Teorici del pensiero politico ed economico | LUGLIO 2012 | Prima edizione,
maggio 2011 | ||||||||||||||||||||||
L'Autore |
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Il libro è stato scritto quando la crisi scoppiata negli anni 2008-2009 era ancora in corso, ma prima del crollo della Grecia e del boom del differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi. Scopo del libro è dimostrare che la vera storia della crisi non è quella di un sistema dominato da capitalisti senza morale il cui unico scopo è il guadagno (p. 34). Il crollo della fiducia negli Stati è dipeso dalle scelte di politica economica dei decisori pubblici, che si sono rivelate totalmente inadeguate. I media hanno addossato le colpe alla finanza perché è stato quello che voleva sentirsi dire la gente. Ma l'opinione pubblica ha una concezione sbagliata del capitalismo (se ne sottovaluta la capacità di accrescere la ricchezza per tutti) e del libero mercato (si sottovaluta la sua potenzialità). D'altra parte, la gente sopravvaluta enormemente la capacità riequilibratrice dello stato. L'opinione pubblica è stata vittima di un pregiudizio: l'idea che lo Stato rappresenti un'istituzione di ultima istanza contro i rischi economici. Ripercorrendo le vicende degli anni ottanta-novanta, l'Autore si concentra sulle decisioni prese in quel periodo da organismi statali, in primis il Congresso e la Banca centrale statunitensi, ispirate a concezioni keynesiane di politica monetaria. L'espansione del credito garantita dallo stato che tali scelte hanno generato (ispirate all'insegnamento di J. Keynes), ha portato gli investitori privati ad aumentare a dismisura il margine di rischio. Si è arrivati così alla bolla del 2008. Conclusione: sono state le autorità pubbliche a creare le condizioni per le quali si è prodotta l'enorme bolla speculativa che ha portato al disastro. Per facilitare la comprensione della crisi degli anni 2008-2009, l'Autore illustra le differenze tra due diversi modelli economici: uno ("moderno") è quello attualmente esistente nei Paesi occidentali, l'altro invece ("di riferimento") è ispirato alla Scuola austriaca. I due modelli si presentano come segue (p. 75):
Conclusione: il sistema economico (e istituzionale) attuale permette il verificarsi delle crisi finanziarie perché si è allontanato dai principii fondamentali del capitalismo. Tutti gli economisti hanno provato a spiegare la crisi. L'unica teoria emersa è che, per sollevare le economie colpite così duramente dalla crisi, sia necessario "più stato" (ovvero più regolamentazione, ovvero più coercizione legale). I piani di salvataggio puntano a "riformare il capitalismo". L'Autore nota come sia l'esatto contrario di quello che serve. Salin ribalta il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi: "La crisi svolge il ruolo necessario di ripristinare gli equilibri ritornando a strutture produttive che sarebbero prevalse in assenza dell'instabilità di origine monetaria". Dopo aver ribaltato il rapporto tra equilibrio dei mercati e crisi (la crisi qui assolve a una funzione positiva), l'Autore soggiunge: "La crisi non è una disfunzione del sistema economico che bisognerebbe correggere. È, al contrario, il modo per verificare gli errori del passato" (p. 148). Ora è possibile fare la seguente considerazione: si attribuisce al "mercato" la colpa della crisi, quando invece è emerso come essa sia stata provocata da politiche sbagliate. Non basta: si cercano soluzioni stataliste alla crisi, quando invece sarebbe questo il momento di affidarsi al libero mercato! Questo è il motivo per cui il libro è stato scritto. L'opera non è di agevole lettura. L'autore adotta uno stile da pamphlet, ma non è polemico. Sembra un saggio, ma vuole fare rivelazioni tranchant. Secondo il mio modesto avviso, l'autore non ha ben individuato il lettore modello: scrive per i colleghi, per i suoi studenti, o per il pubblico generalizzato? |