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Il racconto del Graal, aliâs il mistero delle origini
Non è molto logico commentare la Presentazione di un
libro, tanto più se il volume altrove presentato da altri è il proprio. Ma vale
la pena di fare un'eccezione per la premessa scritta dal dott. E. Albrile,
redattore di codesta Rivista e nostro gentile patrocinatore presso questa ed
altre pubblicazioni semestrali e non, ad un opuscolo del sottoscritto,
attualmente in bozze presso un editore pugliese. Facciamo ciò, naturalmente, non
allo scopo di farci pubblicità; benché ne avremmo sinceramente bisogno,
trattandosi del nostro primo scritto di un certo formato, a parte il volume in
corso di pubblicazione presso questo stesso editore.
L'Albrile è
dell'opinione, sulla scorta del Rigbom e del Corbin, che la descrizione del
Castello del Graal apparsa attorno al 1275 nel Der jüngerer Titurel di
Albrecht von Scharffenberg sia stata occultamente influenzata da una conoscenza
dell'architettura emblematica di un antico tempio iranico, il cd. 'Trono degli
Archi' (Taxt-i Taqdis). Da ciò, oltreché da altre corrispondenze
rilevabili nel Parzival di Wolfram von Eschenbach (scritto compilato fra
il 1200 ed il 1210), è deducibile senz'ombra di dubbio un'influenza persiana
nella misteriosofia graaliana. Tale influenza non può essere messa in dubbio e
si può ritenere motivatamente che essa sia stata trasmessa da parte degli
Assassini, i famosi Guardiani ismailiti della Terra Santa. Probabilmente
attraverso i Templari, che raggiunsero Gerusalemme un ventennio dopo (1119) la
conquista della Città Santa da parte della Prima Crociata (1099). Anche i
Templari fungevano da Custodi del luogo sacro, con le medesime prerogative ed
una gerarchia iniziatica approssimativamente parallela, nel versante cristiano.
Orbene siamo del parere, non meno di un noto scrittore attuale, che anche le
idee proprie dei Templari sul Tempio di Salomone e l'Arca dell'Alleanza abbiano
influenzato notevolmente il simbolismo graaliano. Vediamo dunque in che maniera
le due linee di azione s'intersechino nel raggiungere l'Occidente
tardomedievale. Naturalmente qui si parla d'influenze, poiché è chiaro che la
letteratura graalica rientra nell'esoterismo cristiano e come tale va intesa.
Qualcuno in passato ha espresso però l'opinione che la tradizione celtica non
sia finita con la cristianizzazione della Gallia, ma che abbia continuato a
sopravvivere attraverso la copertura exoterica della Chiesa culdea (altri lo
definisce 'monachesimo kuldeo'). Ragion per cui ad un certo punto, allorché i
tempi erano evidentemente maturi, si sarebbero prodotti un incontro ed una
fusione a livello esoterico fra la tradizione cristiana e quella celtica. Ci si
può chiedere quale fosse la confraternita cristiana coinvolta. A giudicare dalle
citazioni di Wolfram, sembrerebbe che la parte intervenuta sia quella dei
Templari.
Ripercorrendo la storia di codesto Ordine, dalla fondazione nel
1119 sotto l'egida di S. Bernardo (nipote di uno dei Nove Cavalieri fondatori e
redattore quasi un decennio dopo della Regola loro imposta, dietro il
riconoscimento ufficiale della Chiesa) sino alla distruzione del medesimo nel
1306 ad opera del Re di Francia (Filippo IV, altrimenti noto quale Filippo il
Bello) e di Clemente V (un papa del periodo avignonese), si arriva a capire
quale importante ruolo esso debba aver svolto in ambito esoterico nel corso dei
due secoli circa nei quali ha potuto agire liberamente. A giudicare dalle accuse
intentate all'Ordine del Tempio durante il processo che ha condannato al rogo i
Templari, vale a dire il fatto di praticare culti osceni e venerare il Serpente
sethiano , pare lecito affermare che si trattava di una confraternita di tipo
gnostico. Ma in che modo è giunta la Gnosi in Europa nel Tardo Medioevo? Gli
Gnostici, com'è risaputo, costituivano a loro dire i trasmettitori delle
conoscenze segrete degli Apostoli; in altre parole, erano i veri conoscitori dei
Misteri cristici.
