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.: DREAM THEATER "TRAIN OF THOUGHT" :.

L'iniziale "As I am" parte in sordina per poi mantenere una linea cadenzata ritmata vicino al più greve heavy-metal. L'avvio è buono, pulsante e energico ... 7 minuti nei quali si alternano parti rocciose ed altre condite da melodie e cori vicini ai Megadeth di "Cryptic Writings". Un buon brano inframezzato dall'assolo del (come sempre) positivo Petrucci. Ciò che un pò spaventa è l'eccessiva durata dei diversi brani, "This dying soul" ad esempio varca gli 11 minuti: parte a razzo con una imponente batteria coadiuvata da una chitarra graffiante che sfocia nell'assolo che diviene antipasto di un brano che rappresenta in pieno il barocco sonoro, marchio di fabbrica della band americana. La song eppure è singolare, quando nel mezzo la band si cimenta in un nu-metal vicino a quello egli Slipknot! Certo non è la stessa violenza e la stessa qualità (i Dream Theater sono dei professoroni al confronto) ma certo è che a un primo ascolto, un pensiero vola alla grottesca band dell' Iowa. "Endless sacrifice" è invece d'altra pasta. Parte come un'acustica e dolce ballata (anch'essa di lunga durata) dove si gusta al meglio la qualità vocale di James Labrie e il delicato pianoforte di Jordan Rudess. Non mancano i momenti più energici che però non scalfiscono di molto la raffinatezza che è alla base della costruzione del brano, energico e pulsante. Ossessiva è "Honor thy father", brano potente incentrato sopratutto sulle tastiere ma che cade un pò nella riproposizione di temi sonori già avvertiti nei brani precedenti. Un surplus di ulteriori 10 minuti! Dopo questa serie di mega-tracce "Vacant" arriva a portare riposo. Un sognante brano composto a sola voce con il supporto di archi e pianoforte. Brano molto breve che ha però la gran particolarità di spezzare il ritmo vorticoso del disco e conferire una sorta di estraniamento dall'atmosfera hard che fin qui si era costruita. "Strem of consciouness" riparte con energia e tastiere sintetiche, cadenzata nel suono pesante della chitarra eccede in eccelsi virtuosismi che sono però più utili ai provetti chitarristi che all'economia del brano. Storia vecchia, sono anni che i Dream Theater ci hanno abituato così! La chiusura del disco è una introspettiva "In the name of God", brano in perfetta sintonia con il resto del disco, energica e cadenzata ... pare però una canzone retrò come tante ne abbiamo sentite nelle passate produzioni della band. E questa volta non bastano i virtuosismi di Petrucci che anzi finiscono per sottolineare la poca freschezza del brano che s'accende solo nel finale.

In definitiva, si può dire che questo nuovo lavoro nulla aggiunge alla già corposa produzione della band, semmai diventa più visibile la scelta del gruppo di rendere più ruvido il proprio sound, senza però intaccare il barocchismo e il suono cesellato che lo ha reso celebre. Tracce forse troppo lunghe ma i giovani chitarristi sparsi per il globo avranno, con questo disco, ne trarranno ulteriore giovamento.

info: www.dreamtheater.net

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