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 Libro del mese   

Anno 2016


Studi sui mass media
MAGGIO 2016 Prima edizione,
gennaio 2016

L'Autrice

Julia Cagé è professore di Economia a Sciences Po (Parigi) ed è membro della Commissione Economica della Nazione.

Julia Cagé


Salvare i media
Capitalismo, crowdfunding e democrazia

Editore

Bompiani, Milano, 2016. 
Collana "Overlook".

Ed. or. Sauver les médias. Capitalisme, financement partecipatif et démocratie (2015).

ISBN 978-88-452-8090-0

Salvare i media

Il primo capitolo fornisce la definizione di informazione e fornisce i dati sullo stato attuale dei media informativi in Francia e nel mondo. Per quanto riguarda il primo aspetto l'autrice si sofferma sulla definizione "ufficiale" dello stato giuridico della stampa in Francia per ribadire un dato: è il giornalista che fa di un fatto una notizia; è merito dei giornalisti professionisti se un fatto viene “codificato” in notizia. Pertanto l'Autrice traccia una distinzione tra professionisti e blogger: non fanno lo stesso mestiere.
Qual è lo stato di salute del mondo dei giornali? Quanto ai dati, essi sono impietosi: il giornalista come professione è in netto regresso. Ci sono sempre meno giornalisti; inoltre gli editori, quando vogliono uscire da uno stato di crisi, come prima cosa sfoltiscono le redazioni; secondariamente, abbandonano la carta stampata per passare al web. L'autrice precisa che non ha nulla contro i computer o i tablet (p. 30): è consapevole che la carta è destinata a scomparire.

Il "giornalista digitale" è un altro mestiere rispetto al cronista: a differenza di quest'ultimo (che vive "sulla strada") trascorre la sua giornata lavorativa davanti al computer. È un maestro nel fare ricerche sulla rete, ma il suo non può essere considerato alla stregua di un lavoro giornalistico vero e proprio. Quindi il tema è: con la scomparsa dei veri cronisti, il giornalismo del futuro produrrà un'informazione di qualità?

Nel secondo capitolo si affronta l'argomento "crisi dei media informativi". La crisi è sotto gli occhi di tutti: le copie vendute sono in caduta libera. Quali strategie hanno adottato i giornalisti per attirare nuovi lettori? Un provvedimento-tampone è stato quello di riparare alla fuga dei lettori con la pubblicità online. Ma il rimedio si è rivelato insufficiente. Quanto vale un lettore online? Se si considera che la visualizzazione della maggior parte degli articoli è gratuita (si paga solo l'abbonamento) ecco facilmente spiegabile un dato: la pubblicità online fattura solo il 5% del totale delle entrate pubblicitarie dei giornali francesi. I giornali online, quindi, non riescono a monetizzare la loro audience digitale.

Dall'anno 2000 in poi si è arrestata l'espansione del mercato pubblicitario, che anzi ha iniziato a contrarsi. In pochi anni in Francia è sceso dal 45% del totale delle entrate al 35% (p. 47). Ancora cento anni fa per un editore il fatto di possedere un giornale era garanzia di redditività. Tra la fine del secolo scorso e il secolo attuale le cose sono molto cambiate e la prospettiva è che le difficoltà continueranno anche nei prossimi anni.

A pag. 59 l'autrice fa un'affermazione in controtendenza: abbiamo sempre pensato che la concorrenza sia la base dell'informazione giornalistica. Ebbene, stando ai dati raccolti, un mercato può tollerare solo una quota limitata di operatori dell'informazione. A suo parere, quindi, le concentrazioni non sono dannose.

L'autrice si pone controcorrente anche per quanto riguarda il tema dei finanziamenti. I dati parlano di quasi 800 milioni di euro ricevuti ogni anno (p. 67). Ma quanto versano nelle casse dello stato gli editori? Pagano diverse imposte e tasse. Tra le 200 pubblicazioni più importanti edite sul suolo francese, i compensi percepiti sono solo il 60% di quello che invece tali testate versano allo Stato (p. 70)

In conclusione, quello della stampa non è affatto un settore "assistito", ma un settore il cui tasso d'imposta è più basso. Secondo l'Autrice, invece di parlare di stampa assistita è più corretto dire che i giornali godono di un regime fiscale più vantaggioso rispetto ad altre categorie economiche.  

Nel terzo e ultimo capitolo l'Autrice esamina la possibilità di creare una nuova forma di società editrice adatta al mondo dell'informazione. I due corni del dilemma sono: da un lato emerge sempre di più la convinzione che i media d'informazione rappresentino un bene pubblico (= è giusto venir loro in aiuto, anche con sovvenzioni); ma è altrettanto vero che le società editoriali sono pur sempre imprese che stanno sul mercato: perché dovrebbero beneficiare di un trattamento diverso dalle altre imprese commerciali? (p. 96).
Un'interessante alternativa alle società per azioni sono le fondazioni. I vantaggi della fondazione sono essenzialmente due: a) per legge devono reinvestire gli utili; b) non ci sono azionisti, ma donatori (essi non posseggono il capitale sociale). 

Ecco dunque il modello associativo presentato dall'Autrice: un modello ibrido tra società di capitali e onlus. La base di partenza è la società non profit: i beni e le attività donati non tornano più indietro e gli utili vengono interamente reinvestiti nel progetto (proprio come le fondazioni).
Di diverso rispetto alle fondazioni vi è che coloro che versano il capitale ottengono dei diritti di natura “politica”, vale a dire dei diritti di voto (p. 106). Scopo di questo modello è fornire diritti di voto anche ai dipendenti e ai piccoli donatori (= i lettori). Il modello si caratterizza quindi per la sua affidabilità (le donazioni sono irrevocabili) e lo scopo sociale dell'impresa (invece dell'arricchimento puro e semplice, caratteristica di tutte le imprese commerciali).