Prof. Dott. Horst Seidl
(Pont. Univ. Lateranense)
Commento al Documento del CNB su "Chimere ed
ibridi,
con una riflessione sugli ibridi
citosomatici"
Un filone principale del documento su chimere e ibridi (in
seguito abbreviato: dci) del CNB del 2009 è una valutazione
bioetica delle attuali manipolazioni genetiche con previsti sperimenti di
chimere e ibridi. Poiché tale valutazione non è possibile senza basarsi su una
concezione dell'uomo e della sua natura, gran parte del dci discute questioni
sulla specie in generale nonché su quella umana e sull'identità dell'embrione
come ibrido uomo-animale senza però arrivare a un accordo. Il dci presenta le
contrastanti opinioni di diversi gruppi del CNB. Per quanto si tratta della
base antropologica, manca anche la chiarezza sul fondamento ontologico di
quest'ultima: il dci parla più volte di una nuova "entità"
dell'ibrido, ma mentre in un luogo sottolinea che essa non è da intendere nel
senso ontologico, in altri luoghi questo senso è indispensabile perché l'ibrido
prodotto dalla tecnologia sarà una nuova realtà con tutte le conseguenze
incalcolabili e così inquietanti.
1)
Premessa metodologica:
Prima
di entrare in alcune delle discussioni vorrei premettere una riflessione
metodologica. Dato che la bioscienza è subentrata al posto della biologia
tradizionale e adopera come esemplare il metodo della fisica e della chimica
organica, essa arriva in grande difficoltà di definire ancora che cosa sia
l'essere vivente, nonché la specie degli animali e dell'uomo, disponendo
soltanto di categorie fisiche e chimiche, mentre sarebbero necessarie le
categorie della vita e della natura come principio vitale con le determinate
finalità che costituiscono le diverse specie. Perciò, quando gli scienziati
pongono quelle domande summenzionate lo fanno non in quanto scienziati, bensì
in quanto uomini che portano con sé una naturale comprensione ed esperienza
sulla vita e sulla natura, con la sua meravigliosa finalità, che costituisce le
diverse specie. Ma non hanno questa consapevolezza metodologica.
Possiamo
aggiungere che proprio per questa comprensione prescientifica della finalità
nelle cellule viventi la tecnologia genetica ha quell'enorme successo nelle sue
ricerche. Al contrario, nella sua teoria ignora completamente ogni finalità e
la natura come causa vitale e finale, la quale invece la biologia tradizionale
ancora riconosceva.
La posizione della bioscienza di recente data è
influenzata dall'indirizzo filosofico moderno dell'empirismo che riduce la
realtà ai fenomeni empiricamente osservabili escludendo ― con polemica
contro la tradizionale ontologia-metafisica ― ogni principio
non-materiale, come l'anima e Dio. Certamente, si può capire bene che la
bioscienza, limitata al materiale genetico, nella sua teoria non riconosce nessun
principio di vita non-materiale ossia una causa finale. Tuttavia non deve
opporsi alla tradizionale filosofia della natura, nonché alle sue discipline di
botanica, di zoologia ossia di biologia, quando parlano di principi vitali
non-materiali. Tanto meno perché la bioscienza si basa sulla pre-comprensione
naturale quotidiana sulla finalità della natura sulla quale si appoggia anche
la biologia tradizionale. Questa, poi, sottomette la pre-comprensione naturale
a riflessioni sistematiche che conducono a conoscenze solide, cioè pure a
definizioni della vita e della specie, offrendo sostegno anche all'antropologia
e alla sua definizione dell'uomo. Infatti, la tradizione definisce la vita come
un modo dell'essere all'alto livello degli viventi (vivere est esse
viventibus), data l'analogia dell'essere ai diversi livelli di tutti gli
enti reali.
Per
conseguenza, l'anima è definita come causa della vita, analogamente negli altri
animali e nell'uomo. La specie si definisce dalla natura / essenza degli animali,
cioè dalle loro cause immanenti, le quali, da un lato, sono quelle materiali
― ma non solo, perché un animale è più dei suoi elementi materiali
― e, dall'altro, anche cause immateriali formali efficienti finali, che
formano e organizzano con alta finalità gli elementi materiali in organismi.
"Organismo" significa essere "strumento" per le cause
vitali finali. La definizione dell'uomo come "animale razionale"
rileva, da un lato, la natura materiale-corporale ― nell'essere animale
― e, dall'altro, la natura formale finale, con l'anima, dotata di ragione
e determinata da essa. Perciò l'uomo, con la sua costituzione, si contraddistingue
da tutti gli altri animali; la sua anima e il suo corpo sono essenzialmente
diversi dagli altri animali, avendo soltanto per analogia qualcosa in comune
con loro.
