La responsabilità dei dirigenti scolastici - Notazioni generali sul fatto illecito

Norma fondante la responsabilità dei dipendenti pubblici è l’art. 28 della Costituzione che testualmente recita: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative [da intendersi sia come responsabilità disciplinare che contabile], degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.

Il riferimento ai diritti, dopo la sentenza 500 del 1999 della Cass SS.UU., il d.l.vo 80/98 e la L. 205/2000, va inteso come comprensivo anche degli interessi legittimi.

Per comprendere appieno quanto si verrà dicendo in tema di responsabilità occorre prima fare alcuni cenni preliminari relativi al fatto illecito, e cioè al fatto che determina la responsabilità di un soggetto, sia essa penale, civile o amministrativa.

Per avere un fatto illecito, o ancor meglio un atto illecito, causativo di responsabilità occorre la compresenza dei seguenti elementi: a) un comportamento, omissivo o commissivo, dell’agente; b) un evento dannoso, una lesione di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento; c) il nesso di causalità tra il comportamento tenuto e la lesione prodottasi; d) elemento psicologico, che serve ad imputare all’agente il suo comportamento; e) l’assenza di cause di giustificazione, o scriminanti, l’assenza cioè, di una normativa che dia legittimità e carattere di liceità al comportamento dannoso (ad es. la legittima difesa).

I tipi di responsabilità

1. Responsabilità penale  - 2. Responsabilità civile -  3. Responsabilità disciplinare

4 Responsabilità amministrativa ex artt. 81, 97 e 103 Cost.: responsabilità del pubblico dipendente che, contravvenendo alle regole di perizia e diligenza che devono improntare la propria azione professionale, causa un danno (danno erariale) ai beni collettivi. 5. Responsabilità dirigenziale ex art. 21 d.l.vo 165 del 2001, correlata al mancato raggiungimento dei prefissati risultati gestionali o al discostamento dalle direttive date dall’organo politico

Responsabilità dirigenziale

Il decreto legislativo 29 del 1993 ha ridisegnato la dirigenza amministrativa attribuendo ai dirigenti la responsabilità del risultato dell’attività svolta dagli uffici cui sono preposti e quindi per la concreta realizzazione dei programmi loro affidati, nonché per i risultati complessivi della gestione tecnica, finanziaria e amministrativa.

La valutazione cui sono sottoposti i dirigenti scolastici è affidata, secondo l’art. 25, I comma, del d.l.vo 165 del 2001, in conformità con la natura regionale del ruolo dirigenziale e tenuto conto della specificità delle funzioni, ad “un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa”.

Proprio la specificità delle funzioni ha fatto sorgere alcuni interrogativi relativi, da un lato, ai soggetti deputati a fissare gli obiettivi e i criteri di valutazione e, dall’altro, ai limiti che nell’esercizio dei suoi poteri incontra il dirigente scolastico soprattutto in relazione alla riconosciuta libertà di insegnamento e alle competenze degli organi collegiali e dunque alla radice stessa della sua responsabilità.

Dunque, o tale responsabilità diventa una responsabilità oggettiva per fatto altrui (eccezionale nel nostro ordinamento), o diventa la leva per rafforzare il ruolo manageriale del dirigente scolastico, che, essendo responsabile dei risultati, deve avere un effettivo potere gestionale senza effettive limitazioni.

La valutazione dovrà quindi, tenere conto sia della peculiarità del servizio prestato sia dell’elevata rigidità della comunità scolastica.

L’art. 27 c.c.n.l.

Corrispondentemente a quanto previsto in sede legislativa l’art. 27, comma 1, del c.c.n.l. dei dirigenti scolastici prevede che “I  dirigenti  scolastici rispondono in ordine ai risultati, tenendo  conto delle   competenze   spettanti  nell'assetto  funzionale   proprio   delle istituzioni scolastiche”.

