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 Libro del mese   

Anno 2017


SETTEMBRE 2017 Prima edizione, gennaio 2013

L'Autore

Gian Luigi Beccaria è stato professore ordinario di letteratura italiana all'Università di Torino.

Gian Luigi Beccaria


Alti su di me.
Maestri e metodi, 
testi e ricordi

Editore

Einaudi, Milano, 2013. 


Alti su di me
Dopo aver letto La mappa dell'imperoCritica della letterarietà pensavo di aver trovato tutto quello che volevo sapere sulle tendenze prevalenti nelle università italiane in ambito linguistico e semiotico. Non avevo però fatto i conti con questo interessantissimo volume di Gian Luigi Beccaria. Il titolo ha un tono dimesso, il contenuto invece è effervescente. Il fatto che sia un libro di ricordi di un professore in pensione farebbe pensare a una di quelle opere da leggere in poltrona dopo pranzo o a letto per conciliare il sonno.
Tutt'altro! È un saggio di teoria linguistica: rievocando i suoi ricordi, l'Autore spiega quali erano le teorie letterarie che andavano per la maggiore mentre lui era studente e poi accompagna il lettore spiegando i cambiamenti che si sono verificati negli anni successivi.
Beccaria si è laureato nei primi anni sessanta. Scrive "Era un'altra Università, non voglio neppur dire se migliore di quella d'oggi. Certo, erano anni in cui la letteratura nell'Università aveva un grande peso, perché valeva come contenuto, e valeva come esperienza. In seguito, in tempi più vicini, questo compito le è venuto a mancare: altre discipline hanno affrontato i suoi temi, e più a buon mercato, infine i mass media si sono fatti carico di procurare le emozioni e i contenuti che prima offriva la pagina letteraria" (pp. 65-66).

Ho collegato questo libro con i due titoli che ho indicato all'inizio: è come se fosse un loro completamento. Da dove comincio? Dai formalisti. Le loro opere vengono tradotte in italiano a partire dal 1965 (p. 91). Immediatamente appaiono differenti dai critici letterari. Beccaria scrive che cercavano "l'oggettivazione dei procedimenti ermeneutici (p. 9); "si preoccupavano prima del metodo, poi cominciavano a chiedersi a quale fenomeno applicarlo. Molti di noi invece pensavano (e pensano tutt'ora) esattamente il contrario: che occorre avere innanzitutto degli interessi e che il metodo seguirà poi" (p. 18). Si crea questa opposizione:

storicismo vs. priorità del testo (p. 64)

che riconduce a un'opposizione più generale:

linguisti “umanisti” vs. linguisti “scienziati” (applicano la tecnica del ragionamento deduttivo, o ipotetico)

Dopo il formalismo arrivò lo strutturalismo e, con esso, la semiologia. Beccaria spiega: se lo scopo del formalismo era la descrizione del testo iuxta propria principia, lo scopo della semiologia era far emergere la struttura soggiacente.
A Torino il primo docente di semiologia (si diceva ancora così, alla francese) fu D'Arco Silvio Avalle nel 1970 (mi sono segnato alcuni suoi libri: sono molto curioso di leggerli). Beccaria non fu mai un fautore dell'analisi semiotica, ma rimase ancorato alla lezione dei suoi maestri: Benvenuto Terracini e Giovanni Getto. Nel libro traccia un profilo di entrambi nel capitolo quinto.

È noto come, nel corso degli anni Settanta-Ottanta, i linguisti "scienziati" si sono affermati in tutte le Facoltà italiane. Quando io ho iniziato l'università (1992) mi è stato presentato l'approccio dominante, quello scientifico, e non mi è stato parlato minimamente dell'altro approccio, quello umanistico. Per fortuna ho letto i due libri che ho citato all'inizio che mi hanno fatto cambiare idea.

Ho cambiato talmente idea che, quando a pagina 92 di questo libro ho letto: "Esposizione sistematica di carattere precettistico" ho pensato: questa è la definizione esatta dell'analisi semiotica di Greimas del racconto di Maupassant Deux amis! (ci hanno fatto leggere all'università questo libro presentandocelo come un esempio magistrale di analisi semiotica).

Mi sono segnato alcune considerazioni sull'attività del critico letterario umanista, che voglio riportare qui per intero. Quello che pensa Beccaria è - adesso - quello che penso anch'io.

Nessuna indicazione della biografia di un autore, della sua psicologia, nessuna indicazione delle circostanze storiche, delle ideologie imperanti, per ampia e approfondita che sia, è riuscita mai a esplicare il significato letterario autonomo di un testo. […] La realtà della storia introduce, ma non penetra totalmente l'essenza del fatto letterario (pp. 155-156).

Non vorrei essere frainteso. Non intendo sostenere che un testo non illustra o rispecchia un determinato momento storico. […] Ogniqualvolta si dimentica il momento storico, il contesto in cui un testo agisce, non c'è dubbio che la lettura del testo nella sua pienezza viene inesorabilmente penalizzata. […] Negare l'extratesto significa rinunciare a conoscere più a fondo l'opera (pp. 158-159).

Il rapporto più stringente e oggettivamente percepibile si instaura specialmente fra testo e testi: con i testi appartenenti alla tradizione cui fa riferimento l'autore. Nel secondo Novecento si è dibattuto per decenni su questi temi di fondo. [A mio parere] è più fruttuoso interrogare un testo e rispettarne l'autonomia, prestando l'attenzione prima al manifestarsi verbale del testo così com'è, fermare il gesto stilistico dell'autore, memorabile e peculiare [e successivamente collegarlo] ad altre analoghe esperienze stilistiche, sia di contemporanei che di autori del passato (p. 161).

La tradizione preesistente al testo ne determina il funzionamento. […] La tradizione è quanto conferisce ai grandi testi la stabilità, il perdurare, la necessità e la sicurezza del senso (p. 162). La storia della nostra lingua letteraria è per l'appunto un susseguirsi e intrecciarsi di fondazioni e rifondazioni di tradizioni (p. 172).