Firenze, 19 giugno: un contributo alla discussione


Qualunque discorso sul futuro della lotta contro la riforma, che è poi la lotta per la scuola, per difendere il senso del lavoro a cui siamo legati e del luogo in cui i nostri figli e figlie stanno crescendo, non può limitarsi ad immaginare prossime scadenze (necessarie) di mobilitazione senza prima fare i conti con quello che abbiamo vissuto finora. Stiamo parlando di un percorso di quasi dieci mesi, di manifestazioni di piazza, di estenuanti riunioni negli organi collegiali, di straordinarie, faticose e difficili relazioni umane; di riunioni quasi carbonare e di assemblee affollatissime, di speranze, vittorie e delusioni; di ritmi di vita sconvolti da un impegno che molti non militanti fanno fatica a sostenere e che molti militanti hanno dovuto rivisitare mettendosi spesso in discussione. E' bene non dimenticare questi ed altri aspetti di un'esperienza di movimento reale (e quindi di per sé nuova, ricca, fragile e contraddittoria) anche quando, come penso si debba fare, si fanno necessariamente i conti con quanto effettivamente è passato della riforma nelle scuole o su quanto sia stata respinta. Sapendo bene che i conti spesso non parlano delle cose che contano (niente potrà toglierci quello che abbiamo vissuto in questi mesi) è bene comunque misurarci con alcune questioni di "bilancio" e farsi alcune domande.
Che tipo di situazione troviamo nelle scuole? Qual è lo stato di salute della riforma Moratti? Possiamo dire che la riforma non è ancora passata? Le risposte a queste domande (che riguardano evidentemente la scuola di base, l'unica investita dal movimento) non sono semplici, perché il movimento non è in grado di avere un dato quantitativo della situazione, nemmeno in molte città dove ha espresso nei mesi scorsi una presenza consistente e prestigiosa. Possiamo dire che abbiamo una percezione di massima della situazione, che si fonda sulle realtà che hanno preso la parola in questi mesi e sulla base di questa percezione possiamo azzardare un'analisi.
1) Esistono scuole dove la riforma Moratti è passata nei suoi aspetti formali e sostanziali. In queste scuole sono state attivate le modalità orarie e organizzative del primo decreto, sono state avviate procedure formali, commissioni, gruppi di lavoro, modifiche del pof, per inserire la funzione tutoriale, la personalizzazione e il portfolio, l'applicazione delle indicazioni nazionali. Abbiamo la percezione che queste "scuole riformate" (che si trovano perfino a Bologna, a Milano e in altre "culle" del movimento) siano comunque una minoranza delle scuole italiane. Quanto sia consistente questa minoranza non siamo in grado di saperlo, perché al di là di quello che ci raccontano colleghe o genitori che hanno "sofferto" queste situazioni, è difficile per definizione contare le numerose scuole che non hanno "preso la parola" nelle nostre reti (anche se non necessariamente il silenzio vuol dire assenso). E' evidente che queste situazioni possono venire reintegrate in un orizzonte diverso solo all'interno di una sconfitta della riforma. O salta la legge 53 o queste scuole sono le cavie dell'esperimento morattiano.
2) Esistono scuole dove la riforma Moratti non è passata nella forma e nella sostanza: sono le scuole dove è stata deliberata la conferma dei modelli orari e organizzativi preriforma, dove sono state approvate delibere radicali per il rifiuto del tutor, dove sono aumentate rispetto al passato le adozioni alternative, dove sono state contestate le indicazioni nazionali. Abbiamo la percezione che queste scuole "liberate", per usare l'espressione di Gianluca, (che, attenzione, esistono anche lontane o ai margini delle rete dei movimenti) siano un'altra minoranza, il cuore della protesta, il pugno allo stomaco delle burocrazie scolastico-ministeriali, le cavie per il movimento di tutto quello che si può fare per fermare la riforma. Attenzione però, anche alcune di queste scuole, che hanno resistito a pressioni, minacce e lusinghe accomodanti, hanno un punto critico di debolezza: si tratta del taglio degli organici, che rischia di mandare in pezzi uno degli aspetti più qualificanti di una scuola non riformata, cioè la tenuta del modello orario e didattico-organizzativo. (2 insegnanti per classe + compresenze etc.). In questi casi la scelta di dire no a una nuova classe, se questo significa "modularizzare un tempo pieno" o rinunciare alle compresenze, è certamente dolorosissima, ma è probabilmente necessaria, per non rendere irreversibile un processo di liquidazione del tempo pieno. In ogni caso, anche nelle situazioni di massima tenuta, la prospettiva non può essere soltanto quella di ripetere un percorso già fatto, sempre sotto la tagliola di finanziarie che tagliano gli organici, delle nuove circolari sulle prossime iscrizioni etc. Anche qui, se la legge 53 non salta perderemo pezzi di scuola per strada.