Dopo la persecuzione perpetrata a loro danno in epoca
tardoantica da parte della Chiesa dei primi secoli (II-IV sec.), le loro
dottrine ed i loro riti potrebbero essere stati ripresi occultamente dai Catari,
nonostante s'intraveda in costoro una certa influenza manichea. In
un'interessante trasmissione televisiva di qualche tempo fa sono state mostrate
visivamente in una cartina le tappe percorse dal movimento gnostico durante
l'espansione dal Vicino Oriente in Europa. Le tappe considerate sarebbero state
le seguenti: dalla Palestina alla Siria e da qui all'Armenia; indi, passando
attraverso l'impero bizantino, esso si è trasferito nei Balcani ed in seguito in
Bosnia, assumendo attorno al X sec. la denominazione di Bogomilismo. Alla metà
del XII sec., sotto il nome di Catarismo, ha conquistato l'Italia
Centro-settentrionale e la Francia Meridionale (Provenza, Linguadoca),
diffondendosi anche nel resto della Francia ed in Renania. Sul piano pratico il
radicalismo cataro propugnava un rigoroso ascetismo, condannando la pratica
cattolica dei sacramenti e minando in tal maniera le basi religiose della
società feudale. Pur tuttavia nella Francia Meridionale esso è riuscito a
diffondersi presso l'aristocrazia. Il suddetto documentario supponeva inoltre
che il movimento cataro abbia in tal modo stimolato la nascita della saga del
Santo Graal. In particolare sarebbe stato il vate tedesco Wolfram a subire
codesta influenza. Altri ha invece supposto che l'epica in questione sia servita
a mobilitare la cavalleria del nord contro i Catari. Ma questa seconda tesi
francamente non regge. Sta di fatto che è indiscutibile l'influenza dei Templari
su von Eschenbach, e da dove hanno tratto i Templari il loro culto e la loro
dottrina se non attraverso quelle propaggini della Gnosi che hanno raggiunto
l'Europa all'inizio del X sec.? Una volta raggiunta l'Europa l'esoterismo
cristiano deve essersi congiunto con certi depositi della tradizione latina
serbati dalle associazioni dei mestieri (Collegia Fabrôrum), poiché si
deve supporre che anch'essa non si sia estinta nel 391 dopo il proclama di
Teodosio, il quale giungeva a vietare le pratiche pagane di culto. Guénon,
basandosi su uno scritto di H. Martin (storico francese), ha a suo tempo
dichiarato indirettamente che in seguito alla distruzione dell'Ordine del Tempio
la Cavalleria del Graal è divenuta la Massenia del San Graal, da cui sembra in
parte discendere la stessa Massoneria moderna. I membri di tale confraternita
chiamavansi i Templisti. Nel Titurel (1215-1220) di Wolfram, composto dal
templare svevo precedentemente al Titurel recenziore del poeta bavarese
Albrecht, è il personaggio stesso di Titurel a fondare il Tempio del Graal -
nella Gallia Meridionale, ai confini con la Spagna - e la costruzione viene
diretta secondo i dettami di Merlino; che è stato iniziato da Giuseppe
d'Arimatea al piano del Tempio per antonomasia, vale a dire il Tempio di
Salomone. L'opera di Albrecht pone invece il sacro edificio con la preziosa
reliquia a Salvaterre in Spagna. Ed infine il Santo Vasello, al fine di essere
sottratto alla profanazione da parte degli uomini ingiusti e corrotti del tempo,
viene trasportato dagli Angeli agli estremi confini del mondo, in una località
attigua al Paradiso Terrestre.
Ragion per cui, potremmo arguire da tutto
ciò, i due fratelli della storia del Parzival di Von Eschenbach (il primogenito
Feirefiz ed il secondo nato, appunto Parsifal medesimo) rappresentano in realtà
due correnti esoteriche parallele ed ugualmente valide dell'ambiente
tardomedievale. Il loro affratellamento spirituale si basava sull'origine comune
delle dottrine alle quali i seguaci dell'una e dell'altra parte si ispiravano. È
chiaro che alludiamo qui agli Assassini ed ai Templari, i quali fungevano
entrambi da Guardiani della Terra Santa. La Terra Santa era un'immagine visibile
del Centro del Mondo ossia del Paradiso Terrestre, che le antiche e recondite
leggende situavano cosmograficamente al Polo Boreale. Ma la Terra Santa stessa
aveva a sua volta un proprio centro ed era esattamente il colle ove era un tempo
collocato il Tempio di Salomone. Non è certo un caso che i Templari abbiano
stabilito la loro residenza nella Città Sacra, durante la loro permanenza ivi
prima della riconquista di Gerusalemme da parte di Saladino nel 1187, nei pressi
delle fondamenta di tale distrutto edificio. Il cuore del Tempio era stato in
passato l'Arca dell'Alleanza (ebr. Tebah, palaaram. Tebuta /
Tebota, et. Tabot), una specie di quadrilatero simbolico che
rifacendosi emblematicamente all'Arca di Noè costituiva un simulacro terreno
della Gerusalemme Celeste dalle Dodici Porte. Dodici come gli Apostoli di Gesù o
le Tribù d'Israele. Tutte immagini terrene dello Zodiaco Celeste, come del resto
i Dodici principali Cavalieri della Tavola Rotonda. Ciò spiega perché nel
Parzival è scritto che il 'pagano' Flegetanis abbia contemplato il Graal
in cielo.