Comma 2:L'Amministrazione, in base ai propri ordinamenti, con gli atti  da  questi previsti,  autonomamente  assunti in relazione  anche  a  quanto  previsto dall'art.  1,  D.lgs.  n.  286/99, definisce privilegiando,  nella  misura massima  possibile,  l'utilizzazione di  dati  oggettivi  -  meccanismi  e strumenti  di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti  e  dei risultati dell'attività svolta dai dirigenti, in relazione ai programmi  e obiettivi  da  perseguire  correlati alle  risorse  umane,  finanziarie  e strumentali effettivamente rese disponibili”.

Comma 3: “Le  prestazioni, le competenze organizzative dei dirigenti scolastici e il livello  di  conseguimento degli obiettivi assegnati sono valutati  con  i sistemi, le procedure e le garanzie individuate in attuazione del comma  2 sulla base anche dei risultati del controllo di gestione”.

Comma 4: “L'Amministrazione adotta preventivamente i criteri generali che informano i  sistemi di valutazione, anche in situazione, della prestazione e  delle competenze  organizzative dei dirigenti scolastici,  nonché  dei  relativi risultati  di  gestione. Tali criteri, che dovranno tener  conto  in  modo esplicito della correlazione delle direttive impartite, degli obiettivi da perseguire e delle risorse umane, finanziarie e strumentali effettivamente poste  a disposizione degli stessi dirigenti, sono oggetto di informazione preventiva, seguita, a richiesta, da concertazione. I   criteri  di  valutazione  dovranno,  comunque,  avere  riguardo   alla specificità  sia dell'istituzione scolastica considerata nel suo  contesto territoriale e sociale, nelle sue finalità e negli obiettivi del POF,  sia della  funzione del dirigente scolastico volta ad assicurare le condizioni per  il  pieno esercizio delle libertà  d'insegnamento e per  la  concreta realizzazione del diritto di apprendimento.

Comma 5: “I  criteri  di  valutazione sono comunicati ai dirigenti scolastici  prima dell'inizio dei relativi periodi di riferimento, allo scopo di valorizzare anche gli aspetti della autovalutazione continua”.

Comma 6: “In  sede  di  definizione dei predetti criteri devono essere indicati  gli elementi e l'insieme dei parametri sui quali si fonderà in particolare  la valutazione, in modo da privilegiare i contenuti concreti della  complessa funzione  dirigenziale  rispetto  a  procedure  meramente  burocratiche  e cartacee.

Comma 7: “Le  procedure e i principi sulla valutazione della dirigenza, dettati  dal D.lgs. n. 286/99, e in particolare il disposto dell'art. 1, comma 2, lett. e),  si  applicano a tutti i tipi di responsabilità dirigenziale  previsti dal D.lgs. n. 165/01” (Comma 12: la valutazione viene svolta, in prima istanza, da un dirigente dell’amministrazione scolastica designato dal dirigente generale regionale, tale valutazione deve essere improntata ai principi di trasparenza e pubblicità dei criteri e deve essere osservato il principio di partecipazione al procedimento; qualora tale dirigente ritenga sussistere elementi che possano portare ad una valutazione negativa, procederà, insieme a due esperti, designati dal dirigente generale regionale ai necessari ulteriori accertamenti ed approfondimenti; il valutatore con i due esperti è tenuto a prendere contatto almeno una volta con l’istituzione scolastica; la valutazione finale è formulata dal dirigente regionale, tenuto conto della valutazione di prima istanza che costituisce, in pratica, parere parzialmente vincolante; infine, comma 14, avverso gli esiti della valutazione è ammesso ricorso alle procedure di conciliazione ed arbitrato ex art. 34 c.c.n.l.).

Comma 8: “La  revoca  anticipata  rispetto alla scadenza può avere  luogo  solo  per motivate   ragioni   organizzative  e   gestionali   oppure   in   seguito all'accertamento  dei risultati negativi di gestione o della  inosservanza delle direttive impartite ai sensi dell'art. 21, D.lgs. n. 165/01”.

