Rattus Norvegicus [*]

Note sull'istruzione programmata e sulle tecnologie del sè.

(dalla Mailing list "rekombinant")

“Forse e' proprio la solitudine che va politicamente organizzata”.
Christian Marazzi

Non e' un fatto accidentale che la parola apprendimento ricorra con frequenza nelle sperimentazioni sul comportamento animale dei behavioristi.
Thorndike, l'ideatore delle gabbie-problema e per certi versi il pioniere del bahaviorismo, dedico' gran parte della sua carriera successiva ai problemi dell'educazione e dell'istruzione dei bambini.

Fu Thorndike, nel 1912, a fornire una prima descrizione di quella tecnologia dell'apprendimento che in seguito sarebbe stata definita istruzione programmata. In “Education, a first book” Thorndike concepi' la possibilita' di realizzare un libro che fosse in grado di rendere automatico il processo di correzione degli errori dello studente: “Se, per un miracolo dell'ingegno meccanico, un libro potesse essere arrangiato in modo tale che solo chi ha realizzato quanto era richiesto sulla pagina numero uno possa accedere alla pagina due, e cosi' via, molto di quanto oggi richiede una formazione personale potrebbe essere realizzato attraverso la stampa”.

Qui e' da notare il fatto che ottant'anni prima che il calcolatore digitale si candidasse a sistema universale per l'implementazione dell'istruzione programmata, i modelli di programmazione dell'apprendimento behavioristi erano gia' stati ideati e avevano iniziato a suscitare entusiasmo nella piccola borghesia americana.

Sidney Pressey, un allievo di Thorndike, realizzava nel 1926 la prima “teaching machine”. La macchina di Pressey aveva l'aspetto di una macchina da scrivere, il cui carrello era corredato di una finestra in cui venivano presentate una domanda e quattro possibili risposte, delle quali una sola era quella giusta. Su un lato del carrello vi erano quattro pulsanti e l'utente era invitato a premere quello corrispondente alla risposta che riteneva esatta.

Alla pressione del tasto la macchina registrava la risposta su un contatore situato dietro il carrello e quindi proponeva la successiva domanda. Finita la prova l'utente poteva riesaminare il foglio del contatore per valutare il punteggio ottenuto e gli eventuali errori commessi. Pressey nei suoi libri affermava di confidare nel fatto che la sua macchina avrebbe condotto ad una “rivoluzione industriale nell'educazione”.

La grande depressione del '29 e la seconda guerra mondiale limitarono notevolmente le possibilita' di sviluppo dei progetti di Pressey. Se Pressey, e in seguito Skinner, svolsero le loro attività in buona sintonia con l'accademia, l'istruzione programmata trovo' nel mercato una sponda altrettanto affidabile. In un libro degli anni '60 intitolato “Macchine per insegnare” lo studioso francese Bernard Planque lamentava come: ” (...) si possono trovare nei drugstores di New York, per un dollaro, delle buste contenenti schede programmate che garantiscono che saprete tutto su Mozart o Einstein e che non dimenticherete mai nulla”. Per buona parte del secolo breve, ogni “oneself made man” statunitense, ogni famiglia che coltivava il sogno dell'american way of life, prima o poi, avrebbe finito con l'imbattersi nei prodotti ispirati ai principi dell'istruzione programmata.

Come scrive Luciano Mecacci, il comportamentismo fu a livello di massa: “una psicologia del far da se' ” adeguata ad una “borghesia che aveva dato prova di ottimismo ed efficienza nel superamento delle crisi economiche del dopoguerra e del 1929”. Skinner approfondisce l'indagine sulle “tecnologie dell'educazione” raffinandone l'architettura e gli ambiti di applicazione. L'esperienza maturata con gli animali attraverso il condizionamento operante gli consente di individuare alcuni elementi che ritiene innovativi rispetto alle primitive concettualizzazioni di Thorndike e di Pressey.

La critica di Skinner alle prime teaching machine si appunta su una insufficiente analisi delle fasi di apprendimento e sulla scarsa importanza attribuita ai rinforzi, cioè ai premi. “Una delle differenze principali esistenti tra un testo e un programma, e' data dal fatto che il primo riesce ad insegnare solo quando agli studenti sono state fornite della ragioni estrinseche per studiarlo, mentre il programma ha queste ragioni al suo interno” . Con questa singolare affermazione Skinner intendeva dire che la “gratificazione” doveva essere generata dal programma stesso. A differenza di quanto accadeva nel sistema di Pressey, in cui le risposte sarebbero state esaminate alla fine dell'esercizio, Skinner sosteneva che la correzione degli errori doveva essere realizzata dal sistema in modo immediato.