Orbene, siccome il Graal era custodito secondo l'opera di
Albrecht nella Terra del Prete Gianni, il Sacerdos-rex in cui il Tardo
Medioevo ha incarnato il Sovrano Universale ossia il Cakravarti, per
dirla con gli Indú, ecco che si spiega in tal modo il rapporto d'identità tra il
Graal e l'Arca dell'Alleanza giustamente ipotizzato da Graham Hancock, che ha il
solo torto di non aver mai letto Guénon. Infatti l'Arca dell'Alleanza, come
c'insegna il brillante autore di best-seller mondiali, era stata
trafugata dal Tempio di Salomone secondo il Kebra Nagast etiope ad opera
di Menelik I, il figlio che il saggio israelita aveva avuto dalla Regina di
Saba. È d'altronde innegabile che esista un certo rapporto fra il meticcio
Feirefiz di Wolfram e cotal Menelik, così come fra la nera Regina Madre Belacane
e la Regina di Saba. Dato che Gianni era il nome del figlio generato a Feirefiz
da Repanse de Schoye, tutti i sovrani discesi da quella nobile famiglia
avrebbero da allora in poi assunto il nome simbolico, in quanto custodi del
Graal (cioè, mutatis mutandis, dell'Arca dell'Alleanza gelosamente
custodita dai sovrani etiopi discesi dinasticamente da Menelik), di Prete
Gianni. La cosa è apertamente suggerita da Von Scharffenberg, il quale non era
che un mero discepolo di Von Eschenbach, come abbiamo già visto.
Nel
contempo possiamo dichiarare che Parsifal, divenuto alla fine della saga
graaliana il novello Re Sacro capace di avvicendarsi a Re Anfortas (il Re
Pescatore, in altre parole l'Uomo in senso adamitico) dopo che per il proprio
valore di puro cavaliere dedito alla ricerca della Verità ultima lo ha guarito
dall'insanabile male (provocato dal Tempo corruttore), rappresenta una figura
strettamente equivalente a quella di Feirefiz. Nel senso che il cavaliere
cristiano incarna l'ideale gnostico dei Templari, mentre il cavaliere 'pagano'
impersona l'ideale ismailita degli Assassini. Per cui non sarebbe errato
stabilire parallelamente una connessione da un lato fra Re Anfortas ed il Gran
Maestro dell'Ordine Templare, dall'altro fra il Prete Gianni ed il Veglio della
Montagna. Se è vero allora che il Tempio del Graal risale tramite il Tempio di
Salomone e l'Arca dell'Alleanza, venerata dai Patriarchi ebraici, al simbolismo
noaico e quindi si rifà per ciò stesso alla tradizione atlantidea, è pur vero
che esso per via delle sue implicazioni con l'esoterismo celtico ci rimanda
viceversa alla tradizione iperborea. Egualmente l'antico tempio persiano di cui
parlavasi al principio della nostra argomentazione (su segnalazione
dell'Albrile) deve essere ricollegato per via ario-indoiranica alla Tradizione
primigenia, proveniente direttamente dal Paradiso Terrestre; e per via islamica
alla Città Santa, al Tempio di Salomone, all'Arca e all'Atlantide. Tra le due
tradizioni menzionate non ci può essere dunque contraddizione, ma solo accordo
armonico.
Appendice
Trattando dei rapporti del Graal coi
Rosacroce, Evola cita un enigmatico personaggio come capo dell'Ordine,
l'Imperâtor; il cui nome e la cui sede dovevano rimanere sconosciuti, in
quanto il personaggio non esercitava la propria funzione in sede temporale,
bensì sul piano spirituale. Basta dire che nell'elenco di Imperatôres
succedutisi nel corso del tempo figurava persino la figura gnostica di Seth.