Comma 9: “Prima di procedere alla definitiva formalizzazione di una valutazione  non positiva, l'Ufficio centrale o regionale acquisisce in contraddittorio  le deduzioni  del  dirigente  interessato.  Entro  i  successivi  15   giorni l'Amministrazione assume le determinazioni di competenza. La  revoca  dell'incarico comporta che per i primi 6 mesi successivi  alla revoca  la retribuzione di posizione rimane nei valori fissi previsti  dal contratto  in  relazione  alla  fascia di appartenenza,  per  il  semestre successivo l'importo della retribuzione di posizione è decurtato del  50%. Dopo  il    semestre e in presenza di almeno 2 rifiuti a  ricoprire  gli incarichi proposti, non è dovuta alcuna retribuzione di posizione”.

Comma 10: “La  valutazione  può  essere anticipata, nel  caso  di  rischio  grave  di risultato  negativo della gestione che si verifichi prima  della  scadenza annuale”.

Comma 11: “L'esito  della  valutazione  periodica, che  ha  come  arco  temporale  di riferimento  l'anno  scolastico, è riportato nel fascicolo  personale  dei dirigenti  interessati.  Di  detto esito si  tiene  conto  ai  fini  delle decisioni di affidamento degli ulteriori incarichi”.

In definitiva, presupposto necessario per la determinazione della responsabilità dirigenziale dei dirigenti scolastici è che l’amministrazione scolastica, in base ai propri ordinamenti definisca i meccanismi di monitoraggio e i criteri di valutazione.

La responsabilità civile

La responsabilità civile va, innanzitutto, distinta in responsabilità contrattuale (non c’è onere di dimostrare il comportamento colposo del danneggiante, termine prescrizionale decennale, il danno risarcibile è limitato, salvo il caso di dolo, a quanto prevedibile all’epoca del sorgere delle obbligazioni art. 1225c.c.) e responsabilità extracontrattuale (c’è l’onere di dimostrare il comportamento colposo del danneggiante, termine prescrizionale quinquennale, il danno risarcibile trova un limite nell’eccessiva onerosità per il danneggiante e nel caso in cui parte del danno sia causata dallo stesso danneggiato).

La norma centrale della responsabilità extracontrattuale è l’art. 2043 c.c., anche qui, come già detto, per il ricorrere di tale responsabilità occorre la presenza di un’azione od omissione compiuta con capacità di intendere e di volere del nesso di causalità, dell’ingiustizia del comportamento (non in iure e contra Jus ), e, infine, l’imputabilità della condotta.

L’art. 28 Cost.

L’art. 28 Cost. è la norma cardine per la responsabilità civile dei pubblici impiegati ed anche per l’estensione di tale responsabilità allo Stato.

A questo proposito, si distinguono due ipotesi.

La prima rintraccia in tale estensione una forma di responsabilità indiretta, per fatto altrui, ai sensi e nei termini dell’art. 2049 c.c., secondo il quale “I padroni e i committenti [ 2082 ss.] sono responsabili per i danni [ 2056 ss.] arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”, dunque, una responsabilità senza colpa, legata al rischio di servirsi dell’altrui opera.

La seconda ipotesi, prevalente, ritiene che la responsabilità dello Stato sia diretta e sussidiaria, in quanto tramite il proprio dipendente è l’amministrazione che agisce.

Ovviamente, per il sorgere di tale estensione occorre che l’attività lesiva posta in essere dall’impiegato sia riferibile allo svolgimento delle sue funzioni e, quindi, strettamente connessa con l’attività d’ufficio.

Di conseguenza, quando si tratta di attività strettamente personali e non legate neppure da un nesso di occasionalità né alle funzioni ad esso assegnate né alle finalità istituzionali da esso perseguibili, deve ritenersi insussistente la responsabilità dello Stato (teoria della <<occasionalità necessaria>>).

