(CDL326.5)
In risposta all'invito del Presidente del C.d.L. in LL.LL.SS. di formulare proposte relative ad un "nuovo assetto" per il Corso di Laurea in Lingue ristrutturato come Facoltà ad indirizzo specifico e di formulare osservazioni sul progetto ipotizzato dalla Commissione ristretta. |
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Nota: Il Corso di Laurea di cui si parla è quello dell'allora Facoltà di Magistero (infatti, il lettore troverà nel testo diversi riferimenti a questa facoltà), diventata poi la Facoltà di Lettere dell'Università Roma Tre. Pertanto gli interlocutori del testo originale, diretto a Lingue presso l'allora Facoltà di Magistero, sono sostanzialmente gli stessi di coloro che dirigono le due lauree in Lingue presso l'Università Roma Tre.
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Per consentire una lettura differenziata di questa rela-
zione, in base al tempo che il lettore vi vorrà dedicare,
vengono stampati con caratteri tipografici diversi:
* il sunto delle proposte (caratteri grandi);
* le proposte, le spiegazioni (caratteri medi);
* le riflessioni a monte delle proposte (caratteri piccoli).
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La seguente proposta per un nuovo Corso di Laurea (o Facoltà) di Lingue
si distingue da altre in quanto riconosce come elemento centrale
l'insegnamento della lingua viva nonchè la specificità epistemologica delle
conoscenze impartite da questo tipo di insegnamento.
1. Quadro epistemologico
Infatti l'insegnamento della lingua viva, se svolto in una ottica culturale, permette - diversamente
dagli insegnamenti accademici tradizionali - di acquisire conoscenze linguistiche integrali fortemente immanen-
ti, in mancanza delle quali possono risultare astratte o gratuite le elaborazioni concettuali presentate negli
altri insegnamenti curriculari (letteratura, filologia, linguistica, ecc.). Del resto, nelle scienze morbide
in genere, la corretta interiorizzazione dei fenomeni esterni (processo dialettico che avviene durante la
scelta e l'immagazzinamento dei dati empirici e che ne condiziona l'andamento) è condizione essenziale sia
della creazione di modelli descrittivi soddisfacenti sia della corretta lettura di modelli creati da altri.
Alla fase di interiorizzazione va pertanto riconosciuto lo status di momento scientifico primario. Essa va
scrupolosamente curata poiché deve contenere in nuce tutte le successive elaborazioni.
Purtroppo, ciò non avviene sempre. Mentre per esempio gli etologi dedicano generalmente il tempo e la
cura necessaria alla fase primaria, gli etnologi – in particolare gli strutturalisti ma anche i funzionalisti –
sono a volte rei di interiorizzare solo superficialmente il mondo esterno durante la raccolta di dati empirici
(ciò non impedisce loro, però, di sostenere di vedere l'altra cultura da "insider"!)... In quanto agli
studiosi di letterature straniere di epoche passate, Stuart Hall si meraviglia come alcuni "letterati di
prim'ordine" possano accontentarsi di "ricerche storiche di quint'ordine" quando si tratta di ricreare il
contesto sociale di una determinata parola per cogliere il valore esistenziale che essa aveva all'epoca, ossia
la sua "structure of feeling". Trascurando la fase di interiorizzazione, questi letterati si lanciano
nell'analisi del testo con dati empirici raccolti impressionisticamente oppure secondo qualche schema concet-
tuale rigido, collocandoli nelle caselle della propria soggettività di partenza (la quale viene perciò puntual-
mente confermata - soddisfazione di non poco conto) oppure, nella migliore delle ipotesi, riordinandoli come
se fossero i pezzi smussati – senza disegno né colore – di qualche puzzle sbiadito e consumato. Per quanto
riguarda l'interiorizzazione della lingua viva (requisito per gli studi letterari moderni ma non solo), il
problema non viene di solito nemmeno posto: avvenga come dio vuole, dicono i più, e poi cambiano subito
l'argomento. In conclusione, mentre tutte le scienze morbide si fondano su determinate conoscenze immanenti,
non tutte si sforzano con ugual impegno a garantirne l'integrità. Man mano che si passa dalla selva al
villaggio alla biblioteca, l'output mangia sempre più l'input.
