A TUTTO DOPING
IL FATTO
Lo "scandalo" della flebo di
Cannavaro
LA PAROLA CHIAVE: DOPING
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Tempeste d'acciaio
Ernst Jünger era tornato dai campi di
sterminio della prima guerra mondiale con la stessa eccitata consapevolezza di
chi, durante una prova estrema, ha avuto una "rivelazione". La sua testimonianza
non fu infatti quella del reduce, ma quella dell'illuminato. Il registro
stilistico della sua scrittura fu, da quel momento, quello della profezia. Nelle
tempeste d'acciaio del primo conflitto mondiale l'ufficiale Jünger "aveva visto"
(histor). Aveva visto l'avvento di qualcosa di inaudito, che, a suo giudizio,
avrebbe dominato l'umanità nell'epoca futura, mutando radicalmente e
irreversibilmente la natura di tutti i rapporti umani. "Con un senso di sgomento
e di ebbrezza", vale a dire con quel "piacere negativo" che, secondo Kant,
caratterizza l'esperienza del "sublime", Jünger, nelle trincee insanguinate,
aveva visto "che qui non c'è un solo atomo che non sia al lavoro, e che questo
processo delirante è, in profondità, il nostro destino"
La fabbrica assoluta
Niente, insomma, è ormai lasciato
essere se non come risorsa (Bestand) che deve essere messa a disposizione,
impiegata al massimo delle sue potenzialità e infine consumata e abbandonata. I
campi di morte del primo conflitto ne erano la prova irrefutabile. Con i loro
suoni assordanti, con le loro innaturali luci che trasformavano la notte in
giorno, con l'incomprensibilità di quei movimenti di massa, le trincee in fiamme
non "assomigliavano" alla fabbrica, erano la fabbrica moderna con la sua
organizzazione tayloristica del lavoro trasportata al fronte. L'umanità in
trincea era diventata definitivamente materia prima, risorsa disponibile da
sfruttare fino all'esaurimento, e la vittoria era assicurata a chi, tra i
contendenti, avrebbe saputo produrre industrialmente più cadaveri. La guerra
moderna è "battaglia di materiali" (Jünger). La fabbrica aveva inghiottito tutto
il mondo e la guerra, per parafrasare, la famosa sentenza di Clausewitz, non ne
era che la continuazione con altri mezzi
La bellezza secondo la Riefensthal
Il corpo mobilitato è
un corpo sofferente, in pace come in guerra. Se, nel caso della guerra, la cosa
va ovviamente da sé, nel caso della pace la sofferenza del corpo è data
dall'insieme di pratiche cui esso deve comunque sottomettersi per mantenere e
incrementare la sua efficienza: nel lavoro, nella vita quotidiana, nello sport,
nelle relazioni affettive. Il corpo sotto stress da performance è il corpo
moderno. È il corpo-risorsa, il corpo usurato fino all'esaurimento delle sue
possibilità. È il corpo dell'atleta o del soldato, il corpo del fotomodello o
della mannequin, un corpo sottomesso, controllato, disciplinato, sottoposto alla
prova iniziatica del dolore. È quel corpo dolente e trionfante che Leni
Riefensthal ha immortalato nel suo cinema, sia quando ha filmato la prestanza
dell'atleta che tenta il record (Olympia), sia quando ha ripreso impavidi
giovani nazisti che si lavavano nella fredda acqua dell'accampamento comune (Il
trionfo della Volontà), sia quando, infine, ha rivolto la sua attenzione alla
lotta dei guerrieri Nuba (L'ultimo dei Nuba). Anche il suo cinema prenazista,
quello che come sfondo aveva le alpi e come protagonisti intrepidi scalatori,
aveva dopotutto, come ha notato acutamente Susan Sontag, lo stesso tema. L'idea
di bellezza moderna trova infatti nel fascismo la sua compiuta espressione.
"L'estetica fascista (…) – scrive la Sontag – nasce e giustifica situazioni di
controllo, di comportamento sottomesso, di sforzo eccessivo, di sopportazione
del dolore: sanziona due condizioni apparentemente contraddittorie, l'egomania e
l'asservimento"
Stress
L'inglese to stress denomina l'atto del sottoporre
un oggetto materiale a sollecitazione per verificarne la resistenza. Con il suo
valore "medico" e "psicologico" (come "stato di tensione aspecifica della
materia vivente") fu introdotto nel linguaggio scientifico dal medico Hans Selye
(1907-1982) in una comunicazione apparsa in "Nature" nel 1936. Da quel momento
ha definito la situazione del corpo vivente "moderno", di quel corpo, cioè, che
deve rispondere agli imperativi del "principio di prestazione". E' un corpo che
non può riposare, un corpo che ha bisogno di continui bombardamenti di stimoli
per sentirsi “vivo". Per questo corpo il doping è una necessità naturale, come
l'aria o il cibo.
Rocco Ronchi