Emilia Mallardo
Dirigente scolastico I.P.S.I.A. - "Paolo Colosimo", Napoli

Richiami mnemonici e legami esasperatisti.
Nel panorama della cultura internazionale contemporanea non è difficile trovare palesi corrispondenze ideologiche tra le denunce di questi dieci anni di vita del Movimento esasperatista e le constatazioni di molti pensatori italiani e stranieri. Le nostre brevi considerazioni in merito si soffermeranno su due studiosi, che di recente hanno conquistato la nostra attenzione e suscitato la nostra riflessione: Zygmunt Bauman e Gillo Dorfles.
“Vita liquida”, “Società liquida”, “Modernità liquida” sono le espressioni, create di recente dal sociologo Zygmunt Bauman, per descrivere le peculiarità del mondo in cui viviamo, un mondo caratterizzato da stress, incertezze e precarietà, dall’alienazione di città caotiche e invivibili, da consumismo sfrenato, da sentimenti fragili, effimeri, mutevoli. L’insieme di tali requisiti determina una “società liquida”, cioè priva di forma e di consistenza, in quanto incapace di consolidarsi in qualcosa di stabilmente duraturo, a causa di un ritmo incessante che continuamente apporta modifiche e cambiamenti.
“Panta rei” diceva Eraclito, ma qui, sembra denunciare Bauman, si è passata troppo la misura… tutto cambia molto velocemente, troppo velocemente e i punti di riferimento diventano sempre più labili e improbabili. Nella nostra “società liquida” non abbiamo più modelli positivi a cui ispirarci, o comunque da ammirare, come martiri ed eroi, ma “vip” e “celebrità”. Per Bauman, le caratteristiche principali della celebrità sono la visibilità mediatica, l’onnipresenza dell’immagine, la frequenza con cui viene pronunciato un nome. Attori del cinema, personaggi televisivi, cantanti, calciatori, politici, esperti vari, rientrano in questa categoria di “persone famose per il fatto di essere famose”, come già sosteneva lo storico americano D.J.Boorstin nel 1961. Vengono spontaneamente alla mente personaggi “liquidi”, noti per la loro notorietà, onnipresenti nella costellazione del gossip che caratterizza il nostro tempo. Stendiamo un velo pietoso sui loro nomi e passiamo ad altri settori di liquidità.
Non facciamo in tempo ad appropriarci di una situazione, di una procedura, di uno strumento tecnologico, che ci accorgiamo che la realtà è già cambiata e che i nostri mezzi sono inadeguati. L’esempio per eccellenza è costituito dalla tecnologia informatica: ci illudiamo di avere acquistato il PC di ultima generazione per poi scoprire che è già superato di sei mesi, esattamente il lasso di tempo più o meno necessario per la produzione e la distribuzione di hardware o software. E così di seguito, per Bauman, assistiamo quotidianamente a testimonianze di amore liquido, di arte liquida, di istruzione liquida, di lavoro liquido e potremmo continuare ancora fino a coprire tutti i settori della nostra quotidianità, ma il concetto è ormai chiaro. E questo concetto di liquidità, così semplice e chiaro, trova ampie corrispondenze nel pensiero esasperatista: le numerose denunce di giornalisti, letterati, storici, filosofi e intellettuali di questi dieci anni di vita del Movimento dell’Esasperatismo, sembrano convergere, senza ombra di dubbio, verso le posizioni baumaniane di un’amorfica modernità. Il progresso mal gestito, tante volte rimarcato dagli esasperatisti, conduce inevitabilmente al caos dei nostri tempi, così come descritto da Bauman.
