Prof. Horst Seidl (Pont. Università Lateran.)

 

 

Sul rapporto tra Fisica e Metafisica in Aristotele

 

        Aristotele chiama il suo trattato sull'ente in quanto ente come sapienza ossia Prima filosofia, che più tardi si chiamerà Metafisica, perché segue quello della Fisica. La introduce come "scienza ricercata", non perché voleva offrire un tentativo questionabile, come interpreti moderni lo fraintendono, che oggi lo considerano questionabile, anzi come fallito. Aristotele però, parlando della "scienza ricercata" mira alla filosofia sull'ente nonché sul bene e i suoi primi principi, che già Platone aveva istaurato, ma intende di esporla, per la prima volta, in forma scientifica. Infatti, i libri introduttivi, I-VI (A-E), sono accompagnati da numerose riflessioni epistemologiche, che riprendono risultati della dottrina della scienza dagli Analytica post., ai quali libro IV (Γ) rinvia espressamente.

        In questo quadro vorrei ri-esaminare il rapporto tra la Prima Filosofia e la Fisica, come si evidenzia nei libri introduttivi della Metafisica (Met.), soprattutto nel libro VI (E).

 

        1) La Prima filosofia in comparazione con

            le scienze particolari

 

        In libro VI la Prima filosofia viene comparata con le altre scienze e con le due altre discipline filosofiche, la fisica e la matematica. Lo scopo principale di Aristotele è di distinguere la Prima filosofia dalla Fisica. Le comparazioni prendono il criterio metodico dai diversi oggetti e si svolgono sempre secondo comunanza e diversità.

 

        a) secondo comunanza:

 

        Nella comparazione della Prima filosofia con le altre scienze, Aristotele parte dall'aspetto comune secondo cui anche la Prima filosofia è una scienza, secondo la generale struttura di ogni scienza, come gli Analytica post., I, cap. 1 seg. e II, 1 seg. l'hanno elaborato; infatti ogni scienza ha un suo oggetto, del quale determinate proprietà vengono indagate che devono essere spiegate e dimostrate attraverso certe cause, che entrano nelle premesse di ogni scienza. Lo stesso vale anche per la Prima filosofia.

 

        b) secondo diversità:

 

        La diversità dalle altre scienze particolari consiste nel fatto seguente, come rileva il testo: mentre le altre scienze hanno oggetti limitati e presuppongono che essi sono / esistono e sono qualcosa determinato, la Prima filosofia comprende tutti gli oggetti e ha come suo oggetto solamente formale ciò che le altre scienze presuppongono, cioè l'essere di tutte le cose, nel loro esser-ci ed essere qualcosa, che viene adesso tematizzato come "ente in quanto ente".

        Alla base sta l'epistemologia degli Analytica post., ai quali il testo in VI 1 allude verbalmente. Aristotele riprende qui il risultato della profonda riflessione compiuta negli Anal. post. I, 1-2, su ciò che è presupposto per acquisire qualsiasi conoscenza. La risposta mette in rilievo un doppio sapere previo:

1. per le dimostrazioni deduttive sui rapporti dell'oggetto in questione e le sue proprietà il presupposto è il suo essere qualcosa determinato, in virtù della sua essenza;

2. per la definizione dell'essenza dell'oggetto il presupposto è il suo semplice esser-ci.

        Vorrei annotare che questa riflessione epistemologica è più profonda di quelle moderne in Descartes e in Kant.

     La riflessione di Descartes, vertendo sull'esser-ci / l'esistenza delle cose esterne, la mette in dubbio, come un dato sensibile, cosicché rimane come l'unica esistenza evidente quella intelligibile dello stesso io dubitante. Tuttavia questa opposizione tra l'esistenza delle cose esterne e quella dell'anima con l'io pensante, risulta falsamente dalla mancanza dell'analogia dell'essere; infatti l'essere è sempre un aspetto intelligibile, anche quello delle cose esterne sensibili. In tal modo la riflessione cartesiana si ferma mezza-via, per così dire, all'io pensante e non arriva più al presupposto dello stesso io, cioè il suo essere qualcosa che esiste analogamente come le cose esterne esistono. L'esser-ci del soggetto non può mai essere concluso dal pensare, ma solo riconosciuto come presupposto dello stesso pensare.