Nel caso dello studio delle lingue alla Facoltà di Magistero, la presente proposta
vuole garantire la serietà della formazione scientifica degli studenti ricono-
scendo, malgrado gli attuali pregiudizi, uno status scientifico primario
all'insegnamento della lingua viva in quanto interiorizzazione integrale e
consapevole di un microsistema culturale. Questa presa di posizione si disco-
sta radicalmente dalla visione parrocchiale ancora troppo diffusa secondo cui
"bisogna sapere una lingua (intesa come sistema grammaticale più sistema
lessicale oppure come insieme di nozioni e funzioni comunicative) per poter
poi leggere criticamente testi letterari e quindi assimilare una nuova
cultura". I guasti di questo manicheismo culturale sono evidenti in qualsiasi
aula universitaria: studenti che continuano a sentire come "alieno" un testo
in lingua o un teorema linguistico e che, all'esame, possono solo ripetere i
giudizi in merito espressi da qualche esperto. Il processo di apprendimento,
che è dialettico, deve essere integrale ad ogni tappa. In particolare, la fase
primaria di interiorizzazione deve essere accuratamente curata (impostata,
rettificata, ampliata) per tutti gli studenti, "principianti" e non. Ciò è
ancora più vero nel caso di quegli studenti di Magistero il cui sistema
linguistico di riferimento (con i suoi modelli discorsuali, letterari, ecc.)
rappresenta sì una conoscenza immanente ma che non è né integrale né consape-
vole.
(Il termine "consapevole" in questo contesto significa "autoriflessivo" e non "concettualizzato" o "critico".)
L'insegnamento della lingua viva, se svolto in un'ottica culturale come
momento scientifico primario, andrebbe pertanto considerato una disciplina
accademica a pieno titolo.
C'è anche una seconda ragione per la quale l'insegnamento della lingua
viva andrebbe considerato una disciplina accademica. Essa rappresenta un
momento di sintesi produttiva - il che è ben altra cosa dell'"analisi criti-
ca" o della "rielaborazione di concetti" che, pur importanti che siano, sono
l'unico prodotto di insegnamenti analitico-descrittivi. Come il corso di
"Progettazione" in architettura o il corso di "Scavi" in archeologia (ambedue
tenuti comunque da professori ordinari che lavorano prevalentemente "sul
campo" con gli studenti), l'insegnamento della "Lingua Viva" è, rispetto alle
tradizioni accademiche, senz'altro una disciplina "diversa" perchè "pratica".
Ma non per questo dovrebbe essere una disciplina "marginale" - anzi, nel
Corso di Laurea ideale ipotizzato in questa proposta, l'insegnamento della
"Lingua Viva" è la disciplina centrale - quella che semanticizza le altre e,
nel contempo, dà loro un'unità.
In conclusione, per essere epistemologicamente attendibile,
la formazione scientifico-culturale offerta da un Corso di Laurea
in Lingue deve includere corsi ufficiali di Lingua Viva per tutte
e quattro le annualità, non solo per "colmare le lacune lingui-
stiche" degli studenti e "perfezionare le loro capacità comunica-
tive" ma, soprattutto, per generare le materie prime (le neces-
sarie conoscenze immanenti - integrali e consapevoli) usate dalle
altre discipline e per consentire l'impiego degli strumenti
acquisiti nei vari corsi in un momento di sintesi. L'università
non può demandare questi insegnamenti alle scuole superiori
(visto l'eterogeneità dei traguardi formativi dei vari ordini:
scientifico, professionale, ecc.) né alle scuole di lingue com-
merciali (volte all'insegnamento "comunicativo" delle lingue,
trattate come se fossero un Esperanto da usare solo referenzial-
mente per lo scambio di informazioni, servizi, merce).
C'è chi però, dentro l'università, ritiene che l'insegnamento delle
Lingue Vive, quali microsistemi culturali, possa svolgersi presso i Centri
Linguistici Interfacoltà, non solo con criterio, ma anche in stretto collega-
mento con gli altri insegnamenti linguistico-culturali dei Corsi di Laurea in
Lingue. L'esperienza dimostra, invece, che nella migliore delle ipotesi i
Centri Linguistici hanno collegamenti solo formali con le facoltà a cui fanno
capo e, sul piano didattico, servono solo a riproporre (e quindi a perpetuare
ad infinitum) le metodologie incomplete delle scuole commerciali; di solito,
poi, le prestazioni sono addirittura inferiori. Né potrebbe essere altrimenti
quando, dalle facoltà di lingue (che, sul piano nazionale, dovrebbero essere i
trascinatori della ricerca e della sperimentazione nel campo dell'acquisizione
delle lingue e delle culture straniere) non sorge la richiesta di un tipo di
insegnamento diverso da quello che oggi c'è - anzi, sembra mancare la consa-
pevolezza che ci possa essere altro. In sintesi, per poter rinnovare autenti-
camente il suo curriculum, un Corso di laurea in lingue non può non assumere
in proprio l'onere di ricercare l'assetto strutturale e culturale idoneo alla
formazione integrale, linguistico e culturale, dei suoi studenti.
