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Intervista a MAURIZIO SGARAMELLA :.
Aprile 2006 -
intervista di Gianluca Rela - info:
www.mauriziosgaramella.com
Maurizio
Sgaramella, romano di nascita, classe ’68, batterista nella
vita, rappresenta oggi un esemplare modello di esportazione
del drumming italiano all’estero: alle spalle ben due tour
mondiali con il noto cantante pop spagnolo Alejandro SANZ
( Mas Tour 1998, El Alma al Aire Tour 2001). A questi tour
ne seguono altri due con Miguel BOSE’ (Sereno Tour
2002–Por Vos Muero Symphonic Orchestra 2004), ed in più una
lunga serie di collaborazioni musicali fatta da dischi e
tournee, realizzati con numerosi artisti (Joe ZAWINUL,
Victor BAILEY, Peter WALSH (produttore e
arrangiatore, di Peter Gabriel), Chris CAMERON,
(produttore e arrangiatore di George Michael, Elton John,
Tina Turner), THE CORRS, Howard JONES, Angelo
BRANDUARDI, Joaquin SABINA, Francisco
CESPEDES, Gregg BISSONETTE, Simon PHILLIPS,
Sergio DALMA, Manuel Ruiz “QUECO”, Ana
TORROJA, Ivana SPAGNA, Giorgio FALETTI,
Francesco BRUNO, Rossana CASALE) che gli hanno
regalato tanta popolarità nella musica pop latina e
soprattutto l’opportunità di offrirle un contributo ritmico
e stilistico dal sapore italiano. Tra una pausa dal lavoro
ed un’altra l’abbiamo incontrato nel suo studio di Mantova.
In quest’intervista cercheremo di farvelo conoscere più da
vicino con l’obiettivo di rendere pubbliche non solo le sue
spiccate ed incisive doti musicali ma anche quelle personali
che fanno di lui una persona simpaticissima, disponibile al
dialogo e soprattutto umile e realista.
Allora Maurizio, vuoi raccontarci com’è
iniziato il tutto? Il tuo era un sogno, un’aspirazione o le
circostanze della vita ti hanno portato casualmente a
scegliere questo strumento?
Nel mio
caso non c’è stato niente di programmato! Diciamo che fin da
piccolo non intendevo affatto diventare un batterista dato
che la mia più grande passione fino ai 16 anni era stata
quella del nuoto che praticavo quasi a livello
professionistico! Un bel giorno accadde che il batterista
del gruppo di mio fratello litigò con la band e andò via! Io
che assistevo spesso alle prove del gruppo, in vista di un
live imminente decisi di sostituirlo, pur non avendo mai
suonato prima! Suonai secondo gli altri addirittura meglio
del batterista titolare e mio fratello, per premiare la mia
buona volontà, decise di pagarmi le prime lezioni e di
comprarmi la mia prima batteria.
Tu oggi lavori molto, soprattutto nel latin
pop straniero. Hai registrato già molti dischi (vedi
discografia) e fatto diversi tour mondiali. Possiamo
chiederti cosa ti piace di più di questo genere musicale?
La mia
attività nel latin pop è il risultato di una serie di
incontri musicali avvenuti in Italia per i quali ho avuto
poi la possibilità di recarmi in Spagna, America Latina e
USA. Musicalmente ho dovuto confrontarmi con nuove culture:
quella flamenca e quella latino-americana. Venendo da una
conoscenza musicale di stampo italiano ho dovuto lavorare su
grooves meno consueti per me pur continuando ad usare click
e loops elettronici, questo fatto mi ha arricchito
moltissimo. E’ stata quindi una grande esperienza formativa
che ha arricchito il mio bagaglio artistico e culturale.
Lavorare tanto all’estero è il frutto di una
tua scelta o la conseguenza pura e semplice degli eventi
capitati attorno a te?
