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MASSIMO ZAMBONI "SORELLA SCONFITTA" :.
Quando
il buio è sopraggiunto, quando il freddo dell’inverno è
sceso dalle montagne e come acqua un raggio di sole, diviene
fonte di vita per la nostra immaginazione, un viaggio
malinconico, rabbioso, triste e infinitamente poetico ci
assale l’anima, ce la indaga in profondità, ce la svuota in
dolci melodie che tutto hanno, fuorché la presunzione di
emozionarci. Questo disco è un raro esempio di come la
musica italiana possa ancora generare un lavoro pulito,
genuino, lontano dagli schemi e dal rigido etichettare
generi musicali. Un lavoro fresco, meravigliosamente
emozionante nel suo saper trascinare nelle surreali
atmosfere dei sensi. L’immediatezza e la genuinità prendono
vita in 13 tracce di incontrollabile natura … le grattugie
tornano a danzare (finalmente) su ritmi vorticosi di un
cantato rabbioso (“Su
di giri”)
a cui si aggiunge un cantato operistico (“Ultimo
volo America”)
che si allaga su un pulsare magnetico ed elettronico. Ma
anche qui non si è soli, nel forte tornare delle chitarre,
del ritornello che fa gridare e accapponare la pelle alla
cantilena incisa prima di tornare alla danza: teleradio
carica e riparte tingendosi di blu. Alito lascia la sua
impronta e il suono si fa tremendamente rapido, avvolgente
(“Blu
di prussia”).
Compromesso di rabbia e danza elettronica (techno-punk?) …
lo stupore continua, data la totale assenza di punti di
riferimento, il continuo naufragare tra stili e sonorità
così distanti ma così partecipi nell’atto comune di
scatenare una reazione emotiva. Così come accade in “Da
solo”,
nella quale Lalli canta un ritornello che ci sembra di
averlo sempre avuto dentro (“Come si sta, caso per caso,
cosa si dice come si dice, caso per caso va come va”) e
riaffiorano le chitarre grevi, in una danza decadente, in
una sorta di cattedrale sonora nella quale vige il silenzio
e l’austerità. Affiorano nella memoria melodie dolcissime
che prendono l’anima, scuotendo il cuore di radiosi messaggi
sonori (“Stralov”)
… impossibile restarne impassibile, ondulare la testa,
movimento meccanico e suoni elettronici a disturbare un
arpeggio che pare provenirci da dentro. La serenità pretende
la sua attenzione comparendo con le sembianze di “Kral”
. Di mille sorrisi s’accendono le stelle per un invito alla
quiete, all’emozione di un cantato dolce guidato dalle
chitarre che citano cieli sonori ascoltati tanti anni fa. E’
una parentesi di gioia, un’introduzione alla riflessione e a
un invito mica tanto celato.
Con “Miccia
prende fuoco”
tocchiamo il cuore dell’opera, il punto di massimo splendore
lessicale. Il cantato diviene greve, coinvolto emotivamente
dall’ipnosi delle chitarre e dalla profondità dei testi …
risale, affiora la voce per cantare la sua parte e il suo
richiamo si fa via via più drammatico, più cosciente … un
gocciare di versi e rabbia, urla intime che s’impongono
sulle chitarre che chinando la testa assecondano ritmando
sonorità al limite del reggae (?!). Anche “Dolorama”
si mantiene su livelli molto alti nei quali le arie sonore
diventano poco fluide, ossessive a sottolineare la loro
presenza. Tamburi e chitarre lontane vanno ad avvolgere la
splendida prova di Marina Parente e la chiusura ipnotica
preannuncia il suono secco di chitarra di “Blu
di prussia”.
Come detto prima è un incubo questa elettronica danza:
rapisce dalla serenità di “Dolorama”
sballottandoci tra taglienti getti d’inchiostro rendendoci
impossibilitati a una reazione … un’illusione la techno,
perché torna a confonderci (ancora una volta) la violenza
delle chitarre che come in un dipinto informale lascia segni
secchi e densi. E come se si affacciasse Rothko, le chitarre
si fanno dolci nella splendida “Schiava
dell’aria”.
Un volo di meravigliosa dolcezza dove la semplicità di un
lontano violino immette in un canto arioso e lucente. Si
fanno presenti i tamburi e accompagnati presto dalle
chitarre danno vita a un girotondo nel quale confluiscono le
emozioni fin qui accumulate. Uno splendido modo per
salutarsi: leggerezza e semplicità ma di incredibile
presenza e straordinario impatto emotivo. “Santa
Maria Elettrica”
diviene così un viaggio a ritroso, il ricordo di una notte
stellata, di una luna bretone cantata molto tempo fa …
chiude l’esperienza, la traversata dell’anima attraverso le
nostre emozioni. Credo che vi sia un verso che ricalchi
fedelmente l’anima e la sensazione dell’intero lavoro: “Ci
sono scoppi nel cielo, non tuoni ma strappi di luce luminosa”.
La poesia si alterna in giochi emotivi dove l’allegria dà
spazio alla riflessione, la dolcezza alla malinconia. Qui è
la grandezza di questo disco, il non rinunciare al voler
sorprendere, al voler coinvolgere tutti i sensi e tutte le
emozioni (senza escludere neanche quelle negative) … un
lavoro fatto col cuore, che trasuda passione da ogni nota. “Non
conta niente ormai”. Sarà, ma il rammarico (soprattutto
dopo l’ascolto di questo disco) resta grande. |