Da "Medioevo" del Febbraio 1998
MITI E LEGGENDE
Il mistero del Graal
NEL TEMPO HA MUTATO FORMA E NATURA, FINO A CARICARSI DI VALENZE MAGICHE.MA NON E' CAMBIATO IL SIGNIFICATO DI UNA RICERCA CHE NON SI E' MAI CONCLUSA
Graal. Il suono stesso della parola evoca suggestione e la mente corre a una coppa luminosa, ansiosamente cercata dai cavalieri di Re Artù. Ma se anche noi partiamo alla sua ricerca fra i testi della letteratura medievale, scopriamo che, in origine, il Graal era qualcosa di diverso. Il monaco Elinando, attraverso una sua cronaca in latino, ci informa che un graal è «un recipiente ampio e abbastanza profondo», una specie di vassoio, insomma, usato per servire insieme cibi differenti durante i banchetti. Un oggetto di uso comune, che si poteva trovare nella batteria da cucina di un castello. Graal del tutto eccezionali appaiono invece nelle opere di due scrittori francesi vissuti alla fine del XII secolo: Chrétien de Troyes e Robert de Boron.
IL RE PESCATORE
Chrétien, uno dei maggiori poeti medievali, diede la più alta veste
letteraria alle leggende del mito arturiano, destinate a un pubblico
aristocratico, che nelle sue opere vedeva rispecchiati gli ideali cavallereschi
della società cortese e, al tempo stesso, cercava uno svago ascoltando avventure
fantasiose, spesso non prive di un sottile erotismo.
L'ultimo poema di Chrétien, composto attorno al 1180, racconta
l'iniziazione alla cavalleria del giovane Perceval. L'eroe si trova a un certo
punto ospite in un castello misterioso, ove vive un ricco sovrano definito Re
Pescatore, in quanto, reso invalido da una ferita, è costretto a dedicarsi alla
pesca anziché alla caccia. Durante un banchetto, Perceval vede sfilare più volte
davanti a sé uno strano corteo: un paggio che porta una lancia macchiata da una
goccia di sangue, altri due che recano candelabri d'oro e una fanciulla che
sostiene un graal: «Il graal era d'oro purissimo, tempestato di pietre
preziose». Si tratta, dunque, ancora di un vassoio: come sapremo più tardi,
viene usato per servire la Comunione al padre del Re Pescatore, un sant'uomo che
vive da anni in clausura.
Anche Perceval verrà più
tardi a conoscenza di tutto questo: così come apprenderà che il Re Pescatore è
un suo cugino mentre la lancia in mano al paggio era la stessa con cui venne
ferito il costato di Gesù. Se avesse domandato subito spiegazioni, invece di
rimanere in rispettoso silenzio, non solo gli sarebbero state date, ma egli
avrebbe magicamente risanato il Re Pescatore dalla sua ferita e arrecato
prosperità al suo regno.
METAMORFOSI CRISTIANA
D'altra parte, la preparazione religiosa di
Perceval, indispensabile al cavaliere, era ancora incompleta ed egli non era
pronto per superare la prova. Una seconda occasione non si presenterà, anche
perché Chrétien de Troyes muore lasciando il poema interrotto al verso
9234.
Il Graal cambia decisamente forma tra le mani, o
meglio, nei versi di Robert de Boron. Poeta di minor levatura rispetto a
Chrétien, Robert scrisse una singolare storia, che ha come protagonista il
personaggio evangelico di Giuseppe d'Arimatea: Giuseppe entra in possesso della
coppa in cui Gesù ha consacrato il vino durante l'Ultima Cena e la usa per
raccogliere il sangue del Cristo crocifisso. Robert usa la parola "graal" per
denominare la coppa
e introduce la figura di Bron,
cognato di Giuseppe, chiamato Ricco Pescatore per aver pescato un pesce usato da
Giuseppe per ripetere la cerimonia dell'Ultima Cena. Bron, incaricato di
custodire il Graal, si reca quindi in Occidente, ove suo figlio Alano erediterà
le mansioni di custode della preziosa reliquia.
È
discusso se il testo di Robert de Boron sia stato scritto prima o dopo quello di
Chrétien. Di certo, Robert esprime un impegno religioso che, nei decenni
successivi, si imporrà su tutta la letteratura arturiana.
