Insegnare oggi musica
classica?
|
Insegnare oggi musica
classica?
di Leonardo Taschera Linterrogativo non è retorico. Me lo pongo da parecchi anni e lo pongo ora perché da parecchi segni ritengo che il problema che ne è allorigine stia venendo, con ogni evidenza, a maturazione. Sgombero subito il campo da possibili equivoci. Linterrogativo non nasce da un disagio di tipo revisionista: non metto cioè in discussione il valore attribuito dalla tradizione alla cosiddetta Grande Musica, così come non mi sognerei di mettere in discussione il valore attribuito alla Poesia, o alla Letteratura, o al Teatro, piuttosto che allarte figurativa in generale (da notare che in tali ambiti laggettivo grande non è così frequentato). Il problema allorigine dellinterrogativo nasce dallo statuto, se così si può chiamarlo, delle discipline musicali che richiedono, a chi le pratica, un fare e un saper fare finalizzati alla realizzazione di un evento, di una performance, comunque di un accadimento di cui il musico pratico è immediatamente o mediatamente attore: immediatamente, relativamente al momento esecutivo o improvvisativo, e mediatamente, relativamente al momento ideativo e progettuale che rinvia necessariamente al primo. E levento, in quanto tale, non può che essere realizzato in funzione di una sua qualsivoglia destinazione in ambito sociale: dallambito seppur ristretto del diletto privato del singolo - non importa se solitario pastore con il suo rudimentale flauto o raffinato uomo di cultura alla Schopenauer - a quello un poco più allargato del diletto salottiero (penso alla pratica di musica nella borghesia ottocentesca), a quello del diletto della corte settecentesca piuttosto che, nellambito della cultura contadina (ammesso che da qualche parte sopravviva) dellaia alla fine di una giornata di lavoro, a quello del rito allinterno delle varie rappresentazioni religiose del mondo, per arrivare alla moderna concezione della manifestazione musicale, non importa se nellhortus conclusus della sala da concerto o nella situazione oceanica tipo isola di Whigt. In ogni caso, a parte il caso del diletto del singolo, la partecipazione allevento musicale, sia relativamente alle aspettative di chi ne è attore a livello progettuale o realizzativo, sia relativamente a quelle di chi ne è spettatore, si attua nei modi di convenienze e abitudini sociali, seppur variegate dalla molteplicità delle appartenenze. E i gruppi sociali dappartenenza giocano allinterno di un continuo feed-back con i diversi generi di eventi musicali che esprimono e a cui, di conseguenza, è possibile attribuire molteplicità di sensi e contenuti simbolici. Se questa è la premessa qual è allora loggetto dellinsegnamento musicale, quanto meno nellambito a ciò istituzionalmente delegato? Si dà per scontato che i primi approcci alla musica avvengano attraverso una iniziazione al sonar stromenti, o al cantare: solo in un secondo momento lentrata, per dir così, nella musica si traduce, a seconda delle inclinazioni, in attività riflessiva o compositiva. Tutto questo avviene allinterno di una e una sola tradizione culturale - quella che fa appunto entrare in gioco la categoria di classico- e ciò, a sua volta, non solo perché si ritiene che quella tradizione sia, o sia stata, espressione di un vertice di civiltà, e quindi portatrice di una ricca e complessa stratificazione di contenuti simbolici cui versare un doveroso tributo di memoria, ma anche perché quel repertorio più di altri si presta a una metodica appropriazione della padronanza tecnico-strumentale o vocale. Mi si consenta una piccola diversione in territorio storico-teorico. Vorrei ricordare che la lunga marcia della musica strumentale che finisce per essere oggetto privilegiato di ascolto nel concerto di musica classica interagisce e interdipende sia con levoluzione organologica degli strumenti che ne sono la sostanza sonora, sia con levoluzione del sistema tonale. Lapproccio allo studio della musica al di là o al di qua della sua collocazione in un assetto socio-economico-culturale che potesse