3) Esistono scuole dove non è possibile dare una risposta univoca alla domanda se sia o no passata la riforma. Sono le scuole in cui esistono le situazioni più differenziate, e sarebbe impossibile elencare tutte le varianti senza esprimersi in termini di "non applicazione temporanea" "applicazione formale ma non sostanziale", "posizione d'attesa", "non applicazione formale ma applicazione sostanziale" (delibere toste e soluzioni all'italiana.). Sono ad esempio le scuole in cui si può essere contro la riforma ma partecipare ai gruppi di lavoro per applicarla (naturalmente per criticarla o addirittura per ridurne il danno.). Sono le scuole in cui la personalizzazione si scrive nel pof ma poi "si fa come si è sempre fatto". Sono le scuole (ebbene sì) del famoso "tutti tutor", ma anche quelle che non hanno ancora deliberato niente sul tutor, tanto "vediamo che succede a settembre". Sono le scuole dove si dice "la riforma è legge, dobbiamo applicarla", e poi, per salvare il tempo pieno preriforma si tace ai genitori delle prime classi del modulo che hanno diritto fino a 30 ore. Abbiamo la percezione che queste scuole, che chiameremo le "scuole dell'autonomia per eccellenza", rappresentino a loro volta un'altra probabilmente ampia minoranza. In diverse di queste scuole per altro si trovano più che in altre esempi preesistenti alla riforma di tempi pieni "anomali" o altri compromessi pedagogico-organizzativi causati dai precedenti tagli. Ora, non voglio assolutamente assumere un atteggiamento superficiale o derisorio per realtà che so essere difficili, laceranti e complesse (anche se qualche volta mi incazzo, però). Riconosco che tante colleghe hanno tentato comunque di tenere il più aperta possibile una situazione anche accettando compromessi, nella speranza che qualcosa a livello generale cambiasse. La cosa però che dobbiamo avere presente, e che riguarda tutte e tutti noi, è che c'è un modo in cui la riforma rischia di passare in ogni modo: quello di mettere in moto mille modelli di scuola (pubblica?) possibili, in una sorta di "deregulation" che, combinata con il taglio delle risorse, ci porti ad un progressivo svuotamento di senso di un progetto educativo unitario di scuola pubblica. Penso quindi che l'integrazione di queste scuole nel fronte più "intransigente" di lotta alla riforma sia vitale, a partire dalle prossime scadenze, anche istituzionali, di settembre ottobre. E' perfino banale aggiungere che meno la riforma funziona nei fatti, più è credibile la richiesta di abrogazione.