     Kant ha radicalizzato la riflessione cartesiana, riducendo l'esistenza delle cose a quella di fenomeni sensibili nel soggetto, eliminando ogni esistenza intelligibile di "cose in sé" esterne dal soggetto. In tal modo la sua riflessione sulle "condizioni della possibilità dell'esperienza" arriva a certe condizioni conoscitive del soggetto: cioè le forme di spazio e tempo dell'intuizione sensitiva, le categorie dell'intendimento e la coscienza trascendentale dell'io-penso, che diventano l'ultimo principio. Di nuovo, come in Descartes, la riflessione si ferma mezza-via a se stessa, invece di andare oltre per arrivare anche al presupposto della stessa riflessione, cioè all'essere delle cose e dell'intelletto medesimo, come lo manifesta la riflessione aristotelica.

Nella tradizione aristotelico-tomista, all'essere di tutti gli enti corrisponde il semplice atto intuitivo dell'intelletto che si può chiamare il meglio come coscienza, che è in contrasto delle esperienze e conoscenze la condizione principale di esse, come Kant rileva giustamente. L'errore di Descartes e di Kant  è di concepire la coscienza come riflessione. Infatti la riflessione rinchiude il soggetto in se stesso e lascia fuori di sé tutto l'altro. Non così, però, la coscienza, che è quell'atto semplice intuitivo dell'intelletto con cui esso contatta immediatamente l'essere di tutto ed è aperto a tutto.

 

        2) Comparazione della Prima filosofia con la Fisica e

            la Matematica

 

        Ritorniamo al testo di Aristotele Met. VI, che prosegue, 1025b 18 seg., con la comparazione della Prima filosofia con le altre due discipline filosofiche, la Fisica e la Matematica. Lo scopo di Aristotele è ovviamente di delimitare la Prima filosofia dalla Fisica, perché quest'ultima era per i Presocratici, come anche per i Sofisti l'unica filosofia cui si è opposto Platone con la sua dottrina delle idee.

 

        a) Comunanza e differenza tra Prima filosofia e Fisica:

 

        La Prima filosofia – che chiamo adesso Metafisica, per ragioni di semplicità – e la Fisica hanno in comune che entrambe sono attività teoriche e perciò distinte da quelle pratiche e quelle produttive o artistiche. Infatti nel campo pratico e quello produttivo il principio di movimento risiede nell'uomo, mentre l'oggetto della Fisica ha il principio di movimento in se stesso, e l'oggetto della Metafisica riguarda le cose in quanto non in movimento, 1025b 18-26.

        La diversità dell'oggetto della Metafisica da quello della Fisica consiste in ciò, 1025b 26 – 1026a 6, che quest'ultimo è in movimento, avendo il principio di movimento in se stesso, e che la sua essenza (οὐσία) ossia causa formale non è separabile (οὐ χωριστὴν μόνον) dalla materia. Il fisico (il filosofo della natura) determina l'essenza ossia la causa formale e finale delle cose naturali con la materia. Aristotele enumera come oggetti per esempio: "naso, occhio, faccia, carne, osso e in generale animale; foglio, radice, cortice, in generale pianta". Infine anche dell'anima qualche parti il fisico studia, in quanto sono connesse con materia. Il metafisico invece considera le cose senza la materia. Egli caratterizza i due oggetti diversi del fisico e del metafisico anche con i due paradigmi stereotipi del "naso rovesciato" (σιμόν) e del "cavo" (κοῖλον).

Poiché Aristotele usa talvolta come esempi persone note nel cerchio platonico o del suo, forse egli allude, con umore, al naso di Socrate, del quale la faccia aveva, come si diceva, qualcosa simile di un sileno.

Il fisico considera le cose solo come si comportano "per lo più" e in generale, a differenza del metafisico che le considera nella loro forma astratta universale e necessaria.

 

        b) Comunanza e differenza tra Prima filosofia e Matematica:

 

        Nel testo segue, 1026a 6-10, la comparazione della Metafisica anche con la Matematica. Entrambe mostrano il carattere comune di essere teoretiche, e l'oggetto di entrambe è senza movimento. Ma l'oggetto della matematica in parte non è separabile dalla materia, ossia lo è soltanto in quanto il matematico lo considera "come separato", non essendolo in realtà. L'oggetto della Metafisica invece è separabile-separato.