determinarne i modi consentiva che lo studio dello strumento e quello del sistema di regole in cui la pratica di musica si realizzava fossero un tuttuno nel processo di apprendimento, talché il passaggio dal sonare al fare una fuga, per esempio (distinzione proposta da Le Bègue, organista dellepoca di Luigi XIV), non richiedeva percorsi dapprendimento separati. Fornisco due esempi. Nel suo epistolario Mozart racconta di una accademia (come venivano chiamate le esibizioni dei musicisti fuori dalla corte di appartenenza) in cui, dopo lesecuzione di proprie musiche, viene invitato a realizzare allimpronta una fuga su tema proposto dal pubblico: esempio di continuum da una parte tra momento esecutivo-interpretativo e momento ideativo, e dallaltra tra pratica di musica e ascoltatori (la destinazione sociale di cui sopra). E abbiamo raggiunto il nodo del problema. È ormai un luogo comune, credo condiviso anche dai non addetti ai lavori seppur beninteso cultori della Grande Musica , laffermazione che lo scorcio del XIX secolo ha visto implodere il sistema tonale come preludio a una sorta di diaspora delle varie paroles , saussurianamente parlando, rispetto alla langue comune. E il XX secolo ha visto la definitiva rottura di tutti gli aspetti di quel continuum di cui parlavo prima: nella pratica di musica a livello istituzionale il percorso formativo del musicista esecutore-interprete è separato da quello del compositore - salvo, naturalmente, le dovute eccezioni - così come sono, di norma, separati i relativi sbocchi professionali; tra musicista-compositore e pubblico non cè mediamente possibilità di interlocuzione, per mancanza - anche se la cosa andrebbe approfondita con uno specifico intervento - della condivisione di unarea comune di linguaggio, nel senso cioè che il solo ascolto non consente per lo più lappropriazione dei nessi che regolano il codice dellevento musicale ascoltato; non parliamo poi della separazione tra tutte le varie sfaccettature della world-music e la produzione musicale che si ritiene erede della tradizione classica. Sociologi della musica o comunque altri meglio di me potrebbero illustrare, dal loro vertice di osservazione, una quantità di nessi causali che possono spiegare questa situazione. Io mi limito a richiamare lattenzione su uno di questi: la concezione di arte, quantomeno in ambito musicale, così come di fatto è venuta consolidandosi da Wagner in avanti. Concezione sostanzialmente ereditata dal romanticismo e dallidealismo, come espressione di un campo di produzione di oggetti-eventi non necessariamente agganciata a una loro riconoscibilità e quindi fruibilità da parte di un pubblico qualsivoglia o gruppo dappartenenza che sia. La concezione dellarte musicale, come poi Schoenberg la teorizzerà più avanti, considera la produzione dei propri oggetti totalmente svincolata da un suo possibile riconoscimento fuori di sé medesima, vincolata solo dalla logica costruttiva tuttal più indirizzata a contribuire, mattone dopo mattone, alla costruzione delledificio dellartisticità stessa, autoreferenziata in quanto a definirsi tale. Quanto poi ciò sia in grado di consentire a un qualsiasi gruppo di appartenenza di convogliare sulloggetto-evento musicale attribuzioni di senso e contenuti simbolici condivisi, rimane un problema aperto. In questa situazione, seppur qui tratteggiata per sommi capi, e intenzionalmente illustrata al fine di stimolare altri interrogativi oltre a quello che mi ha dato lo spunto a questintervento, insegnare e imparare musica, in ambito istituzionale, rischia di diventare unattività schizofrenogenetica. Infatti lapprendimento strumentale si basa, per le ragioni che prima abbiamo detto, sulla pratica di un repertorio sostanzialmente caratterizzato dalla sua appartenenza al campo del sistema tonale, o immediatamente limitrofo, quello appunto che viene definito classico, e le escursioni nel campo della contemporaneità sono per lo più sporadiche e non costituiscono una realistica prospettiva professionale. Dal canto suo lapprendimento delle tecniche