OTTOBRE 2016 | Prima edizione, settembre 2016 |
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L'Autore
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Editore
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Comincio ricordando una cosa che scrisse Guido Barbujani nell'altro libro che ho recensito (L'invenzione delle razze, marzo 2008): la variabilità genetica è massima all'interno di una singola popolazione, e minima tra due popoli (es. italiani e polacchi) o tra due continenti (es. europei e africani). Me la ricordo perché è controintuitiva: siamo portati a pensare che ogni gruppo sia omogeneo al suo interno. Mentre leggevo questo libro mi è venuto un esempio. Partiamo da un dato statistico: l'altezza media dei sardi è inferiore a quella dei friulani. Questo è un fatto. Ma si può affermare anche un altro fatto: sardi alti 2 metri ce ne sono! Ce ne sono sicuramente. All'interno del popolo sardo abbiamo una grande variabilità: da 1 metro e sessanta a 2 metri (è il discorso che fa Barbujani). Il fatto è che la frequenza dei sardi alti 2 metri è minore rispetto a quella dei friulani. In questo libro l'autore aggiunge anche un numero: 88%. Ciò significa che un popolo contiene l'88% della variabilità della specie umana. Un'altra cosa che mi ha colpito del libro riguarda una ricerca svolta negli anni ottanta dalle case farmaceutiche: queste grandi imprese volevano capire se è possibile produrre farmaci targhettizzati su una singola razza (ebbene sì). Vennero enucleate diverse razze (sulla base del colore della pelle, che è il criterio più comune) e poi si testarono i farmaci. Le reazioni potevano essere tre, di cui una ottimale e le altre due non ottimali. Ebbene, l'esperimento fallì: non fu possibile profilare un farmaco in base al concetto che noi abbiamo di razza perché all'interno di ogni gruppo etnico la variabilità è - appunto - dell'88%. Noi basiamo il concetto di razza sul colore della pelle: ebbene, questo è solo un dato. Analizzando il DNA (che è composto da 9 miliardi e mezzo di basi), scopriamo che abbiamo un grande somiglianza con gli abitanti dell'Africa. Anzi, tutti gli esseri umani che popolano questa Terra sono discendenti degli africani. Fronte verticale, esistenza del mento e parte finale della testa non rotonda ma schiacciata: sono le tre caratteristiche che accomunano tutti gli esseri umani che popolano questa Terra (pp. 29-30) e che noi europei abbiamo derivato dagli africani. Quando gli africani sarebbero arrivati in Europa? Non più di 60.000 anni fa. E chi c'era in Europa a quel tempo? C'era l'Uomo di Neanderthal, un uomo anatomicamente moderno, anch'egli derivato da forme precedenti africane, ma che non era imparentato con i nostri antenati. Forse, argomenta l'Autore, è l'unico caso in cui si può parlare propriamente di "razza": i Neanderthal erano un'altra razza umana. Con essi noi abbiamo convissuto per decine di migliaia di anni, finché loro si sono estinti circa 29.000 anni fa e ci hanno lasciato campo libero. Nell'Asia settentrionale c'era un altro uomo intelligente come noi: l'Uomo di Denisov (dalla località siberiana dove è stato scoperto pochi anni fa). Quindi è possibile che 50.000 anni fa in una regione dell'odierna Siberia convivessero tre specie: Neanderthal, Denisoviani e noi. Quindi non eravamo soli! Ma anche l'Uomo di Denisov si è estinto e ci ha lasciati soli. Possiamo concludere che gli scienziati hanno dato una risposta univoca alla domanda: "Esistono le razze?" E la risposta è: no (p. 37). C'è invece una domanda che rimane ancora senza risposta. Sappiamo che cavallo e asino sono due specie diverse. Un singolo cavallo e un'asina si possono accoppiare, ma la loro generazione sarà sterile. Tra noi e i Neanderthaliani come sono andate le cose? Gli scienziati, purtroppo, non hanno ancora capito se ci sono stati scambi genetici tra le due popolazioni (p. 56). Ma ci stanno lavorando. Forse tra qualche anno sapremo qualcosa. |