Emilia Mallardo
Dirigente scolastico I.P.S.I.A. - "Paolo Colosimo", Napoli

Rilettura del Manifesto tra passato e futuro

È indubbio che il Manifesto del Movimento artistico – culturale “Esasperatismo – Logos & Bidone” del 2000 si presti, a giudicare dai numerosi interventi critici, esegetici, interpretativi o chiarificatori, ad una lettura plurale e, per dirla col Nencioni, “stratificata”, sovrapposta e deduttiva, il risultato, perennemente in fieri, di inquadrature accumulate e filtrate attraverso la molteplicità soggettiva degli osservatori. Le prospettive, le deduzioni, le parafrasi, le comprensioni variano e differiscono, spostano il punto di vista da oggettivo a soggettivo, mostrano le innumerevoli facce del caleidoscopio esasperatista. Ne risulta una lettura stratificata, che si può sbucciare come un frutto maturo per assaporarne a pieno e a più riprese la succosa polpa, ma che si può anche amputare come un film a episodi, per privilegiare la storia che più ci interessa o che più ci coinvolge a livello personale.
Così è possibile analizzare il Manifesto in una dimensione diacronica, recuperando sul piano memoriale circostanze e posizioni ante litteram o proiettandosi in un ipotetico probabile scenario futuro, ma è anche possibile considerarne sincronicamente snodi e questioni, coniugando in un sinolo glocale le istanze globali e locali in esso contenute. È possibile allora individuare nessi analogici infiniti tra i punti programmatici del Movimento e antiche posizioni, o anche preconizzare auspicabili sviluppi sostenibili ambientali ed umani. Il grado di esasperazione raggiunto dal vivere quotidiano, dalla natura violentata e dalla scienza incontrollata si coniuga strettamente con l’istanza morale e filosofica dell’esistere in quanto la conoscenza dell’universo è per l’uomo funzionale alla percezione della propria piccolezza rispetto al tutto. Nei percorsi della conoscenza scientifica bisogna indubbiamente ravvisare il processo eterno di incremento del sapere e questa è senz’altro una considerazione positiva, vantaggiosa per l’indagine gnoseologica: la conoscenza della natura è un’importante modalità di accesso al logos, come già sosteneva Seneca nelle Naturales Quaestiones, ma forti dubbi venivano già espressi dallo stesso autore nei confronti del progresso e dello sviluppo tecnologico che attraversa la storia dell’uomo.
Il progresso è visto da Seneca come una vera e propria manipolazione della natura, che ha come conseguenza diretta, per l’uomo, la crescita incontrollata dei desideri, dell’avidità, dell’ambizione. La conoscenza disinteressata della natura è eticamente valida e porta ad un progresso sano ed autentico, il miglioramento tecnologico delle condizioni di vita è, invece, ambivalente e pericoloso perché nasconde la minaccia di un inserimento scorretto nel cosmo da parte dell’uomo (Naturales Quaestiones, I,17, 4 – 5). E con Seneca siamo, a ben guardare, nel pieno della denuncia del Manifesto esasperatista dei punti afferenti il vivere quotidiano (2.1), la natura violentata (2.2) e la scienza incontrollata (2.3). Una riflessione più accurata, nell’ambito di questa rilettura stratificata del Manifesto esasperatista, meriterebbe il punto 2.4, “L’arte non più fruibile”, ma ci limitiamo a riconoscere in esso l’approdo di un percorso artistico – culturale che nasce ai primi del secolo scorso con le Avanguardie storiche e prosegue, dopo la seconda guerra mondiale, con le Neoavanguardie.

