Tempo sacro e tempo profano
Attraverso i riti l’uomo oltrepassa il confine situato fra la comune durata temporale: instaura quello che si chiama il Tempo Sacro.

Sacro in quanto mitico e primordiale che attraverso la ritualizzazione diviene presente, un eterno presente, recuperibile e reversibile nonché circolare nel suo “ripetersi”.

Questa reintegrazione del Tempo Sacro rende il comportamento umano, durante il rito diverso da quello abituale “prima” e “dopo” l’entrata nel tempo astorico della Sfera del Sacro.

Un aspetto fondamentale di questa dicotomia è dato dal concetto di “Ritmo”.

Essendo il ritmo “un’articolazione qualitativa, non quantitativa, del tempo e dello spazio” (Marius Schneider) alterando il ritmo del quotidiano tocchiamo le corde più profonde dello spirito umano.

La “scoperta” del ritmo individuale più intimo, di cui l’uomo è inconsapevole, è imprescindibilmente legata all’eterna ripetizione del ritmo naturale del cosmo.

“Mentre scende la notte il fiume prende il sopravvento.
La sua voce si alza,riempie la valle fino all’orlo delle colline,una voce fatta di cento, di mille voci diverse.
Tempo e spazio si dissolvono. I secoli perdono di senso.
Un piede varca l’invisibile frontiera che divide la terra dalle vecchie divinità.”

(Kingsmill Moore-“A Man May Fish”)


Approfondimento

MIRCEA ELIADE

Eliade con Jung

Mircea Eliade con Gustav Jung

 
Della spiritualità, della religione Mircea Eliade fu studioso insigne e prolifico divulgatore.
Per la profondità dei risultati dei suoi studi e per l’ampiezza dei temi dei suoi interessi, ebbe sempre la massima considerazione della comunità scientifica internazionale.

Fu, insomma, un divulgatore del sacro:
"Non si possono comprendere sino in fondo le conquiste della matematica, o della fisica, se non si accetta anche quella realtà invisibile che sta sotto le formule... Anche i fisici americani, gli gnostici di Princeton, prendono atto in nuova forma del sacro, sperimentando qualcosa di assoluto e forte oltre le apparenze. Più si scava nella realtà con l’occhio dell’elettronica, più si scopre l’unicità del reale: l’uomo (microcosmo) e l’universo (macrocosmo) sono la stessa essenza, perché unico è il materiale della vita".

Nacque a Bucarest nel 1907 e dalla capitale rumena si trasferì a Firenze per preparare una tesi sulla filoso-fia italiana da Marsilio Fucino e Giordano Bruno. Così, col pensiero di Nicola Cusano, scoprì “la coincidenza degli opposti”, l’idea dei principi dello yang e dello ying secondo la denominazione orientale, in-somma, dell’unicità del tutto, che mai più avrebbe lasciato.
Parimenti, attraverso Marsilio, scoprì l’ermetismo delle antiche civiltà e quindi, poco più che ventenne, partì per l’India, per approfondire i suoi studi.
Chiunque, dall’originario Occidente, si rechi nel subcontinente indiano non torna mai uguale a prima, ma spesso profondamente cambiato, se non completamente diverso. Successe anche a lui, dopo essere rimasto quattro anni alla corte di un generoso maharajah, che lo ospitò per un corso di studi.

Ben presto, essi si estesero al sanscrito e allo yoga, sotto la guida di Surendranath Dasgupta, il maggior interprete della filosofia indiana:
"Vi andai perché volevo ampliare le mie conoscenze circa il pensiero umano e perché ero molto incuriosito dalla lettura di alcuni testi dello yoga: mi attraeva l’idea di verificare di persona se, attraverso quelle pratiche, si poteva riuscire veramente a dominare se stessi. Sì, fu un’esperienza esistenziale, oltre che scientifica, anche se poi fu la tesi che mi valse il dottorato di ricerca e la cattedra a Bucarest. Una volta in Occidente, comunque mi posi questo compito: integrare nella nostra tradizione le conoscenze che avevo assorbito in Oriente".
 
Notevole il racconto autobiografico dello sbarco a Ceylon e la registrazione dello stravolgimento interiore al contatto fisico con quei mondi sconosciuti, che lo portarono immediatamente a un vivido desiderio di conoscenza di altri mondi sconosciuti, quelli culturali.
Pertanto, praticò i viaggi nel tempo.
Fu allievo di uno sciamano, finendo con l’innamorarsi della figlia e dovendo poi scappare allo scoppio dello scandalo; dimorò per sei mesi in una ashram sul monte Himalaya, dove fu iniziato al tantrismo, sotto l’immagine del Maestro Milarepa.
 