Vorrei
ribadire che al realismo delle ricerche scientifiche di oggi, che cambiano
realmente qualcosa nella struttura delle cellule viventi, corrisponde soltanto
il realismo della filosofia tradizionale che si appoggia su quel realismo
pre-scientifico e pre-filosofico in cui noi uomini viviamo ogni giorno con
coscienza naturale della realtà. Non si tratta di ricadere a uno scolasticismo
medievale, come un empirismo moderno lo critica.
L'identità,
un termine propriamente ontologico, concerne l'esserci e l'essere essenziale
sostanziale di ogni cosa che rimane sempre lo stesso durante tutti i
cambiamenti accidentali.
Le
questioni sulla specie e l'identità dell'embrione umano non potrebbero neanche
essere poste se non con quella previa comprensione umana naturale, come
accennato sopra, sull'essere / esserci e l'essenza delle cose, e la loro
identità, sulla vita e la finalità degli enti viventi e sim. Perciò la
bioscienza, ponendo le questioni menzionate deve aprirsi, necessariamente, alla
dimensione antropologica e infine ontologica.
2.
Sulla definizione della specie:
Il
dci considera tre criteri con i quali si ha tentato finora di definire la
specie, cioè il criterio tipologico, biologico e evoluzionista (p. 3). Dinnanzi
a un dato gruppo di esseri viventi, il primo riguarda la condivisione di determinate
caratteristiche, il secondo la capacità di procreazione e il terzo la
discendenza comune dei membri del gruppo. Il terzo appare come il criterio più
avanzato (anzitutto con la teoria di Darwin) perché intende la specie non più
come "classe di oggetti", con caratteristiche tipiche "arbitrariamente
selezionate", bensì come costellazione dinamica, sempre in sviluppo
(ibid.). Tuttavia, tale critica alla definizione tradizionale di specie non mi
pare giusta perché quest'ultima non considera la specie come una mera
"classe di oggetti" bensì come classe di viventi, che realizza una
determinata "specifica" organizzazione di vita. Perciò le
caratteristiche non sono scelte "arbitrariamente" ma con la comprensione
della finalità propria di ogni specie, conforme al suo biotopo.
Per
quanto concerne l'uomo egli non si lascia affatto comprendere più solamente
come una specie di animale perché eccede tutta la natura con il suo principio
razionale. Questo si testimonia poi nella sua autocoscienza con cui egli crea
cultura, cioè lingua, scrittura, tecnica e arte.
Vista
dalla prospettiva tradizionale, la definizione di specie che offre il dci
cioè
di essere "un insieme di individui in grado di accoppiarsi fra loro dando
vita a una prole fertile, cioè capace di generare altri individui",
appare incompleta, perché
la specie si definisce non solo dal produrre prole, ma prole con le stesse
caratteristiche essenziali, della stessa finalità, che si esprime in una
determinata forma di vita organizzata.
Un ibrido uomo-animale prodotto dalla tecnologia resta sempre
un artefatto, al quale manca, in contrasto con un ente vivente naturale, la
forma organica, di interna finalità (la quale viene sostituita dal programma
manipolatore del scienziato). Si potrebbe definire tali "entità
biologiche" soltanto come gravi mutilazioni degli specifici enti viventi naturali.
Infatti si tratta di violenti interventi della tecnologia
nell'organismo naturale, come accade nel cloning alla dolly, nonché nel caso di
produrre ibridi citoplasmatici ossia cibridi: si toglie un nucleo di una
cellula umana, si separa violentemente questo dal plasma della cellula con cui
stava in connessione intima. Poi si introduce il nucleo in un ovocito di un animale,
avendolo prima denucleato con violenza, per effettuare poi con altrettanta
violenza (elettroshock) la fusione. Il danneggiamento della natura biologica
― sia della parte umana che della parte animale ― certamente non si
vede sotto il microscopo, ma la nostra sana mente può presumerlo. Infatti, la
fusione non è soltanto quella di materiale genetico, ma anche di forze
psichiche vitali ― dalla parte umana e dalla parte animale ― che
vengono mescolate e disturbate, come si può supporre. Purtroppo la bioscienza
non riflette mai sulla causa perché la natura biologica ― da entrambe le
parti ― mostri resistenza a tale fusione, neanche perché i prodotti
soffrano di difetti e malattie.
