HOME > il Saluto > L'intervista
Intervista a don Marco
del 21 dicembre 2001
Riportiamo integralmente l'intervista rilasciata prima della partenza
Qualche informazione preliminare
Don Marco Ferrari, 37 anni, è nato a Sassuolo. Ordinato sacerdote nel ’92, è stato per 4 anni viceparroco a Casalgrande. Nel ’96 viene trasferito a Castelnuovo Monti dove, fino ad oggi, ha ricoperto l’incarico di viceparroco, occupandosi soprattutto della pastorale giovanile. Qualche mese fa la notizia del suo trasferimento nelle missioni diocesane in Brasile: don Marco prenderà il posto di don Piero Medici, che già da circa 10 anni vive nella parrocchia di Ipirà.
Inutile sottolineare il grande affetto che la comunità locale nutre per don Marco, conosciutissimo non solo nella parrocchia di Castelnuovo, ma da gran parte dei giovani della montagna reggiana di cui Castelnuovo è centro.

Il 12 gennaio ci sarà la festa di saluto a Castelnuovo Monti e giovedì 17 prenderà l’aereo: rimarrà in Brasile per 10 anni. Potrà comunque fare ritorno in Italia ogni paio d’anni. Sarà parroco di Ipirà, in Bahia, con l’aiuto di don Vittorio Trevisi, vicario generale della Diocesi. La parrocchia è estesa 3.397 kmq, con 72 comunità tra le campagne.

La sua vocazione missionaria è nata verso il ‘94-’95 quando, anche in seguito ad una visita alle missioni diocesane in Bahia, ha dato la sua disponibilità per lavorare, non solo nelle nostre parrocchie in Italia, ma anche in quelle brasiliane, in linea con un’idea di Chiesa grande e inter-culturale, unita a livello mondiale.
La conferma della partenza è giunta a fine agosto durante il pellegrinaggio diocesano a Lourdes. Il 24 settembre ha cominciato a frequentare un corso al CUM di Verona, 9 settimane di preparazione per chi parte per la prima volta per le missioni, per venire in contatto con la storia, la lingua, la cultura e alcuni aspetti nuovi della realtà delle missioni.

Ipirà è una cittadina abbastanza grande, con una certa vita commerciale e con un po’ di ricchezza in più, ma è evidente il contrasto con le campagne circostanti, dove la gente vive di quello che la terra offre e, considerando che sono zone molto aride, non è molto.
C’è gente che ha esperienze di fede anche di una certa intensità, ma in mezzo a difficoltà enormi, come pensare a come tirare avanti quotidianamente.

L'intervista vera e propria
Al tuo arrivo, cosa ti aspetti di trovare?

“Onestamente non lo so, perché credo si debba vivere con la gente per scoprire la loro realtà, andare e stare in mezzo a loro. Sarà interessante scoprire come la gente vive la fede in quelle condizioni. Ma ora non saprei dire: un giretto non basta.

Anzi, qualcuno diceva che bisogna disfare i propri bagagli personali e metterli da parte, per cercare di vivere quella realtà, con quella gente, con quella cultura; condividere quello che loro sono: le loro esperienze umane e di fede. Questa è la scommessa più grossa.”

Con che atteggiamento ti presenterai alla tua nuova comunità in Brasile?

“Sicuramente mi metterò in ascolto, perché abbiamo poche cose da insegnare e molte da imparare. Si dice sempre che chi fa un viaggio di un mese, viene a casa e scrive un libro, ha capito quasi tutto; chi ci sta un anno forse al suo ritorno scrive un articolo; chi ci sta 10 anni, viene a casa e non scrive più niente... Questo è emblematico, perché significa che più ci stai, più ti accorgi che viviamo veramente un’altra realtà, un’altra cultura e non sai cosa dire; più ci stai più ti accorgi che tu comunque sei italiano e loro sono veramente un altro mondo, un altro popolo. Sarà difficile condividere fino in fondo, ma bisogna provarci: questa è la grande scommessa.”

Quale sarà il tuo compito di missionario?

“In una realtà così vasta il nostro compito è aiutare i laici. Con 72 comunità nelle campagne non possiamo noi preti arrivare dappertutto. Il nostro compito importante è formare, aiutare, incoraggiare e sostenere questi laici protagonisti, leader di comunità e di aspetti della pastorale. Si tratta di una pastorale completamente diversa da quella della nostra Diocesi, dove i sacerdoti sono dappertutto. Sarà un cambiamento radicale, una novità assoluta che ci troveremo a vivere.”

Parliamo un po’ di don Marco, non solo come prete, ma come uomo, con le paure e preoccupazioni che umanamente sono più che naturali: immagino che costi un certo sacrificio lasciare tutta una vita che ti sei costruito qui, abbandonare tutti i tuoi amici, i parrocchiani che ti hanno conosciuto, i ragazzi dei gruppi giovanili con cui hai condiviso molti momenti, e sei diventato molto importante per loro… e credo anche loro siano diventati importanti per te.

Come è questo periodo di saluti?...

“E’ un periodo fatto di incontri, cene, saluti a scuola, nei gruppi, e sono due mesi che saluto la gente e continuerò a salutarla fino alla partenza... forse è un po’ troppo il periodo dei saluti, ma comunque va bene così perché è anche giusto e bello.
Saluto vuol dire sofferenza da una parte, perché hai conosciuto della persone che ti hanno voluto beme e tu hai voluto bene a loro umanamente, quindi l’aspetto di sofferenza, di strappo è inevitabile. Ma sono anche dei momenti di prova perché ti accorgi che tanta gente ti vuole bene ed è disposta a rimanere aperta, unita, in contatto, questo è importante. Quindi si va, si strappa, si stacca ma con la prospettiva di rimanere in collegamento: comunicare la missione credo che sia una sfida molto bella e interessante, non tanto per me che sono là, ma soprattutto credo aiuti la gente qua, perché sono mandato a nome della Chiesa, per cui deve esserci questo andare ma anche il ritorno. Comunicare questa esperienza è la sfida di sempre, e bisogna ricordarselo: siamo là non a nome nostro, ma a nome delle comunità parrocchiali che ci hanno conosciuto e di tutta la Chiesa diocesana.”

