tratto da "Il corriere della sera" del 20 novembre 2000
PARACELSO La medicina nell'antro del mago
di CESARE MEDAIL
Esce la "biografia spirituale" di uno degli uomini rinascimentali più complessi e controversi. Distillava farmaci dagli alambicchi e credeva negli spiriti dell'aria
Teophrast Bombast von Hohenheim, più noto come Paracelso (1493-1541), filosofo e profeta, alchimista e soprattutto medico, rappresentò meglio di chiunque lo spirito del Rinascimento in tutte le sfaccettature e ambivalenze. In sintesi, la sua opera consiste nell'aver applicato l'alchimia e l'astrologia all'arte medica. Base teorica, l'intuizione delle corrispondenze fra macrocosmo e microcosmo, propria della tradizione ermetica fiorita nel suo tempo. Le biografie di Paracelso sono spesso parziali: da un lato c'è chi si ferma alla dimensione esoterica, dall'altro chi lo vede come precursore della modernità, come l'uomo che ha dato un calcio a Galeno e alle terapie basate sugli "umori" del corpo, aprendo la via alla medicina chimica. L'originalità della nuova opera di Pirmin Meier, lo studioso svizzero considerato uno dei massimi conoscitori di Paracelso, è quella di uscire dallo specialismo per offrire di lui un'immagine storica senza privarla dello spessore mitico-spirituale. Meier scardina il meccanismo delle biografie tradizionali costruendo appunto una biografia spirituale, che legge opere e fatti alla luce dei percorsi speculativi e anche teologici dell'alchimista. La vita di Teophrast, nato presso Zurigo, si svolge fra Austria e Svizzera, dopo un lungo vagabondare per l'Europa, come i chierici vaganti medioevali. Divenuto dottore a Ferrara, ebbe la cattedra di medicina a Basilea, poi perduta per conflitti accademici. Era personaggio scomodo, pronto a battersi con furore per le sue verità: alto 1,50, mezzo gobbo, cranio grosso, non conobbe il sesso, ma ebbe fama di uomo trasandato, bevitore e allergico alle chiese. Vicino alla Riforma non fu nemmeno contro Roma, preferendo una propria via teologica che anteponeva la "Chiesa del cuore alle chiese di pietra", perdendo così ogni alleato. Tra una fuga e l'altra, trovò requie presso figure benestanti, colte e bisognose delle sue cure (guarì per corrispondenza Erasmo da Rotterdam e Frobenius); ma trovò il modo di scrivere oltre ottanta opere, senza contare le notti trascorse in laboratorio a torturare i metalli dai quali distillare la quintessenza, "la sostanza più sottile e di massima virtù", in grado di curare chi soffre. Quella di Paracelso fu una sorta di "alchimia etica": "Non è come dicono, che l'alchimia fabbrichi oro e argento. Attraverso di essa devi fabbricare gli arcana e rivolgerli contro le malattie ". Paracelso ha un'idea moderna della cura: sa che il terapeuta non deve guardare solo alla parte malata ma all'intera persona, la quale deve sentire l'amore del medico e di chi le sta attorno. Parla di "cordiale atmosfera attorno al letto del malato". Suo modello è Cristo, "il medico più grande, venuto a salvare i malati di questo mondo". La chimica di Teophrast si fonda sui tre principi alchemici dell'Universo: "quello che, bruciato, subirà la combustione sarà lo Zolfo, quello che produrrà il fumo il Mercurio, quello che produrrà le ceneri il Sale". Applicando per via analogica la relazione fra i tre principi al corpo umano, specchio dell'Universo, si persegue il perfezionamento della persona, e quindi la cura. La triade Sale-Mercurio-Zolfo corrisponde a un concetto proprio dell'antica "filosofia perenne", è la sostanza eterna che sottende i fenomeni: va quindi intesa in senso bio-spirituale più che bio-chimica, anche se Paracelso lavorava sulla materia, traendone medicine efficaci. Quella di Teophrast, insomma, è medicina olistica dove convivono punti di vista anticipatori e medicina popolare, magia e alchimia, fede in Cristo e nella natura, nei simboli e negli spiriti dell'aria; e la trasmutazione dei metalli era per lui la vera trasmutazione dell'uomo che porta alla conoscenza di sé e quindi a Dio, di cui l'uomo è immagine; conoscenza che equivale alla pietra filosofale.
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