Chi terrebbe gli insegnamenti ufficiali di lingua viva in un corso di
laurea così rinnovato? La questione verrà discussa più avanti; ma per dissi-
pare subito qualsiasi fraintendimento va precisato che si tratta di docenti
prevalentemente italiani. Docenti italiani capaci di svolgere un siffatto
insegnamento già ci sono. E saranno più numerosi quando l'università accetterà
di introdurre elementi di novità in ogni anello dell'attuale "catena di
trasmissione" culturale:
(1) (2) (3) (4) (5)
-> studenti -> laureandi -> dottorandi -> ricercatori di -> professori di ->
^ LL.LL.SS. LL.LL.SS. LL.LL.SS. ling./LL.LL.SS. ling./LL.LL.SS. |
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pubblicazioni: In Italia, vengono prodotti pochi materiali per
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l'insegnamento
linguistico-culturale di livello universitario
ELEMENTI DI INNOVAZIONE DIDATTICA CHE – TUTTAVIA - SI POTREBBERO INTRODURRE SUBITO LUNGO LA CATENA QUI SOPRA, SENZA RISTRUTTURARE IL CORSO DI LAUREA.
(1) insegnamenti "alleggeriti" delle letterature straniere per gli studenti che scelgono gli indirizzi LINGUI-
STICO o STORICO-CULTURALE; ampliamento degli insegnamenti appartenenti a questi due indirizzi e, di conse-
guenza, esami di lingua più rigorosi sul piano metalinguistico, pragmatico, socio-culturale, ecc.;
(2) tesi più numerose sui meccanismi di assimilazione (e non solo di comprensione) dei fenomeni linguistici e
culturali stranieri;
(3) nella selezione dei dottorandi, preferenza data ai candidati con spiccati interessi nelle varie didattiche:
la
didattica della letteratura, della "civilisation/landeskunde",
delle scienze linguistiche, della comunicazione
interculturale;
inoltre creazione di un indirizzo metodologico;
(4) preferenza data ai progetti di ricerca che hanno come ricaduta la preparazione di materiali didattici per
l'insegnamento delle letterature, culture, lingue;
(5) taglio più linguistico dato all'insegnamento delle letterature, raccordi più numerosi tra l'insegnamento
della lingua viva e gli insegnamenti letterari, linguistici e culturali; preferenza agli insegnamenti
linguistico-culturali nella creazione/attivazione di cattedre.
2. Assetto culturale
Il riconoscimento della priorità delle conoscenze immanenti e dell'impor-
tanza del momento produttivo, nonchè del ruolo centrale svolto dall'insegna-
mento della lingua viva, è la premessa per un autentico rinnovo dell'assetto
culturale del Corso di Laurea in Lingue - assetto nel quale anche gli altri
insegnamenti potranno acquistare una maggiore coerenza ed efficacia forma-
trice: vedi l'effetto a cascata dell'enfasi messa sugli strumenti produttivi
oppure l'accresciuta capacità di vedere il Sapere anche come "processo tenden-
te al continuo adeguamento del proprio quadro di riferimento tramite la
continua interazione con il mondo esterno" (processo non omeostatico).
Naturalmente, altre definizioni del Sapere sono possibili. Anzi, confor-
tati da una lunga tradizione in tutto il mondo, potremmo definire il Sapere
più semplicemente come "analisi critica del reale" o ancora più semplicemente
come "elaborazione disciplinare". Tuttavia, una riflessione sulla storia degli
intellettuali in Italia consiglia la cautela nel lasciare predominare, incon-
testate, le visioni gnoseologiche consolidate. La Controriforma ha lasciato
il suo segno più marcatamente qui che altrove; inoltre, gli attuali ordinamen-
ti universitari risalgono al Regno e all'ideologia dominante di allora.
Pertanto, a parere di chi scrive, QUALSIASI PIANO DI RIORGANIZZAZIONE DEL
CORSO DI LAUREA IN LINGUE CHE NON OFFRA (ANCHE) UNA VISIONE DEL SAPERE IN
CONTRAPPOSIZIONE A QUELLA CONSOLIDATA, RISCHIA DI PERPETUARE IL TAGLIO
CULTURALE che ha prodotto, almeno nel settore umanistico, il sistema formativo
tanto criticato oggi - "pseudo-positivista" e, nei fatti, "idealista e reto-
rico", scrive F. Ferrara. E cita, come esemplificazione, il sistema degli
esami che consiste - ancora oggi - quasi esclusivamente nell'esposizione orale
di concetti! Potremmo citare, come ulteriore esemplificazione, anche la
lezione ex cathedra, non tanto per la monodirezionalità della comunicazione
(l'aspetto che gli studenti criticano di solito) quanto per la più alta per-
centuale dei casi, rispetto alle università straniere, in cui la lezione
consiste nel Commento di un Testo (solo in una minoranza dei casi vengono
praticate altre attività, incentrate su un testo, su un problema, su una
ricostruzione storica o altro).