Nei primi
anni ’90 abitavo e suonavo a Roma! In quel periodo
discograficamente c’era poco lavoro. Decisi cosi di andare a
Milano, città dove incontrai un importante arrangiatore pop
che già aveva lavorato per i Pooh, la Vanoni, etc. e che
stava producendo il cantante spagnolo Alejandro Sanz. Nel
’98 Sanz vendette circa 6 milioni di copie e questo diede la
possibilità ai produttori di organizzare una grossa tournee
mondiale. Si pensò di preparare una band mista composta in
pratica da italiani (batteria, chitarra elettrica e un
polistrumentista) e spagnoli. Cosi iniziò per me questa
immensa esperienza formativa che mi ha dato la possibilità
di conoscere tutto quello che c’è dietro un tour mondiale e
soprattutto di capire ed avere la conferma del fatto che
niente capita per caso, bisogna cercarsela il più delle
volte e fare tanti sacrifici.
Volendo fare un confronto qualitativo fra la
realtà pop italiana e quella latina in cui lavori, avresti
delle differenze rilevanti fra le due da mettere in risalto?
Diciamo in
linea di massima che in Italia c’è troppa musica americana e
troppe influenze che la richiamano! La cosa maggiormente
distintiva è che in Spagna il legame con il proprio
patrimonio culturale ed artistico è più saldo. In Italia a
mio avviso è data troppa importanza a qualsiasi cosa abbia
il marchio americano lasciando da parte e non considerando
gli ottimi musicisti italiani che pur ci sono, ma che hanno
poco spazio.
Nel 1998 fai la tua prima tournee mondiale
con Alejandro Sanz , a cui ne segue un’altra con lo stesso
artista nel 2001. Sia per il primo che per il secondo tour
vengono realizzati anche due dvd live ( Mas Tour Live, 1998
e El Alma al Aire, 2001). Nel Tour El Alma al Aire c’è un
palco enorme con 60.000 persone che urlano e cantano. Quali
emozioni hai provato in quel momento come batterista e come
persona?
Come
persona mi sono sentito sicuramente un privilegiato: avere
la possibilità di comunicare emozioni ad un pubblico così
numeroso ed in varie parti del mondo è un vero privilegio.
E’ stata una grande emozione e il ripensarci ancora oggi mi
emoziona e mi fa felice. Come batterista avevo, invece, una
grande responsabilità: quella di sostenere ritmicamente una
band intera e di rispettare le regole che l’uso del computer
e dei loops mi imponevano.
Cosa rappresenta per te la musica?
La musica
è per me la qualità della comunicazione. Più essa ha qualità
più è artistica. Differentemente dalle altre forme
comunicative essa è però meno equivocabile, è più diretta ed
ognuno le da il proprio significato. Non ci sono equivoci
come può avvenire ad esempio con le parole. Quando la musica
piace significa che siamo stati vincenti. In caso contrario
capiamo che sono stati fatti degli errori.
Cosa, secondo te, rappresenta invece la
batteria per la musica?
Peter Erskine nei suoi due video didattici
ripete sempre “…..suonate
bene ed in modo semplice e la musica vi darà ciò di cui ha
veramente bisogno in quel momento!”.
Concordi?
Si, anche
perché quando ero più giovane ho anche avuto la fortuna di
incontrare Peter Erskine e di parlare con lui senza che egli
sapesse che io fossi un batterista. Lui continua ancora a
seguire questo principio dopo 20 anni e credo che quando un
artista riesce ad essere famoso e bravo e riesce a stupirti
facendo cose che anche tu puoi fare, ti ha dimostrato tutta
la sua grandezza: perché egli fa cose che si distinguono
proprio per la loro qualità comunicativa. La batteria ha,
secondo me, un ruolo pari a quello di un portiere di una
squadra di calcio: egli è nelle retroguardie, para e fa il
suo lavoro. Poi all’improvviso fa una parata che salva il
risultato. Cosi facendo a fine campionato egli da solo fa
guadagnare alla squadra almeno 10 punti! La stessa cosa
avviene col batterista: porta il tempo e sembra che sia
tutto scontato. Basta però una frase, un fill particolare
per mettere la propria firma al pezzo e ricordare la sua
stessa importanza.
