tratto da "Focus" del Maggio 1997
Da secoli ciarlatani, scienziati e mistici cercano una coppa e altri oggetti. Perché? Cosa sono?
Ma dov'è finito il Santo Graal?
di Rossana Pessione
Chi dei due ha quello vero, Rocco Zingaro o Victoria Palmer? Il primo si dice dignitario del Supremus militaris templi hierosolymitani ordo (Ordine dei templari), l'altra è solo una disegnatrice pubblicitaria inglese. Entrambi assicurano di possedere uno degli oggetti più preziosi e misteriosi. della storia: il santo Graal, il vaso che Gesù usò nell'ultima cena e nel quale Giuseppe di Arimatea raccolse poi il sangue che sgorgò dal suo costato quando mori sulla croce. Il primo l'avrebbe avuto nel 1972 da un archeologo, Antonio Ambrosini, il quale a sua volta l'avrebbe trovato in un monastero copto in Egitto. L'altra l'ha ereditato da un avo, lo storico Thomas Wright, il quale a sua volta l'aveva rintracciato nel secolo scorso, dopo anni di ricerche, in Inghilterra. Victoria, però, non ha conosciuto la vera natura della coppa finchè non gliel'ha rivelata Graham Phillips, un dilettante di storia e appassionato delle vicende del Graal che ha studiato le carte di Wright.
Soddisfa i desideri
Mistero nsolto, dunque? Niente affatto Per decine di persone la 'cerca' come viene definita nel gergo degli iniziati la ricerca di questo e di altri oggelli, continua. Studiano lingue perdute, si destreggiano tra simboli misteriosi, tentano di decifrare codici, inseguono su antichi testi labili tracce e indizi. Esaltati, malati di esoterismo? Maniaci del mistero? Tutt'altro. Tra loro ci sono docenti universitari, avvocati, medici, antropologi, ricercatori: persone, cioè, quotidianamente a contatto con realtà fatte solo di fredda razionalità. Oltre al Graal la ricerca riguarda altri oggetti, alcuni tanto misteriosi che non si sa come siano fatti, dove si trovino e addirittura se esistano veramente. Per esempio, l'Arca dell'alleanza, la lancia di Longino (quella cioè con cui il centurione romano con questo nome apri il costato di Cristo), la Menorah (il candelabro a sette braccia che si trovava nel tempio di Gerusalemme), ed Excalibur, la spada di re Artù. Tutti oggetti con un tratto comune: essere dotati di poteri straordinari, per esempio quello di soddisfare qualunque desiderio o quello di dare l'immortalità. Tutti, però, sono poteri pericolosi che, in mani sbagliate, provocherebbero conseguenze fatali per l'umanità. Per questo la "cerca" avviene in segreto. «La caccia agli oggetti sacri scomparsi è una ricerca materiale ma anche un percorso introspettivo». spiega Mario Nordio, del dipartimento di studi eucaristici dell'università di Venezia. «Cioè per trovarli, dicono le tradizioni, bisogna esserne degni, ma non lo si è mai abbastanza. Quindi la funzione dell'oggetto introvabile è quella di spingere a cercare instancabilmente». Perchè investire tante energie cercando qualcosa di così ben nascosto, se il vero obiettivo è un altro? «Anzitutto perche proprio introvabili non sono. Ma soprattulto perche sono come un faro che illumina un percorso buio: senza di essi ci si perde», risponde Gian Carlo Pucci, antropologo e scrittore. «Sono simboli che richiamano alla memoria un insieme di conoscenze dimenticate».
Luce sfavillante
«Molte leggende sono per esempio concordi nel ritenere che il Graal
esplichi i suoi poteri solo nel luogo in cui è custodito», spiega Mariano
Bizzarri, oncologo dell'Università di Tor Vergata di Roma e studioso di
esoterismo. «I suoi effetti prodigiosi cesserebbero se ci si allontanasse dal
suo campo di influenza: potrebbero quindi esserci più Graal, ognuno legato a una
particolare zona.»
Ma allora, se proprio introvabile non è, dove potrebbe
essere il santo Graal? In qualche posto tra il Medio Oriente e l'Europa. La
leggenda del Graal nasce tra l'inghiterra e la Francia a metà del XII secolo.