Una simile posizione introduce un argomento che avra' importanza decisiva nelle successive critiche al comportamentismo: Skinner esclude l'ipotesi che un ragazzo possa avvicinarsi a un libro per ragioni “intrinseche”. Dunque la teaching machine dovrebbe essere in grado di fornire ragioni estrinseche. Emerge dalle pagine di uno studioso lontano dalla cibernetica come Skinner, una sfumata concezione a feedback dell'apprendimento : la risposta “esatta”, secondo Skinner, deve essere fornita dalla “teaching machine” in modo piuttosto immediato, accompagnata da elementi di gratificazione, tali da mantenere alto il livello di attenzione dello studente.

Ma la differenza tra la prima cibernetica e il comportamentismo radicale e' cospicua: per il comportamentismo la risposta della macchina ha per il ragazzo un valore “estrinseco”, funge da rinforzo secondario, e' un passo verso la ricompensa che non implica in nessun senso attivita' interne alla mente.

La conoscenza, per Skinner, e' soltanto una forma di comportamento da acquisire. Nella concezione cibernetica invece la risposta dello studente, sebbene altrettanto automatica, deriva da qualche tipo di semplice routine “interna” che viene evocata dallo stimolo. Se il fatto di essere istantaneamente corretto dalla macchina e di avere istantaneamente la risposta “esatta” può costituire un elemento di rinforzo per lo studente, ciò dipende, per il behaviorista radicale, esclusivamente dal premio e non significa in nessun senso che egli sia disposto ad ammettere che l'interesse dello studente abbia un ruolo intrinseco nell'apprendimento.

L'elemento di rinforzo istantaneo fornito dal programma che segnala il successo (o l'insuccesso) e' soltanto un rinforzo secondario, un campanello che annuncia l'avvicinarsi (o l'allontanarsi) di un premio. Non diversamente da un piccione, dice Skinner: “date le condizioni richieste, l'uomo apprendera' - non perché lo vuole, ma perche', a causa della dotazione genetica della specie, le contingenze di rinforzo provocano determinate modifiche comportamentali”.

E' soprattutto in forza di questa rimozione metodologica degli aspetti “interni” dei processi di conoscenza - coerente del resto con gli assunti behavioristi - che Skinner sostiene con determinazione l'utilita', anche nelle classi, di sistemi di rinforzo simili al denaro, per esempio dei gettoni che assegnino punteggi elevati agli studenti che realizzano gli esercizi in modo corretto.

La modalita' ideale per far funzionare al meglio le teaching machine sarebbe stata dunque quella di assegnare dei punteggi, che avrebbero dovuto avere un qualche tipo di equivalente estrinseco come danaro, colazioni, caramelle, etc. Una macchina per insegnare, secondo Skinner, dovrebbe lavorare in modo simile a quello di una slothmachine.

Anche per l'apprendimento behaviorista vale poi lo stesso discorso fatto riguardo le slotmachine o il lavoro intermittente: i programmi di rinforzo a rapporto variabile sono la soluzione migliore per ottenere un impegno serrato da parte dello studente. Un'elargizione dei rinforzi rara e casuale determina prestazioni frenetiche: “Gli studenti rinforzati con un programma a rapporto variabile mostrano un'incredibile applicazione solo se il programma e' stato adeguatamente programmato.

Lavoreranno per lunghi periodi di tempo senza ricevere alcun rinforzo e saranno in questo modo preparati ad affrontare un mondo in cui i rinforzi possono essere veramente rari”. (pag. 292). Contrariamente alle convinzioni di Skinner, le macchine per l'apprendimento sembravano, almeno occasionalmente, scatenare l'entusiasmo dei ragazzi indipendemente dai rinforzi.

Racconta Bernard Planque nel suo libro che, negli anni '60, un ufficiale dell'esercito francese specializzato in tecnologie per l'apprendimento, tale capitano Gavini, rimase sconvolto dal fiasco del suo rampollo in storia. Si industrio' allora nell'implementare lezioni di storia in una macchina per l'addestramento dei tecnici areonautici, ispirandosi alle metodologie dell'istruzione programmata.

