Bologna
Parto dall'intervento di Mirco, che in un passaggio mette in guardia dal rischio che la riforma metta in moto una molteplicità di modelli di scuola che porta a un "progressivo svuotamento di senso di un progetto educativo unitario di scuola pubblica". Mi sembra un punto centrale. Finora abbiamo condotto una battaglia di tipo difensivo, e non poteva essere altrimenti, ma temo che se rimaniamo ancorati a questa prospettiva - che pure è decisiva - il movimento non potrà reggere a lungo. Lo dico con realismo e non con pessimismo. Abbiamo difeso il fondamento stesso della scuola pubblica, perché è questo, in definitiva, che viene minacciato, però non ci siamo mai nascosti i problemi di quel modello: il tempo pieno, ad esempio, rischia di diventare (da qualche parte è già diventato) un tempo lungo senza progetto. Allora credo sia importante che tutto il patrimonio di mobilitazioni e idee cresciuto in questi mesi così febbrili non si impoverisca, e ciò potrebbe accadere se lo utilizzassimo solo per costruire trincee. Il nostro non è stato un movimento di conservazione: abbiamo messo sotto gli occhi di tutti quello che secondo noi è un punto di non ritorno, una frontiera al di là della quale diventa impossibile l'idea stessa di una comuntà educativa plurale e democratica. Però non dobbiamo morire sulle barricate per difendere qualcosa che noi stessi pensiamo sia da riformare, anche se in direzione opposta rispetto a quella individuata dall'attuale Governo. Adesso possiamo rivendicare un ruolo di progettazione. Voglio dire che nel prossimo anno scolastico, mentre continueremo le battaglie nelle scuole e nelle città per impedire o ostacolare l'applicazione della riforma, dovremmo mettere in campo un lungo ma ben definito percorso per elaborare non una "riforma alternativa", ma un progetto che definisca con chiarezza alcuni punti cruciali della scuola pubblica che vogliamo rispetto ai temi su cui abbiamo costruito la mobilitazione: statuto del tempo pieno, principio di collegialità dell'insegnamento e rifiuto della gerarchizzazione degli insegnanti, uniformità dei modelli educativi, etc. Non un pezzo di carta, però (mozione, petizione, ...), ma qualcosa di più. Penso ad esempio a un progetto di legge di iniziativa popolare, strumento previsto dalla nostra Costituzione e assai raramente utilizzato. Noi potremmo avere la forza per farlo, raggiungendo tre obiettivi: consolidare e far crescere il movimento nella consapevolezza che il suo ruolo non è più solo (anche se non è poco) di resistenza, ma anche di progettazione; aprire un altro fronte di conflitto con l'attuale governo, al quale qualche difficoltà l'abbiamo creata (e non è poco, visto che si tratta di un movimento di base); creare una solida base di confronto nella prospettiva (incerta ma auspicabile) del mutamento della maggioranza politica, che - come sappiamo (e non mi dilungherò ora su questo) - non ci garantisce affatto sul fronte delle politiche scolastiche. Di certo, però, una maggioranza di centrosinistra non potrebbe permettersi di ignorare una simile proposta e sarebbe obbligata a misurarsi con essa. Mi sembra che una proposta del genere sia perfettamente coerente con il nostro percorso. Il nostro è un movimento che parte dalle relazioni costruite nelle singole scuole tra gli insegnanti, i genitori e i bambini. La sua novità e la sua forza stanno proprio qui: non si tratta di una battaglia ideologica. Su queste relazioni può essere costruita una pratica politica che mette in difficoltà la politica istituzionale, che - anche quando ci ha appoggiato - lo ha fatto in maniera debole, episodica e contraddittoria. Possiamo mostrare la reale possibilità di una forma di autogoverno, la capacità di scrivere le norme e non solo di contestarle. Spero che nei nostri prossimi incontri potremo approfondire questi temi.
Un caro saluto a tutti.M. Boarelli