Non mi sembra accettabile il parere di Bernard Rollin (p. 8-9)
che ritiene la vita dell'ibrido, in confronto con quella dell'originale, come
"non di minore qualità". Anzi, pare che sia di una qualità gravemente
danneggiata.
Una simile considerazione possiamo fare
dinnanzi ai perversi progetti di trapianto di cellule umane, in grado di
svilupparsi in cellule germinali in animali, allo scopo di fare a questi
produrre cellule germinali umane (spermatozoi e ovociti). Tali esperimenti
progettati trascurano completamente che il corpo umano, in tutte le sue
cellule, è essenzialmente diverso dal corpo degli animali, perché formato
dall'anima umana, cosicché la mescolanza di materiali genetici umano e animale
non è solo una mescolanza di materiali ma anche di forze psichiche umana e
animale, con una degradazione / bestializzazione delle forze umane.
3.
Sul problema dell'identità umana:
Dinnanzi ai nuovi casi di ibridi
uomo-animale per fecondazione crociata, proibita dalla legge, o di cibridi
citoplasmatici il dci pone la domanda della loro "identità umana",
perché si producono "nuove forme di vita, non riconoscibili a quella in
precedenza conosciute" (p. 10). Gli uni membri del CNB parlano di
"esseri viventi di incerta identità", altri mettono in rilievo
l'ambiguità del concetto stesso di identità in quanto può significare non solo
l'individualità genetica ma anche quella storico-culturale, nonché la
soggettività, cioè di essere soggetto di sé. Secondo quest'ultimo significato
l'identità umana comincerebbe soltanto nel tardo formarsi il centro di tale
soggettività.
Vorrei
annotare che, nella prospettiva tradizionale, l'identità indis-pensabilmente e
in primo luogo è quella ontologica, connessa con l'essere di ogni cosa, nel
doppio significato dell'esserci e dell'essere essenziale. Questo si evidenzia
come il presupposto statico sostanziale di tutte le caratteristiche
storico-culturali e soggettive che si aggiungono e sviluppano dinamicamente man
mano. L'essenza di una cosa consiste nelle sue cause costitutive per cui essa è
tale quale è: il cane un cane, l'uomo un uomo. Negli animali queste cause sono
corpo e anima. Nell'uomo l'anima è determinata dalla ragione (che sorpassa
l'intera natura). La costellazione genetica appartiene alla causa materiale.
L'identità di ogni animale, e tanto più dell'uomo, non consiste soltanto nel
determinato materiale genetico ma soprattutto nel suo principio psichico
vitale, determinativo di ogni specie e formativo del principio corporale.
Ora,
attraverso gli interventi violenti della tecnica che disturbano gravemente la
costellazione genetica nell'animale e nell'uomo, l'identità materiale di questi
non diventerà "incerta", ma verrà danneggiata e infine distrutta. La
questione ventilata sull'identità può dare l'impressione, come se la tecnologia
genetica rendesse problematica l'identità degli animali, incluso gli uomini, o
infine come se questi non avessero la loro identità essenziale di determinate
specie, e come se la tecnologia potesse creare, in futuro, positivamente nuove
forme di vita, finora scono-sciute e ancora senza denominazione e perciò
chiamate (provvisoriamente) "interspecie".
In
verità la situazione è diversa: la bioscienza, con la tecnologia genetica, si
trova dinnanzi alla natura dei viventi con le loro identità specifiche,
cosicché gli interventi o rispetteranno la natura, sostenendola nel suo ordine
essenziale, cioè nella sua finalità, o la danneggeranno, distruggendola infine.
Le
ricerche e gli esperimenti sono reali, tenendo conto dei risultati che
cambieranno realmente qualcosa nella natura degli animali e dell'uomo.
Altrettanto le "valutazioni bioetiche" del dci (p. 19 segg.) avvertono
realisticamente alla qualità dei risultati in gran parte difettosa e
inefficiente. Tuttavia, a mio parere, la discussione teorica della questione
sull'identità potrebbe essere più realistica e riconoscere che gli enti viventi,
animale e uomo, sono più del mero materiale genetico, e che la loro identità
risiede nei loro principi vitali specifici. Questi vengono però gravemente
disturbati e indeboliti se si danneggia il loro sostrato materiale.
4.