Con sorpresa si trovo' a rilevare che: “Non solo il ragazzo divoro', con l'aiuto della macchina, le lezioni che sul libro lo annoiavano, ma reclamò nuovi programmi per 'giocare' non appena finirono quelli preparati da suo padre”. Con l'avvento del computer l'istruzione programmata incontra lo strumento idoneo per una sua espansione.

L' “IBM 650 Inquiry Station” fu uno dei primi modelli di “teaching machine” sviluppato dal colosso informatico interfacciando una macchina da scrivere e un calcolatore digitale dell'epoca. (La foto di seguito e' piuttosto impressionante, soprattutto se si tiene conto del fatto che il calcolatore occupa l'intera stanza.

All'epoca l'istruzione programmata avrebbe richiesto una stanza e un calcolatore per ogni singolo discente. http://ed-thelen.org/comp-hist/BRL61-0350.jpg .
L'esperienza accumulata attraverso le schede programmate di cui parlava Planque, venne dunque implementata nei programmi CBT (Computer Based Training).

IBM si occupo' di sviluppare, fin dai primi anni '50, un linguaggio di programmazione dedicato all'istruzione programmata che si chiamava coursewriter. Nel 1964 veniva lanciata dalla Rank una curiosa macchina per insegnare chiamata alternativamente “Discovery Machine” o ERE (Edison Responsive Environment). L'apparecchio, che pretendeva di insegnare a leggere e a scrivere a un bambino di tre anni senza l'aiuto degli insegnanti, consisteva di una tastiera simile a quella di una macchina da scrivere, corredata di uno schermo.

Lo schermo proponeva delle parole, per esempio “cat”, che il bambino doveva copiare digitando sulla tastiera. Nel nostro caso all'avvio dell'esercizio tutti i tasti, esclusa la “C”, venivano preventivamente bloccati. Effettuata l'unica pressione possibile, quella corretta, la C veniva bloccata mentre la A diveniva l'unico tasto avviabile, e così via. A questo indirizzo potete trovare un'immagine dell'ERE: http://www.rudner.com/timeline/1964.htm In tutte le varieta' di programmi di istruzione programmata viene riproposta in forme diverse un'idea di apprendimento basata sul criterio delle “linee di produzione”.

Un esempio: nel 1967 veniva fondata la CCC (Computer Curriculum Corporation) che in collaborazione con IBM sviluppava un sistema didattico in cui i materiali erano organizzati in ventiquattro blocchi. Ciascun blocco aveva a sua volta sei diversi livelli di difficolta'. Ogni blocco iniziava con un test introduttivo, che serviva a valutare l'idoneita' dello studente al livello di difficoltà del blocco.

Gli studenti venivano istruiti per cinque giorni consecutivi e i risultati di ciascun giorno determinavano i blocchi da affrontare il giorno successivo. Ogni blocco si concludeva con un test, e qualora lo studente non fosse stato in grado di superarlo veniva rispedito all'inizio del blocco.

Il florilegio di software applicativi per lo sviluppo di programmi didattici (dal glorioso Tencore a Toolbook) cui abbiamo assistito tra gli anni '80 e '90 non ha determinato mutamenti sostanziali a questa concezione gerarchizzata dell'apprendimento. Per quanto numerose siano le varieta' di prodotti, e per quanto ampia sia la ricerca nel settore, la conoscenza viene riproposta come un processo di progressivo “assemblaggio” verso livelli di complessità crescente.

Nonostante il relativo successo di questo modello educativo, paradossalmente, sara' proprio l'avvento dell'informatica di massa, come vedremo, a metterlo in discussione. Vi sono alcune questioni che hanno tuttavia resistito alle critiche successive. Una riguarda il fatto che l'istruzione attraverso le teaching machine può essere “personalizzata” dall'insegnante.

L'argomento e' stato spesso sostenuto in chiave “democratica” per affermare una didattica che tenga conto dei livelli di partenza dei discenti e delle differenze individuali. I criteri temporali di gestione collettiva dell'insegnamento, in base ai quali tutta la classe deve procedere all'unisono con i programmi, possono essere messi in discussione dalle “teaching machine”, che permettono a ciascuno di procedere al proprio ritmo di apprendimento. Il docente puo' in tal modo valutare i progressi individuali dando valore anche all'impegno di quelli che partono con minori conoscenze.

