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Castelnovo ne' Monti, 12 gennaio 2001 |
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Non è un caso che celebriamo questa liturgia del mandato missionario a don Marco nella festa del Battesimo di Gesù al Giordano. La festa del Battesimo di Gesù fa parte del mistero dell’Epifania. E, come l’Epifania, il Battesimo fa parte delle manifestazioni di Gesù al mondo. Forse, l’abitudine a vedere il battesimo come un fatto intimo e familiare ci ha fatto dimenticare il significato ecclesiale di questo sacramento. A ridarci questa dimensione ecclesiale e comunitaria può essere anche questa liturgia del mandato. A questo scopo ci può aiutare la pagina di vangelo che abbiamo ascoltato. Che cosa ci ha detto il Vangelo? Momento di Chiesa “In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano dalla Galilea per farsi battezzare”. Proviamo a immaginare la scena che tanti pittori e artisti hanno disegnato. Gesù, prima di essere immerso nelle acque del Giordano, non è solo, ma insieme ad altri che aspettano di essere battezzati. Quella del Battesimo al tempo di Gesù era già una chiamata che il Signore rivolgeva a tutto il popolo. E Gesù non ha paura a mescolarsi con la folla dei battezzati. Questa dimensione comunitaria del battesimo di Gesù già rivela a noi un aspetto importante del nostro Battesimo. Prima di essere chiamati dal Signore ad una particolare vocazione - come quella del prete, del vescovo, ma anche dello sposarsi, del mettere su una famiglia cristiana, oppure prima di dedicare la vita in una qualche forma di vita consacrata o in una partenza per un servizio missionario, come laico volontario o come prete - c’è qualcosa che ci accomuna. C’è una chiamata che sta alla base di tutte le altre vocazioni: ed è la chiamata battesimale. È bello pensare qui che, nel Battesimo, siamo tutti chiamati “alla partenza”, a lasciare la nostra terra o paese come Abramo, come Mosè, come Gesù, che all’età di dodici anni già prendeva le distanze dalla famiglia; come Pietro e gli apostoli, che per seguire Gesù, lasciano le reti e le loro abitudini di vita. La Bibbia è piena di gente in cammino. La Parola di Dio non è fatta per i sedentari, ma per i camminatori, come dice una bella canzone spagnola: “Caminantes somos todos”, camminatori siamo tutti, se prendiamo coscienza del nostro Battesimo. Scopriamo qui uno degli aspetti più belli, ma anche più impegnativi, della liturgia del mandato. Nel mandato ad un suo presbitero che parte per le missioni, tutta la Chiesa è coinvolta, l’intero presbiterio è partecipe; in particolare lo sono: la famiglia e la comunità d’origine, come anche le comunità destinatarie dei primi passi del ministero pastorale di don Marco. Diceva il Vescovo Gilberto Baroni, iniziando la scelta storica di una Chiesa come la nostra in “stato di missione”: “È stata una svolta decisiva del mio episcopato… Nessun vescovo ha il diritto di dire: la mia diocesi e basta! Nessun parroco ha il diritto di dire: la mia parrocchia e basta!… Sono più che mai convinto che i nostri missionari, partendo, non hanno inflitto una privazione alla diocesi; le hanno anzi fatto un dono stupendo, che fa diventare la diocesi più Chiesa, più se stessa, la fa maturare, la rende adulta”. Non è poco quello che stiamo vivendo! Scambio di doni C’è, poi, un secondo aspetto che mi piace sottolineare del Vangelo che parla del battesimo di Gesù. Ad un primo momento Giovanni Battista non vuole battezzare Gesù. Prova come un complesso di inferiorità: “Io ho bisogno di essere battezzato da te, e tu viene da me?”. Non è la prima volta che, di fronte alla novità del Vangelo, c’è chi prova come un complesso di inferiorità. Quando ancora Giovanni Battista era nel grembo di sua madre, l’anziana Elisabetta aveva provato questo sentimento di inferiorità davanti alla più giovane Maria, la madre di Gesù: “A che debbo che la madre del mio Signore, venga a me?”. Le due situazioni si assomigliano. Capita ancora oggi, senza che ce ne accorgiamo, che pensiamo alla nostra Chiesa in missione come ad una Chiesa che va a portare ciò che le altre chiese non hanno: E, sotto certi aspetti, è vero: altre Chiese non hanno i soldi e il benessere che abbiamo noi; non hanno le strutture e i mezzi di cui la nostra Chiesa è ricca; non hanno, come nel caso del Brasile (ma anche dell’Albania), i preti di cui avrebbero bisogno. Ma non è solo questo il senso della “Chiesa in missione”. Nessun complesso di inferiorità giustifica il senso di una Chiesa in missione. Ogni Chiesa è amata dal Signore e ha dal Signore, già a partire dal Battesimo, i doni di cui ha bisogno per essere sempre più chiesa fedele e coerente con i doni ricevuti. L’incontro tra due Chiese, come tra Maria ed Elisabetta, ha luogo nella riscoperta dei doni che ciascuna Chiesa porta in sé, aiutandosi reciprocamente a farli emergere alla luce. Più che di “cooperazione” che suona ancora come qualcosa di aziendale, l’incontro tra Chiese sorelle è qualificato oggi come “scambio reciproco di doni”. Mi spiego meglio con un episodio, che mi è capitato andando in visita pastorale in Brasile l’anno scorso. Mentre viaggiavamo sulla strada che andava da Baixa Grande a Ipirà, dove andrà don Marco - una strada come tante altre piena di buche, ma per fortuna bella dritta - da lontano vediamo un gruppo di ragazzi i quali, vedendoci arrivare, si mettono a riempire le buche per farsi dare come pedaggio qualche soldino. Ricordo con sorpresa la frase del ragazzino più grande a don Fortunato, che gli aveva dato un po’ di real: “il Signore te li moltiplichi!”. Non credo che, anzitutto, abbiamo bisogno come Chiesa di veder moltiplicati i soldi, ma altri doni sì. Penso ad esempio alla corresponsabilità dei laici nell’animazione delle piccole comunità, come a Ipirà. È stato chiesto giovedì scorso a don Marco, in un incontro a Marola con i preti giovani: “Che cosa ti dispiace di più lasciare?” Ovviamente la risposta è stata: “i miei cari, i miei ragazzi e giovani…” “E quale la cosa che vorresti trovare moltiplicata?” Risposta: “la corresponsabilità dei laici!” È, questa, anche la speranza del Vescovo!! |
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