        Annotazione: Costatando che il matematico "considera alcuni oggetti matematici quali immobili e separabili" (1026a 9), Aristotele esprime la sua teoria sullo statuto ontologico degli oggetti matematici, cioè della geometria e della aritmetica, in contrasto con quella di Platone, il quale ha riconosciuto a questi oggetti un proprio dominio reale tra il mondo sensibile e quello delle idee. Aristotele invece insegna che gli oggetti matematici non esistono come cose separate per sé ma si trovano, come forme astratte ideali, soltanto nella mente del matematico, avendo però un fundamentum in re, cioè strutture corrispondenti nella cose materiali. È in questo contesto che Aristotele, per la prima volta, introduce il termine di "astratto" nell'espressione che gli oggetti matematici sono "detti in astratto" (τὰ ἐξ ἀφαιρέσεως λεγόμενα), Anal. post. I 18, 81b 3. In De part. anim. sottolinea che "la Fisica non è teoretica su nessuna delle cose astratte" (τῶν ἐξ ἀφαιρέσεως οὐδενὸς), ma le coordina soltanto alla Matematica, cfr. De caelo III 1, 299a 16; Met. XI 3, 1061a 29. Quindi il termine è entrato nella tradizione occidentale e viene usato poi anche per i concetti delle conoscenze delle cose naturali; un uso che non si trova ancora in Aristotele.

        Oggi gli indirizzi dell' Analytical philosophy si occupano molto della struttura matematica e logica del nostro pensiero, ponendo la matematica in una sfera ideale che chiamano "platonica". Ma questa concezione è confusa non serve molto, non avendo né il significato platonico, né quello aristotelico. Perciò mi pare utile ristudiare la concezione autentica di Aristotele che risolve il problema dello statuto ontologico degli oggetti matematici in modo equilibrato e soddisfacente.

 

        c) Riassunto dei criteri con cui la Prima filosofia si distingue

            dalla Fisica e dalla Matematica

 

        Comparando le tre discipline filosofiche: la Metafisica, la Fisica e la Matematica, Aristotele trova due criteri che caratterizzano i loro tre oggetti diversamente e permettono di distinguere le tre discipline nel seguente modo:

 

 


Disciplina

 

 

Fisica

 

 

Matematica

 

 

Metafisica

 

Oggetto

nella forma

essenziale

 

 

mobile

 

non separato

(non separabile)

 

 

immobile

 

non separato

 

 

immobile

 

separato

 

 

        Annotazione: La mia interpretazione segue nel luogo 1026a 13-14 la lezione dei codici: ἡ μὲν γὰρ φυσικὴ περὶ ἀχώριστα μὲν ἀλλ᾿ οὐκ ἀκίνητα: "la Fisica infatti si occupa degli oggetti non separabili", il che concorda con il luogo sopra, 1025b 28, che caratterizza l'oggetto della Fisica come οὐ χωριστὴν, "non separabile". Non vedo la necessità di cambiare la chiara lezione tramandata nella congettura di Schwegler: χωριστὰ. Del resto, soltanto nella lezione tramandata la Fisica e la Metafisica contrastano nei due criteri dei loro oggetti, cosicché l'oggetto della Fisica è mobile e non separato, mentre quello della Metafisica è immobile e separato.

        Mi pare importante stabilire la corretta interpretazione del testo riguardo alle caratteristiche della Fisica e del suo oggetto, la cui essenza non è separabile, ma connessa con materia. Ciò può aiutare di evitare un grave frainteso circa il cosiddetto "primo motore", in Phys., VIII, che molti moderni interpreti identificano con la prima causa trascendente divina, in Met. XII. Da anni difendo l'interpretazione, purtroppo trascurata, che intende il primo motore come l'anima dell'estrema sfera celeste, delle stelle fisse.

        Secondo la concezione antica le sfere celesti sono animate e si presentano come enti viventi più perfetti di quelli terrestri. In Phys. VIII, Aristotele comincia il discorso con una analisi degli enti viventi terrestri e arriva alla definizione dell'anima come motore immobile (ἀκίνητον κινοῦν). La trasferisce, poi, alle anime delle sfere celesti e considera che esse, sebbene essenzialmente immobili, vengono accidentalmente mosse in quanto si trovano alle loro sfere. Nella costellazione sopralunare le inferiori sfere – oltre al loro proprio moto circolare – vengono mosse dalle sfere superiori. Infine l'argomento arriva alla prima sfera delle stelle fisse e conclude che questa non viene più mossa da nessun'altra superiore, cosicché la sua anima è motore immobile in ogni riguardo.