All'origine c'è forse il tentativo di creare un simbolo sacro che unifichi le
antiche culinre celtiche e pagane dell'area con quella cristiana. E c'è anche un
responsabile, il francese Chrétien de Troyes, che in quel periodo scrisse
Perceval ou le Conte du Graal. Il romanzo narra di un giovane gallese che un
giorno incontra nella foresta alcuni cavalieri. Rimane così impressionato
dall'incontro che decide di recarsi alla corte di re Artù per ricevere da lui
armi e dignità cavalleresca. Dopo molte awenture, giunge al castello del Re
Pescatore dove assiste a una processione: un valletto porta una lancia
insanguinata e altri due reggono candelieri d'oro. Insieme a loro, una damìgella
che ha tra le mani una coppa o, per dirla in lingua d'oil, un graal, dal quale
emana una luce sfavillante.
Doni dell'altro mondo
Perceval il giorno dopo scopre che il re si nutre esclusivamente di
un'ostia che gli viene portata nel graal. «Da allora, quella coppa e' diventata
il santo Graal, oggetto di racconti, studi, polemiche, sogni e manipolazioni»,
spiega Franco Cardini, docente di storia all'università di Siena. Quindi, tutto
nasce dalla fantasia di uno scrittore medievale? «I terni fiabeschi non sono mai
frutto di pura fantasia. Discendono in genere da un insieme di miti. ll Graal
rientra nella serie degli oggetti magici, dono dell'altro Mondo, che si trovano
in molte tradizioni. Potrebbe anche essere la versione medievale di una leggenda
celtica che narra di un giovane re destinato a ristabilire la prosperità del suo
regno.»
Il racconto di Percevai si diffuse in tutta Europa, si arricchì e si
adattò a varie culture ed esigenze. Un secolo dopo, il tedesco Wolfram Von
Eschenbach, nel romanzo Parzifal assimilò il Graal a una pietra parlante.
Un'allusione a Gesù Cristo come "Pietra angolare". «Pietra che in area germanica
era simbolicamente associata allo zaffiro a forma di cuore della ccrona
imperiale degli Ottoni: intagliato, secondo la leggenda, dalla pietra caduta
dalla fronte di Lucifero quando fu precipitato dal paradiso», precisa Cardini.
Vaso per l'olio
Ma non è l'unica trasformazione del Graal. È stato identificato anche con un libro, o una lancia. L'etimologia stessa della parola richiama oggetti diversi. In provenzale antico "grazal" è un vaso nel quale si servono le vivande, nel latino dell'alto Medioevo i termini "gradalis", "gradalus" e "gradale" si riferivano tutti a una coppa e fino al secolo scorso, la parola "grasel", in Normandia, indicava un vaso per conservare l'olio da ardere. Anche se alcuni studiosi la ritengono una forzatura, c'è una certa similitudine anche tra "gradale" e "graduale", il libro della liturgia cattolica. Ci sarebbe quindi una connessione tra Graal e libro di Sapienza. Dice Cardini: «Il Graal è un oggetto che assume varie forme nei diversi sistemi miticoreligiosi, ma mantiene sempre un valore universale e comunque è simbolo di potere e conoscenza».
Non solo avventura
Ma con tante interpretazioni è lecito dubitare della reale esistenza
dell'oggetto. «Il fatto che l'immaginario graalico sia fatto di tanti elementi,
anche di diversa origine, non vuol dire che non ci sia un'unità originaria»,
conclude Cardini. Cioè una vera coppa.
E' questo che i cultori del Graal
cercano. Per averne finalmente i poteri? Anche per meno. «Per un estremo bisogno
di rassicurazione», ritiene Nordio. «Tanto è vero che chi si interessa di questi
argomenti usa si termini esotenci, ma all'interno di schemi di tipo psicologico
e psicanalitico. Cerca risposte, quindi, attraverso l'analisi. La cerca del
Graal può sembrare solo un'avventura cavalleresca», continua Nordio, «ma a
livello allegorico è il racconto del processo iniziatico che conduce alla
conquista della sapienza, cioè alla liberazione dalla gabbia delle apparenze.
Sul piano morale, poi, la cerca indica il dovere di uscire da questa gabbia. Il
cavaliere del Graal, insomma, non cerca solo se stesso, ma anche Dio. La cerca,
allora, diventa un esercizio ascetico, una guerra santa interiore».
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