IL SITO DEL MISTERO



Tratto da Il Giornale del 3 maggio 2010

Ritorna l’epico «Kalevala» Il poema che ha reso la Finlandia una nazione

di Giuseppe Conte

Nel primo cinquantennio dell’Ottocento, un medico e filologo, cultore appassionato della mitologia e della lingua del suo popolo, quello finlandese, vaga per i villaggi più sperduti e raccoglie dalla viva voce di cantori leggende e cosmogonie, per poi trascriverle e ordinarle in un complesso grandioso che rappresenta l’ultimo tra i poemi epici e tra i libri sacri dell’umanità. Il medico filologo si chiama Elias Lönnrot. Il poema è il Kalevala, che oggi riappare in una nuova traduzione integrale presso le Edizioni Mediterranee (Kalevala, pagg.378, euro 24,50; a cura di Marcello Ganassini).

Vale davvero la pena di immergersi in questo flusso straordinario di avventure cosmiche, guerriere, magiche, sciamaniche. Il mito dimostra ancora qui la sua potenza fondatrice. Ai tempi di Elias Lönnrot la Finlandia faceva parte della Russia imperiale, e vi si parlavano, come lingue ufficiali, il russo e lo svedese. Fu il lavoro apparentemente impossibile, quasi assurdo di Lönnrot e di un gruppo di intellettuali imbevuti di spirito romantico a creare il finlandese moderno e la Finlandia come Paese indipendente.

Un poema epico e pieno di potenza lirica e fiabesca messo insieme meno di due secoli fa è il fondamento del Paese avanzato che oggi produce tecnologia tra la più apprezzata al mondo. E il mito dimostra qui anche la sua intrinseca bellezza di «canto dell’universo», come lo definiva Joseph Campbell, il mitologo cui ha guardato come un maestro George Lucas mentre concepiva la saga di Guerre stellari. Nel prologo cosmogonico dei primi due canti, o runi, viene descritta Ilmatar, la grande madre, che stanca della sua esistenza di solitudine entra in mare e viene fecondata dal vento e dalle onde. La sua gravidanza dura settecento anni. Poi invoca Ukko, il dio supremo, e allora una anatra va a deporre le uova, sei d’oro e una di ferro, nel suo grembo. Quando le uova si aprono, nascono dal guscio il cielo e la terra e dal tuorlo il sole. Ma il suo ventre contiene anche Vainamoinen, che vi resta trenta estati e trenta inverni prima di uscire nel mare, e poi va alla deriva altri cinque anni sino a fermarsi a contemplare la luna, il sole e le stelle. Vainamoinen è eroe e anche aedo, innamorato e guerriero, sapiente e sciamano. È la voce pervasiva che regge tutto il poema nella sua complessità. Accanto a lui, Ilmarinen, un fabbro che canta l’origine magica e controversa del ferro, e che si sottopone per amore alle prove più dure, arare un campo di serpi, catturare l’orso Tuoni e il lupo Manala, pescare il terribile luccio del fiume Tuonela. Rimasto vedovo, Ilmarinen si costruisce invano una compagna d’oro e d’argento. Lemminkainen è l’eroe birbante, bello, spensierato, seduttore. Quando viene ucciso e gettato a pezzi in un fiume, il pettine che ha lasciato nella casa natale sanguina, e sua madre può iniziare l’opera di ricerca e di ricomposizione della salma, mettendo insieme i vari pezzi con l’aiuto di Suonar, dea responsabile della circolazione sanguigna, e poi di un’ape, «anima leggera», «agile creatura», che va a prendere in cielo il nettare per ridare all’eroe la parola oltre che la vita.

Contro i tre eroi, si staglia Louhi, la signora di Pohjola, nemica insidiosa perché può ricorrere ad arti magiche e inviare tra gli abitanti di Kalevala epidemie che producono orribili piaghe e l’orso che divora il bestiame; e può arrivare persino a nascondere il sole e la luna e a privare il popolo del fuoco. La guerra si sposta dal terreno delle armi a quello della potenza sciamanica. Ma non c’è solo guerra nel Kalevala.

Mirabili le descrizioni del risveglio della terra (l’eco delle quali ho avvertito in Knut Hamsun), il tono fiabesco della madre che consiglia alla figlia una dieta di bellezza come questa: «mangia buon burro per un anno:/diventerai più florida delle altre;/ carne di maiale l’anno dopo:/diventerai più graziosa delle altre» o l’episodio tragico dell’incesto boschivo di Kullervo. C’è qui lo spirito etico che Carlyle riconoscerà nel mito nordico svalutato da Goethe rispetto a quello greco-romano. E infine l’avvento, con Marijatta e il suo bambino divino incoronato re, della nuova sapienza cristiana, con la malinconica fuga di Vainamoinen su una barca di rame verso un esilio che dura ancora.

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