Sulla base di questo principio che consiglio
daresti a chi si avvicina allo strumento e a chi elabora il
progetto di fare il professionista?
Io
generalmente non do consigli però la mia convinzione è che è
sempre utile prendere spunti dai più bravi e meno bravi e
rapportare però il tutto a se stessi. Uno dei scopi della
musica è secondo me quello di far emergere la propria
personalità: come suoni è più importante di quello che
suoni. Quando mi chiamano per dei lavori siano essi in tour
o in studio cerco sempre di tenere conto dello scopo della
creazione artistica. In base allo scopo riesco a modellare
il mio stile ma di base anche nelle realizzazioni più
semplici cerco sempre di firmare il brano inserendo qualcosa
di mio e di spontaneo, spesso in collaborazione con gli
arrangiatori e produttori. La nostra personalità è insomma
sempre al di sopra di tutto e nessuno deve reprimerla ma
accettarla cosi com’è
Quali sono i batteristi che ti hanno
influenzato di più durante il tuo percorso formativo?
Di solito
non faccio mai dei nomi precisi, tutti i più grandi sono
stati importanti durante la mia formazione: ho cercato di
prendere idee un po’ dagli uni e un po’ dagli altri. Ma se
proprio dovessi fare un nome direi Buddy Rich, non tanto per
il suo stile, diverso dal mio, quanto per l’approccio che
egli aveva sullo strumento e con la musica. Dirigeva da solo
una big band e aveva sempre delle idee musicali geniali che
se riprese ed impiegate oggi funzionerebbero in ogni caso.
Ci sono stati nel corso della tua vita
momenti importanti che ti ricorderai per sempre?
Guardando
indietro ci sono stati principalmente 2 momenti decisivi nel
mio percorso personale e come batterista: uno quando mio
fratello mi diede l’opportunità di iniziare lo studio della
batteria pagandomi di tasca sua le prime lezioni e la mia
prima batteria, una Gretsch precisamente; il secondo quando
lessi agli inizi degli anni ’90 un libro del filantropo L.
Ron Hubbard dal titolo “ Una nuova ottica sulla vita ”,
m’insegnò il vero significato dell’integrità, dell’onestà e
del coraggio, dandomi la giusta spinta e fiducia in me
stesso per intraprendere la carriera di musicista in un
periodo in cui non ci riuscivo.
Quanto importante tu ritieni nella musica
debba essere l’integrazione musicale con gli altri?
Dipende
dal tipo di musica. Il tutto può essere paragonato in
qualche modo al teatro e al cinema: nel teatro è tutto più
diretto, si vede e si ascolta il tutto lungo un unico filo
conduttore. Il teatro ripropone quindi un po’ ciò che ad
esempio succede nel jazz: improvvisazione ed interplay, per
i quali lo stesso pezzo può essere suonato in 3000 modi
diversi ogni sera. Nel cinema invece è previsto il montaggio
delle scene e ancor prima la programmazione e
l’organizzazione dettagliata di ogni singolo particolare:
movimenti, parole, vestiti, inquadrature…. Il cinema è
quindi come l’organizzazione di un tour di musica pop dove
nulla è lasciato al caso ed è quindi meno spontaneo ma
sempre tremendamente efficace ogni sera!
Tu lavori come turnista. Hai mai pensato ad
un progetto tutto tuo?
Da
parecchio tempo ho in mente un’idea che ancora non ho avuto
occasione di realizzare: formare un gruppo fatto da elementi
fissi e cambiare solamente il bassista. Il basso mi ha
sempre affascinato come strumento e lo ritengo un perfetto
equilibrio fra armonia e ritmo. La particolarità di questo
progetto sarebbe quella di dare a vari bassisti, sia famosi
che meno noti, la possibilità di suonare con una band fissa
dei brani scritti da loro stessi e realizzare quindi un
disco che io produrrei e suonerei ovviamente. Non farei mai
un disco tipico da “batterista” mi annoierebbe.
