Annarosa del Corona
Giornalista e poetessa

Esasperatismo: diagnosi

Acquietarci nel sogno è imprigionarci; ciò può essere considerato una provocazione condannabile dalla società. Quale allora il mezzo per continuare a vagheggiare sul libero volo degli uccelli, sulla fertilità della solitudine, sulla pace fra gli uomini? L’inconscio ci detta, o semplicemente è il desiderio di sopravvivenza, la ricerca di un rifugio nell’onirico, turbati sempre inesorabilmente dalla comunicazione immediata. Un’unica ruota è il mondo che gira, lancinando i nostri cuori. Dagli albori del mondo ogni uomo che nasce si trova esattamente sulla soglia della propria vicenda. La vita dovrebbe essere un regalo, e lo è, se ben ci pensiamo; occorre saper guardare intorno, quanta bellezza non viene apprezzata e trascurata; anche se lo sguardo si posa sulle minime cose, tutto dovrebbe attrarre la mente. Osserviamo invece il male che ogni giorno si consuma. Alle origini era la violenza, la sopraffazione dell’uomo sull’uomo per la sopravvivenza
della specie. In seguito i privilegiati, i più forti avrebbero dovuto vivere pacificamente, nella modestia dell’appartenenza all’umanità tutta. Utopie, utopie, quasi nessuno ama il proprio vicino; si sviluppa allora un andamento di vita inconciliabile con il bene della vita stessa.
Mancanze, addii, ogni giorno scuotono le nostre coscienze, tutte. Dice il poeta: “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso, ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra; ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità”. Qual è il compito della
cultura, dell’arte, della parola, del segno, della musica? Fare partecipi gli uomini di questa grande forza che è il bello della vita, il bello che alberga nelle radici della vita e non della morte, che è disfacimento. I grandi intelletti hanno parlato, la loro voce si è fatta sentire: ci auguriamo che l’uomo ascolti. Il manifesto dell’Esasperatismo, pensato da Adolfo Giuliani, mentore del movimento, ha commosso; il manifesto recita una pietas tutta virile, senza commiserazione, e mette in luce i mali della nostra contemporaneità; denuncia la corsa eccessiva al progresso, una corsa senza discriminazione che porta al maldessere, all’ossessione che divora l’uomo. Si fa più oscura la notte, più buio il campo del vicino, ambigue le stagioni, straniti i tramonti e le albe; sfavilla tremante un dies irae, si muore assistiti dai mass media; crepita la notizia, comunica ininterrotta, invade, alza la polvere sui campi di grano e di papaveri, sui canti dei bambini inginocchiati per pregare. Dobbiamo dunque pensarti nel tuo lacero tempo, fratello dell’inverno; ti ferisce il gelo come brivido di morte; dobbiamo pensarti dietro quell’ultima falce di luna, fratello di pazienza e di stagioni, al suono del corno e della pioggia che filtra di luce; devi esserci vicino, e più vicina deve essere la tua sofferta sorte. Un preghiera, un’invocazione per il mondo, che si ravveda, e al fratello che possa passare in un suo quieto tempo, come antico cercatore, e benedire il mare che a scaglie s’aggruma; e su dal dirupo il tremolìo più non appare, calma è l’onda. Arcobaleni iridescenti allora verranno per salvare e felicitare il cielo.