Alla luce di questa sommaria (e pure lunga) analisi credo che i nostri passi successivi debbano confrontarsi con una realtà diversa dall'anno passato e anche con le dinamiche molto particolari dei movimenti, che se sono reali sono anche difficilmente prevedibili, prova ne sia che le grandi "esplosioni" si sono collocate in luoghi e momenti diversi nel corso dell'anno (a Bologna in autunno e inverno, a Roma in gennaio e febbraio, a Milano in febbraio e marzo, a Genova e Venezia in primavera.). I limiti di una peraltro necessaria e vitale battaglia "istituzionale" dentro gli organi collegiali sono chiari a tutte e tutti noi, proprio perché si espongono comunque al rischio di una frammentazione di tanti modelli di "scuola dell'autonomia" pericolosamente contigua all'arte di arrangiarsi. Per questo credo che la costruzione dello sciopero generale della scuola esclusivamente contro la riforma sia una strada obbligata da percorrere, sapendo che gli ostacoli che ci verranno frapposti saranno anche più consistenti che in passato (basti pensare, dopo la barzelletta dello sciopero del pubblico impiego del 21 maggio, alla scadenza del biennio contrattuale e ai prevedibili tentativi di "sindacalizzazione" del movimento). La battaglia istituzionale (contro il tutor e gli altri aspetti applicativi della riforma) e quella per lo sciopero rischiano a loro volta di rendere protagonista solo chi lavora dentro la scuola, mentre noi sappiamo che la forza di questo movimento (quello che lo ha fatto diventare movimento) è stata la presenza dei genitori. Quindi la "campagna d'autunno" deve prevedere uno sforzo creativo di integrare i genitori in forme di mobilitazione, protesta simbolica, ricorsi legali, pubblicazioni, feste e chi più ne ha più ne metta. I mesi che vanno dall'inizio dell'anno scolastico alle iscrizioni di gennaio (con in mezzo una finanziaria) sono quelli più importanti. Non dimentichiamo che l'aver mantenuto l'organico per un anno e il riconoscimento delle 40 ore (vittorie parzialissime ma non per questo vittorie di Pirro) non è poca cosa, se non altro perché ci dice quanto può pesare la piazza dei genitori anche su decisioni di governo. Silvio, a differenza della cosiddetta opposizione, sa che la scuola è importante, sa che la scuola può muovere voti. Sa che "con tutto quello che ha fatto per noi" può pagare dazio anche lui.
I movimenti non vanno a comando, con tutti gli sforzi che possono fare le persone più impegnate nel lavoro di "agitazione e propaganda". Quindi la riapertura dell'anno scolastico è una scommessa comunque. Però, però. Credo che responsabilmente quando i comitati e coordinamenti torneranno ad essere tali, cioè a scuole aperte, potremo tentare di fare la proposta di un giorno simbolico (il primo ottobre di antica memoria, o l'8 o il 15, come vi pare,) in cui dalle scuole italiane, dalle strade di tante città del sud, del nord e del centro, parta un segnale forte e chiaro contro la riforma. In alcuni casi sarebbe un momento di partenza, in altri uno sbocco di altre iniziative già avviate, in tutti i casi sarebbe comunque un momento che accompagnerebbe la battaglia nei collegi e la costruzione dello sciopero generale (punto sul quale sarebbe il caso di discutere con molta attenzione, anche perché implica rapporti e relazioni con altri ordini di scuola, altri soggetti organizzati e, speriamolo, altri movimenti).
Per finire (tanto se mi avete seguito fin qui siete proprio da sposare!) sulle modalità dell'incontro di Firenze dico anch'io la mia. Mi troverei meglio in una discussione a tutto campo in cui non ci disperdessimo sul racconto delle esperienze locali, cui si può tranquillamente far riferimento a sostegno delle proprie argomentazioni, domande o dubbi senza bisogno, come abbiamo fatto altre volte a Bologna o a Milano, di impiegare una parte eccessiva di tempo per riassumere cose che in parte sono già note attraverso le reti. Siccome non dobbiamo costruire una linea e un comitato centrale ma invece spararci addosso idee, domande, suggerimenti, analisi e proposte, sono perché tutto sia messo in comune con un paio di verbalizzatori tosti. Le commissioni mi sembrano più adatte quando c'è più tempo. Magari a metà giornata potremmo insieme scegliere i due tre argomenti su cui concentrare la discussione.
Sperando che questo non sia il mio lungo addio al movimento (non so se sono in grado di reggere un altro anno come questo), un grandissimo abbraccio a tutte e tutti quelli che non vedrò di persona sabato 19 a Firenze. E complimenti, siete/siamo stati grandi!

Mirco Pieralisi (Bologna)