 

        3) Aporia se la Prima filosofia sia scienza generale dell'ente

           o scienza speciale teologica

 

        Ritornando a Met. libro VI 1, vediamo che la comparazione tra Metafisica e Fisica, ha condotto alla chiara priorità della prima alla seconda, e ciò grazie al suo sublime oggetto trascendente divino. Quindi Aristotele la chiama anche scienza "teologica". Tuttavia, la risposta alla domanda circa la distinzione della Metafisica dalla Fisica, conduce a una nuova questione, cioè sulla Prima filosofia se essa sia scienza generale dell'ente in quanto ente o scienza speciale teologica, 1026a 23-32. La risposta è semplice, dicendo che la trascendente sostanza immobile divina è "prima", cioè come causa da cui dipendono tutti gli enti. Perciò anche la scienza che la considera è "prima" e in tal modo anche "universale", abbracciante tutti gli enti.

        La risposta si basa sulla soluzione di un'altra aporia anteriore, che Aristotele aveva discusso nel libro IV, riguardo alla Prima filosofia sull'ente in quanto tale, vuol dire su tutte le cose in quanto sono. Quindi era sorta la questione come l'una e medesima scienza possa trattare di tutte le cose. Aristotele l'ha risolto con la dottrina dell'analogia dell'ente che egli lì sviluppa per la prima volta, rilevando che l'universalità dell'ente non è né univoco, né equivoco bensì analogo, cioè con l'indirizzo di tutte le istanze subordinate a una prima istanza come causa dell'appartenenza di tutte le altre istanze allo stesso universale, all'ente. In tal modo l'unica e medesima scienza può trattare di tutte le cose sotto il loro aspetto formale dell'essere, analogicamente comune.

        L'argomento comincia con una premessa che suona così:

"Se non c'è altra sostanza oltre quelle consistenti per natura, la Fisica dovrebbe essere la prima scienza. Se invece c'è una sostanza immobile"… ecc.,  1026a 27-29.

Interpreti moderni hanno inteso queste righe in modo tale che Aristotele ha formulato una nuova aporia alla quale non poteva dare risposta, cosicché anche l'aporia sulla forma della Prima filosofia, se sia generale o speciale, non trovava risposta. Tuttavia, a mio avviso, queste righe esprimono soltanto la premessa indispensabile per la conclusione che la Prima filosofia è sia di forma universale che speciale. Per Aristotele questa premessa – cioè che vi sia una prima sostanza come causa da cui tutti gli enti dipendono – non è molto problematica ma indica soltanto un compito della Prima filosofia di dimostrare che quella prima sostanza esiste – il che compierà, di fatto, nel libro XII.

        Per altro, Aristotele già nel libro I (A) aveva esposto, molto positivamente, la Prima filosofia come sapienza e scienza delle prime cause. Poi nel libro II (α) dimostra riguardo alle diverse cause formale, motrice, finale, che nessuna di esse può prolungarsi in una serie infinita. Piuttosto partendo dalle cause inferiori si deve arrivare a una superiore e prima.

        Per quanto riguarda la prova dell'esistenza di una prima sostanza "separata", in Met. XII 6, essa parte dal fatto evidente che le cose hanno una causa per il loro esser-ci reale, cosicché l'argomento deve soltanto dimostrare che nessuna delle cause secondarie è causa vera e propria se non quella prima, la quale era già implicata nella comprensione della causa, e viene esplicata nella prova.

        Non è il compito della mia conferenza di analizzare la prova in Met. XII 6, il che ho fatto in altra sede, ma vorrei soltanto menzionare un frainteso, che concerne la premessa della prova da cui essa parte e che suona così:

"Le sostanze sono le prime degli enti" (αἱ οὐσίαι πρῶται τῶν ὄντων)

Klaus Oehler ha interpretato questa proposizione in modo tale che essa parlerebbe delle categorie, nella prima delle quali sono le sostanze, e queste quali sostanze materiali. In conseguenza egli critica la prova di raggiungere soltanto alla sostanza della prima sfera celeste. A mio parere però si tratta di un frainteso; l'intero contesto richiede che la denominazione delle sostanze come "prime" significa di intenderle come "primi principi". Le premesse della prova sono:

che le sostanze sono i principi di tutti gli enti, e i principi di tutti gli enti devono essere incorruttibili. Da queste premesse si conclude poi che dei principi incorruttibili uno deve essere non solo in atto ma è atto stesso, nella sua essenza.

