FEBBRAIO 2014 | Prima edizione, maggio 2011 | |||
L'Autore
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Editore
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La
citazione del titolo proviene da un'opera di Carlo Levi, L'orologio. In
essa, l'autore di Cristo
si è fermato a Eboli
tracciava un profilo dell'Italia e dei suoi destini. Levi distingueva
tra i «Luigini», ovvero i parassiti, quelli che si
spartiscono le rendite senza aver lavorato, e i
«Contadini», cioè quelli che si spezzano
la schiena
dalla mattina alla sera e che non hanno santi in paradiso. L'autore
assume questa dicotomia come punto fermo: è il paradigma su
cui
intraprende l'analisi scientifica. Per vedere se esiste veramente una Questione settentrionale, l'Autore analizza diverse statistiche economiche scorporando i dati su base regionale. Le fonti sono autorevoli (Agenzia delle entrate, Unioncamere, ecc.). Se il Nord avesse un andamento uniforme e tale andamento fosse distinto da quello del Sud, allora si avrebbero delle ragioni per concludere che in Italia esiste una questione settentrionale. Vediamo cosa si scopre da queste analisi:
L'Autore sostiene che non tutte le regioni settentrionali sono virtuose. Faccio una semplice osservazione: al Nord ci sono tre regioni a statuto speciale. Ne ha tenuto conto Gabrio Casati? Queste regioni ricevono grossi finanziamenti dallo stato centrale: probabilmente ricevono più di quello che danno. Ecco perché non appaiono insieme alle tre regioni virtuose. La controprova? Poniamoci questa domanda: nelle classifiche sulla vivibilità, Trento, Udine ed Aosta hanno lo stesso punteggio delle regioni del Sud oppure hanno lo stesso punteggio delle regioni del Centro e del Nord? La risposta è ovvia. Qualche anno fa Gianfranco Miglio proponeva di ridefinire l'architettura istituzionale attraverso la creazione delle macroregioni; inoltre proponeva che il rapporto tra esse e lo stato centrale fosse definibile mediante un contratto. Egli intendeva dire che le due parti dovevano essere alla pari. Gabrio Casati invece non mette in discussione la "causa nazionale". Il suo ragionamento conclusivo contiene una premessa e una conclusione. La premessa è il dato di fatto, ciò che è innegabile, che tutti possono vedere; la conclusione rappresenta un punto di vista consapevole, ciò che può essere visto solo chi guarda in profondità. Premessa: «L'Unità d'Italia, come tutte le esperienze non più pienamente di successo, deve essere rivista nella sua pratica attuazione». Conclusione: è «un problema distributivo» (pag. 59). Chi paga «ha diritto a una qualche contropartita» (pag. 60). Lo Stato centrale (che non si mette in discussione) deve «giustificare giornalmente» il vantaggio e l'interesse che derivano ai pochi «Contadini» dall'appartenere ad esso (pag. 62). Contesto questa conclusione: il quadro che può essere colto da chi osserva in profondità è che nonostante 150 anni di unità politica il Paese non si è ancora unito. Questo libro, che iintendeva presentarsi come un'opera «politicamente scorretta» (Prefazione di Giulio Sapelli), risulta invece scritto sul solco di un tracciato ampiamente battuto. |
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Alla fine si scoprono anche gli altarini. Pochi giorni dopo aver finito questo libro ne ho preso uno sulla storia d'Italia. Ebbene, ho scoperto che un Gabrio Casati è veramente esistito. Il conte Gabrio Casati (1798-1873) fu podestà di Milano dal 1837 al 1848. Durante il fatidico 1848 presiedette il Governo provvisorio milanese. Non capisco perché gli autori del libro non hanno voluto scriverlo. |