L'argomento, sebbene persuasivo, non era particolarmente caro a Skinner, che ne fece un uso piuttosto limitato. Forse perche' intuiva che il vero fantasma era nascosto nella gestione delle teaching machine: se l'insegnante automatico viene tirato via dal contesto della classe e utilizzato dallo studente in modo autonomo, fuori dal controllo, non solo vengono meno i criteri temporali di gestione dell'insegnamento, ma l'intera organizzazione didattica inizia a traballare. In altri termini la personalizzazione dell'apprendimento può scavalcare la didattica, distanziarsene, portarsi del tutto fuori dal recinto.

L'insegnante artificiale, dotato di pazienza infinita e sostanzialmente infallibile rischia di svelare i limiti dell'insegnante umano, di desincronizzare i ritmi di apprendimento stabiliti nei programmi scolastici, di forzare le tappe definite dalle teorie dello sviluppo. Quando questo avviene ad essere violato non e' solo l'andamento “normale” dell'apprendimento secondo la teoria di questo o quello, in realta' ad essere messa in discussione e' l'autorita' del corpo insegnante e il suo potere di controllo sull'apprendimento.

Nell'ambientalismo di Skinner questo non sarebbe potuto avvenire in linea di principio, in quanto mancavano quei “rinforzi” che nella sua concezione costituiscono l'unica spinta per lo studente ad affrontare l'apprendimento. E i rinforzi vengono somministrati dall'insegnante (naturale o artificiale). Un coinvolgimento spontaneo da parte dello studente nei confronti dell'apprendimento, nella teoria, era dunque escluso a priori.

Ma il pericolo, se lo vogliamo chiamare cosi', iniziera' a prendere maggior consistenza con la crisi del behaviorismo e con l'avanzare della teoria cognitivista. In un certo senso un aspetto “mostruoso” dei ragazzi che apprendono dalle macchine e' racchiuso in questa possibilita'.

La parte maledetta dell'apprendimento e' nascosta in un elemento di piacere, di gratificazione, che sembra sfuggire completamente dalle logiche produttive e dai sistemi in cui esse vengono inscatolate. Non deve sorprendere il fatto che uno dei più brillanti e accreditati pionieri della pedagogia informatica, Seymour Papert, arrivi a rovesciare completamente i termini del problema.

Papert non solo effettua una critica radicale al modello educativo inteso come linea di produzione, come assemblaggio progressivo di pezzi ispirato alla fabbrica fordista ma, gia' nei primi anni '80, si spinge a sostenere che: “Sempre piu' in futuro, singoli individui possiederanno il loro elaboratore, per cui il potere di scegliere i modelli d'educazione tornerà gradualmente ad essi.

L'educazione diverra' piu' che mai un affare privato e chi avra' idee valide, idee alternative, idee stimolanti non avra' da affrontare il solito dilemma: 'vendere' le proprie idee a una burocrazia conservatrice oppure accantonarle. Potra' offrirle in un mercato aperto direttamente ai consumatori”. In un senso abbastanza preciso qui Papert insiste sull'elemento “autistico” dell'intelligenza, indicandolo come una possibilita' di emancipazione.

Resta inteso che Papert ha una teoria dell'apprendimento molto socievole, comunitaria, ispirata alle “scuole di samba” brasiliane, ma evidentemente considera la pressione burocratica talmente forte da rendere indispensabile quello che con linguaggio di “approdo” si potrebbe definire un esodo delle singolarita'.

Qui siamo agli antipodi di una concezione come quella behaviorista. Soprattutto perche' nella prospettiva behaviorista un apprendimento “autistico” che non sia telecomandato attraverso stimoli e rinforzi” e' del tutto inconcepibile. Forse Marco Revelli ha saputo cogliere meglio di altri la natura del problema quando, pensando ai pionieri dell'informatica di massa, scrive: “Quello che li univa, e li rendeva simili, era il carattere prevalentemente 'non strumentale' dell'agire, il suo essere - almeno inizialmente - apparentemente privo di uno scopo: quantomeno di uno scopo inscrivibile nel repertorio codificato dell'economia formale.

E' dunque il suo collocarsi al di fuori del mondo totalizzante e pietrificato del lavoro produttivo - dell'attivita' destinata esclusivamente alla produzione di valore di scambio.” Ma accanto a questo fenomeno c'e' quello, altrettanto importante, della 'chiusura' intellettualmente produttiva.