 

         4) Osservazioni conclusive

 

a)

        Visto in riassunto, i testi di Aristotele non mostrano soltanto la diversità tra la Metafisica e la Fisica ma anche il rapporto tra entrambe, con la priorità essenziale della prima alla seconda. La Metafisica non è soltanto – come una moderna interpretazione la critica – un tentativo fallito di andare oltre la Fisica, aggiungendo ad essa la teoria teologica di una prima sostanza divina. Al contrario, si tratta di una nuova disciplina, diversa da quella della Fisica, con un altro punto di partenza, diverso da quello della Fisica. Infatti, mentre quest'ultima considera le cose naturali in quanto si trovano in movimento, la Metafisica invece tratta delle stesse cose, sotto un nuovo aspetto, cioè in quanto sono semplicemente.

        La Metafisica non è, per tentativo, un aggiunto alla Fisica ma è il suo fondamento. Infatti, affinché qualcosa possa muoversi, cambiare, svilupparsi, è presupposto che qualcosa è, e cioè certe cause costitutive. Non è il movimento che soggiace al movimento, ma una sostanza che si muove.

        L'interpretazione di Gustavo Bontadini, seguita anche da Enrico Berti, la quale intende la metafisica di Aristotele come "metafisica dell'esperienza" non mi sembra accettabile perché fraintende l'ente in quanto tale come le cose empiriche, in movimento e cambiamento, invece di intenderli, con Aristotele, in quanto sono semplicemente. Infatti il movimento e l'essere delle cose sono ben diversi.

        Riprendendo le quattro cause, delle quali ha trattato la Fisica, Aristotele, nella Metafisica, I, cap. 3, rileva la priorità ontologica, raggruppandole in due coppie: come cause materiale e formale, da una parte, e come cause motrice e finale, dall'altra. Le prime sono cause dell'essere delle cose naturali, le seconde sono cause del loro divenire e svilupparsi. In Met. VII 3 segg. Aristotele mette in rilievo che l'usia / l'entità ha quattro significati, cioè come soggetto / sostrato, genere, universale ed essenza, e mostra che il significato principale dell'usia non può essere la materia, perché essa è il principio indeterminato nella cose naturali, il che richiede necessariamente un principio determinante, per spiegare le cose determinate specificamente. Questo principio determinante è la causa formale, la quale dunque ha la priorità ontologica.

 

b)

        Se ci domandiamo attorno alla filosofia naturale aristotelico-tomista quale importanza possa avere ancora per noi, la risposta oggi sembra essere piuttosto negativa. Alcune sue dottrine sono diventate obsolete: anzitutto la visione del cosmo sferico concluso, con le sfere celesti animate, il sistema geocentrico ecc. Ma rimangono anche, a mio parere, alcuni punti dottrinali di Aristotele che si sono provati come veri, per es. che non c'è nessun infinito attuale. Frattanto conosciamo oggi che nella natura tutto è finito: c'è un massimo di temperatura, della velocità, infine anche la massa della materia dell'universo è limitata, e per conseguenza lo spazio e il tempo devono essere limitati, dato che essi sono relazionati alla materia e al movimento.

        È un fatto che le scienze naturali sono provenute dalla filosofia naturale, dalla quale si sono, nel corso dell'epoca moderna, emancipate, sviluppandosi come "scienze empiriche", con il metodo dell'esperimento. Sotto l'influsso dell'empirismo inglese si sono finalmente opposte alla filosofia tradizionale e al suo fondamento metafisico. In tal modo hanno perduto qualcosa di orientamento per la loro ricerca. Infatti lo scienziato della fisica oggi non è più consapevole di ricercare in una causa delle cose naturali, cioè nella causa materiale, ma prende piuttosto la materia per la natura intera. Per es. Werner Heisenberg nel suo noto scritto: Das Naturbild der heutigen Physik, del 1955, si mostra molto impressionato dalla scoperta delle cosidd. relazioni di indeterminatezza, fino al punto di vedere vacillare la nostra concezione della realtà. Per rispondere a questa vista possiamo costatare che il fisico trasgredisce il suo campo scientifico, parlando della realtà, che è un termine metafisico. Inoltre identifica falsamente la materia con la natura, anzi con la realtà intera, per mancante orientamento della filosofia naturale che ci insegna che la materia è soltanto una delle cause naturali accanto alle altre. Infine si trascura che la materia è il principio indeterminato. Aristotele ci insegna che la materia in se stessa è indeterminata e non conoscibile. Dunque non deve meravigliare se oggi appaiono relazioni di indeterminatezza nella materia, ma si dovrebbe piuttosto meravigliare che in essa si trovano strutture conoscibili, esprimibili in formule matematiche.