Chiara Strozzieri
Storico e critico d’arte

Le Nove Vite di un Bidone

Mai come in questo momento storico il mondo dell’arte a livello sia nazionale, che internazionale viene rimpinzato costantemente di ricerche diverse, che hanno in comune solo la maniera di essere valvola di sfogo per autori senza coscienza, aditi a imbrattare la tela privi di un giusto pensiero di fondo. In un panorama così confuso, compie i suoi nove anni di vita un movimento artistico fondato invece innanzitutto sull’adesione a una coscienza comune, il cui nome è già un segno di appartenenza ad un modus vivendi di grande attualità: i firmatari dell’Esasperatismo dichiarano indignazione e risentimento, perché costretti a sopravvivere a una natura dominata dai soprusi dell’uomo, al pericolo di una scienza incontrollata e ad una quotidianità troppo gravosa da sopportare. La loro denuncia non può che riguardare anche la sfera stessa dell’arte, relegata ormai soltanto a situazioni minori, con rare possibilità di accesso a eventi di buona qualità.
Il rischio di banalizzare la delazione di una condizione che ormai è sotto gli occhi di tutti viene superato attraverso il loro personale impegno in campo artistico; come a dire che l’arte risponde all’arte, quella mostrata e consapevole rimpiazza quella discriminata e destinata ad essere oscurata. E per fare questo ognuno a suo modo accetta di adottare quel simbolo del Movimento che il fondatore Adolfo Giuliani scelse nel 2000, l’anno di stesura del primo Manifesto: il bidone.

Non si tratta soltanto di un oggetto ampliamente riconoscibile, ma anche di una realtà che appartiene profondamente all’immaginario collettivo, costituendo una delle sfide maggiori a cui i governi che si sono succeduti in Italia hanno dovuto rispondere per anni e ancora continuano a farlo. Giuliani ha trovato la chiave giusta per dimostrare come la realtà si possa cambiare: ha messo alla prova gli aderenti all’Esasperatismo, chiedendo loro di trasformare un bidone, sporco, malridotto, sfruttato, in un’opera d’arte. Nel farlo ha dimostrato grande democrazia, lasciando liberi gli artisti di interpretare le intenzioni comuni secondo il loro stile personale, e mai intervenendo nell’evoluzione della loro ricerca, se non partecipandovi lui stesso con un bidone dipinto, esposto nel 2001 presso la galleria Immagine Nea di Napoli. Il gesto dell’artista affonda le sue radici in un ready-made alla Duchamp, che intende assurgere l’oggetto ordinario a oggetto d’arte, dimostrando lo stesso disgusto nei confronti di una società in cui sembra impossibile riconoscersi, e tuttavia differendo nell’approccio ai canoni estetici.
Se il dadaista rifiutava il concetto stesso di bellezza, creando opere affatto piacevoli alla vista, l’esasperatista non dimentica il grande valore dell’estetica e la finalità ultima dell’arte, che è quella di lasciarsi godere dallo spirito. Ecco perché, sebbene quelle del Movimento siano riflessioni dolorose, in grado di sconvolgere le coscienze, le opere d’arte che ne conseguono sono alti esempi di tecnica e stile. Talvolta l’interpretazione del bidone è talmente raffinata, da lasciarsi intravedere all’interno di un discorso molto più ampio e più ricco di spunti: penso ad esempio al quadro esasperatista Lacrima di Guglielmo Roehrssen. È allora che l’artista dimostra di aver acquisito un grado di consapevolezza mai raggiunto prima, di aver assimilato veramente le problematiche del suo tempo e di essersi ricongiunto con la romantica figura dell’intellettuale classico, un uomo di conoscenza superiore agli altri che può influire sulla società e accompagnarla nella giusta direzione. Viene da augurarsi che una guida come quella dell’Esasperatismo si affacci al secondo decennio di attività rafforzata da tante adesioni, riconoscimenti, eventi storici e personaggi memorabili.

Tratto dal libro “Esasperatismo Logos & Bidone 2000-2009”