Sulle ragioni etiche:
Questa
parte del dci (p. 21 segg.) punta soprattutto sull'argomento che gli
esperimenti con ibridi uomo-animale ledono "la dignità della persona",
tutelata dalle costituzioni. Giustamente, ma vi sono anche opinioni che mettono
in dubbio questo argomento, a motivo dell'ambiguità dell'espressione. Infatti,
il concetto di "dignità" ha piuttosto un significato morale e, in
quanto tale, non si può applicarlo ancora all'embrione umano. Per la stessa
ragione si esita anche di attribuire il concetto di "persona" all'embrione,
soprattutto quando se la intende nel senso del personalismo che parla della
soggettività personale non come entità ontologica bensì come un processo
dinamico in continuo sviluppo.
Proprio
perciò, però, mi pare indispensabile riprendere il concetto tradizionale di
persona come "sostanza individua di razionale natura", con il suo
fondamento ontologico, e di intendere anche la "dignità" nel senso
ontologico ― con cui di fatto ci riscontra nelle costituzioni ―
cioè come valore o bene o qualità della persona come sostanza. Quindi gli
esperimenti in questione lederanno la dignità della persona sostanzialmente,
nella sua integrità essenziale dell'essere uomo ― il che è moralmente
illecito.
Il
dci menziona "il rispetto al soggetto umano" giustamente, ma toglie
purtroppo l'aspetto ontologico,
"in considerazione
della sua natura umana (inteso in senso biologico, non ontologico) non riducibile
a mero oggetto" (p. 23),
il che non si capisce
facilmente perchè nel senso biologico non si può ancora parlare del
"soggetto umano". Infatti questo si presenta solo al livello
ontologico-antropologico. La preoccupazione di non fare dell'embrione umano un
"oggetto" proviene dal personalismo contemporaneo che critica la
tradizionale concezione di persona quale "sostanza individua", come
se essa facesse della persona una cosa, priva di soggettività. Quindi la
considerazione personalista dell'embrione umano vuole andare "da qualcosa
a qualcuno", per sostituire la vecchia concezione sostanziale della
persona con quella nuova personale. Tuttavia, si tratta di un errore; infatti
il tradizionale termine di sostanza ha un significato ontologico-analogo, che abbraccia
egualmente oggetto e soggetto, in quanto ambedue sono enti. La definizione di
persona quale "sostanza individua" non la rende come
"oggetto", cioè come una cosa amministrata, opposto alla
soggettività, bensì rileva nella soggettività il nucleo oggettivo-reale, senza
il quale si cadrebbe in un soggettivismo. Di fatto, con il soggettivismo per
cui la persona non è sostanza ma solo un processo di personalizzazione in
attività spirituali non si può più difendere l'embrione umano come persona, perché non
compie ancora attività spirituali.
Un indirizzo degli argomenti del dci potrebbe favorire un certo
interesse di non poter difendere l'embrione umano fin dall'inizio e di vedere
l'embrione, nei primi giorni della sua esistenza, ancora di natura indeterminata,
di "identità incerta", cosicché la creazione di ibridi si allineerebbe
a tale natura indeterminata, mentre invece, di fatto, essa disturba la natura
determinata iniziale, come ho menzionato sopra.
Il dci riflette sul "principio della dignità umana"
soltanto "a difesa dell'immagine o concezione dell'essere umano come
categoria universale" (p. 23). Intanto, a mio avviso, questa riflessione
non basta perché occorre difendere l'embrione umano come concreto individuo
possedendo realmente una finalità naturale, capace di mantenersi nella sua essenza
specifica. Se l'etica non può più riferirsi alla natura essenziale sostanziale
dell'uomo, allora perde la sua forza normativa e non può più chiedere all'uomo di
agire secondo la sua natura invece di agire contro essa.
Al principio della dignità umana occorre aggiungersi il rispetto
alla vita dell'uomo e, in analogia, alla vita anche degli animali, intesa
sempre nel senso realistico, per impegnare la nostra responsabilità morale nei
confronti della natura degli animali e dell'uomo, il che il dci potrebbe
mettere in rilievo più chiaramente.
5. Sull'aspetto giuridico:
La parte conclusiva del dci (p. 24 segg.) offre una completa
documentazione delle leggi, sia quella italiana che quella internazionale, con
cui l'embrione è tutelato, dal lato giuridico, sufficientemente. Resta al
lettore di riflettere come far vivere la lettera scritta delle leggi nella
mente e nel cuore degli uomini, laici e scienziati.