Dal punto di vista rosicruciano il Papa non era che un usurpatore, siccome si
presentava come il capo spirituale per eccellenza di tutta la comunità
cristiana, cosa che normalmente non poteva spettare ad un'autorità che
esercitava il suo dominio sul piano exoterico. È chiaro che l'Imperatore di cui
parlavano i Rosacroce altri non è che il Jagadguru degli Smrti (Tradizione)
hindu, venerato dagli Smârta, l'Ordine fondato da Çankaracârya. Si diceva
infatti che egli avrebbe esercitato uno speciale ruolo alla 'Fine dei Tempi'.
Questo tuttavia non è altro che il compito del Re del Mondo, la cui funzione
necessariamente si richiama al mistero delle origini, poiché essa non è molto
diversa da quella del Re del Graal. La differenza tra l'una e l'altra consiste
nel fatto che la figura del Re del Graal ha un carattere esclusivamente
primordiale e costituisce per così dire un punto di riferimento ideale, a
livello iniziatico; giacché il Re Sacro è in realtà solo un simulacro e
rappresenta l'Uomo Universale (o alternativamente l'Uomo Vero) nella sua
dimensione sovrannaturale; mentre la figura del Re del Mondo ha un significato
perenne, che va al di là delle Età cicliche ed è strettamente legata ad una
particolare vocazione umana. Insomma, rifacendoci a scopo comparativo al
simbolismo hindu, potremmo spiegare tale differenza di ruolo paragonando il Re
del Graal al I Avatâra; vale a dire a Manu aliâs il Re Pescatore, il
quale è più o meno identificabile al Pesce Divino, a seconda che ci si riferisca
al Paradiso Terrestre oppure a quello Celeste. Invece il Re del Mondo
corrisponde all'Avatâra eterno, che la tradizione islamica conosce sotto il nome
di Seyidnâ El-Khidr e tratteggia come un essere di color verde, detentore
perpetuo di una sapienza superiore a quella stessa dei Profeti. Tornando alla
questione della 'Fine dei Tempi', è chiaro che il magistero esercitato dal Re
Mondo, ossia dall'Imperâtor di rosicruciana memoria, ha lo scopo di
favorire il recupero dello stato primordiale; ma tale azione si svolge in
segreto, non alla luce del sole, come invece è il caso del X Avatâra (denominato
Kalkyâvatâra). Quest'ultimo, viceversa, si richiama direttamente a Manu; cioè al
Re Pescatore, di cui è un'incarnazione (il termine evoca precisamente l'idea di
una 'Discesa terrena') nei tempi ultimi. Kalki è presentato dalle Scritture
hindu come una sorta di cavaliere che discende dal Cielo per sconfiggere i
Fuori-casta, ma ciò non deve essere preso troppo letteralmente. Piuttosto
dovremmo dire che egli giunge tra noi per rammentarci la nostra vera natura. Per
questo l'azione di siffatto personaggio non può essere circoscritta all'ambiente
indiano, ma deve evidentemente esercitarsi a livello universale. Il che
sottintende la riunificazione di tutte le tradizioni e la loro subordinazione
alla Rivelazione primeva. Cosmologicamente Kalki, figurativamente descritto con
la Testa Equina o addirittura come un Cavallo Bianco , è identificabile
all'asterismo di Canopo, che ha retto il Polo Sud nel X Ciclo Avatarico (4.480
a.C.-2000 d.C.); per contro il Jagadguru (lett. 'Maestro del Mondo'), in termini
ebraici il 'Re del Mondo', identificasi alla costellazione del Dragone, reggente
nello stesso periodo indicato il Polo Nord. Ora, a ben vedere, nel 2000 c'è
stato un passaggio di consegne ai due Poli; nel senso che a Nord l'Asse è
passato dal dominio ciclico del Dragone a quello della Stella Polare ed a Sud,
parimenti, al presidio di Canopo è subentrato quello della Croce del Sud. Dalla
qual cosa dobbiamo dedurre che la svolta spirituale di cui si parlava più
addietro c'è già stata in effetti, dal momento che secondo la cronologia
tradizionale ci troviamo a vivere nell'Alba di una novella Età dell'Oro. Ed è
stata una svolta tutta interiore, della quale purtroppo la maggior parte dei
contemporanei non ha avuto ancora coscienza, tanto che non ha aggiornato il
calendario. Ma, sebbene il freddo della notte appena trascorsa prevalga tuttora,
il sorgere di un nuovo Sole - da Virgilio preconizzato in una famosa Ecloga come
la nascita di un innocente Puer dai tratti apollinei - è ormai prossimo e non mancherà ben presto di produrre i suoi frutti.
Giuseppe Acerbi
Tratto da Algiza 15, pp. 6-11. La presente versione è stata pubblicata priva delle note a pié di pagina.
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