Dal punto di vista dell’elemento psicologico che deve caratterizzare il comportamento lesivo del pubblico impiegato affinché allo Stato si estenda la responsabilità, occorrerà verificare se il comportamento dell’agente sia stato posto in essere, nelle intenzioni, per il raggiungimento dei fini istituzionali, oppure che il pubblico impiegato abbia sostituito i suoi interessi a quelli propri della P.A. (c.d. cesura del rapporto organico), altrimenti qualora vi sia un comportamento dolosamente lesivo (cioè con volontà e coscienza di procurare un danno), l’estensione allo Stato va esclusa.

Ad esempio il ritardo o il mancato rilascio di una certificazione dovuta, posto in essere per nuocere intenzionalmente fa salva la P.A., ma se è dovuto per mancanza di capacità professionale allora no.

In buona sostanza, solo il dolo evita che lo Stato risponda nel caso i cui un pubblico impiegato procuri nell’esercizio delle sue funzioni un danno a terzi.

Nell’ambito della scuola la peculiarità è data dal fatto che l’amministrazione scolastica, per taluni soggetti ed in talune ipotesi, risponde del danno direttamente, salvo poi l’azione di rivalsa nei confronti del dipendente in caso di dolo o colpa grave.

L’art. 61 L. 312 del 1980 (e l’art. 574 del t.u. della scuola d.l.vo 297 del 1994, che estende l’esenzione della responsabilità al personale non statale operante all’interno della scuola: ad es. i bidelli), così recita: “La responsabilità patrimoniale del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario per danni arrecati direttamente all'Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi.

La limitazione di cui al comma 1 si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi”.

Dalla norma si evince che:

1)                            la responsabilità del personale scolastico per fatto degli alunni che comporti un danno all’amministrazione scolastica, mentre i primi esercitano l’obbligo di vigilanza è limitato solo al dolo o alla colpa grave.

2)                            qualora i danni siano stati inferti ad altri soggetti, sempre da alunni sottoposti alla vigilanza del personale scolastico, la responsabilità di quest’ultimo è sempre limitata al dolo o alla colpa grave.

3)                            l’amministrazione risponde direttamente dei danni subiti da terzi.

Dunque, come ribadito dalla Corta Costituzionale nella sentenza n. 64 del 1992, gli insegnanti statali cessano di essere legittimati personalmente verso i terzi solo limitatamente all’ipotesi di responsabilità in culpa in vigilando.

A questo punto si profila un problema di carattere “processuale”: chi deve essere chiamato in giudizio, il ministero o l’istituto?

Con riferimento a fatti posti in essere dal personale docente, giurisprudenza quasi univoca ha affermato che legittimato passivo sia il Ministero e non la singola istituzione scolastica, in quanto il personale docente, seppur inserito in strutture che hanno autonomia amministrativa e personalità giuridica, sono pur sempre in rapporto organico con l’amministrazione dello Stato (così è anche per il personale ausiliario, tecnico e amministrativo).

Va, peraltro sottolineato, che, anche in questa impostazione di diretta responsabilità del ministero, debba ritenersi che con la concessione di una grande autonomia contrattuale data agli istituti, per l’inadempimento contrattuale si debba chiamare a rispondere il singolo istituto.

La tesi opposta, che vede nel legittimato passivo dell’azione di risarcimento il singolo istituto scolastico, rintraccia nella attribuzione della personalità giuridica degli istituti  il fondamento di una loro diretta responsabilità e li inquadra come organi-enti del Ministero.

Gli atti posti in essere da tali organi sono riferibili, da un lato, allo Stato in quanto compiuti da suoi organi, dall’altro, quando questi atti abbiano effetti e conseguenze patrimoniali nei confronti di terzi, alla singola istituzione scolastica, poiché vige la regola che la persona giuridica superiore, con il riconoscimento al proprio organo di una limitata sfera di attribuzioni e mezzi finanziari necessari per esercitarle autonomamente, viene a declinare la propria competenza passiva per le spese che siano conseguenza diretta o indiretta di un tale esercizio.

La responsabilità da vigilanza

L’art. 2048 c.c. così dispone:

“[I] Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno [ 2056 ss.; 190 c.p.] cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati [ 316 ss.] o delle persone soggette alla tutela [ 343 ss., 414 ss.], che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante (1).