E per quanto riguarda, invece, noi che rimaniamo qui: come continueranno i contatti e come la tua esperienza potrebbe essere d’aiuto anche per la comunità che ti ha conosciuto?

“Oggi come oggi, la globalizzazione positiva ci aiuta ad avere dei contatti immediati attraverso la posta elettronica: anche in Brasile si usa facilmente senza spendere molto. Poi ogni due anni potrò rientrare, il che è motivo di scambio. Ma soprattutto, credo che non sia tanto importante da parte vostra mandarmi dei soldi, quanto la ricchezza che potete trarre da questo ponte con una realtà molto diversa, bella dal punto di vista di Chiesa ma triste per le ingiustizie: potrà servire per una comunità che non si chiude in se stessa ma ha le porte spalancate verso il mondo, nei confronti di territori e persone diverse.”

Che cosa ti dispiace di più lasciare?

“Sicuramente un aspetto di sofferenza è lasciare la famiglia: i genitori e la sorella sono quelli che ne soffrono di più, e a vederli star male stai male anche tu... ma questo è naturale, anzi se non fosse così ci sarebbe da preoccuparsi. Poi ovviamente c’è il distacco dalla gente che hai conosciuto, che non ti incoraggiano molto, che ti dicono “ma dove vai... ma resta qua...”, non ho dei grandi aiuti, quasi nessuno mi ha detto “bravo, siamo contenti che tu vada là per noi”. Nella paura di perdermi c’è un po’ di egoismo, ma è ingiustificato: le comunità qua possono andare avanti benissimo, c’è già un altro al mio posto che continuerà a fare quello che ho fatto io e lo porterà avanti anche meglio. Di per sé non si perde niente, anzi dovrebbe essere una ricchezza avere qualcuno che viene mandato a nome della comunità. Alcuni genitori si preoccupano per i loro figli, poiché avevamo iniziato un percorso insieme che procedeva bene che ora sarà interrotto. Ma in realtà i ragazzi e le famiglie riprenderanno il cammino con un’altra guida e con un po’ di tempo ci si accorgerà che non è cambiato molto.”

Qual è la cosa che ti fa più paura?

“Mi sembra di capire che in Brasile ci sia bisogno di una vita di comunità ancora più di quanto ce ne sia bisogno qua. Sono fortunato perché con me verrà don Vittorio che conosco da tempo, verrà ad abitare con me. Credo che questa vita di comunità aiuti a vincere molte paure a livello personale: non sei da solo, ma le tue difficoltà e paure le puoi condividere con qualcun altro. Quando ho saputo che sarebbe venuto ad abitare con me mi ha fatto molto piacere, perché so di non essere da solo. Ha ragione il vescovo quando dice che i preti missionari devono vivere in comunità, almeno in due, perché

le difficoltà saranno tante ed inaspettate, per cui se nel mio essere prete e uomo riesco a condividere i momenti di difficoltà con qualcuno con cui ho già un rapporto e so che mi troverò bene... non è poco.”

Hai già dei progetti, grandi, piccoli, e con quali obiettivi?

“No, assolutamente nessun progetto. Anzi, a volte dobbiamo stare attenti a fare progetti, soprattutto in una realtà che non conosciamo, sarebbe l’errore più grosso: piuttosto che andare là e avere già un progetto in mente, sarebbe meglio restare a casa. Non so ancora niente di questa realtà, non mi resta che ascoltare e condividere. E se ci vengono in mente dei grandi progetti speriamo di incontrare qualcuno che ci freni, perché i grandi progetti a volte sono anche pericolosi. Aiutare quelle comunità a camminare con le loro gambe, a rendersi indipendenti anche come Chiesa, riuscire a fare un lavoro bello a livello vocazionale perché abbiano i loro preti locali: questa è la grande sfida.”

Ormai, sei in partenza, a meno che qualcuno non venga a trovarti in Brasile, ti rivedremo tra un paio d’anni. Vuoi lasciarci un messaggio?

“Cerchiamo di essere tutti missionari dovunque siamo, di aprire il nostro essere cristiani, di uscire dal tempio, dalle sagrestie per dire alla gente che incontriamo per la strada che c’è un tesoro grande nascosto nel campo. E testimoniare con la vita un messaggio bello, quello che Dio ha fatto. Ma questo è il messaggio cristiano, non c’è bisogno di andare in missione per dirlo. Così sia per chi parte che per chi resta, questa è la scommessa: cercare di vedere le bellezze di Dio, quello che Dio fa in mezzo alla gente. In situazioni diverse siamo alle prese con la stessa scommessa. Come diceva anche qualche missionario, al di là del luogo in cui viviamo, dobbiamo innanzitutto cercare di essere cristiani nel miglior modo possibile, dopo di che tudo mundo e paìs.”

Ti auguriamo davvero di trovarti bene nella tua nuova parrocchia di Ipirà e di riuscire a lavorare al meglio insieme alla gente con cui ti troverai a vivere. Certo, non sarà facile, ma sicuramente con tutta la grinta e la determinazione con cui ti abbiamo conosciuto qui, riuscirai a realizzare quello per cui sei stato chiamato.
Buon viaggio don Marco.


(Intervista trasmessa su Teletricolore, Radionova, Radiopace e
pubblicata su La Libertà - a cura di Francesco De Mola)

<< Torna indietro <<