AGOSTO 2015 | Prima edizione, ottobre 2014 | |||
L'Autore
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Editore
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Scopo
del libro è dimostrare che la decrescita ignora concetti
economici fondamentali, "quali il significato di reddito e produzione"
(p. 26). Quella della decrescita, in sostanza, è
un'ideologia. Il libro è strutturato in capitoli brevi non numerati. Sono semplicemente giustapposti l'uno dopo l'altro. Quindi io ho potuto leggere quelli che m'interessavano di più. All'inizio viene confutato uno degli argomenti preferiti dai sostenitori della decrescita: l'opposizione tra le merci e i beni. Viene spiegato che tale distinzione è una loro invenzione. Un'altra tematica che appassiona i sostenitori della decrescita è la mancanza di sobrietà propria della società attuale: cerchiamo tutti di soddisfare "bisogni superflui". Ci vorrebbe una sana decrescita anche su questo fronte. L'Autore ribatte che la distinzione tra superfluo e necessario è assolutamente individuale. Ivan Illich è tra coloro i quali sostengono che la condizione umana è immutabile. Noi oggi viviamo nel superfluo? Abbiamo stravolto la nostra condizione. L'Autore definisce "stupefacenti" le parole di Illich (p. 43). Un ricordo personale: avevo studiato Illich all'Università nel corso sulla cultura di massa. L'avevo considerato una figura di riferimento. Ora non lo è più. Nel capitoletto che inizia a pag. 54 l'Autore nomina finalmente Serge Latouche, l'inventore del concetto di decrescita. Analizza il concetto di hybris, definito qui come disequilibrio, dis-misura. Per i sostenitori della decrescita, l'economia è tutt'uno con il disequilibrio, sarebbe "una specie di meccanismo inarrestabile". Invece l'economia è esattamente il contrario: "un discorso razionale, una ricerca e uno studio scientifico proprio dei limiti, dei vincoli che si oppongono alla produzione". Nel capitoletto successivo si parla del famoso studio I limiti dello sviluppo, elaborato nei primi anni settanta per conto del Club di Roma. Il rapporto fu firmato da un gruppo di studiosi del MIT di Boston. L'Autore critica il modello da essi usato ("World3") poiché utilizza relazioni troppo rigide e, molto spesso, del tutto arbitrarie. Interessante il capitoletto «I primitivisti, ovvero com'era bella la vita nelle palafitte». Per molti studiosi il periodo del Paleolitico è stato di gran lunga il migliore attraversato dall'umanità. L'invenzione dell'agricoltura e dell'allevamento ci hanno invece portati alla situazione attuale: una qualità della vita che si è progressivamente deteriorata. L'Autore commenta sardonico: "Non si è mai usato tanto ingegno per farci desiderare d'esser bestie" (p. 81). "Se ognuno di noi mangiasse solo quello che gli serve e evitasse di acquistare il superfluo, ci sarebbe un sacco di cibo per sfamare agevolmente tutti i poveri". Ma è vero? Purtroppo no. Siamo a pag. 117, consiglio di leggere attentamente il seguito. Qualcuno ha sentito nominare Simone Perotti? È uno dei guru del movimento della decrescita italiana. Ritiene che bisogna dire "Basta!" bisogna smetterla di servire il sistema e cambiare la propria vita. Perotti è convinto che tanti atti di disobbedienza verso il sistema condurranno a mettere in crisi il sistema stesso. Ecco perché parla del suo movimento come di una "rivoluzione". Commenta l'Autore: non è così che si combatte il "sistema" (ammesso che un sistema esista), non solo perché il sistema «vive proprio di tante piccole 'rivolte' individuali, contro la moda dominante, contro i consumi, ecc. [...] ma anche e soprattutto perché l'enfasi sull'individuo e sul suo stile di vita è in diretta contrapposizione con l'unica vera minaccia per il sistema, cioè l'azione politica» (p. 129). Da pag. 155 a pag. 169, in due capitoletti, l'Autore svolge un'interessante confutazione delle idee di Serge Latouche, colui che ha parlato per primo di decrescita. Non manca un capitoletto sul concetto di "agricoltura di sussistenza" (178-182). I teorici della decrescita affermano che sia la soluzione, soprattutto per i Paesi poveri. L'Autore dimostra invece come sia una situazione non desiderabile. Il rapporto dei teorici della decrescita con la scienza viene trattato a partire da p. 189. Essi, com'è noto, affermano di non aver nessun pregiudizio anti-scientifico. Ma sostengono che la scienza, così com'è oggi concepita, sia "sbagliata", cioè sia a favore delle classi dominanti. Essi auspicano una scienza assolutamente neutrale. Ma cosa vuol dire "neutrale"? L'Autore - molto acutamente - fa notare che questa posizione è figlia dei teorici della Scuola di Francoforte (cita anche un libro, Dialettica dell'Illuminismo). Ma - obietta l'Autore - la loro pretesa "è più metafisica della metafisica" (p. 202). |