Il consenso che incontravano presso settori sempre più estesi
dell'aristocrazia le avventure di cavalieri spesso e volentieri adulteri, o di
maghi eredi del mondo pagano, avevano messo in allarme gli ambienti
ecclesiastici. La Chiesa, sotto il vigoroso pontificato di Innocenzo III
(1198-1216), per mezzo di crociati e ordini religiosi era in piena offensiva
contro nemici interni ed esterni. E sia Chrétien de Troyes sia Robert de Boron
fornivano gli strumenti per ispirare una svolta in senso marcatamente cristiano
alla produzione legata al mito di Artù.
IL CAVALIERE PURO
I primi segni del nuovo corso si avvertono nelle Continuazioni
dell'incompiuto Perceval, ma il primo frutto maturo è rappresentato dal romanzo
Perlesvaus composto tra il 1210 e il 1215. Si tratta di un testo in prosa, in
quanto la serietà dell'argomento imponeva l'abbandono del verso, proprio di una
narrativa di piacevole intrattenimento: Perceval, chiamato qui Perlesvaus, viene
presentato come discendente di Giuseppe d'Arimatea e il Graal è ormai
identificato nella coppa che raccolse il sangue di Cristo. Il romanzo è
intessuto di allegorie religiose e si conclude con la conquista del castello del
Graal da parte dell'eroe. Di poco successiva al Perlesvaus è la vasta
compilazione in prosa denominata Vulgata, in cui tutte le tradizioni arturiane
vengono risistemate intorno al nucleo centrale, basato sulla ricerca del Graal.
I principali eroi arturiani vengono mobilitati per mettersi sulle tracce della
reliquia: Lancillotto, distratto ai suoi amori con la regina Ginevra, il cortese
Galvano, il casto Bohort...
Nessuno, nemmeno Perceval,
è però degno di conseguirla. A tale sorte è destinato il solo Galaad, modello di
purezza, figlio di Lancillotto: Galaad rappresenta infatti la cavalleria
ispirata alla totale spiritualità, in contrapposizione alla cavalleria mondana
incarnata da Lancillotto. La cristianizzazione del mito arturiano può dirsi
conclusa; e la Vulgota conoscerà ampia diffusione, nonché adattamenti in altre
lingue europee. A essa guarderà anche Thomas Malory, che nel XV secolo, con la
sua Mort Darthur (la morte di Arturo) conclude il ciclo medievale della
letteratura arturiana.
Esito del tutto particolare ebbe
invece il mito del Graal in Germania. Intorno al 1162, il principe Hermann di
Turingia si era recato a Parigi per perfezionare la propria educazione
cavalleresca. Rientrato in patria tanto esperto nel maneggiare la spada quanto
nel citare versi, Hermann divenne langravio di Turingia (1190) e si trasformò in
mecenate, ospitando alla sua corte, tra gli altri, un cavaliere di pochi mezzi
ma di molta cultura: Wolfram von Eschenbach.
BANCHETTO MAGICO
Verso il 1210 Wolfram si dedicò a comporre il poema Parsifal,
rielaborando il Perceval di Chrétien: ne usci uno dei testi più importanti della
letteratura tedesca, destinato a ispirare Wagner a secoli di distanza. Anche
Wolfram descrive l'iniziazione alla vita cavalleresca del suo eroe, per il quale
l'educazione religiosa si accompagna alla scoperta dell'amore, vissuto poi nella
dimensione della vita coniugale. Lo spirito religioso e le esigenze
dell'esistenza mondana trovano nel poema un punto di incontro e di
equilibrio.
Il poeta tedesco si muove con una certa
libertà nei confronti del modello, a cominciare dal trattamento riservato al
Graal, che non assomiglia più a un vassoio, né si identifica con la coppa di
Giuseppe d'Arimatea: appare piuttosto una pietra1 dotata di magiche virtù.
Quando Parsifal è ospite del Re Pescatore, la figlia di questi depone il Graal
sulla tavola del banchetto e subito compaiono a non finire le vivande che più si
desiderano. Come è noto, il Medioevo credette ai poteri delle pietre preziose:
la virtù del Graal si configura però come "superiore", dunque di origine divina.
Pare di intendere che la pietra sia caduta dal cielo, ma Wolfram rimane sul
vago. Tradizioni successive ne faranno una gemma staccatasi dalla corona di
Lucifero quando l'arcangelo ribelle venne sprofondato all'inferno.
Non diversamente dal suo omologo francese, Parsifal si astiene
dal formulare domande, per cui, il giorno dopo, si ritrova solo e deriso da un
paggio. Wolfram visse abbastanza da concedere una seconda occasione al suo eroe
che, nell'ultimo libro del poema, riesce a risanare il Re Pescatore e viene
eletto "Re del Graal".
