Il Monumento a Giovanni Battista Perasso detto il Balilla:
                            genesi dell’opera, i suoi problemi conservativi e descrizione dell’intervento di restauro.




L’opera è collocata nell’attuale Piazza Portoria di fronte al Palazzo del Tribunale, moderna costruzione sorta nell’area dell’antico ospedale di Pammatone distrutto dalle bombe dell’ultima guerra.

Il monumento oramai da tempo mostrava le conseguenze della deteriorante azione degli agenti atmosferici e dell’inquinamento che, insieme alla mancanza di manutenzione sia della statua che del circostante giardino, avevano ridotto l’opera in uno stato deprecabile. La vegetazione aveva quasi occultato l’opera che risultava ignota persino a molti degli abituali frequentatori del quartiere di Piccapietra.

Questa situazione ha spinto la Sezione di Genova a cercare uno sponsor disposto a finanziare il recupero integrale del monumento e dello spazio circostante, cercando nel contempo di far valorizzare l’opera e il suo contesto.

L’intervento è stato possibile grazie al finanziamento della Fondazione CaRiGe., ed è stato validamente portato a termine dal restauratore Axel Nielsen sotto il controllo della Soprintendenza. Il Consiglio di Circoscrizione I Centro Est ha provveduto, tramite i competenti servizi comunali, al riordino del giardino che circonda il monumento.

Al termine del restauro, avvenuto nell’inverno 2000/2001, è stata organizzata una giornata di presentazione dell’intervento culminata in un piccolo convegno tenutosi nel Palazzo Doria di Via Garibaldi il giorno 6 marzo 2001.




                                                                                              Il monumento

La statua bronzea del Balilla è opera dello scultore Vincenzo Giani (Como 1831 - 1900). Di questo artista non si hanno molte notizie: allievo all'Accademia Albertina di Torino dello scultore Vincenzo Vela, di cui era uno dei numerosi discepoli, ha lasciato alcune sue opere nella città piemontese tra cui la monumentale statua della Giustizia per la facciata del Palazzo Carignano del 1869. Altre sue opere sono documentate a Napoli nel 1877, a Milano nel 1881 e a Roma nel 1883.

Se valutiamo il monumento unicamente come opera d’arte ne possiamo apprezzare la garbata fattura e un certo dinamico realismo, e gli potremo anche trovare una interessante collocazione nel panorama artistico italiano dell’epoca, non sufficiente però a giustificarne la notorietà, per la quale vanno ricercate altre motivazioni. La nostra statua non è nemmeno unica nel patrimonio artistico genovese poiché in città non mancano opere affini per stile, epoca e temperamento. Se facessimo poi un confronto dimensionale con altri monumenti cittadini, come il Colombo in Piazza Acquaverde o il Vittorio Emanuele II in Piazza Corvetto, il nostro Balilla sembrerebbe quasi minuscolo, e tale infatti doveva sembrare nel 1881 quando, a vent’anni dalla posa, fu rialzato con un basamento marmoreo nell’intento di conferirgli un aspetto più monumentale.

Il Balilla però fu uno dei primi monumenti pubblici della città (1863), preceduto solo dal Colombo, inaugurato poco tempo prima dopo 20 anni di lavoro, mentre tutte le altre opere furono poste nelle piazze cittadine solo a partire dal nono decennio del secolo.

Il Balilla fu nel contempo un personaggio tanto amato dal popolo quanto visto con sospetto dalle autorità: la storia e l'aneddotica ci informano infatti che, a partire dal prototipo del Cevasco del 1846, la statua e il personaggio del Balilla hanno catalizzato più volte la ribellione dei genovesi contro le autorità costituite. Il nostro monumento è infatti l’unico dedicato al Perasso in città, mentre invece abbondano le effigi di Garibaldi Colombo e Andrea Doria.

Nonostante che nel nostro secolo un regime dittatoriale ed una fabbrica di automobili si siano appropriati di questo personaggio esso è restato nel cuore dei genovesi che lo hanno sempre considerato un loro eroe popolare.

