Il mito di Tifeo
L'isola d'Ischia doveva suscitare, nella notte dei tempi,
sentimenti di stupore, di paura, di inospitalità: frequentemente si verificavano sconvolgimenti della terra, eruzioni vulcaniche, lave; gente selvaggia e turpe vi aveva stabilito la propria dimora, vivendo di rapine ai danni di coloro che, ignari del pericolo, cercavano approdo nelle quiete insenature.
Favola e mitologia videro riflessi in queste immagini l'intervento di un essere soprannaturale e principalmente l'azione punitrice di Zeus verso il drago Tifeo, simbolo del fuoco, e gli scellerati Cercopi, definiti dagli antichi narratori "bugiardi, ingannatori, ladroni eterni".
La materia fu accolta anche nella tradizione classica e divenne componente essenziale della poesia epica. Avendo tentato di usare le loro male arti contro Giove, i Cercopi furono trasformati in scimmie e mandati a popolare
Pitecusa, quindi isola delle scimmie. Lo stesso Giove, dopo aver vinto la tracotanza di Tifeo, ne frenò l'istinto di ribellione scagliandogli addosso l'isola d'Ischia. Con questa immagine si voleva rappresentare il fuoco sotterraneo che alimentava i vulcani sparsi nel Mediterraneo e soprattutto nei Campi Flegrei.
Il mito di Tifeo, sulle cui braccia, sul petto e sulla pancia si stende lo scoglio d'Inarime, fu ripreso anche dalla cartografia: una carta disegnata da Mario Cartaro e riportata nell'opera di Giulio Jasolino presenta il gigante tormentato dal peso dell'Epomeo, mentre dalla bocca esce il soffio
infuocato delle fumarole; un'incisione analoga di Antonio Baldi è contenuta nel poema latino, Inarime, di Camillo Eucherio de Quintiis.
Al concetto di mito si collega quello di metamorfosi che ha riscontro nella teoria eraclitea dell'eterno divenire delle cose: il mondo è in continua evoluzione, gli aspetti delle cose sono transitori; anche i corpi si trasformano: domani non saranno più ciò che furono ieri e sono oggi: la natura si rinnova in tutte le cose: il tempo tutto traveste.
Tale concetto è applicato e svolto dal poeta Camillo Eucherio de Quintiis, che nel suo poema sui bagni d'Ischia, alla maniera ovidiana, presenta varie trasformazioni per spiegare i fenomeni e le virtù delle acque curative di cui abbondava ed abbonda l'isola d'Ischia. Si tratta di canti, in cui si nota soprattutto l'inesauribile fantasia del dotto gesuita ed in cui il tono poetico si eleva notevolmente, considerato che per la maggior parte del poema la materia (descrizione ed elencazione delle acque, della malattie guaribili con il loro uso....) appare arida e monotona erudizione.