Può sembrare ingiusto voler contestare il predominio del modello ermeneutico nelle aule delle facoltà
umanistiche italiane; e difatti, come dimostra Gadamer, il "Commento di un Testo" può produrre un Sapere che
non sia il semplice riordino di un insieme di parole chiamato "brano" (per convenzione o per volere di chi le
ha scelte) secondo un'angolazione che viene chiamata "critica" solo perchè chiarificatrice di rapporti non
immediatamente evidenti (ma non necessariamente rivelatori della verità del testo). Purtroppo, il senso di
un'attività, didattica o altra, deriva dalle attese più ancora che dalle intenzioni. Perciò in un paese segnato
dalla Controriforma, la "lezione ex cathedra" assume automaticamente connotati più "pontificali" e genera un
attesa più "remissiva" negli ascoltatori, che non in un ipotetico paese di forte tradizione protestante, dove
la domenica la popolazione discute in chiesa sul senso di un brano biblico anzichè sentirselo spiegare da un
sacerdote dal pulpito e dove il modello ermeneutico, riproposto nelle università, ha avuto più spiccati conno-
tati di "ricerca". Del resto, la stessa nozione, apparentemente neutra, di "sapere critico" svolge in Italia
una funzione di regolazione sociale che non svolge, allo stesso livello, nei paesi dell'Europa del nord,
funzione che ne offusca le finalità dichiarate. Questi rapidi cenni ad analisi già ampiamente svolte da altri,
possono bastare, credo, per giustificare la necessità d'impiantare nell'università italiana modelli didattici
diversi da quello del "Commento di un Testo", per scuoterne l'egemonia e, forse, per favorire un salutare
ripensamento dell'ermeneutica stessa.
In conclusione, il rinnovo dell'assetto didattico/organizza-
tivo del Corso di Laurea in Lingue richiede innanzitutto un
approfondito ripensamento del suo assetto culturale. A che cosa
servono nuovi mezzi materiali o nuove cattedre o indirizzi più
attuali se il Corso di Laurea continua a poggiarsi su un'asse
culturale e su premesse epistemologiche rivelatesi insufficienti?
La domanda da porre, a mio avviso, non è quella di sapere "come
formare sempre più laureati con capacità sempre maggiori di
analisi critica, in campi sempre più attuali". La domanda da
porre è "come formare laureati che abbiano altre capacità OLTRE a
quella dell'analisi critica".
3. Ipotesi di rinnovo "A": Un Corso di Laurea in Studi Internazionali
L'ipotesi didattico-organizzativa presentata dalla Commissione ristretta
non chiama esplicitamente in causa l'assetto culturale dell'attuale Corso di
Laurea in Lingue e Letterature Straniere e tanto meno formula riserve sul
valore epistemologico del sapere (letterario, linguistico, culturale) creato
e trasmesso con le attuali pratiche didattiche.
Il documento della Commissione individua puntualmente alcuni profili
professionali in lingue per il terziario avanzato. Ravvisa l'opportunità di
"nuovi moduli didattici" e sistemi valutativi. Ma non precisa se a queste
innovazioni debba corrispondere un'effettivo mutamento nell'assetto culturale
del nostro Corso di Laurea. E nel caso affermativo, non indica i connotati del
nuovo assetto. Il silenzio su questi punti è forse d'obbligo: per sua natura,
il documento doveva essere stringato, operativo, diplomatico. Ma i cenni dati
sui contenuti curriculari lasciano sorgere più di un dubbio sulla reale con-
sistenza del mutamento prefigurato nelle premesse. Seguono alcuni esempi di
domanda che il documento lascia senza risposta (esplicita).
Sul versante "cultura", il documento propone un corso di "teoria della
modellazione", attualissimo: ma la modellazione, come pratica, si farà? E nel
caso affermativo, si farà in contesti che consentano riscontri e rettifiche?