Che tipo di rapporto hai con i fills?
In base a cosa li scegli per un brano e come li inventi?
Sono
interessato soprattutto a quello che succede un attimo prima
del fill e un attimo dopo: il fill può essere anche semplice
ma l’importante è partire bene e chiuderlo meglio, in modo
da sottolineare il fill stesso, bello o brutto che sia.
Parlaci del tuo set attuale.
La mia
batteria è una DW Collector’s Series con cassa da 22”, tom
da 10”, 12”, 14”, 16”, rullante 14” x 5”, hardware Gibraltar
e Dw, mentre utilizzo un set di piatti della serie A Custom
Zildjian: ride da 20”, crash da 18”, 17”, 16”, un china da
18” e uno splash da 8” e hi-hat da 14” mentre le bacchette
sono le Maurizio Sgaramella Signature Series realizzate
dalla casa italiana: Ideas for Drummers che usa dei legni
buonissimi!
Sei oramai un veterano per quanto riguarda le
esecuzioni con click e loops. Come ti sei rapportato ad
essi? Cosa sentivi in cuffia per lo più?
Nei primi
tour mondiali che ho fatto la quantità di loops da pilotare
è stata notevole: andare a tempo sul click, suonare col
resto della band e stare a mio agio non è stato facile. Poi
l’esperienza ti aiuta. Per cui suggerisco a tutti di suonare
col click in ogni situazione ma con lo scopo di esprimere la
propria personalità. In cuffia preferisco invece il click,
il loop stereo, uno stereo di tutta la band. Quando posso
faccio anche uno stereo della batteria, uso una cuffia
semichiusa in modo da non essere escluso troppo da quello
che succede sul palco. Non uso ear monitor perché non mi
danno la reale sensazione di suonare uno strumento acustico.
Da poco, hai anche iniziato a dare lezioni
private presso il tuo studio. Che rapporto hai con la
didattica? Ti piace, sei un tipo paziente?
Sono un
tipo molto paziente e il motivo principale sta nel fatto che
capisco tutte le difficoltà che si incontrano imparando, io
sono stato il primo ad avere difficoltà. Essendo autodidatta
ho con l’insegnamento un approccio molto pratico: la persona
che vuole imparare deve avere la possibilità di farlo
cercando di sfruttare tutte le sue risorse. Ognuno ha il
proprio talento: non bisogna né reprimerlo né criticarlo,
bensi farlo venir fuori! E io ci sarò sempre ad aiutare
chiunque avesse bisogno. La didattica è per me un aiuto agli
scopi di una persona. le aspirazioni vengono prima
dell’insegnamento.
Fai anche seminari il cui titolo è “ Impara
da te stesso ”. Ci spieghi cosa fai in questi incontri e
perché li intitoli cosi?
Sono
convinto che la forza di una persona stia nelle sue
potenzialità. Questa strada consiste nel togliere alle
persone le loro confusioni che impediscono o rallentano la
loro crescita artistica. Togliere la confusione significa
ripristinare l’autodeterminazione di se stessi che è diverso
dall’insegnare ad una persona come si suona. Insegnare come
si suona significa renderla, in certi casi, altrui
determinata: l’allievo compiace l’insegnante invece di se
stesso! Credo che questo tipo di comprensione debba essere
lo scopo di ogni clinics. Il titolo “Impara da te stesso”
racchiude in sé quindi l’idea di capire se stessi, i cliché
determinano la mediocrità, la personalità invece comunica se
stessa.
Fino ad oggi ti senti realizzato e
soddisfatto di tutto quello che hai fatto?
La musica
è si una parte importante della mia vita ma sicuramente non
è l’unica componente. Essere soddisfatto come musicista o
batterista sarebbe per me troppo limititativo. La mia
soddisfazione e’ nell’esserlo come uomo, coltivare ideali e
valori che vanno oltre la musica. Vivo la vita e sto bene
nel modo in cui lo faccio.
(Grazie a
Maurizio e Jenny per aver fornito questa interessante
intervista).
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