Insomma, tornato in Europa, ebbe, giovanissimo, materiali copiosi per i suoi primi saggi di filosofia e di religione e pure per prove di narrativa “impegnata”.
I ricordi di quella prima e decisiva esperienza stanno in <India>, cui seguirono altri lavori di riflessione e di divulgazione dei suoi studi, man mano che si dispiegavano: <Le promesse dell’equinozio> (1907-1937); <Le nevi del solstizio> (1937- 1960); i <Diari> (1945-1985).
 
Ebbe particolare impulso in lui lo studio comparato delle religioni, forte della particolare sorpresa che aveva avuto in India nel constatare lo straordinario sincretismo di quelli che erano stati suoi maestri:
"Sono particolarmente sorprendenti qui l’indiscussa sincerità degli eruditi e la loro totale tolleranza per qualsiasi fede, da qualunque parte provenga. Le si riscontrano persino nei sadhu più mediocri, sempre ansiosi di sentir parlare di Gesù Cristo, di San Francesco, di Kabir, di Curi Nnak e di qualsiasi altro guru inviato da Dio. Da quando mi sono stabilito nella ashram, sono venuti a farmi domande sul cristianesimo e hanno tanto amato le storie di fra Lorenzo nei “Fioretti” francescani e alcune delle pie leggende medioevali, che mi hanno pregato di ripeterle ogni giorno. Tutti considerano Gesù come il figlio di Dio e lo chiamano Lord Jesus alla maniera dei missionari. Ciò non impedisce assolutamente di considerare Buddha, Krishna e altri uguali a Cristo. Non possono accettare limiti, o zone geografiche al manifestarsi della divinità. Il loro spirito panteista è evidente sin nelle più semplici affermazioni metafisiche. E i risultati sono toccanti. Un vecchio sadhu, maestro insuperabile nel parlare sanscrito, mi ha abbracciato al nostro primo incontrio e si è messo a piangere dicendomi - Siamo tutti uno!".
 
È emblematico il fatto che i medesimi itinerari indiani di Mircea Eliade saranno percorsi più tardi, negli anni Sessanta, dalla «beat generation», nelle persone dei suoi principali esponenti, tutti animati da un profondissimo desiderio di spiritualità, in nome dell’essere, e non dell’avere, primo fra tutti Jack Kerouac, il teorico del viaggio come avventura, ricerca e realizzazione interiore.

In Romania, quando vi fece ritorno, si formò al seguito di Nal Jonescu, teorico della destra rumena e fu so-stenitore convinto della “Guardia di Ferro”, il movimento fondato da Codreanu, apprezzato soprattutto per la forte caratterizzazione spirituale ed esoterica.
In seguito, fu addetto culturale all’ambasciata di Lisbona, sotto il regime di Salazar. Il cattolicesimo e il misticismo di cui i legionari erano profondamente permeati lo avevano inevitabilmente entusiasmato.

Era stato anche di nuovo in Italia, per incontrare Giovanni Gentile, e vi ritornerà in seguito, per conoscere Julius Evola.
Quando, al termine della seconda guerra mondiale, in Romania fu instaurato il regime comunista, Mircea Eliade scelse l’esilio e non accettò di rimettervi piede, pur opportunamente sollecitato a farlo dai nuovi di-rigenti di osseervanza moscovita, anche con incarichi dì prestigio:
"Le cose che io studio a loro non interessano affatto".
 
Si tenne sempre informato delle sorti della sua nazione, addolorato dalla sostanziale persecuzione cui venivano sottoposti i cattolici dal regime comunista. Girò per l’Europa e si stabilì a Parigi, il primo approdo dell’esilio, ove era riuscito ad affermarsi per il suo valore, ottenendo con ciò la possibilità di continuare i suoi studi e di insegnare.
Nel suo quotidiano confronto con il pensiero e con lo spirito, nei «Diari» Eliade parla di sé, ma parla con gli altri come lui dediti a tali fondamentali tematiche di meditazione.

Nel corso degli anni, i suoi studi, di cui la <Storia delle credenze e delle idee religiose> è la summa con-clusiva, insieme al <Trattato di storia delle religioni>, sortirono effetti decisivi.
Fra i singoli saggi, almeno due sono diventati “classici” del genere: <Il mito dell’eterno ritorno> e <Sciamanesimo e tecniche dell’estasi>.
Autori di tutto il mondo gli rivolsero tributi qualificati per un volume a lui dedicato, pubblicato in Germania; fu richiesto da numerose accademie; invitato a tenere conferenze in ogni dove; insegnò all’università di Chicago, che, pur fra frequenti viaggi, diventò il suo quartier generale, dal 1956, all’anno della sua morte, il 1986. Compì così il percorso dell’eterno ritorno, secondo le teorie a lui care, al punto zero, là dove gli opposti, vita e morte, spazio e tempo, coincidono.
 
