L'Autrice
Julia Cagé
è professore di Economia a Sciences Po
(Parigi) ed è membro della Commissione Economica della
Nazione.
|
Julia Cagé
Salvare i
media
Capitalismo, crowdfunding e democrazia
|
Editore
Bompiani,
Milano, 2016.
Collana
"Overlook".
Ed.
or. Sauver les
médias. Capitalisme, financement partecipatif et
démocratie
(2015).
ISBN
978-88-452-8090-0
|
|
Il primo capitolo fornisce la definizione di
informazione e fornisce i dati sullo stato attuale dei media
informativi in Francia e nel mondo. Per quanto riguarda il primo
aspetto l'autrice si sofferma sulla definizione "ufficiale" dello stato
giuridico della stampa in Francia per ribadire un dato: è il
giornalista che fa di un fatto una notizia; è merito dei
giornalisti professionisti se un fatto viene
“codificato” in notizia. Pertanto l'Autrice traccia
una distinzione tra professionisti e blogger: non fanno lo stesso
mestiere.
Qual è lo stato di salute del mondo dei giornali? Quanto ai
dati, essi sono impietosi: il giornalista come professione è
in netto regresso. Ci sono sempre meno giornalisti; inoltre gli
editori, quando vogliono uscire da uno stato di crisi, come prima cosa
sfoltiscono le redazioni; secondariamente, abbandonano la carta
stampata per passare al web. L'autrice precisa che non ha nulla contro
i computer o i tablet (p. 30): è consapevole che la carta
è destinata a scomparire.
Il "giornalista digitale" è un altro mestiere rispetto al
cronista: a differenza di quest'ultimo (che vive "sulla strada")
trascorre la sua giornata lavorativa davanti al computer. È
un maestro nel fare ricerche sulla rete, ma il suo non può
essere considerato alla stregua di un lavoro giornalistico vero e
proprio. Quindi il tema è: con la scomparsa dei veri
cronisti, il giornalismo del futuro produrrà un'informazione
di qualità?
Nel secondo capitolo si affronta l'argomento "crisi dei media
informativi". La crisi è sotto gli occhi di tutti: le copie
vendute sono in caduta libera. Quali strategie hanno adottato i
giornalisti per attirare nuovi lettori? Un provvedimento-tampone
è stato quello di riparare alla fuga dei lettori con la
pubblicità online. Ma il rimedio si è rivelato
insufficiente. Quanto vale un lettore online? Se si considera che la
visualizzazione della maggior parte degli articoli è
gratuita (si paga solo l'abbonamento) ecco facilmente spiegabile un
dato: la pubblicità online fattura solo il 5% del totale
delle entrate pubblicitarie dei giornali francesi. I giornali online,
quindi, non riescono a monetizzare la loro audience digitale.
Dall'anno 2000 in poi si è arrestata l'espansione del
mercato pubblicitario, che anzi ha iniziato a contrarsi. In pochi anni
in Francia è sceso dal 45% del totale delle entrate al 35%
(p. 47). Ancora cento anni fa per un editore il fatto di possedere un
giornale era garanzia di redditività. Tra la fine del secolo
scorso e il secolo attuale le cose sono molto cambiate e la prospettiva
è che le difficoltà continueranno anche nei
prossimi anni.
A pag. 59 l'autrice fa un'affermazione in controtendenza: abbiamo
sempre pensato che la concorrenza sia la base dell'informazione
giornalistica. Ebbene, stando ai dati raccolti, un mercato
può tollerare solo una quota limitata di operatori
dell'informazione. A suo parere, quindi, le concentrazioni non sono
dannose.
L'autrice si pone controcorrente anche per quanto riguarda il tema dei
finanziamenti. I dati parlano di quasi 800 milioni di euro ricevuti
ogni
anno (p. 67). Ma quanto versano nelle casse dello stato gli editori?
Pagano diverse imposte e tasse. Tra le 200 pubblicazioni più
importanti edite sul suolo francese, i compensi percepiti sono solo il
60% di quello che invece tali testate versano allo Stato (p. 70)
In conclusione, quello della stampa non è affatto un settore
"assistito", ma un settore il cui tasso d'imposta è
più basso. Secondo l'Autrice, invece di parlare di stampa
assistita è più corretto dire che i giornali
godono di un regime fiscale più vantaggioso rispetto ad
altre categorie economiche.
Nel terzo e ultimo capitolo l'Autrice esamina la
possibilità di creare una nuova forma di società
editrice adatta al mondo dell'informazione. I due corni del dilemma
sono: da un lato emerge sempre di più la convinzione che i
media d'informazione rappresentino un bene pubblico (= è
giusto venir loro in aiuto, anche con sovvenzioni); ma è
altrettanto vero che le società editoriali sono pur sempre
imprese che stanno sul mercato: perché dovrebbero
beneficiare di un trattamento diverso dalle altre imprese commerciali?
(p. 96).
Un'interessante alternativa alle società per azioni sono le
fondazioni. I vantaggi della fondazione sono essenzialmente due: a) per
legge devono reinvestire gli utili; b) non ci sono azionisti, ma
donatori (essi non posseggono il capitale sociale).
Ecco dunque il modello associativo presentato
dall'Autrice: un modello ibrido tra società di capitali e
onlus. La base di partenza è la società non
profit: i beni e le attività donati non tornano
più indietro e gli utili vengono interamente reinvestiti nel
progetto (proprio come le fondazioni).
Di diverso rispetto alle fondazioni vi è che coloro che
versano il capitale ottengono dei diritti di natura
“politica”, vale a dire dei diritti di voto (p.
106). Scopo di questo modello è fornire diritti di voto
anche ai dipendenti e ai piccoli donatori (= i lettori). Il modello si
caratterizza quindi per la sua affidabilità (le donazioni
sono irrevocabili) e lo scopo sociale dell'impresa (invece
dell'arricchimento puro e semplice, caratteristica di tutte le imprese
commerciali).
|