Elena Cordublas
Riflessioni attorno alla riproducibilità in musica
“ L’avvento della musica riprodotta mutò le condizioni del consumo e della produzione musicale nella stessa misura in cui la stampa aveva cambiato le condizioni della lettura e della produzione letteraria ”
(Umberto Eco, “Apocalittici e integrati”, p.297 )

Le diverse problematiche che la riproducibilità, soprattutto in musica pone, si sono fino ad oggi si sono ancora poco affrontate.

Walter Benjamin
Dal punto di vista storico, il primo a pronunciarsi attorno alla riproducibilità dell’opera d’arte fu il filosofo tedesco Walter Benjamin che con il saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” pubblicato nel 1937
sviluppa considerazioni in merito alle tecnologie allora più diffuse e a lui più note (cinema e fotografia) ma certo estendibili alla musica e attuali ancor oggi.

Secondo il filosofo l’opera d’arte è sempre stata riproducibile : in quanto fatta da uomini, altri uomini possono riproporla.
Ora però non sono più degli uomini a riprodurre l’opera bensì delle macchine. Con l’intervento di queste l’opera perde quella condizione di unicità e autenticità che la che la contraddistingue : fino ai primi anni del ‘900 è un pezzo unico e originale ovvero irripetibile e destinato solo ad un “godimento” esclusivo nel luogo dove si trova e nel momento della fruizione (quindi nello spazio e nel tempo).

L'aura
Con il termine “AURA” Benjamin indica questa originalità, autenticità, irripetibilità dell’opera, il suo “hinc et nunc”. L’aura è l’energia propria di ogni opera che “contagia” magicamente gli ascoltatori (nel caso della musica) rendendoli partecipi di un evento quasi religioso data la sua sacralità.

Con le nuove tecnologie assistiamo ad una perdita dell’aura : l’opera viene riproposta nella sua totalità artistica in un altro tempo e in un altro luogo perdendo l’irriproducibilità e l’unicità della dimensione acustica che la contraddistingueva.

Per Benjamin questo è sia un fatto negativo poiché l’opera perde in qualità, sia positivo in quanto determina la fine della concezione aristocratica dell’arte. Fino ai primi anni del ‘900 infatti la musica era un privilegio dei ceti più agiati che potevano permettersi concerti e performances private.

Dal secondo dopoguerra in poi con la radio, i dischi in vinile, i CD e oggi con il digitale, la musica diventa accessibile a tutti.

Questa accessibilità è però caratterizzata da diversi stadi qualitativi : la copia di un disco su musicassetta ben si distingueva dall’originale : la chiarezza e il “calore” dei suoni non era comparabile. La copia dell’originale quindi non eccelleva in qualità.

Oggi con il digitale e con la precisione raggiunta come tecnica riproduttiva non è più possibile definire un “originale” in quanto il supporto è in grado di riprodurre l’opera mantenendone integro il senso artistico.
Il digitale permette condizioni di ascolto ideali.

Il mezzo tecnico può non essere neutro
Il mezzo tecnico risulta comunque essere “attivo” nella riproduzione dell’opera in quanto suggerisce spesse volte interessanti e altrimenti irrealizzabili.
Non risulta essere neutro o semplice testimone dell’evento musicale, ma permette l’ampliamento dei limiti della sensibilità : è in grado di intervenire evidenziando ritmi, linee e colori più di quanto previsto dalla partitura.

Al punto in cui siamo arrivati oggi possiamo quindi analizzare anche altre conseguenze determinate dallo sviluppo delle tecniche riproduttive.
Definirle solo positive o solo negative sarebbe troppo semplicistico, ma un certo grado di differenziazione non risulterà scomodo a nessuno.

Ampliamento del pubblico
Innanzitutto una delle conseguenze più positive del fenomeno della riproducibilità è l’ampliamento del pubblico.
Fin dal secondo dopoguerra infatti diviene possibile, soprattutto grazie alla radio, l’allargamento della cultura musicale nelle classi medie e popolari : viene messo a disposizione di milioni di ascoltatori un repertorio musicale avvicinabile solo in rarissime occasioni.
Ora anche chi vive ai margini della “civiltà del concerto” può usufruire di una tecnologia con la quale “godere” magari del concerto dell’interprete più brillante che si sta tenendo a centinaia di kilometri di distanza.

L’ascolto massiccio di musica riprodotta (anche e soprattutto con i dischi in vinile) porta però a uno scoraggiamento progressivo della pratica musicale amatoriale.
Questo ha una connotazione negativa in quanto la musica può essere capita a fondo solo producendola e non solo ascoltandola, ma anche positiva poiché pone fine alle rappresentazioni pubbliche di mediocre livello.
La loro preziosa funzione informativa viene ora assolta dal disco solo con un livello di qualità più alto in quanto si mette a disposizione anche la performance di maggior livello.

