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 Libro del mese   

Anno 2004


Teorici del pensiero politico
ed economico
MAGGIO 2004 Prima edizione,
maggio 1997

L'Autore

Giulio Tremonti (Sondrio, 1947) all'epoca in cui il libro fu pubblicato era professore all'Università di Pavia. Avvocato, era entrato in politica nel 1987. Era stato eletto deputato per la prima volta nel 1994.

 

Giulio Tremonti

Lo stato criminogeno




Editore

Laterza, Roma-Bari, 1997.
Collana "Sagittari".



 

 

 

 

Lo stato criminogeno

L'«Introduzione» è in realtà qualcosa di più: un saggio di storia economica. L'Autore spiega come durante il Novecento lo Stato abbia subito un'involuzione da stato minimo a stato assolutista. Oggi viviamo in stati giacobini “moderni”. Lo stato moderno è caratterizzato da:

  1. “neo-assolutismo”;
  2. “integralismo giuridico”;
  3. gli effetti criminogeni.


I tre fenomeni sono tra loro correlati.
Nella società moderna ogni aspetto della vita reale è ormai regolamentato. La proliferazione legislativa aumenta i poteri dello stato sul cittadino. L'esito è definito “neo-assolutismo”: lo stato ha autorità su tutto. È un primo vulnus al liberalismo.
Se la legge è l'atto tipico dello stato, il contratto è l'atto tipico dei rapporti tra individui. Con una differenza sostanziale. L'osservanza alla legge è obbligatoria: la legge si impone sugli individui. Al contrario, il contratto presuppone un rapporto paritario tra le parti.
Nel Novecento, con la progressiva espansione dello Stato, la coppia autoritaria «Stato-legge» ha vinto la sua battaglia sulla coppia liberale «privato-contratto». Il modello autoritario della legge si è imposto in tutti gli aspetti della vita civile: è l'integralismo giuridico.
Il diritto penale elenca le sanzioni per chi non osserva le leggi. Ogni volta che viene promulgata una nuova legge, si rende necessario introdurre una pena opportuna per chi la viola. La moltiplicazione delle leggi causa quindi la moltiplicazione degli illeciti penali.
Si avvera così quanto affermava il padre dell'economia moderna, Adam Smith: «la legge, contrariamente a tutti i comuni principii di giustizia, crea prima la tentazione e poi punisce coloro che cedono ad essa; e inoltre comunemente inasprisce la punizione in proporzione a quella stessa circostanza che dovrebbe certamente attenuarla, la tentazione di commettere il reato (A. Smith, La ricchezza delle nazioni, trad. it. Utet, Torino, 1975).
È lo stato criminogeno. Le condizioni di base dell'assolutismo si sono infine ricreate. Il libro ci mostra come, 12 anni fa, Tremonti vedesse favorevolmente i temi federalisti: "L'ideologia che l'ispira [la riforma fiscale del 1972-73] è stata la stessa che ha poi trionfato negli anni Settanta: un'ideologia superstatalista". (…) In sintesi, la concentrazione del potere fiscale in un unico soggetto politico (lo Stato centrale) e in un unico corpo burocratico (la sua burocrazia) è stata - ed è - un eccesso" (pagg. 50-51).

Nella Parte II Tremonti discute la tesi secondo cui, nello scenario attuale, alcuni cardini del pensiero politico non funzionano più. Non funziona più, innanzitutto, l'idea che la guerra sia un mezzo con cui uno stato si possa arricchire. Oggi la ricchezza è transnazionale: la ricchezza si è liberata, per cui la conquista del territorio altrui non garantisce più la conquista della ricchezza. Oggi sono vincenti gli stati che, invece di aggredire la ricchezza del vicino, attraggono la ricchezza altrui. Bisogna quindi eliminare tutte le barriere (militari, giuridiche, culturali, ecc.) che limitano la libera circolazione della ricchezza.
Ciò significa che l'idea di stato-nazione come è stata pensata fino ad oggi non funziona più. Lo stato-nazione deve cambiare. È ancora valido come forma giuridica, ma le sue dimensioni non sono più ottimali. Tremonti propone di riorganizzarlo in senso federalista. Citando Ralf Dahrendorf: il federalismo va inteso tanto in senso territoriale quanto in senso funzionale (meno diritto pubblico e più diritto privato, meno uffici burocratici e più corpi intermedi: mutue, fondi, volontariato, cooperative, etc - pag. 145).

L'Autore condensa la tesi appena discussa affermando che, nel nuovo scenario, la filosofia politica non è più giacobina, ma sostanzialmente “aristotelica”.