[II]. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno [ 2056 ss.] cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti [ 2130 ss.] nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.

[III]. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.

Ricordato quanto detto prima in merito agli artt. 61 L. 312 del 1980 e 574 del d.l.vo 297 del 1994 (t.u. scuola), va detto che alla responsabilità per danni prodotti dall’allievo c’è chi da una funzione di garanzia e chi, invece, costruisce l’estensione della responsabilità al vigilante in funzione dell’inadempimento negligente di tale preciso obbligo.

Va rilevato, preliminarmente che l’obbligo di sorveglianza a scuola è funzionale alla conservazione della disciplina nella popolazione scolastica e all’impedimento di fatti causativi di danno.

In secondo luogo, si deve ricordare come, da un lato, l’obbligo si estenda dal momento dell’ingresso a quello dell’uscita, e, dall’altro, assuma connotati diversi in relazione alla maturità degli allievi (è, infatti, inversamente proporzionale al grado di maturità e all’età degli allievi).

La responsabilità per culpa in vigilando incontra due limiti fondamentali: l’esterno è costituito dalla dimensione temporale dell’obbligo, mentre quello interno è dato dalla impossibilità di impedire il fatto dannoso.

L’onere probatorio del danneggiato si esaurisce con la dimostrazione del compiersi del fatto lesivo nel tempo in cui l’alunno si trovava affidato alla scuola, bastando questo a rendere operativa la presunzione di colpa, mentre spetta all’amministrazione scolastica dimostrare l’impossibilità di impedire il fatto dannoso, e, inoltre, di avere adottato, in via preventiva, tutte le misure organizzative idonee ad evitarlo (Cass. N. 5688/2001).

In sintesi, l’art. 2048 c.c. pone una presunzione di responsabilità in capo all’istituzione scolastica (rectius: all’insegnante), qualora il fatto dannoso si sia prodotto nel tempo in cui il soggetto danneggiante era sottoposto alla vigilanza del personale scolastico.

Si distingue, poi, tra il danno causato dal minore a terzi o a se stesso.

Per quest’ultimo caso si afferma che vada applicato l’art. 2043 c.c. e non l’art. 2048 c.c., ed in ogni caso, per quanto sia riconducibile ad un difetto educativo risalente all’ambiente familiare, deve affermarsi la responsabilità concorrente o, addirittura assorbente dei genitori (fermo restando che per la responsabilità del personale docente vi deve essere, comunque, una carenza nella vigilanza).

L’obbligo di sorveglianza non subisce momenti di interruzione, e, dunque, non può essere interrotto per la semplice assenza dell’insegnante, che, è responsabile se non avverte la scuola di una situazione di urgenza, in questi casi, quando la comunicazione vi sia stata o comunque il dirigente sia venuto a conoscenza della situazione, è quest’ultimo a divenire il responsabile (ai sensi del 2043 c.c., in quanto non precettore, e non del 2048 c.c.).

Peraltro, l’assenza non supplita, può, talvolta, non comportare responsabilità, e ciò in relazione alla maturità degli alunni: è stato affermato che il controllo dell’allievo affidato in custodia va compiuto con i mezzi ragionevolmente più idonei senza, però, inutili rigorismi o soffocanti limitazioni che interferirebbero negativamente con i moderni metodi educativi, i quali tengono in debito conto anche un compito maieutico rispetto ad un comportamento autodisciplinante degli alunni.

Infine, va ricordato che il dirigente svolge un’attività amministrativa e non riveste la qualifica di precettore per cui risponde sempre ai sensi dell’art. 2043 c.c. e non dell’art. 2048 c.c., e che alla persona del dirigente vanno riferite, con la conseguente responsabilità a suo carico, tutte le disfunzioni organizzative  che abbiano effetti su un’idonea attività di vigilanza dei docenti.