compositive non è rivolto alla produzione di eventi musicali spendibili in un contesto sociale, ma alla produzione di eventi congruenti con quella concezione dellartisticità che prima ho cercato di tratteggiare. Si potrebbe quasi dire che lo studio della composizione mostra di avere caratteristiche analoghe a quelle della ricerca scientifica, senza però quegli anelli di congiunzione che gli consenta una ricaduta sui possibili campi di applicazione, quali in ambito scientifico sono, per esempio, le applicazioni tecnologiche. Il concerto di musica contemporanea assomiglia più ad un convegno di studiosi che valuta i progressi di una disciplina che alla realizzazione di un evento musicale significativo sul piano della crescita culturale di un qualsivoglia gruppo sociale di riferimento. A fronte di questa situazione sappiamo tutti cosa succede nellambito della World Music, e non credo che ci sia necessità di illustrarlo. Basti pensare al concerto di Paul McCartney ai Fori Imperiali, evento che non credo si possa liquidare come risultato della mercificazione del fatto di musica. Che fare allora, insegnare comunque musica classica? Non credo che, per esempio, imparare a fare lattore significhi solo imparare a recitare questo o quellaltro autore, ma anche e semmai imparare a gestire lo spazio drammatico in funzione di qualsiasi evento lo riguardi, financo a saper intervenire per modellarlo. In tale prospettiva la rivisitazione dei classici, se non vuole limitarsi ad assolvere una pur rispettabilissima funzione museologica, deve immediatamente interagire con la pratica della produzione musicale contemporanea, non tanto come allargamento del repertorio, quanto come apertura verso organizzazioni sistemiche diverse dello spazio sonoro e come studio dei nessi tra i nuovi sistemi e ciò che li lega alla tradizione classica. Tale prospettiva non deve, a parer mio, escludere la contaminazione con generi appartenenti alla WorldMusic. Ciò per varie ragioni che qui brevemente tratteggio. Per quanto siano profonde le differenze tra linguaggio verbale e linguaggio musicale, pur si conviene che condividano sia il fatto che si organizzino attraverso lelaborazione di codici, sia il fatto che possano essere considerati sistemi di comunicazione in grado di veicolare, come ho già accennato, sensi e simboli. Nei primi approcci allo studio della lingua, pur anco nei suoi aspetti letterari o poetici, nessuno credo oggi si sognerebbe di utilizzare Boccaccio piuttosto che Ariosto o Ippolito Nievo. I rapporti poi tra questa sorta di lingua madre e i classici non sono così peregrini quanto si potrebbe credere: la World-Music, quanto meno quella che è espressione del mondo occidentale, è organizzata sostanzialmente ancora attraverso il sistema tonale, e quindi le più frequentate categorie che la strutturano la avvicinano ai classici molto più di quanto non avvenga tra produzione contemporanea colta e i classici stessi. Unultima considerazione, a proposito dellopportunità di operare contaminazioni tra linguaggi musicali. Prima dicevo che mai come oggi il solco tra musica di tradizione colta e musica duso, o comunque la si voglia chiamare, è stato così profondo. Ma a ben vedere - anzi, a ben ascoltare il solco non è così profondo, o quantomeno è colmabile in alcuni punti. Limplosione del sistema tonale sullo scorcio del XIX secolo non ha prodotto solo la diaspora di cui sè detto. Ha dato luogo anche a una ricerca nellambito dellutilizzo e dellorganizzazione di nuovi materiali sonori. E qui bisognerebbe organizzare un altro tavolo di discussione sulle categorie che strutturano il linguaggio musicale, tra le quali quella del timbro, strettamente connessa alla ricerca di cui dicevo, sembra essere dominante nellorganizzazione dei fatti di musica lungo il XX secolo.
________________________________________________________ Intervento pronunciato alla tavola rotonda "Oltre il concerto. Dove va la musica classica?" promosso dall'Associazione per l'Abolizione del Solfeggio Parlato il 16 maggio 2003 presso il Conservatorio di Milano. |