FEBBRAIO 2017 | Prima edizione, febbraio 2000 | |||
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Prevengo
subito una possibile domanda: che cosa ci fa un testo del 1616 in
questa rubrica? Anch'io pensavo che non potesse entrare a farne parte.
Quando l'ho preso ho pensato che potesse essere una lettura dilettevole, un bel
passatempo. Il saggio introduttivo di Mauro Pesce mi ha fatto cambiare completamente idea. Siamo abituati a pensare alla Chiesa cattolica e allo scienziato pisano su due fronti contrapposti: da una parta un'istituzione oscurantista e retrograda, dall'altro un faro del sapere e della ricerca libera. Dopo il processo Galileo, umiliato ma fedele alle proprie idee, pronunciò la famosa frase "Eppur si muove". È una visione manichea, completamente artefatta. Galileo in realtà voleva inserirsi nel "sistema socio-politico" del tempo. Con questa espressione l'Autore intende identificare il complesso sistema universitario dell'epoca, fatto anche da liberi atenei, ma dove le istituzioni ecclesiastiche avevano il potere di esercitare un'efficace opera di censura, grazie a determinati rapporti giuridici e politici. Ebbene, Galileo propose pubblicamente un criterio per salvaguardare, da una parte, gli insegnamenti della Bibbia, libro sacro per eccellenza, e dall'altra l'autonomia della ricerca scientifica. Il testo è composto di quattro parti (p. 30): - Introduzione - Esposizione (la parte più ampia) - Perorazione in difesa del sistema copernicano - Attacco al sistema tolemaico Il problema principale che deve affrontare Galileo è che la Bibbia, essendo un'opera ispirata direttamente da Dio, non può dire il falso. Quindi se nel Libro di Giobbe è scritto che il Sole si fermò, quest'affermazione dev'essere creduta come vera. Galileo ricorda ai suoi detrattori che già in alcuni casi la Bibbia non viene intesa letteralmente. Per esempio, quando si attribuiscono a Dio mani, occhi e braccia non è per paragonarlo a qualsiasi comune mortale, ma è per veicolare meglio un determinato concetto, per adeguare la spiegazione alle capacità di comprensione del volgo. Galileo estende la possibilità di non interpretare letteralmente la Bibbia al discorso scientifico, ovvero al rapporto tra scienza e Sacra Scrittura. Egli spiega che il dibattito tra filosofi naturali (il nome che avevano all'epoca i fisici) non deve vertere sull'interpretazione della Bibbia, ma deve basarsi sugli esperimenti e sulle dimostrazioni. Inoltre afferma che se un esperimento conduce alla conoscenza, e questa conoscenza viene dimostrata come vera, tale verità non può essere confutata (né condannata) in base ai versetti della Bibbia. Fino ad allora la teologia era considerata la massima espressione del pensiero umano, ancora più della filosofia. E, secondo un principio teologico invalso da tempo - che Galileo conosceva bene -, in caso di contrasto tra evidenza sensibile (= percepita dai sensi) e Sacra Scrittura, la prima doveva cedere alla seconda. La soluzione di Galileo fu di dividere i due campi: la Natura si presta ad essere descritta dai filosofi naturali, le cose celesti sono materia di fede. Entrambi procedono da Dio e quindi non possono essere in contraddizione tra loro. E le affermazioni contenute nella Bibbia che parlano di un "Sole che si è fermato"? (Giobbe). I contrasti sono solo apparenti: bisogna distinguere nelle "affermazioni bibliche tra un senso letterale, che può essere scientificamente falso, e un senso 'recondito', che è religiosamente vero". "Galilei si dimostra così consapevolmente teso a cercare una soluzione, nuova certamente, ma all'interno dei principi teologici del cattolicesimo" (p. 34). Galileo voleva salvare entrambe le realtà (p. 40). Galileo non tese nessuna corda al limite, né toccò alcun nervo scoperto: lasciò intatti i principi fondamentali della cattolicità (ad esempio, riconobbe che la Sacra Scrittura possa essere interpretata solo dalla Chiesa). Egli quindi mirava a trovare una soluzione autenticamente cattolica da applicare ai casi in cui la verità scientifica e quella biblica non coincidevano. Al fine di separare nettamente i rispettivi dominii di conoscenza, nella lettera a Cristina di Lorena Galileo afferma che l'autorità della Scrittura riguarda solo 'articoli e proposizioni' che superano ogni umano discorso, cioè solo le verità irragiungibili con la scienza umana. Inoltre, Galileo aveva effettuato per primo l'osservazione scientifica con il cannocchiale. Il cannocchiale permetteva di andare oltre i dati osservabili dall'occhio umano. Tutta la conoscenza acquisita con tale strumento andava al di là della conoscenza preesistente, che era ancora basata sul pensiero di Aristotele. La stessa Bibbia era in continuità epistemologica con la scienza antica. Galileo aveva capito che, da allora in avanti, i dati acquisiti dalla scienza per mezzo dei nuovi strumenti si sarebbero allontanati sempre di più dalle conoscenze preesistenti. Galileo mi sorprende perché in lui tutto il problema della modernità è già visto nella sua natura. Nella terza parte della lettera, Galileo parla del sistema copernicano. Enuncia una proposta pratica rivolta all'autorità ecclesiastica: "non si giudichi la questione copernicana dal punto di vista teologico", ma la si lasci aperta, come un'ipotesi, come un'opzione (42). Nella quarta e ultima parte della lettera lo scienziato pisano attacca il sistema tolemaico, affermando che il senso letterale della Bibbia non può essere conservato se si suppone che esso sia vero. L'astronomia tolemaica infatti implica che si intendano le parole bibliche in un senso diverso da quello in cui si presentano (p. 49). La lettera circolò in forma privata; venne stampata solamente vent'anni dopo la sua redazione. Nel 1633 Galileo fu condannato dalla Santa Inquisizione (prenderà il nome di Sant'Uffizio solo nel 1907) per eresia. |