Con le Avanguardie storiche l’Esasperatismo condivide talune e significative caratteristiche, quali la concezione dell’arte come attività condivisa da un gruppo e non come produzione isolata di un singolo, la cifra internazionale ed interartistica, il riconoscimento di un Manifesto che espliciti una teoria ed attesti i motivi ispiratori. Notevoli sono, ovviamente, anche le differenze; interessante, infine, sarebbe un approfondimento sui rapporti analogico – contrastivi tra Futurismo ed Esasperatismo, data anche l’autorevole presenza di un Maestro futurista, Guglielmo Roehrssen, nel Movimento esasperatista. Continuità della concezione dell’arte chiamata ad interpretare i miti della modernità oppure rottura in quanto l’Esasperatismo propone pause di riflessione e suggerisce caute battute di arresto nel fluire del progresso – regresso?
Si tratta di interrogativi aperti e stimolanti, così come quelli che legano l’Esasperatismo a dibattiti e diatribe più recenti. A metà del XX secolo il problema artistico si pone con urgenza in Italia all’interno della diffusa e sentita esigenza di ridefinire un’identità del Paese dopo il ventennio fascista e i disastri della seconda guerra mondiale: il dibattito sull’arte assume un ruolo importante, ma soprattutto poliedrico in quanto riguarda non solo la ricerca estetica, ma anche la riflessione ideologica e sociale. In tale contesto molteplici sono le iniziative che accompagnano la ricerca di linguaggi e contenuti rispondenti alla volontà di rinnovare moralmente e politicamente il Paese e di inaugurare una nuova stagione nell’arte, anche attraverso il dialogo internazionale. La vivacità intellettuale di questo momento è segnata dall’emergere di gruppi connotati da posizioni teoriche ben precise, talora in contrapposizione tra di loro, come nel caso del “Realismo”, del “Formalismo” e del “Fronte Nuovo delle Arti”. Anche qui un succinto confronto con l’Esasperatismo. Ancora una volta la presenza di Manifesti: quello realista, pubblicato a Milano nel marzo 1946; quello formalista, pubblicato a Roma nel 1947; quello del Fronte Nuovo delle Arti, redatto a Venezia nel 1947. Ancora una volta la consapevolezza di un impegno civile e di una responsabilità morale e sociale: “Dipingere e scolpire è per noi atto di partecipazione alla totale realtà degli uomini, in un luogo e in un tempo determinato, realtà che è contemporaneità e che nel suo stesso susseguirsi è storia….” (Punto 1 del Manifesto del Realismo, febbraio 1946, in “Numero”, n. 2, 1946). Ma anche la ricerca dei formalisti di nuovi valori espressivi, attraverso forme e colori, è mirata ad “un’azione per una nuova cultura”, sostanziata di una profonda relazione con il tessuto civile e politico. Ancora più esasperatista ante litteram è l’impianto ideologico del Fronte Nuovo delle Arti, che intanto preconizza una sintesi tra realismo ed astrattismo e, per questa via, prescinde da un’estetica definita e da un indirizzo stilistico vincolante e, nel rispetto delle singole individualità dei suoi esponenti, propugna un’idea dell’arte come impegno morale, civile, politico: “L’arte non è il volto convenzionale della storia, ma la storia stessa che degli uomini non può fare a meno” (dal Manifesto). Il Fronte Nuovo delle Arti si forma a Venezia, ma si sposta a Milano, nella Galleria della Spiga, dove nel ’47 dà vita alla prima esposizione, con opere eterogenee per stile, indifferentemente astratte o figurative. Dopo aver partecipato alla Biennale nel ’48, il Fronte si scioglie (1950) e i singoli Artisti seguono strade diverse. Il percorso del gruppo esasperatista è differente, innanzitutto perché nasce a Napoli, in un contesto martoriato e sofferto dal punto di vista sociale e in cui le risorse artistiche locali vengono poco valorizzate: si assiste, dunque, forse per la prima volta, ad una sottile sintonia tra i mali denunciati e il sostrato ambientale da cui la denuncia parte. Il tutto assume, per così dire, il sapore di una ri-scossa cittadina e di una ri-appropriazione del ruolo di guida morale della classe intellettuale.

Ci si augura che, a differenza della breve vita del Fronte, l’Esasperatismo prosegua nel tempo la sua lotta civile ed allarghi sempre più i suoi orizzonti spaziali, attraverso le singole peculiarità stilistiche nelle arti, ma anche attraverso ulteriori aggregazioni culturali. Non è naturalmente possibile concludere la rilettura del Manifesto esasperatista senza una “menzione speciale” al contenitore sui generis, il Bidone, il simbolo presente come unico segno distintivo del Movimento in tutte le opere ispirate al Movimento stesso, pur nella differenziazione stilistica dei singoli Artisti. Del Bidone si è detto e si è scritto a più riprese, ma credo che una sua rilettura ci porti a ravvisare in esso un vero e proprio “correlativo oggettivo”, secondo la tecnica che fu già in poesia di Thomas Stearns Eliot e di Eugenio Montale. Come per il poeta l’io empirico scompare dal testo per lasciare il posto ad un oggetto che possa costituire l’equivalente simbolico di una condizione esistenziale o di una concezione del mondo, così per il pensatore esasperatista, e per l’Artista in particolare, l’io lacerato e tormentato dai mali del presente si oggettivizza nel contenitore – Bidone.
Con il correlativo oggettivo siamo sempre nel campo delle forme simboliche, ma attraverso un processo di oggettivazione in cose (o in personaggi) che annulla l’io soggettivo dell’Artista. Non si tratta più, dunque, di un simbolismo tout court, ma di una particolare forma simbolica grazie alla quale l’io riesce ad eclissarsi totalmente nell’oggetto. Eliot l’ha così codificata: “L’unico mezzo di esprimere un’emozione in forma d’arte è di trovare un correlativo oggettivo; in altre parole una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che diverranno la formula di quella particolare emozione; cosicché una volta dati i fatti esterni che devono concludersi in un’esperienza sensibile, l’emozione viene immediatamente evocata”. Mi sembra appunto la funzione logica del Bidone all’interno del pensiero esasperatista ed all’interno delle opere artistiche ad esso ispirate.