Il documento afferma che lo scopo degli insegnamenti culturali è quello di
dare un "possesso critico" di alcuni strumenti: "possesso" significa "padro-
nanza"? Si tratta di sviluppare conoscenze immanenti o mediate o ambedue? Il
documento parla della "naturale intersezione" con le altre materie: ma ciò non
sembra signficare l'interdisciplinarità (tutt'altro che "naturale" nell'uni-
versità di oggi, dove vige la concezione enciclopedica del sapere, cioè per
voci distinte) o progetti formativi complessivi. Infine, si dichiara che
"tutte, o quasi, le offerte didattiche sono già disponibili come tali e come
consolidate competenze metodologiche nei dipartimenti": ciò vuol dire che il
progetto prevede solo cambiamenti nei contenuti ma non nel taglio culturale
sottostante? In tal caso, quali saranno gli apporti nuovi che possano scuo-
tere l'egemonia del modello scientifico e didattico attuale? (Chiaramente,
"scuotere l'egemonia" non significa "sostitutire" o "far passare in secondo
piano", bensì offrire altre visioni del sapere accanto a quelle consolidate.)
In quanto al settore "scienze linguistiche" illustrato nel documento, gli
insegnamenti, per la maggior parte, sembrano squisitamente disciplinari
secondo i canoni della più pura ortodossia accademica. Infatti, rispetto ai
profili professionali illustrati nella premessa del documento, troviamo nel
curriculum ben pochi riscontri (espliciti). Gli insegnamenti sembrano cioè
destinati a formare soltanto futuri "studiosi della materia" o linguisti-
ricercatori. Ma anche in questo caso il quadro curriculare sembra stretto.
Non sono previsti i momenti d'interiorizzazione pre-analitica né i contesti
d'uso di cui alle Parti 1 e 2 di questa relazione - requisiti, si è detto, per
accedere ad un sapere che non sia squisitamente enciclopedico e per poter
usare creativamente in seguito gli strumenti acquisiti - sia da "studioso
della materia" che da "operatore linguistico".
In effetti, i due versanti del progetto, sia quello linguistico che quello culturale, sembrano percorsi
dall'antico pregiudizio (fondamentalmente manicheo anche questo) secondo cui "bisogna imparare prima la teoria,
poi il resto viene da sé‚ con un po' di pratica" - altare sul quale sono state sacrificate generazioni di
studenti. La psicologia cognitiva è esplicita su questo punto: non esiste "teoria" da un lato e poi "pratica"
dall'altro; per essere autentico, il sapere deve essere integrale ad ogni tappa del suo sviluppo dialettico.
(Naturalmente, ad uno studioso già formato possono bastare esplicitazioni concettuali poiché egli è capace di
sperimentare mentalmente con i nuovi dati, per assimilarli nel suo sistema di conoscenze personale. Comunque,
non è certo questo il caso della media degli studenti a Magistero, almeno nei primi anni di studio.)
Infine, dal progetto manca un qualsiasi accenno a ciò che potrebbe es-
sere, in un Corso di Laurea in Lingue e Letterature Straniere, la disciplina
cardine, vale a dire l'insegnamento della lingua viva come interiorizzazione
di un microsistema culturale e come momento di sintesi (produttiva). L'ommis-
sione lascia veramente perplessi in quanto gli stessi autori del progetto sono
probabilmente d'accordo con i pareri espressi poc'anzi sull'impossibilità di
demandare un siffatto insegnamento alle scuole superiori o alle scuole commer-
ciali. Sanno anche che i Centri Linguistici Interfacoltà che funzionano bene
all'estero sono quasi sempre inseriti in un vasto progetto di ricerca glotto-
didattica condotto dagli specialisti di linguistica applicata nelle relative
facoltà - progetto, del resto, al quale partecipano direttamente o indiretta-
mente gli specialisti delle letterature e culture straniere che danno, di
riflesso, un "taglio linguistico" ai loro insegnamenti. Non è questo, però,
il quadro presentato nel progetto in esame.
In conclusione, malgrado la puntualità dell'analisi dei
bisogni, il curriculum del progetto della Commissione ristretta
sembra studiato per formare lo stesso tipo di laureato di quello
che l'attuale Corso di Laurea forma - dandogli nozioni metodolo-
giche e informazioni più aggiornate su aree disciplinari più
attuali, ma negandogli la possibilità di accedere ad una cultura
diversa e più completa.
4. Ipotesi di rinnovo "B": Un Corso di Laurea in Lingue e Culture Straniere
Vengono qui presentate, alla rinfusa, alcune tra le tante idee venute
fuori da conversazioni avute con i vari componenti del Corso di Laurea durante
gli ultimi mesi. (E anche con alcuni componenti del Corso di Laurea in Lingue
di Villa Mirafiori, in occasione dell'Incontro del novembre scorso tra le
nostre due facoltà.)
