tratto da "Il Tempo" del 8 novembre 2001
L'apocalisse del profeta René Guénon
Convegno a Roma sullo storico delle religioni che abbracciò l'Islam
editoriale
Quando, il 7 gennaio del 1951, René Guénon, uno dei maggiori esponenti della tradizione sapienziale e storica delle religioni del Novecento, morì nei dintorni del Cairo, si chiamava Abd al-Wahid Yahya, ovvero "il servitore dell'Unico": era il nome che aveva assunto nel 1912 convertendosi all'Islam. Nato nel 1856 in una famiglia della borghesia cattolica di Blois, sembrava attirato dallo studio della matematica; ma dopo due anni di università rinunciò a laurearsi: aveva cominciato a frequentare gli ambienti occultisti alla ricerca di una "verità segreta", universale. Cercò a lungo negli ambienti massonici e nell'ordine martinista, presieduto da Papus. Ma ben presto abbandonò quel mondo spiegando che "il torto della maggior parte di queste dottrine cosiddette spiritualiste è di non essere nient'altro che materialismo trasposto su un altro piano, e di voler applicare alla dimensione dello spirito i metodi che la scienza ordinaria applica per studiare il mondo fenomenico". Condannava anche la massoneria considerandola la degenerazione di un'antica società iniziatica a causa del materialismo scientista ed evoluzionista e della ostilità nei confronti delle religioni e particolarmente del cattolicesimo, "sola religione tradizionale dell'Occidente". E soggiungeva: "Una società iniziatica non può essere antireligiosa; ha la funzione di procurare alla élite l'accesso alla conoscenza metafisica integrale (esoterismo) mentre la religione dispensa a tutti quel minimo di verità indispensabile alla salvezza (exoterismo)".
Era convinto che soltanto radicandosi in una tradizione religiosa si potesse accedere alla conoscenza di quella verità universale che chiamava, appunto, "tradizione": "Tradizione che è dappertutto la stessa, nonostante le forme diverse che riveste per adattarsi a ogni razza e a ogni epoca". Si potrebbe obiettare perché non avesse allora seguito la sua religione, il cattolicesimo. Probabilmente perché era attratto dalla dimensione esoterica dell'Islam, ancora viva oggi col sufismo, e anche dai suoi esponenti che nulla concedevano alle filosofie razionaliste e materialiste. Sosteneva nella "Crisi del mondo moderno" (Edizioni Mediterranee) e nel "Il regno della quantità e il segno dei tempi" (Adelphi) che il mondo occidentale era stato devitalizzato da una materializzazione progressiva fino al punto che per molta cultura contemporanea la realtà sensibile era considerata la sola realtà.
Quanto alla filosofia moderna, avendo posto la ragione come unico criterio di verità, si era condannata al naturalismo e relativismo, perché ciò che si pone di là dalla natura è per definizione di là dalla ragione individuale. Anche la religione cristiana era stata contaminata dallo spirito moderno: "La maggior parte degli uomini che restano fedeli alla loro tradizione religiosa non possiedono più la coscienza effettiva delle possibilità spirituali che offre loro questa tradizione. Inoltre l'influenza della mentalità moderna spinge i credenti a minimizzare la religione considerandola come qualcosa che non ha una influenza reale sul resto dell'esistenza. Questo atteggiamento ha depotenziato la religione in un vago moralismo, e spesso in un umanesimo che mette fra parentesi ogni elemento superiore all'umano". Per eliminare i molti equivoci che circolavano sulle religioni orientali nella cultura europea si occupò anche di induismo con "Introduzione generale allo studio delle dottrine indù" (Adelphi), "L'uomo e i suo divenire secondo il Vedanta" (Edizioni di Studi tradizionali) e "Studi sull'induismo" (Luni). Infine volle rivalutare il linguaggio simbolico con "I simboli fondamentali della scienza sacra" (Adelphi). "Egli restituì - scrive a questo proposito Seyyed Hossein Nasr - ai concetti e ai simboli tradizionali il loro significato essenziale che in Occidente era andato perduto fin dal Rinascimento". Nel 1930, dopo la morte della moglie, una casa editrice lo inviava in Egitto per raccogliere dei testi esoterici islamici. Da quel viaggio non tornò più in Europa dove continuavano a uscire i suoi libri e articoli con la firma "occidentale". Nel 1934, a segnare la definitiva separazione dal mondo dov'era nato e si era formato, si risposò con una giovane discendente del Profeta, Fatma, figlia dello sceicco Mohammed Ibrahim, dalla quale avrebbe avuto quattro figli.
Dopo la morte gli ambienti della cultura neoilluminista, neopositivista e marxista-leninista lo ignorarono, quasi non esistesse culturalmente, secondo l'atteggiamento tipico del pensiero delle "sinistre intellettuali" per il quale tutto ciò che non partecipa della loro "koiné" viene considerato irrilevante culturalmente. A loro volta suoi discepoli più acritici assunsero il suo pensiero quasi come un vangelo, accettandolo senza alcuna riserva. Altri invece, dopo un primo innamoramento per quello stile algido, asseverativo e geometrico, cominciarono a distinguervi la parte positiva e quella caduca.
Cominciamo dagli aspetti positivi. Già si è accennato alla critica degli errori delle culture materialiste, immanentiste e strumentalistiche contemporanee; allo smascheramento dello pseudo spiritualismo delle dottrine occultistiche; al ristabilimento della corretta interpretazione delle religioni orientali; e infine alla rivalutazione del simbolismo tradizionale. All'indomani della sua morte, il gesuita Jean Daniélou gli riconosceva alcuni di questi meriti ma gli rimproverava di avere misconosciuto la verità assoluta del cristianesimo: "Vi sono elementi che non possedeva la tradizione precedente, una promozione spirituale. Questa promozione corrisponde al passaggio dalla conoscenza di Dio grazie al mondo visibile alla rivelazione della sua vita intima in Gesù Cristo". Guénon d'altronde confondeva la religione cosmica, che ogni tradizione ha ricavato dal mondo visibile, con quella che chiamava Tradizione, o trasmissione integrale delle verità metafisiche, svalutando così la Rivelazione di Cristo. Un'altra critica a Guénon riguarda uno dei punti più deboli della suo pensiero. In "Les Nouvelles Littéraires" del 18 gennaio 1951 Louis Pauwels ricordava l'influenza su molti giovani attratti dal suo "profetismo dell'apocalisse", ispirato alla dottrina dell'eterno ritorno e delle quattro età, secondo la quale la nostra concluderebbe in senso discendente un ciclo; ma soggiungeva che quel profetismo non offriva le chiavi per una partecipazione al mondo presente, anzi era paralizzante: "Per me, come d'altronde per molti giovani del mio ambiente, di là dalla conoscenza proposta dal filosofo del Cairo, vi è la scoperta di un obbligo complementare, che è l'obbligo dell'amore. Esso rende possibile la partecipazione al mondo e la comunicazione con gli esseri che solo il mistero dell'amore, chiuso a Guénon, ci restituisce".
Queste lacune impedirono a Guénon di cogliere nel nostro tempo quei segni provvidenziali che contrastano la presenza del male, spingendo chi lo assumeva acriticamente a una forma di fatalismo di segno contrario a quello del progressismo, ma non meno astratto e irreale
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