SINGOLAR TENZONE
Il Parsifal di Wolfram von Eschenbach è molto lungo: circa 25000 versi,
fitti di personaggi e di avventure. Tuttavia, nell'ultimo libro, l'autore trova
spazio per raccontare quella che, forse, è la più singolare tra le vicende
connesse al Graal: la storia di Feirefiz. Attraverso questa figura egli esprime
un atteggiamento di apertura nei confronti dell'Oriente non cristiano, ponendosi
in sintonia con la politica dell'imperatore Federico II (1208-1250), la cui
corte si aprì agli influssi della cultura araba e le cui crociate si baseranno
più sulla trattativa che sullo scontro. Feirefiz, infatti, è un infedele
mulatto, o meglio «bianco e nero a un tempo, come la gazza», provetto cavaliere
che, giunto in Europa, sfida a duello Parsifal. I due si battono e Feirefiz, pur
essendosi dimostrato superiore, offre al rivale la possibilità di concludere
pacificamente la tenzone. Parsifal accetta. Scopre così che Feirefiz è suo
fratello, nato dall'unione di suo padre con una principessa nera. I due si
abbracciano. lì mulatto Feirefiz verrà in seguito accolto fra i cavalieri della
Tavola Rotonda e si convertirà al cristianesimo, sposando la figlia del Re
Pescatore.
CACCIA ALLE STREGHE |
Fra tutti i
cavalieri della Tavola Rotonda, Perceval è indissolubilmente legato al mito del
Graal. La sua vicenda, nei termini in cui è narrata da Chrétien de Troyes, si
configura come una sorta di romanzo di formazione del perfetto cavaliere.
Perceval, il cui padre è morto in battaglia, viene allevato dalla madre in una
foresta, lontano dal mondo, affinché non intraprenda la pericolosa carriera
paterna. Ma quando il giovanetto vede per la prima volta alcuni cavalieri, non
può fare a meno di seguirli. Giunge alla corte di Re Artù e dimostra di essere
valoroso, ma ignorante delle norme della cortesia e della fede. Un anziano
cavaliere si occuperà della sua educazione. Dopo i primi successi in duello, è
pronto per conoscere l'amore, ma la sua formazione religiosa è ancora
incompleta, come vuoi significare l'episodio del Graal. Un eremita colmerà la
lacuna. A questo punto Perceval sarebbe pronto per incontrare di nuovo il Re
Pescatore, ma la morte di Chrétien lascia l'opera interrotta. |
LA PUREZZA DELLA STIRPE |
Nell'estate del 1845, Richard Wagner trascorse un periodo di vacanza nella stazione termale di Marienbad. «M'ero proposto di fare la vita più comoda di questo mondo», ricorderà anni dopo nella sua autobiografia. Come lettura si era portato il Parsifal di Wolfram von Eschenbach. La scelta non poté essere più fruttuosa: da quel momento il musicista si appassionò alla mitologia germanica e, pochi mesi più tardi, aveva già composto il Lohegrin, dramma musicale basato su un altro poema, anonimo, in cui si narra la continuazione del Parsifal. Il progetto di un dramma ispirato direttamente al cavaliere cantato da Eschenbach, più volte abbandonato e ripreso, accompagnerà invece Wagner per quasi quarant'anni. La figura del protagonista prendeva forma nella mente del compositore di pari passo con l'evoluzione del suo pensiero politico: il Parsifal di Wagner non sarebbe stato una semplice trasposizione del poema, ma un'opera diversa nello spirito, che utilizza il mito letterario ai propri fini. In effetti, tutta l'opera artistica di Wagner risponde all'esigenza di plasmare sulla scena le sue idee politiche sui futuro della Germania. Di fronte al pubblico di ricchi borghesi che assistette al primo Festival di Bayrueth, il musicista smise di credere che la Grande Germania da lui sognata sarebbe nata da una rivoluzione popolare, come egli predicava dal 1848: solo una esigua stirpe di eletti poteva portare il popolo alla purezza, rappresentata dal Graal. Un Parsifal mistico doveva prendere il posto del ribelle Sigfrido, eroe della tetralogia dei Nibelunghi: l'ansia di redenzione sostituire lo spirito di avventura: la scintilla dell'ispirazione si era accesa: il Parsifal, testamento ideologico e musicale di Wagner, fu rappresentato per la prima volta il 26 luglio 1882. Poco dopo il musicista, malato e ossessionato dagli incubi, si trasferiva a Venezia, dove sarebbe morto all'inizio del 1883. YOLANDA
GODOY |
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