Area
della ricerca sociale e antropologica |
FEBBRAIO 2011 | Prima edizione, ottobre 2009 |
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L'Autore
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Scopo del saggio è studiare l'influenza dell'immigrazione proveniente dai paesi islamici sulla società europea. L'Autore parla di "rivoluzione" perché gli effetti dell'immigrazione musulmana sulla società europea saranno permanenti. Il titolo originale dà conto del fatto che l'Autore non propone soluzioni né vuole annunciare profezie, ma solamente "riflettere", cioè comprendere il fenomeno in atto. Quando l'immigrazione dai paesi musulmani iniziò, negli anni Cinquanta e Sessanta, gli europei non pensavano né che il fenomeno sarebbe durato a lungo né che avrebbe prodotto la creazione di grosse comunità volte a perpetuare la cultura d'origine, nettamente differente dalla nostra. Oggi l'Autore può affermare: «L'Europa non è alle prese con un normale problema migratorio, ma con una cultura antagonista» (p. 186). E, poche pagine dopo: «Le società europee accettano che alcuni fra i loro residenti conducano la propria esistenza all'interno di una cultura straniera». Che gli islamici residenti in Europa si sentano più "musulmani" che "cittadini europei" lo confermano i numerosi sondaggi effettuati tra i maghrebini in Francia e fra i turchi in Germania (l'Italia, che oggi annovera un numero di immigrati pari agli altri paesi europei, non è trattata adeguatamente dall'Autore; è uno dei limiti del libro). Un dato a mo' di esempio: il 70% dei musulmani europei digiuna durante il Ramadan. Tale forte radicamento culturale ha posto il problema della «doppia lealtà» (p. 177): persone nate in Europa da immigrati musulmani, cresciute in Europa, si sono arruolate o hanno parteggiato per i fondamentalisti islamici. Un episodio che ha posto in maniera eclatante il problema della non assimilabilità degli immigrati musulmani è stato quello delle «vignette danesi» su Maometto (pp. 221-26). Esponenti islamici europei hanno chiesto di ritirare le vignette dalla circolazione ed hanno preteso una dichiarazione di scuse da parte del giornale danese. In quest'occasione gli europei hanno imparato che il "diritto di satira" è limitato alla religione cristiana. Anche gli sforzi per il dialogo interreligioso non hanno prodotto i risultati sperati: tutto quello che si è verificato è stato uno spostamento dei rapporti di forza religiosi tra il cristianesimo e l'islam a favore di quest'ultimo (p. 193). Come cambia la percezione di sé degli europei quando acquisiscono la consapevolezza del problema religioso dell'islam? Gli europei, in verità, fin dal dopoguerra sono stati presi dal senso di colpa per il loro passato coloniale; inoltre credono di vedere negli immigrati delle persone bisognose di aiuto e di assistenza; infine, oggi tutti gli atti volti a proteggere i confini degli stati europei o le misure di contrasto all'immigrazione vengono tacciati pubblicamente di razzismo. La conseguenza di questi tabù è l'assunzione di un atteggiamento benevolo nei confronti dell'immigrazione. Se ciò genera problemi di compatibilità con i nostri valori, si preferisce non dirlo (p. 213). Però l'Autore mette in guarda da tale accondiscendenza perché in questo modo la maggioranza può perdere dei diritti nei confronti di una minoranza. Lo dimostra il dibattito che si è sviluppato attorno alla legge francese sul velo. Per mostrare una posizione di neutralità tra le religioni, in ossequio al principio di laicità che informa tutta la legislazione francese in materia, assieme al velo sono state vietate le "croci cristiane di grandi dimensioni" da portare al collo e la kippah ebraica. Non sembra essere stato un grande risultato. Quando si tocca l'argomento islam, gli europei si scontrano con una serie di precetti che la comunità islamica europea pretende vengano osservati da tutti, musulmani e non (p. 273):
Considerati questi principi, possiamo ora rispondere alla domanda su come cambia la percezione di sé da parte degli europei. I cittadini dei Paesi che ricevono le maggiori quote di flussi immigratori sono anche cittadini di un organismo sovranazionale denominato Unione Europea. L'UE persegue una politica volta ad eliminare ogni nazionalismo (p. 322) ed anche ad estirpare la sovranità nazionale. In questo contesto, i singoli popoli europei che vogliono difendersi o reagire al problema religioso dell'islam si ritrovano con le armi spuntate. La riflessione portata avanti dall'Autore conduce a una conclusione obbligata: «Quando una cultura insicura, malleabile, relativista incontra una cultura ancorata a delle dottrine comuni che le infondono forza e fiducia, è generalmente la prima a cambiare per uniformarsi all'altra». |