Ha scritto di lui il suo connazionale Cioran:
"Non era uno spirito tragico...Era vibrante e aveva qualche cosa di contagioso, ti comunicava la sua vibrazione, penetrava nella tua vita...Da qui l'influenza che ha avuto sulla gioventù...Era una sorta di missionario, uno spirito destinato a lasciare tracce".
 
Dal canto suo, Eliade era ansioso di capire perfettamente e di divulgare i valori e le modalità della società indiana, in cui vedeva interiorizzati tutti i valori e le modalità di vita dell’uomo moderno in cerca di identità e di certezze per la dilagante inquietudine esistenziale.
Divenne un’autorita per tutti coloro i quali non avevano trovato soddisfazione nel marxismo, nell’esistenzialismo, nel modernismo cattolico e nella psicoanalisi (
"Le spiegazioni date da Freud di esperienze religiose e di altre attività spirituali sono pure e semplici sciocchezze") aveva chiosato egli al riguardo) e la cercavano invece nella meditazione, nello yoga e nell’ipnosi.

Studiò e praticò altresì tante discipline, di cui diventò indiscusso maestro e superbo divulgatore: animismo, alchimia, cabala, iconografia, geomanzia.
 
Della religione, o, meglio, delle religioni, Eliade fu, come detto, studioso e divulgatore, non solamente a livello teorico, ma pure creativo, nel sostenere l’importabnza fondamentale della pratica salvifica, atto d’amore supremo, e nel ricercare tutte le rivelazioni del sacro nella vita quotidiana contemporanea.
 
Il suo personale itinerarium mentis in Deum è, all’opposto, molto semplice:
"In un mondo formato da miliardi di galassie, che comprende, molto probabilmente, un milione di pianeti abitati, tutti i classici argcmenti pro o contro l’esistenza di Dio mi sembrano ingenui e persino puerili. Io non credo che, per il momento, noi abbiamo il diritto di discutere filosoficamente. Il problema dovrebbe essere lasciato in sospeso. Bisogna contentarsi di certezze personali, di scommesse basate sui sogni, di divinazioni, estasi, emozioni estetiche. Anche questa è una forma di conoscenza, ma priva di argomenti...".
 
L’uomo esiste, dunque, in virtù della sua capacità di fede: l’esperienza religiosa è acquisizione del proprio essere.
 
Un processo di conoscenza incarnato dal mito:
"Il mito non è il contrario della realtà, è prima di tutto un racconto la cui funzione è ri-velare in che modo qualcosa è avvenuto all’essere. Io studio i miti antichi, le storie vecchie, ma racconto storie nuove nelle quali sono rintracciabili gli archetipi e le collego al mondo dei sogni, alla psicologia del profondo. All’uomo moderno piacciono i miti non perché sono esotici, ma perché, credo, possono fornire un punto di partenza verso una nuova visione del mondo che sostituisce le immagini e i valori oggi scaduti. E ama, l’uomo moderno, sentir raccontare delle storie e raccontarne, perché è un modo per reinserirsi in un mondo articolato e significante... Io ho fiducia nella potenza creativa dello spirito...Ma ho paura che, per qualche generazione, forse per qualche migliaio di anni, gli uo-mini vivranno come formiche. A meno che non si verifichi un miracolo, cioé non si riscopra la dimensione sacrale dell’esistenza. Tutto è così banalizzato oggi, profano. Anche i miti moderni, che cosa sono mai? Il mito non è stato abolito del tutto, ma non è più do-minante nei settori essenziali della vita. E’ stato cacciato nelle oscure zone della psiche, o in attività secondarie e irresponsabili della società, le cosiddette distrazioni ".
 
Più di tutto, però, Mircea Eliade, lamentandone la scomparsa, cioé la perdita del sacro, ha insegnato a cogliere il valore dell’amore che sta dietro al mistero:
"A una fermata dell’ autobus Atene - Corinto salì un a vecchia, magra e rinsecchita, ma con grandi occhi molto vivaci. Poiché non aveva denaro per pagare il biglietto, il controllore la fece scendere alla fermata seguente, quella di Eleusi. Ma il conducente non riusci più a mettere in moto l’autobus e, alla fine, i viaggiatori decisero di fare una colletta per pagare il biglietto alla vecchia. Questa risalì sull’ autobus, che poté allora ripartire. Allora la vecchia disse: “Avreste dovuto farlo subito, ma siete degli egoisti e, già che sono qui, vi voglio dire ancora una cosa: sarete castigati per il modo in cui vivete! Vi saranno tolte persino l’erba e l’acqua!”. Non aveva ancora finito la minaccia ed era già scomparsa...Nessuno l’aveva vista scendere... Andarono allora a riguardare il blocchetto dei biglietti, per convincersi che ne era stato veramente staccato uno...".

tratto da: http://www.antoniomaconi.it/libri/ritratti/index.htm

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