L’idea di dedicare un monumento alla figura del Balilla nacque a Genova nel 1846, in occasione dell’ottavo congresso degli scienziati, coincidente con il primo centenario della cacciata degli austriaci dalla città di Genova. Venne così realizzata dallo scultore G.B. Cevasco (Genova 1817-1891) una statua in gesso raffigurante l’eroe di Portoria nell’atto di lanciare la pietra accanto al mortaio sprofondato. Quest’opera fu messa in mostra nell’annuale esposizione dell’Accademia Ligustica e nel 1847 fu issata su di un arco trionfale effimero eretto in Portoria. Il successo dell’opera fu notevole e fu intrapresa una pubblica sottoscrizione per la traduzione in marmo del modello, iniziativa che non ebbe però esito positivo: infatti, nonostante la riproduzione su tessuti, pubblicazioni, medaglie, coccarde, etc. si sono perse le tracce persino del prototipo del Cevasco. Trascorsi gli eventi bellici e i disordini del 1848/49, nell’ambito delle iniziative di pacificazione tra piemontesi e liguri, la Società Promotrice di Belle Arti di Torino incaricò lo scultore torinese Giuseppe Cassano (1823 - 1905) di realizzare una statua a Pietro Micca, mentre allo scultore Vincenzo Giani fu commissionato un Balilla. Soltanto 10 anni dopo i modelli di gesso furono esposti nel 1858 all’esposizione annuale della Società Promotrice riscuotendo gran successo; fu così intrapresa una sottoscrizione per finanziarne la traduzione in marmo. Gli stessi modelli furono poi visti dal Re Vittorio Emanuele II nello studio di Vincenzo Vela, maestro sia del Giani che del Cassano, e il monarca decise di far fondere in bronzo le opere a spese dello stato nelle Regie Fonderie dell’Arsenale di Torino. Lo scoppio della II Guerra di Indipendenza ritardò l’operazione che fu compiuta a conflitto terminato; la tradizione vuole che venisse utilizzato il metallo recuperato da cannoni austriaci, ipotesi che sarebbe tutta de verificare poiché a quell’epoca il ferro aveva soppiantato il bronzo nella costruzione delle artiglierie.

Nel gennaio del 1863 il Giani si recò a Genova per accompagnare la statua e progettare il basamento marmoreo. Nell’attesa della definitiva sistemazione l’opera fu ricoverata a Palazzo Tursi mentre venne animatamente discussa la collocazione e la forma finale che doveva assumere il manufatto. Questa fu definitivamente scelta dagli scultori G.B. Cevasco e S. Varni, e dall’architetto civico Gian Battista Resasco che realizzò una fontana, composta da un semplice dado di granito di Baveno dal quale, dai due lati opposti, due “becchi” di ferro gettavano l’acqua; su questo fu fissato il bronzo con il suo basamento marmoreo. L’acqua che inizialmente doveva provenire dalla peschiera dell'Acquasola fu poi prelevata dall’acquedotto Nicolay. Questa collocazione della scultura rientrava nella tradizione genovese che prevedeva l’utilizzo di fontane pubbliche per l’arredo urbano. L’opera non conobbe una vera e propria inaugurazione ufficiale poiché le imbarazzate autorità cittadine temevano che l’evento sarebbe potuto servire da pretesto per manifestazioni anti piemontesi.

Questa sistemazione fu poi modificata nel 1881, in occasione del presunto centenario della morte del Balilla, con un nuovo basamento marmoreo, comprensivo di epigrafe e ghirlanda bronzea, l’immissione della ringhiera in ferro battuto e l'eliminazione della fontana; il giorno 2 ottobre avvenne la definitiva inaugurazione del monumento.

Negli anni 50 del XX secolo la statua fu smontata dal suo piedistallo per ripararla dai lavori di demolizione e ricostruzione del quartiere di Portoria; rimase quindi per diversi anni custodita a Palazzo Tursi, mentre rimaneva in loco il solo basamento marmoreo. Dal 1946 una lapide marmorea ricorda il luogo preciso dove avvenne lo sprofondamento del mortaio austriaco e il conseguente gesto di ribellione del Balilla.







                                                          Relazione sul restauro e sullo stato di conservazione.

Il monumento è costituito da parti lapidee e parti metalliche: la base è costituita da spesse lastre di marmo grigio bardiglio di Carrara, la parte centrale è invece composta da due blocchi scolpiti e sovrapposti di marmo bianco di Carrara. Su quello inferiore è incisa la scritta dedicatoria mentre quello superiore sostiene una ghirlanda di foglie e frutti di quercia ottenuta attraverso l'assemblaggio di svariati elementi bronzei. All'interno della coroncina bronzea è collocato un autentico spadino, costituito da una lama in ferro e un’impugnatura di osso: non è certo se tale cimelio sia un reperto risorgimentale o una aggiunta di epoca fascista. La statua del Balilla è in bronzo, imbullonata con doppi dadi a barre filettate che escono dalla base marmorea.

Statua e ghirlanda sono state probabilmente ottenute con la tecnica della fusione a "cera persa": alcuni fenomeni d'alterazione fanno pensare all'utilizzo di una lega ricca di stagno.

