete tranquillamente ignorare), nel quale si confrontano i due popoli dei Demoni e delle Streghe (ma non fatevi fuorviare da questi due nomi: Demoni e Streghe sono solo i nomi di due popoli che nulla hanno a che fare con i concetti di "demone" e "strega" a cui siamo abituati). Quando Gorice, re delle Streghe, esige dal popolo dei Demoni un atto di sottomissione, inevitabilmente scoppia una guerra che trascinera' nelle proprie sorti alterne i piu' grandi eroi delle due fazioni. Questa, a grandi linee, la trama.
La parte piu' bella del romanzo e', secondo me, quella centrale, relativa alla invasione di Demonland. La parte iniziale mi pare che fatichi ad ingranare, mentre quella finale avrebbe il ritmo giusto, ma presenta alcuni aspetti che non mi convincono. Aggiungerei anche che qua e la' ci sono dettagli che sembrano peccare di ingenuita' (uno per tutti: la figura di Lessingham, che compare nell'introduzione e nel primo capitolo per poi sparire definitivamente senza spiegazione).

Fra i "pezzi forti" di questo romanzo ci sono, a mio giudizio, i personaggi. Eddison si e' rifatto alle figure "classiche" degli eroi e ci ritrae numerose figure di poderosi guerrieri che giganteggiano per le loro doti militari e che non sfigurerebbero accanto ad un Achille o un Aiace. Fra gli uomini di entrambi gli schieramenti troviamo figure molto belle; l'unico difetto e' che forse non sono sufficientemente differenziate (cosa distingue Corund da Corsus da Corinius?), ma nel complesso mi sono trovata ad apprezzare questi eroi. Mi ha colpito anche il fatto che, sebbene Eddison "parteggi" spudoratamente per i Demoni, pure ritragga figure interessanti anche nella fazione opposta (un po' come Omero con i Troiani).

Ma l'elemento piu' eclatante, quello che non si puo' fare a meno di notare, e' la particolarita' dello stile di questo romanzo. Pur tenendo conto che si tratta di un'opera del lontano 1922, lo stile appare decisamente arcaico e ricercato, e moltissimi sono i passaggi che ricordano in maniera impressionante i drammaturghi del seicento (Shakespeare in testa). Questo a volte conferisce alla narrazione una grandiosita' piacevole (soprattutto quando a parlare con tale magniloquenza sono i personaggi e non il narratore), ma assai spesso sfocia nella pesantezza, nelle lunghe descrizioni (infarcite di nomi di pietre preziose sconosciute ai piu') che appaiono decisamente noiose. A tratti, poi, la somiglianza stilistica diventa vera e propria citazione, il che mi lascia forse un po' perplessa (che senso ha riportare per intero sonetti di Shakespeare o opere simili e metterli in bocca ai personaggi come se fossero opera loro?).

Nel complesso, trovo difficile dare un giudizio unitario di questo libro. Giacomo Rossini, parlando di Wagner, diceva che aveva "dei bellissimi momenti, ma dei terribili quarti d'ora", ed e' una definizione che ben si addice anche al "Serpente". A tratti lo stile imponente, la grandiosita' dei personaggi, la drammaticita' un po' barocca degli avvenimenti coinvolgono ed entusiasmano. Altre volte pesano, mancano di equilibrio, o decisamente annoiano.
Dovendo giudicare tutto il libro, gli darei la sufficienza. Peccato che questo voto risulti da una media fra parti decisamente belle ed altre decisamente insufficienti.


­Claudia Rege Cambrin in Marcotroll­


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