Il dci menziona anche l'argomento di "istintivo sentimento
di 'ripugnanza'" contro tali sperimentazioni, che tolgono la propria
identità della specie umana, e lo caratterizza come "argomento 'oltre la
ragione'" (p. 27). A ciò vorrei annotare: sentimenti su azioni possono
evocare e accompagnare un giudizio morale, ma non possono mai essere il
criterio di quest'ultimo. Infatti, sentimenti sono sempre soggettivi e possibilmente
erronei e perciò bisognosi di esame critico razionale. Inoltre, nel caso
presente, la resistenza non è oltre la ragione ma insita in essa, come reazione
immediata della "sana mente" ossia anche della coscienza morale
naturale, che dinnanzi a perverse azioni le giudica "insane". Si
tratta di un atto intuitivo dell'intelletto, cosciente del bene e del male in
generale. Purtroppo, teorie etiche di oggi non dispongono più di questo atto
intuitivo intellettuale, sostituendolo con sentimenti. Questa mancanza risale a
Kant, che (assumendo una premessa dell'empirismo che peraltro combatte) nega
all'uomo ogni "intuizione intellettuale", perché la intende come una
intuizione platonica (contenutistica) delle essenze delle cose che all'uomo non
è data. Però non si può negare all'uomo quel semplice atto intuitivo
dell'intelletto con cui si accorge delle cose nel loro (formale) essere, nonché
delle azioni nel loro (formale) essere buone o cattive.
Il CNB consiglia
giustamente la sospensione delle sperimentazioni con ibridi e di seguire
"il principio di precauzione" (p. 26), in quanto l'introduzione di
nuove interspecie, se inserite nella società, potrebbe creare situazioni
inquietanti per le generazioni future. Ma queste sperimentazioni non sono forse
in se stesse inaccettabili e non solo per le loro conseguenze future?
Inoltre, sotto l'aspetto da me menzionato che la manipolazione
tecnologica di ibridi uomo-animale può provocare gravi mutilazioni della specie
umana fino a minacciarla in futuro, perché non pensare a una drastica reazione
giuridica? A mio parere si può accusare quelle manipolazioni, dinnanzi a un
tribunale internazionale, del crimine contro il genere umano (crime against
mankind).
6. Sviluppo scientifico?
Un gruppo del CNB si distanzia di ogni "pregiudiziale
condanna mo-rale" (p. 28 seg.) e raccomanda di allargare ancora il
dibattito, con l'ampio ventaglio "di questioni etiche, filosofico-antropologiche
e scientifiche, sollevate da questi recenti sviluppi di ricerca e di
tecnologia" (p. 29). Certamente questo avviso è molto gradito, perché le
discipline enumerate non sono molto presenti, come quella
filosofico-antropologica. Perciò il mio commento vuole rinforzarla. Tuttavia
l'avviso risulta da un'etica empiristica, non più normativa a priori, perché se
la lascia dipendere da sempre nuove esperienze per formulare standards per oggi
che con nuove esperienze devono essere cambiati domani, e così via.
Di fatto siamo già affondati in materiali empirici di
informazioni dettagliate della tecnologia genetica, anzi già troppe, che ci
permettono di stabilire norme generali, valide pure per nuove esperienze
future, anche se ci vuole intelligenza di saper applicare le stesse norme ai
sempre nuovi casi. Certo, l'etica può dare certe regole di tale applicazione a
casi concreti, ma non deve diventare casistica e prescrivere come agire, in
questo o quello caso particolare, alle persone coinvolte, bensì deve lasciare a
loro la decisione in concreto (sotto la guida delle norme a priori stabilite).
Infine, quando si parla dello sviluppo scientifico, si deve
chiarire anche in che cosa consista. Finora la bioscienza ha fatto meravigliosi
progressi nella ricerca dei principi ossia degli elementi nel suo campo della
cellula vivente e ha scoperto i cromosomi e il genoma, nonché i geni nella DNA
ecc. Ma recentemente la "ricerca" fa esperimenti che non analizza più
positivamente la natura nelle sue strutture ordinate ma comincia a danneggiarla
― e possibilmente a distruggerla. Questo non sarebbe più uno sviluppo
ossia un progresso positivo, bensì il contrario. Si pensi per es. alla
fertilizzazione in vitro che espone l'embrione, fuori del grembo materno, in
una situazione completamente innaturale che gli porta certamente danni somatici
e psichici (anche se non più osservabili sotto il microscopo). Per non parlare
del suo congelamento... Poi, la manipolazione del clonare che, totalmente
contro la finalità della natura, conduce al suo isterilimento. E adesso la
programmata produzione di ibridi uomo-animale che, contro la natura delle
specie in questione, danneggerà la specie umana, come anche quella animale.