L'opera presentava le problematiche conservative tipiche delle opere in esposizione esterna, ossia l'azione dilavante delle piogge (che negli ultimi 50 anni sono diventate anche acide), il deposito del pulviscolo, l'azione dei fattori termoigrometrici, oltre ad urti, vandalismi e cattivi restauri.

La scultura presentava spesse croste nere dovute al deposito di pulviscolo atmosferico ricco di elementi inquinanti, quali gomme e residui carboniosi. Questi prodotti, combinati con le sostanze aggressive solute nelle piogge cittadine, quali acido carbonico solforico e cloridrico, nei punti esposti al dilavamento hanno reagito con i composti del rame, solubilizzando il bronzo e generando delle variegate striature ed un'alterazione cromatica. Si sono individuate, infatti, diverse formazioni di sali di rame tra cui ossidi, cloruri, solfati e carbonati.

Le acque hanno portato questi prodotti d'alterazione anche sulle parti lapidee dove i sali si sono insediati all'interno dei pori del marmo formando dei vistosi aloni verdastri di difficile asportazione.

Sul basamento si notavano anche macchiature di colle dovute a residui d'affissioni abusive.



Operazioni di restauro e annotazioni sulle tecniche esecutive.

L'intervento di restauro sulle parti bronzee ha previsto il lavaggio con acqua deionizzata e spazzolino e la rimozione delle croste nere mediante asportazione meccanica con il bisturi, previo ammorbidimento della materia con impacchi di polpa di carta Arbocell imbevuta con acqua distillata e tensioattivi.

Al termine della pulitura sono state fatte applicazioni locali di "fegato di zolfo" (solfuro di potassio), prodotto che ha la proprietà di legarsi con i prodotti d'alterazione delle parti corrose, invertendone parzialmente la cromia verde chiaro, e riuscendo ad attenuarne il disturbo visivo. A questo primo trattamento ne è seguito uno globale con "Incralac", prodotto costituito dalla miscela di una resina acrilica (Paraloid b44) con un inibitore della corrosione (in particolare contro la formazione di cloruro di rame). Infine su tutta la statua è stata applicata la cera al benzotriazolo "Soter". Sulla lama dello spadino, dopo la pulitura, si è applicato un convertitore di ruggine (Owatrol) ed un protettivo.

I marmi sono stati lavati e spazzolati con acqua e carbonato d'ammonio per rimuovere le croste nere, il solfato di calcio (gesso) risultato del degrado del marmo, e le patine verdi di carbonato e solfato di rame. Nei punti più tenaci si è fatto ricorso ad impacchi di soluzione di carbonato d'ammonio in polpa di cellulosa Arbocell.

I resti di colla sul basamento di bardiglio sono stati rimossi a bisturi e con impacchi d'acetone. Al termine della pulitura i marmi sono stati protetti da un consolidante con funzioni idrorepellenti costituito da una miscela di polimeri acrilici a basso peso molecolare (Safe Stone).

Il cantiere ha consentito un'osservazione ravvicinata del manufatto e quindi una documentazione di alcuni particolari delle tecniche esecutive e delle vicende subite dal manufatto.

Come già accennato nella ghirlanda è stato rinvenuto un autentico spadino che è stato restaurato, anche se il manico in corno è stato sostituito con uno in resina epossidica poiché quello originale era oramai irrecuperabile. Sulla superficie della statua sono state rintracciate diverse tassellature, imperniature, sbavature, saldature, finiture "a freddo" e altre imperfezioni e riparazioni della fusione. Erano inoltre ben leggibili le linee di giuntura degli elementi del calco, in controforma di gesso, utilizzato per la fusione.

Nella parte anteriore del basamento bronzeo della statua, riproducente il lastricato di Portoria, sono state individuate alcune iscrizioni. Una è costituita dalla targa del bronzista recante la dicitura Giani Vincenzo inventò e modellò fuso nella regia fonderia Torino 1862. Un'altra riporta a caratteri corsivi più grandi la mitica frase Che l'inse! con l'anno 1746; questa è caratterizzata dai resti di una doratura a missione che nel nostro restauro abbiamo parzialmente integrato con la medesima tecnica. Una terza iscrizione appare invece sul lato sinistro, molto più piccola delle altre e di difficoltosa lettura, che in carattere corsivo riporta la seguente scritta: Cotoriere fuse Barone cesellò 1862. La ghirlanda bronzea mostra incisa su un nastro la data 5 settembre 1880; la scritta doveva completarsi su un restante lembo metallico che purtroppo è stato sostituito in un vecchio restauro; tale scritta non si riferisce alla inaugurazione del Balilla ma coincide con la posa del monumento marmoreo a Mazzini in Piazza Corvetto; si può quindi ipotizzare un riutilizzo di parte di quest’ultimo per decorare il basamento di Portoria.