La responsabilità amministrativa

Tale responsabilità è posta a tutela degli equilibri della finanza pubblica e del buon andamento della P.A., è la reazione dell’ordinamento relativa ad un comportamento di un soggetto pubblico che venga meno, con colpevolezza, a norme e regole relative ai propri obblighi quale pubblico agente.

La struttura: 1) soggetto; 2) l’atteggiamento di colpevolezza; 3) il fatto materiale (azione od omissione) collegata casualmente ad un evento, ovvero generativo di danno alle casse pubbliche.

Giudice della materia è la Corte dei Conti ex art. 103 Cost.

La giurisdizione amministrativo-contabile si delinea alla luce di tre requisiti: 1) che il danno sia lamentato dallo Stato o da altro ente pubblico; 2) che il soggetto considerato responsabile sia legato all’ente da un rapporto di impiego o di servizio; 3) che il danno sia arrecato nell’esercizio di un’attività illecita, commissiva od omissiva, connessa a tale rapporto sia che ne costituisca diretta esplicazione sia che abbia carattere strumentale o strutturale per l’esercizio della funzione stessa.

L’art. 82 del regio decreto n. 2440 del 1923: “L'impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa, nell'esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo. Quando l'azione od omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio, tranne che dimostri di aver agito per ordine superiore che era obbligato ad eseguire”.

L’art. 52 del t.u. del 1934 n. 1214: “I funzionari impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell'ordine giudiziario e quelli retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni statali a ordinamento, autonomo, che nell'esercizio delle loro funzioni per azione od omissione imputabili anche a sola colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra amministrazione dalla quale dipendono sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e modi previsti dalla legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali. La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”.

Presupposto indefettibile è quello del rapporto di lavoro o di servizio (sussiste sicuramente per i dirigenti scolastici).

Così come presupposto indefettibile è la connotazione di ingiustizia del comportamento e del conseguente danno verificatosi, nonché la negligente, imperita, imprudente o intenzionale violazione degli obblighi di servizio, e cioè quella vasta gamma di obblighi di prestazione e di comportamento che fanno capo allo stato di soggetto pubblico e, per quanto ci riguarda, al dirigente ed all’operatore scolastico.

Ovviamente, occorre l’assenza di cause di giustificazione.

Per gli obblighi comportamentali è ricostruibile un sistema prescrittivo alla cui costruzione concorrono i doveri di imparzialità, di buon andamento, di fedeltà, i codici comportamentali, sia quello della P.A. in generale che quello specifico dell’amministrazione cui si fa riferimento, e, infine, la normativa di settore relativa ai singoli procedimenti.

Violazioni degli obblighi di servizio vanno intese anche le infrazioni delle regole di efficienza e di economicità, ciò in quanto il prevalere di un’obbligazione di risultato impone ancora di più l’assicurazione di un’efficace rendimento del servizio, obbligo di diligenza che grava su ogni dipendente pubblico, anche colui che non riveste incarichi direttivi.

Il dirigente scolastico si pone come motrice del processo di gestione dell’autonomia e ciò determina accresciute attribuzioni di competenze e doveri decisionali con correlata assunzione di responsabilità.

Ai capi di istituto vanno imputate disfunzioni e conseguenti danni ricollegabili al proprio compito organizzativo degli uffici e delle unità operative, a meno che dette disfunzioni non siano dovute a carenza di risorse o a errate direttive, determinanti la caotica organizzazione.

Il dirigente è direttamente responsabile per il danno derivante da una approssimativa gestione del personale da parte del personale della segreteria, con conseguenti danni erariali, per grave difetto di disattenzione, di vigilanza dell’attività della predetta segreteria.

Ovviamente, presupposto di una corretta esplicazione del proprio potere di vigilanza è la perfetta conoscenza dei doveri e dei diritti del personale scolastico.

Il danno

Perdita o deterioramento di beni dell’erario, esborso di somme non dovute, mancata percezione di prestazioni retribuite, sviamento delle risorse pubbliche, danno all’economia nazionale, danno all’equilibrio valutario, danno da disservizio.