L’ULTIMO SHERPA
Portatore
e guida alpina, addetto all’osservatorio meteorologico e maestro di sci: PIO
SERAFINI, una vita dedicata al CIMONE.
Se vogliamo soffermarci sui personaggi
che hanno reso celebre SESTOLA, non possiamo certo non menzionare PIO
SERAFINI che ha insegnato a tutti l’amore per la natura, la passione
per le escursioni e le sciate, ci ha fatto capire il piacere dell’amicizia
libera e disinteressata,il senso dell’umorismo che scaturisce proprio dalle
situazioni più impensate e, soprattutto, il valore e la preziosità del tempo
vissuto, assaporato e mai rimandato.PIO SERAFINI
rimane un simbolo per Sestola: la sua vita si identifica
con questa terra, con il Cimone.
E’
stato prima portatore, poi operatore all’osservatorio
meteorologico, maestro di sci già dei primi turisti che si avvicinavano subito
dopo la guerra allo sport alpino e guida alpina, per lungo tempo l’unica guida
alpina dell’Appennino: PIO SERAFINI, la sua storia è
Aveva due occhi vivaci
che illuminavano un volto bruciato dal sole e dal vento, segnato da solchi
profondi, un fisico asciutto e forte, la schiena curva, piegata dai pesanti
carichi che da giovane aveva trasportato, un sorriso
aperto, forse un po’ riservato ma che da subito esprimeva una naturale simpatia
e comunicativa. Un grande scrittore come
HEMINGWAY avrebbe sicuramente scritto di lui “ tutto in lui era vecchio, tranne
gli occhi che erano allegri e indomiti”.
Parlando della sua
vita raccontava che, subito dopo la guerra, le |
occasioni
di lavoro a SESTOLA non erano molte e chi aveva famiglia era spesso costretto
ad emigrare alla ricerca di una occupazione che consentisse di sbarcare il
lunario e lui, con alcuni altri giovani, vide, nell’osservatorio meteorologico,
un possibile sbocco lavorativo. Erano quelli gli anni in cui l’osservatorio,
già funzionante anche prima della guerra, veniva
potenziato, servivano, perciò, dei portatori che assicurassero i rifornimenti
ed il trasporto di merci ed attrezzature dal paese alla cima. Si sapeva che il
lavoro era precario perché la funivia in costruzione avrebbe sostituito i
portatori ma la speranza era di poter essere assunti come personale
dell’osservatorio.
I sacrifici erano
tremendi: a volte si incontravano tormente di neve che
facevano perdere l’orientamento ed allora si avanzava per istinto, alla cieca.
Quando la visibilità diventava nulla e si perdeva completamente l’orientamento
causa la bufera che incombeva, si capiva
che era inutile continuare la salita in quanto si rischiava
in ogni momento di precipitare dai ripidi pendii del CIMONE. Allora ci si
raggruppava per meglio difendersi dalla bufera e dal freddo, aspettando anche
per ore, fino a quando, calata la
tormenta,si riprendeva con lena la salita. Solo la
speranza e la mancanza di alternative, inducevano a
tenere duro e poi quel lavoro era splendido, affascinante, faceva veramente
sentire qualcuno. Tutti i giovani sestolesi, almeno una volta, in quegli anni,
hanno risalito i sentieri del CIMONE con il loro carico: peccato che solo pochi
siano riusciti a resistere a quel lavoro massacrante.
Gli occhi di PIO si
accendevano nel ricordo di quei giorni: lui e i suoi amici non furono i primi
portatori,( prima della guerra altri sestolesi si
erano prestati a questo lavoro) furono però i primi a rivoluzionare il sistema
di trasporto.
Raccontava che i portatori, durante l’inverno,
risalivano il CIMONE con racchette da neve, loro al contrario, applicando
l’esperienza acquisita negli alpini, usavano gli sci con il fondo in pelle di foca. La stessa impediva allo sci di scivolare
all’indietro consentendo una risalita abbastanza agevole. I primi due della
fila tracciavano la pista e gli altri seguivano senza fatica: la comodità
maggiore era ovviamente nella discesa in quanto, con
gli sci, in poco tempo, si ridiscendeva in paese. Mentre prima di loro un
viaggio poteva durare anche due giorni, con questo sistema, partendo alle otto
del mattino dal paese con la seggiovia fino a Pian del Falco, si poteva poi
raggiungere Piancavallaro dove si lasciavano gli sci in un piccolo capanno per
guadagnare la vetta con ai piedi i ramponi. Alle ore
13, di norma, si era all’osservaorio e, dopo una breve sosta per mangiare,
prima delle 16, si era nuovamente a
SESTOLA.
Serafini e compagni non
scalzarono solo le racchette da neve, ma anche i muli che costavano troppo sia
a loro che all’aereonautica e quindi anche durante la bella stagione preferivano trasportare le merci a piedi per circa 3.000
lire a viaggio che era, comunque, la paga di un impiegato, un reddito non
indifferente per quei tempi.
Fu un lavoro che durò
per dieci anni, dal 1946 al 1956 e nei momenti di maggior impegno riuscivano a
fare anche un trasporto tutti i giorni.
Un lavoro faticoso ed
insieme esaltante, quello di SERAFINI che si svolgeva
specialmente durante l’inverno in condizione di costante pericolo.
In quegli anni la neve,
il ghiaccio, la nebbia non mancavano e, risalire il
Cimone percorrendo la cresta, era un rischio permanente .Proprio per aiutarsi,
i portatori, tracciarono un sentiero segnato con pali di ferro collegati con funi d’acciaio,che, ancora oggi, si possono scorgere.
Per alleviare
ulteriormente la fatica, poi, SERAFINI usava una gerla
speciale, chiamata bastino, di forma lunga e affusolata e che distribuiva il peso
su tutta la schiena: il principio è quello dei più moderni zaini da montagna. Tutto questo, unito ad una grande amicizia ed affiatamento, consentiva ai portatori di
tirare avanti anche nelle condizioni peggiori, anche quando la neve e la nebbia
erano così fitte da consigliare di desistere. Era allora che si abbandonava la
merce, protetta alla meglio, e si ritornava in paese per ripassare a prenderla
il giorno dopo e, per non fare un viaggio a vuoto, si trasportava anche merce
nuova, risalendo così con un carico doppio.
Dopo aver conosciuto un
personaggio così singolare, non è facile dimenticarsene,sembra
di vivere una leggenda o, quantomeno, in un mondo fantastico ed allora, lo
sguardo ritorna sul grande Cimone, la grande montagna che sola poteva partorire
quel piccolo, grande uomo di PIO SERAFINI.
Lo vogliamo ricordare,
maestro di vita, a raccontarci le sue emozioni o, forse, a leggere, per
riposarsi dopo un’estenuante salita, sotto la “FAGGIA GROSSA”, questa poesia di
Herman Hesse:
IN
CAMMINO
Non
essere triste, presto sarà notte,
e
sul paese pallido vedremo
fresca
la luna sorridere furtiva
e
poseremo mano nella mano.
Non essere triste, presto verrà il tempo
che
avremo pace.
Le nostre croci
stanno
a
due sul margine lucente delle via,
e
piove e nevica
e
il vento viene e va.