Come vanno interpretati i racconti di Stallman circa la sua vita nel laboratorio di Intelligenza Artificiale? “Capitava di frequente che qualcuno vi si addormentasse, altro effetto dell'entusiasmo; stai davanti al monitor fino allo stremo delle forze perche' non vuoi smettere, e quando sei completamente esausto non fai altro che distenderti sulla superficie morbida e orizzontale piu' vicina” Il lavoro mentale non necessariamente avviene grazie all'azione di “rinforzi” esterni, una sorta di “inneschi” che fanno la gioia dei pubblicitari, ma piu' spesso e' espressione di processi interni in gran parte “chiusi” .

Tanto che Papert, rileggendo Poincare', si interroga sul fenomeno, indagato dal grande scienziato, per cui “la soluzione di un problema al quale si era precedentemente lavorato spesso si presenti alla nostra coscienza inaspettatamente, quasi gia' formulata, come se fosse il prodotto di una parte nascosta della mente”. Qui evidentemente dell'istantaneita' del “rinforzo” non sappiamo cosa farcene. Emerge invece in tutta la sua portata il problema di un inconscio cognitivo, di processi di apprendimento latenti, privi di qualsiasi connessione apparente con l'istantaneita' dell'apprendimento strumentale.

Cio' che a me pare rimarchevole e' che la vicenda personale di Torvalds e di Stallman indica in entrambi una forte propensione all'isolamento creativo, come si trattasse anche di un esplicito movimento di sottrazione da chi vuole controllarti con il “telecomando”. Stallman e' un tipo che riesce a programmare senza interruzione per dodici ore consecutive.

E nel suo caso i “rinforzi”, soprattutto in certe fasi, devono essere stati assai pochini. E badate che qui si individua il nesso cruciale tra “privacy” e libera iniziativa. E non e' un nesso formale, giuridico e politico, ma sostanziale. L'individualismo sano del programmatore che sviluppa software libero non e' altro che una pernacchia all'indirizzo del “collettivismo” del capitale, che non ammette altra forma di intelligenza che non sia quella direttamente subordinata alle sue leggi.

Probabilmente Foucault, quando inizio' a dedicarsi alle tecnologie del se', guardava piu' lontano di quello che puo' parere ad uno sguardo di superficie. Per quello che riguarda la foga antigiovanilistica, mi chiedo allora se siamo davvero in grado di avere una comprensione “piena” di quale sia la pressione che viene esercitata sui ragazzi da un sistema che cerca di addomesticare l'innovazione informatica secondo le coordinate del neoliberismo imperante.

Quando Papert denuncia la didattica informatizzata “commerciale” intende affermare che il vero problema e' che la proposta didattica, inscatolata in programmi chiusi in forma di “black-box”, asseconda completamente la didattica pre-informatica, aumentando la separazione, gia' drammatica, tra chi insegna, detentore dei segreti di gestione del programma, e chi apprende, costretto al ruolo di scimmia ammaestrata.

Cio' che apprezzo in modo particolare del lavoro di Papert, e che manca nella nostra cultura, e' il riconoscimento di un piano “metacognitivo” in cui si può riflettere sull'apprendimento, sulle diverse forme in cui si viene ad articolare. Tra apprendimento della scatola nera o nella scatola nera e l'apprendimento “dalla” scatola nera corre una differenza sostanziale. Saper distinguere aiuta a capire la natura di molti problemi e puo’ risolvere diverse difficolta’.

Vi saluto amici

vostro Rattus Norvegicus Albinus

[*] Dietro lo pseudonimo di Rattus Norvegicus si nasconde uno studioso del comportamento umano e animale, psicologo sperimentale per formazione, che scruta gli scenari del lavoro immateriale e flessibile con sguardo da antropologo. Seguendo per necessita' e per virtu' il metodo dell'osservazione partecipante si è occupato per anni di interfacce uomo-macchina, di videogiochi, di Intelligenza Artificiale, di didattica
informatizzata, di ausili informatici per disabili.

Ha collaborato con numerose riviste tra cui Cyberzone, Informazione in Psicologia, "Musica!" e con innumerevoli aziende tra cui Ipermedia, Bitnet, Dedalo, Numerica, I.Li.Tec, Hochfeiler sistemi.
Ha tenuto conferenze e seminari presso biblioteche pubbliche, cattedre
universitarie e associazioni culturali.

E' una delle 'gole profonde' della lista Rekombinant e i suoi scritti sono
disseminati ovunque nel web per un curioso fenomeno di tam tam di rete.

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