Il nostro secondo richiamo mnemonico è Gillo Dorfles, critico d’arte, già docente universitario di estetica, una delle personalità più attente agli sviluppi dell’arte e dell’estetica contemporanea in Europa e nelle Americhe. Nel suo libro L’intervallo perduto, la cui copertina riproduce significativamente un orologio senza lancette, attraverso un’accurata indagine sociologica, antropologica e psicologica, Dorfles esplora il complesso contesto contemporaneo alla luce della constatazione della totale perdita del concetto di intervallo in ogni sfera del quotidiano. La nostra società è contraddistinta dal ritmo vertiginoso del nostro modo di vivere lo spazio e il tempo, attraverso una vera e propria saturazione delle percezioni che nulla concede ormai alla pausa riflessiva e annienta inesorabilmente quel salutare “intervallo” che consentiva ai sensi di riposare, alla mente di rilassarsi e all’anima di trovare momentanea pace. Per strada, nei locali pubblici, nei luoghi di villeggiatura, negli ambienti di lavoro, la presenza continua e insistente di rumori, suoni e immagini ci conferma che oggi la nostra vita di relazione è sottoposta a sollecitazioni tali da cancellare ogni possibile pausa di riflessione su se stessi o di attenzione per gli altri. Il ronzio continuo, incessante, fastidioso, del traffico cittadino che non ha un momento di requie è l’immagine emblematica che Dorfles individua per significare la perdita dell’intervallo. Un’altra emblematica immagine acustica per significare il concetto della perdita della propria cronoestesia è stata la terrificante vuvuzela dei mondiali di calcio 2010. La situazione di rumore continuo, di movimento ininterrotto, di divenire incessante ci rinvia al concetto di “liquidità” di Bauman e rappresenta la condizione esasperata della nostra esistenza contro cui, ormai da dieci anni, si battono gli esasperatisti. E ci piace, a questo riguardo, sottolineare come gli artisti esasperatisti si sottraggano alla logica della liquidità e della perdita dell’intervallo: ne è riprova la stessa cadenza triennale di questo evento internazionale, che rimarca l’estraneità del Movimento dal paradosso dell’ incessante produzione ad oltranza di opere d’arte, priva di qualsivoglia legittima e plausibile interruzione o pausa nel flusso dei momenti creativi.
Oggi, molti fruitori del messaggio artistico si ritengono privilegiati rispetto ai loro omologhi del passato, proprio perché possono assistere, senza soluzione di continuità, alle più svariate manifestazioni in tutti i settori in cui la genialità creativa dell’uomo si può estrinsecare. Essi non vengono minimamente turbati dall’ assenza d’una pausa nel flusso continuo delle sollecitazioni che a loro provengono da una singola arte o da un singolo artista, né si meravigliano dell’assenza totale del benché minimo arresto del flusso creativo, del benché minimo intervallo che si frapponga tra opera e opera non solo, ma tra opera e spettatore, in modo da consentire che l’opera stessa possa essere recepita, per dirla con Marco Dallari, attraverso un “rapporto estetico-sentimentale, di ritorno alle emozioni, di ricerca dello stupore originario, che ci permetta realmente di incontrare l’opera e che abbia, inoltre, una successiva ricaduta nel quotidiano, nella nonArte”.
In ogni grande civiltà del passato esistevano, invece, precise condizioni per la presentazione e la fruizione del prodotto artistico: determinate ore del giorno e determinati luoghi erano destinati all’ascolto di musica o alla visione di spettacoli, secondo precise indicazioni che sembravano seguire un vero e proprio rituale. Ciò era tanto più evidente quando non esisteva ancora alcuna possibilità di replicare l’opera d’arte e, di conseguenza, di darle il dono dell’ubiquità, della riproduzione e della distribuzione che è cosi evidente ai nostri giorni, in cui domina quell’ “ascolto disattento” (ben sottolineato da Adorno) che costituisce di solito la condizione più frequente in cui il pubblico si pone di fronte all’opera d’arte.
Si potrebbe obiettare che auspicare la presenza d’una pausa, d’un intervallo nel godimento dell’opera d’arte, non significherebbe altro che ricondurre la stessa ad una situazione elitaria, di isolamento dalla grande massa dei “consumatori”. Ma qui c’è un fraintendimento di base: portare l’opera d’arte alla totalità della popolazione non vuol dire depauperarla della sua stessa essenza, della sua unicità e irripetibilità, dell’informazione estetica e non semantica di cui è portatrice. Spesso non si tiene nel dovuto conto il fatto che l’informazione trasmessa dall’opera d’arte contiene un messaggio, definibile visual thinking, pensiero visivo, che è carico, oltre che di dati “significanti”, anche di dati irrazionali, difficilmente concettualizzabili. Da questo punto di vista, la presunta obiezione menzionata decade immediatamente, in quanto il primo impatto con l’opera d’arte è empatico, è fatto di emozione e stupore e, pertanto, è di tutti. Alla luce di quanto detto, dunque, le opere esasperatiste, che conservano l’originalità e le peculiarità stilistiche dei loro Autori, e che non appartengono ad alcuna monotona filiera corta dal produttore al consumatore, né si riproducono senza tregua alcuna in una sorta di replicazione seriale, sono in grado di suscitare suggestioni nel fruitore occasionale sprovvisto di mezzi critici e, al contempo, ben si prestano ad un’analisi valutativa ed interpretativa di un messaggio esistenziale, quello lanciato dieci anni fa da Adolfo Giuliani, da parte di intellettuali “attenti all’ascolto” e di gestori della cosa pubblica dotati di sensibilità e lungimiranza.