L’estrema disponibilità del prodotto sonoro porta non solo alla fine dell’ascolto consapevole, ma anche all’appiattimento della sensibilità.

Effetti del consumismo
La musica è ormai un vero e proprio affare di massa e questo comporta il suo attuale significato di merce. Trattandola come tale si è avuta una modifica artificiosa del ciclo di vita del prodotto artistico : la musica riprodotta deve essere consumata in breve tempo in modo tale che si ricrei subito il bisogno di un nuovo prodotto.

Il mercato, o meglio le case discografiche, esercitano pressione affinché un determinato tipo di musica “passi di moda”: questa strategia però si sta rivoltando contro i suoi stessi ideatori poiché ormai è in atto un vero e proprio disamore verso il CD.

Infatti mentre un tempo il disco in vinile era copiabile ma insostituibile, aveva una sua centralità culturale ed era un vero e proprio oggetto di culto, oggi la perfetta replicabilità (anche in casa) di un CD e il suo basso costo, rendono ancor minore la necessità di un CD originale. In più ogni nuovo CD contiene almeno 15 canzoni delle quali a malapena la metà risultano essere interessanti.
La scarsa qualità musicale dei nuovi CD, il loro prezzo elevato e la qualità e accessibilità della copia portano inevitabilmente ad alimentare quello che sulla internet è un vero e proprio scambio gratuito di musica tra utenti (con la tecnologia peer-to-peer) con una diffusione ormai illimitata di copie uguali all’originale.

Vendendo sempre meno dischi l’industria discografica arrotonda i propri bilanci vendendo altro: diritti televisivi e radiofonici, gadgets e artisti, o meglio l’artista divenuto “marchio”.
In questo modo non interessa più la qualità del prodotto musicale di un artista ma la sua immagine.
E’ così che aumentano le TV musicali che coerentemente con quello che propone il mercato diffondono in primis l’immagine di un artista ma anche una nuova percezione della musica : ora la musica si “vede” in TV.

Con il CD giungiamo quindi ad un repertorio universalmente commerciabile.
La musica leggera porta così ad un progressivo omogeneizzarsi del gusto.
In tutto il mondo si consuma la stessa musica e questo aspetto riguarda anche la musica classica.
Infatti la riproducibilità anche per quanto riguarda i musicisti classici assume connotazioni sia negative, che positive.

Aspetti che interessano direttamente il musicista
Per un artista confrontarsi con quello che altri interpreti prima di lui hanno fatto è molto importante : se prima era possibile ascoltare e partecipare alla performance di un grande esecutore solo assistendovi, oggi grazie alle tecniche di riproduzione è possibile riascoltare tale esecuzione in un altro luogo e in un altro momento.

Anche il fatto che la copia perfetta di cui possiamo disporre sia riascoltabile più e più volte permettendo di cogliere anche i passaggi più nascosti e personali dell’artista ovviando agli inevitabili problemi di memoria che prima sopraggiungevano è di grandissima importanza.

Se quindi la riproducibilità da una parte aiuta gli artisti per quanto riguarda l’interpretazione dall’altra li limita un po’.

Infatti ogni impresario porta in scena quello che gli permetterà di avere il maggior ritorno, ovvero quello che piace al pubblico. Dal momento che lo stesso è stato “martellato” con le stesse opere per anni, ora avrà piacere di risentire proprio queste ultime in quanto a lui più note.

Questo comporta oltre ad una grave pigrizia culturale anche una diffidenza nei confronti della musica a lui inusuale.
Per esempio è più probabile che si porti in scena Verdi piuttosto che della musica dodecafonica sconosciuta ai più.

Tutto ciò limita la varietà esecutiva dell’artista che potrà così solo rappresentare ben determinate opere.

Dopo tutte queste considerazioni ci si potrebbe chiedere:
ma allora la “musica” è finita?

Nonostante la domanda risulti essere un po’ drastica è utile come punto di partenza per riflessioni di ampio raggio per le quali troviamo conclusioni interessanti su

http://www.musicplus.it/musicjob/mag/mag_assante3.asp
(Ernesto Assante e la sua idea della musica oggi)

http://www.kataweb.it/speciali/musica/
(Gli stessi otto capitoli in tema, più altri approfondimenti)

http://www.comzine.it/index.php?sez=malizia
(breve “riassunto” delle considerazioni di Umberto Eco nel suo scritto “Apocalittici e integrati”)

http://keynes.scuole.bo.it/ipertesti/arte_cinema/benjamin.html
(citazioni brevi ma complete su Benjamin)

http://www.areacom.it/arte_cultura/buccolo/musica.htm
(tutto il testo risulta interessante poiché è una ottima panoramica globale della questione musica-riproducibiltà)