A differenza del progetto "A" (della Commissione ristretta), la presente
proposta manca di sistematicità organizzativa, non essendo stata studiata "a
tavolino". Ha, però, una organicità culturale: appaiono qui, infatti, per
scelta di chi scrive, solo i suggerimenti in linea con le ipotesi epistemolo-
giche e culturali descritte nelle Parti 1 e 2 di questa relazione.
Queste ipotesi possono sembrare molto astratte. Invece diventano subito
molto concrete appena accettiamo (anche per gioco) di immaginare quali
cambiamenti nel nostro Corso di Laurea potrebbe provocare lo spostamento
dell'attuale asse culturale nella direzione auspicata in questa relazione.
Immaginiamo, per esempio, il nostro Corso di Laurea con i seguenti
cambiamenti:
Modifica del concetto di "CORSO"
Vengono creati tirocini di vari tipi, a seconda dell'indirizzo dello
studente (linguistico, letterario, socioculturale, ecc.) - tirocini
sostituitivi della partecipazione seminariale (almeno in parte);
Modifica del concetto di "DOCENZA"
Viene sostituita la figura precaria del "lettore" con la figura del pro-
fessore ordinario di lingue (di nazionalità italiana, linguista esperto),
con carico didattico triplicato per l'insegnamento della lingua viva;
Modifica del concetto di "SAPERE"
Nell'esame orale viene fortemente ridotto l'uso dell'"interrogazione" come
strumento valutativo, in quanto premia in particolar modo la capacità (la
virtuosità) orale dello studente nel districarsi in italiano; tutti gli
esami, anche se svolti in una sola seduta, comportano invece elaborazioni
scritte nonchè attività orali non meramente discorsive: una dimostrazione
scientifica, un confronto sistematico fra le varianti di un testo,
l'individuazione di un accento o di un dialetto usato a fini stilistici,
l'interpretazione (nel senso di recita) di una poesia, ecc.
Come si vede, lo spostamento dell'asse culturale, nel cambiare le COSE, cambia anche il significato delle
PAROLE, soprattutto quelle più familiari come "corso", "docenza", "sapere". Al punto di provocare sorrisi (o
smorfie) in chi, portato a vederle da una diversa angolazione culturale, si accorge ad un tratto del loro
relativismo.
I cambiamenti ipotizzati rendono altresì evidente che, a scanso di equi-
voco, l'assetto culturale alla base della presente proposta non è affatto una
rievocazione del Deweyismo o di altre scuole pedagogiche oltre-atlantiche. Né
può dirsi una applicazione dei principi esposti nel progetto della Confin-
dustria (quelli, sì, americani) che, attraverso la "Riforma" ora davanti al
Parlamento, mira alla rifondazione culturale dell'università per valorizzare
"il fare ed il costruire".
L'assetto culturale proposto nella presente relazione vuole
semplicemente inserirsi nel discorso, tutto italiano, interrotto
con Galileo Galilei e Giordano Bruno e ripreso poi
sistematicamente solo nel campo scientifico, fino alla
formulazione gramsciana dell'"intellettuale organico alla prod-
uzione". Anzi, potremmo sintetizzare tutto quello che è stato
affermato finora in questa relazione dicendo che, malgrado gli
sforzi prodigati da molti docenti "impegnati", le facoltà umanis-
tiche continuano a conservare l'assetto culturale di sempre e a
formare l'intellettuale tradizionale (il "sovraintendente della
sovrastruttura") - mentre sarebbe auspicabile che le facoltà
costruiscano le basi culturali e didattiche per formare ANCHE
l'intellettuale organico alla produzione.
Denominazione
Si propone la denominazine "CORSO DI LAUREA IN LINGUE E
CULTURE STRANIERE".
Gli "indirizzi" dovrebbero essere più numerosi dei tre attualmente
previsti ed indicare gli USI del sapere acquisito all'università (ad esempio,
per analizzare culture, per insegnare) anzichè, come si fa oggi, la CATEGORIA
SCIENTIFICA di appartenenza (linguistica, storica, letteraria). Avremmo,
quindi, sempre con riferimento all'uso di una lingua straniera, indirizzi del
tipo:
COMUNICAZIONI (indirizzo incentrato sui mass media, ma anche sul discor-
rere in pubblico, ecc.), DIDATTICA (con la frequenza obbligatoria di un corso
di Didattica dell'italiano L2); RELAZIONI ESTERNE (con la frequenza obbligato-
ria di determinati corsi presso Scienze Politiche, Economia e Commercio,
Giurisprudenza); ANALISI CULTURALE (che comprende le letterature straniere ma
anche forme di paraletteratura, ecc.); MODELLAZIONE LINGUISTICA (il taglio
metodologico unifica le varie scienze linguistiche insegnate); PRE-
INTERPRETARIATO (indirizzo obbligatorio per il conseguimento successivo del
diploma di traduttore o interprete presso una scuola speciale post-lauream
della durata di uno o due anni), MEDIATORE INTERCULTURALE (con corsi sul negoziato in lingua, sulla gestione di riunioni multiculturali in lingua ecc.).
