L'autore
Docente universitario dal 1971, nel 2000 ha lasciato l'insegnamento
per dedicarsi più liberamente agli studi. Attualmente si occupa
di glottotecnica e tipologia linguistica.
È il responsabile
tecnico-scientifico del disegno di legge n. 993 del 21/12/2001 per l'istituzione
del Consiglio Superiore della Lingua Italiana.
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Lucio D'Arcangelo
Difesa dell'italiano.
Lingua e identità nazionale
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Editore
Ideazione, Roma: 2003.
Collana "Transizioni".
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Perché difendere l'italiano? Non è una lingua viva e vegeta
la nostra? Per carità, non è in discussione la sua sopravvivenza
(malgrado gli attacchi al congiuntivo e il maltrattamento della sintassi
che avvengono quotidianamente, anche al telegiornale), quanto la sua integrità.
Fino all'Ottocento l'italiano era soprattutto una lingua letteraria, con
un corpus di lemmi e un insieme di regole ben definite. Da quando il rapporto
con la letteratura è stato interrotto, la lingua nazionale si è
appiattita su gerghi tecnici, burocratici, commerciali fino ad indebolirsi.
Si è perso insomma quel rapporto naturale che lega il popolo alla
sua lingua, un rapporto di interscambio continuo dove la lingua riflette
la società.
Oggi invece viviamo in una situazione in cui a "a un massimo di comunicazione
sembra corrispondere un minimo di informazione reale". Le
estensioni o restrizioni arbitrarie del significato, le "violenze
idiomatiche" nate dalle cattive traduzioni dei giornali o dai cattivi
doppiaggi, sono le vie attraverso le quali il linguaggio più facilmente
si falsifica e si snatura il rapporto con la "lingua madre".
Questo è uno dei maggiori pericoli che corre l'italiano moderno.
Secondo l'Autore, la nostra lingua vive in uno stato di disaffezione,
lo conferma il fatto che nessuno ormai alza più difese contro l'alluvione
di parole straniere che dilagano senza freni. Pur traducibili nella loro
gran parte, le preferiamo ai termini corrispondenti nella nostra lingua.
E il brutto è che lo facciamo solo per moda. "Oggi nel
commercio si tende a camuffare con un inglese inutile - sportswear
- o falso - common rail - qualunque prodotto, come se non esistessero
parole italiane o queste non fossero più capaci di veicolare un
messaggio pubblicitario." L'Autore conclude con un appello a
non dimenticare il nostro passato e a non essere "comparse"
ma protagonisti dell'evolvere del nostro idioma. Noi ci evolviamo insieme
ad esso; la nostra trascuratezza dell'italiano è indice della decadenza
della nostra società.
Rimane valida ancora oggi la lezione di Giacomo Devoto: «[il corpus
di regole e di lemmi] può e deve restare "aperto" fino
a tanto che ai partecipi della comunità offra prodotti intelleggibili,
ma, al di là dell'intelleggibilità, può e deve essere
"chiuso". La lingua è bella perché è varia,
ma la varietà non giustifica mai l'incomprensibilità.»
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BIBLIOGRAFIA |
E. Bianchini, Italiano straniero, sui termini
esteri penetrati nella lingua italiana. |
G. B. Pellegrini, Dal venetico al veneto, sui
lasciti dei dialetti nella fonologia dell'italiano. |
A. Amato et alii, Prestiti linguistici dal mondo
anglofono. |
G. Pontiggia, Prima persona. |
G. Nencioni, Saggi e memorie. |
O. Castellani Pollidori, La lingua di plastica. |
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