L'autore
Alberto Cevolini (Milano 1974),
Docente di Società e processi culturali all'Università di
Modena e Reggio Emilia. Ha studiato sociologia e filosofia a Bologna
e ha svolto attività di ricerca presso le Università di
Witten/Herdecke e di Bielefeld (Germania). Si occupa di teoria generale
dei sistemi, memoria della società e sociologia del sapere. oltre
ad aver pubblicato De arte excerpendi, ha scritto Potere e modernità.
Stato, Diritto, Costituzione (2007) ed ha curato l'edizione italiana
del testo di Niklas Luhmann, Conoscenza come costruzione (2007).
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Alberto Cevolini
De arte excerpendi.
Imparare a dimenticare nella modernità
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Editore
Leo S. Olschki, 2006, Firenze: 2006.
Collana "Biblioteca dell'Archivium Romanicum. Serie I: Storia,
Letteratura, Paleografia.
ISBN 88 222 5535 6
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Ho trovato in questo libro alcune informazioni che cercavo da anni.
Prima dell'invenzione della stampa i libri erano concepiti in maniera
diversa da oggi. Derivando direttamente dai papiri, non richiedevano numeri
di pagina né indice. Gli argomenti si cercavano direttamente dentro
al volume: le lettere enormi che venivano disegnate e decorate all'inizio
di ogni capitolo servivano come "segnalibro".
I libri venivano copiati sotto dettatura, per cui spesso intere frasi
erano scritte senza spazi tra le parole. Ogni amanuense compilatore finiva
per scrivere a modo suo. Chi voleva, apponeva di sua iniziativa dei commenti
sul margine della pagina.
La circolazione dei libri era molto limitata: difficilmente una persona
aveva, nella sua vita, la possibilità di vedere due o tre copie
dello stesso libro. Anche perché le biblioteche non funzionavano
come oggi: i libri erano custoditi come tesori, non era quasi mai possibile
consultarli. Ma per gli uomini che vivevano a quei tempi, questa condizione
era vissuta come la normalità.
Tutto il libro era organizzato per favorirne il ricordo a memoria. Gli
eruditi del tempo erano soliti usare i libri come "supporto mnemonico"
(pag. 36): prendevano nota dei passi più interessanti e poi li
memorizzavano. La memorizzazione consisteva nel collocare i concetti memorizzati
in loci (alla maniera già indicata da Aristotele), al fine
di poterli poi richiamare in occasione di pubbliche orazioni o in caso
di dispute.
Con la stampa nacque la possibilità di riprodurre lo stesso libro
in centinaia di copie: i libri cominciarono a diffondersi. L'esigenza
di memorizzazione progressivamente venne meno. L'invenzione della stampa
cambiò il modo di concepire il libro e modificò notevolmente
le prassi utilizzate dagli eruditi per ricordare i brani più importanti
dei libri letti.
Tutto ciò rappresentò, usando un termine della scienza
di oggi, un "cambiamento evolutivo" (pag. 73). Per esempio,
l'ordine alfabetico, che ai noi moderni sembra un ordine "naturale".
Non così per l'uomo medievale, secondo cui l'ordine delle cose
partiva da Dio poi, seguendo una scala gerarchica, continuava con gli
angeli, gli uomini, gli animali e, infine, le cose inanimate. L'ordine
alfabetico per l'uomo medievale era solo una finzione: "La realtà
non è alfabetica" avrebbe detto.
Con l'avvento della stampa, il libro, da supporto per la memoria umana,
diventa esso stesso una "memoria secondaria" (pag. 79). L'informazione
è già presente su carta, è ampiamente disponibile,
quindi non c'è più bisogno di attivarsi per trattenerla
in maniera permanente nella memoria.
Il libro parla di questo e di molto altro. Dopo il saggio, Cevolini pubblica
in Appendice alcuni testi del Seicento che insegnano come estrarre informazioni
utili dai libri. Quello più ampio (quasi 160 pagine) risale al
1689, s'intitola De arte excerpendi e fu scritto dall'erudito tedesco
Vincent Placcius. Prima del saggio di Placcius c'è la traduzione
di una lettera di John Locke, risalente al 1686, in cui il filosofo inglese
svela ad un collega il proprio modo di redigere delle raccolte di estratti.
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