Gli indirizzi elencati (a cui andrebbero aggiunti altri) possono sem-
brare limitativi. Per esempio "MODELLAZIONE LINGUISTICA" sarebbe il titolo di
un corso (non di un indirizzo intero) presso molte università straniere;
inoltre, diversi settori della linguistica potrebbero non essere pienamente
"coperti" con la nuova organizzazione degli indirizzi. Difatti, la presente
proposta parte dal presupposto che il nuovo Corso di Laurea rinunci ad una
vocazione universalistica - vocazione che, del resto, non viene mai realizza-
ta nemmeno nelle università più grandi (esistono sempre insegnamenti non
attivati). Con la presente proposta, gli insegnamenti non attivati sarebbero
"programmati" e non lasciati al caso. In compenso, lo studente sarebbe forma-
to più organicamente (e la sua cultura sarebbe ugualmente ampia rispetto a
quella che egli ha oggi se sceglie un qualsiasi indirizzo disciplinare vinco-
lante).
Organizzazione
La stretta correlazione tra i tre tipi di corso
cultura <--> lingua viva <--> linguistica
presuppone l'organizzazione semestrale e la frequenza obbligato-
ria. Gli studenti "non frequentanti" potrebbero comunque iscri-
versi al Corso di Laurea in lingue ma presso un apposito servizio
di "istruzione a distanza" (che comporterebbe anche incontri
singoli e in gruppo con i docenti dei corsi per frequentanti).
Gli esami per i "non frequentanti" rimarrebbero sostanzialmente come
sono oggi per tutti: prove scritte e orali alla fine del corso. (La durata
sarebbe superiore a quella attuale, però, onde consentire la valutazioni delle
conoscenze immanenti e produttive.) Per i "frequentanti" la valutazione
sarebbe in itinere, lasciando ampio spazio per lo svolgimento di prove
pratiche.
In quanto alla distinzione tra percorsi (e titoli) "brevi" e "lunghi", i
primi devono essere in serie e ambedue devono conferire il titolo di "dot-
tore". Cioè i corsi seguiti per la laurea biennale devono valere tutti quanti
ai fini della laurea quadriennale, in caso di proseguimento oltre il biennio.
F E R M O R E S T A N D O L A L I B E R T A' D I I N S E G N A -
M E N T O, occorre che il Corso di Laurea si doti di strumenti per provvedere
annualmente alla programmazione complessiva dei corsi, in sede collegiale
(allargata alla partecipazione studentesca), onde consentire raccordi tra le
materie e evitare accavallamenti di orari. L'abolizione della titolarità
dell'insegnamento e la costituzione di aree per raggruppamenti disciplinari
(quando si realizzeranno) costituiranno strumenti utili al raggiungimento di
tale fine.
Per ora si potrebbe costituire una Commissione informale con compiti di
coordinamento - volendo, anche di mediazione tra le parti: per esempio, per
coordinare i contenuti degli insegnamenti di lingua viva con quelli delle
scienze linguistiche, delle "culture nazionali", etc. (Gli insegnamenti di
lingua viva sono ricchi di materiale per eventuali analisi, tassonomie,
esemplificazioni). Altro esempio: storia e geografia, riunite in un'unico
insegnamento di tipo landeskunde, potrebbero essere collegate alle aree geo-
linguistiche studiate nel Corso di Laurea. Potrebbero addirittura collegarsi
ai temi di singoli insegnamenti.
Curriculum
Non viene indicato, in questa sede, un'elenco ideale di corsi. Del
resto, i principi di massima esposti nelle Parti 1 e 2 potrebbero pure bastare
per poterli individuare.
Comunque, piuttosto che creare nuovi insegnamenti letterari o
linguistici, per colmare i vuoti negli attuali programmi, andrebbe offerta ai
titolari dei corsi già esistenti e ai ricercatori, con le incentivazioni del
caso, la possibilità di spostare i loro interessi scientifici verso
determinate materie affini. Si potrebbe addirittura cercare di prefigurare
il provvedimento legislativo recentemente proposto, consistente nel raddoppio
del carico didattico dei professori (il primo corso sarebbe quello
tradizionale, il secondo quello concordato con il Corso di Laurea per colmare
una lacuna nella programmazione).
