Teorici del pensiero
politico ed economico |
SETTEMBRE 2010 | Prima edizione, gennaio 2010 |
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L'Autore
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L'Autore
identifica i limiti della contabilità nazionale e
propone un
nuovo
metodo di calcolo macroeconomico: la "contabilità
nazionale
liberale".
In essa il "prodotto" coincide con il valore aggiunto del settore
esposto al mercato. Non sono considerati quindi i servizi essenziali
forniti dalla Pubblica amministrazione. Introduce poi alcune costanti: - π (parassitismo) - ε (evasione) - σ (sottoproduzione e spreco) - λ (livello dei prezzi) Se si vuole fornire una ricostruzione accurata degli squilibri territoriali nel nostro Paese è importante calcolare anche il valore di queste costanti. L'Autore, rielaborando gli ultimi dati ISTAT disponibili sul reddito delle imprese (2006), giunge a questa conclusione: fatto 100 il reddito prodotto, la tassazione è pari al 37,6%, il reddito evaso è il 10%. Le imprese, quindi, possono detenere alla luce del sole il 52,4% della ricchezza prodotta. Applicando lo stesso metodo alle tre tradizionali macro-aree dell'Italia, si scopre che il prodotto per abitante al Sud è poco più della metà (51,4%) di quello del Nord. Resta da capire l'origine di questa minore capacità di generare ricchezza. Calcolando le quattro costanti già enunciate, si evince come i territori del Sud siano caratterizzati da elevati tassi di parassitismo (π) e spesa pubblica (σ). Ne consegue che le regioni virtuose "pagano" le inefficienze delle regioni sprecone. Le sei regioni virtuose sono: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana e Marche. La Lombardia da sola pesa per il 50% (cioè come tutte le altre messe insieme). Ma i cittadini del Sud non sono poveri: i loro consumi sono paragonabili a quelli delle altre regioni. Ne deriva che essi riescono a sottrarre al fisco quote di reddito maggiori. A quanto ammonta l'evasione (ε) fiscale e contributiva? Elaborando i dati ISTAT, si può dire che il valore del sommerso è di circa 250-300 miliardi, quindi le imposte non pagate ammontano a 100-150 miliardi all'anno. Effettivamente il divario Nord-Sud esiste, ma non in termini di consumi (qui la differenza è solo del 10,9%), bensì in termini di disuguaglianza. Al Sud il reddito è distribuito in modo più ineguale che al Nord. «Questo significa che per colmare il [divario] che ancora separa i bilanci familiari del Sud da quelli del Nord basterebbe che il Sud usasse in modo efficiente la spesa pubblica, con conseguente aumento dei servizi pubblici effettivamente resi, e riducesse le sue disegualiganze interne, ad esempio combattendo il lavoro nero, l'evasione fiscale e gli extra-profitti delle organizzazioni criminali» (pag. 134). La conclusione di questa «radiografia del Paese» (come la definisce l'Autore), è netta: il Mezzogiorno non ha alcun interesse immediato a cambiare uno stato di cose che, finora, gli ha permesso di vivere largamente al di sopra dei propri mezzi. Bisogna quindi convincere i meridionali che conviene loro produrre di più. L'Autore suggerisce una soluzione: «la via maestra è anticipare sia i benefici futuri dei comportamenti virtuosi, sia i costi futuri di quelli viziosi» (pag. 173). « …quella dell'anticipazione dei benefici e dei costi [è] l'unica vera arma di cui la politica dispone se vuole guidare la transizione senza provocare una rivolta incontrollabile degli interessi colpiti» (pag. 174). |