Gli eventuali nuovi insegnamenti che bisognerà comunque
creare dovrebbero essere coerenti con l'asse culturale che il
Corso di Laurea si dà; nella presente proposta, i nuovi insegna-
menti non dovrebbero essere puramente analitico-descrittivi o
storici poiché in tal caso non si discosterebbero sufficientemen-
te dall'asse culturale attualmente dominante.
Andrebbero aumentati, invece, seppure in misura limitata, gli insegnamen-
ti delle culture nazionali o regionali (attualmente sottorappresentati) purchè
non puramente analitico-descrittivi o storici. Del resto, questi insegnamenti
consentono facili collegamenti con le discipline sia linguistiche che lettera-
rie.
Andrebbe abolito l'uso dei lettorati per gli insegnamenti della lingua
viva o per altri insegnamenti. Non è concepibile affidare il "momento scien-
tifico primario" e il "momento di sintesi produttiva" a persone considerate
docentucci di passaggio. Chi insegna a qualsiasi titolo deve rivestire la
qualifica di docente. Il segno pi— vistoso di una rivalutazione autentica
dell'insegnamento della lingua viva in Italia sarà la creazione di cattedre di
questa discipline tenute prevalentemente da italiani (come avviene in tutto il
mondo). I giovani stranieri che studiano presso l'ateneo (anche nel quadro
di programmi di scambio) potrebbero essere comuque reclutati per compiti di
animazione culturale (conversazione, lettura di giornale, cineforum, allesta-
menti teatrali, ecc.) per un solo anno non rinnovabile. Questa è la funzione
di "lettore" nelle università all'estero - non in tutte, ma certamente nelle
università che formano con successo laureati in lingue. Non converrebbe
imitare quelle?
Per fronteggiare il periodo di transizione, gli attuali lettori potrebbero confluire, mediante concorso,
in un ruolo ad esaurimento.
Didattica
Incentivare un'interesse nella didattica da parte dei docen-
ti richiederà tutta una serie di provvedimenti legislativi. Il
Corso di Laurea potrebbe caldeggiare, per esempio, prove didatti-
che pi— rigorose e con maggiore peso nei concorsi per associato o
ordinario; valutazione di testi didattici o manuali (soprattutto
se corredati di esercizi) ai fini concorsuali; richiesta di
giudizi da parte degli studenti sulle capacità didattiche dei
docenti (come si fa in diverse università all'estero).
Per incentivare l'interdisciplinarietà, si potrebbe prevedere, nei
regolamenti interni dei Dipartimenti, un abbinamento tra "erogazione di fondi
per la ricerca" e "resa didattica del docente che chiede fondi". I
regolamenti potrebbero addirittura specificare che la "resa didattica" dipende
anche dagli sforzi del docente per garantire l'"interdisciplinarietà" della
sua materia. Questa proposta anticipa i futuri statuti che, a quanto sembra,
riconosceranno precise responabilità didattiche ai Dipartimenti.
Andrebbe incentivato il passaggio dal modello "ex cathedra" al modello
"‚quipe di ricerca" per il lavoro che si fa con gli studenti in aula, almeno
nei corsi "formativi". Il tema, cioè, dovrebbe essere scelto in base agli
interessi dei componenti dell'‚quipe; dovrebbe essere un tema flessibile,
modificabile man mano che la ricerca evolve. Il docente dovrebbe fungere da
leader, offrendo all'‚quipe non i frutti delle sue ricerche bens� un terreno
lavorato sul quale i membri possono svolgere la loro attività. Questo modello
didattico, niente affatto rivoluzionario, è quello che si pratica normalmente
seguendo le tesi. L'arte di praticarlo anche in aula con studenti a digiuno
di conoscenze di base, consiste nella scelta di un terreno su cui lavorare che
consenta l'acquisizione delle basi terminologiche e metodologiche attraverso
l'attività impostata.
Inoltre, sarebbe bene che il nuovo Corso di Laurea prevedesse due tesi:
una di carattere compilativa da presentare al termine del primo biennio e una
di ricerca originale (sperimentale) dopo il secondo biennio.
Andrebbero previsti tirocini coerenti con l'indirizzo scelto; il
tirocinio va concepito non come un lavoro part-time ancora meno pagato dei
"contratti di formazione e lavoro", bens� come uno stage di poche ore settima-
nali che rappresenti l'estensione di un seminario. In quanto ai corsi di
lingua viva, il "tirocinio" a loro abbinato dovrebbe consistere in uno o due
semestri di studio presso una facoltà nel paese di cui alla lingua quadrien-
nale dello studente. Ciò implica, da parte del Corso di Laurea, la creazione
di rapporti di scambio permanenti con alcune università straniere, anche al di
fuori dei programmi ERASMUS o LINGUE.
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