IL SITO DEL MISTERO

tratto da il CORRIERE DELLA SERA del 26 febbraio 1998

MITI Dai Vangeli apocrifi a Indiana Jones: una saga raccontata per due millenni viene riproposta ora da una serie di romanzi che fondono la tradizione cristiana e quella pagana

GRAAL Torna il calice dei misteri


Re Artù accetta la sfida del bestseller

Così il fattore Ramses invade il Medioevo

di Cesare Medail

Merlino andò a trovare Uther Pendragon e lo portò nella piana di Salisbury. Il re non poteva credere ai propri occhi: nel luogo in cui si era svolta la battaglia si ergeva un cerchio di pietre magnificamente disposte... Sappi che si dirà che è la Danza dei Giganti". A questo punto, una nota rimanda in fondo al libro dove si legge: «Si tratta dello strano monumento di Stonehenge... La leggenda di Merlino e il soprannome Chorea Gigantorum sono reminiscenze di un'epoca antica e dimostrano che si tratta di un luogo sacro». In un altro passo, Giuseppe d'Arimatea, il discepolo che raccolse il sangue di Cristo nel santo Calice, è svegliato da una voce: «Prendete il largo e portate via solo il Graal. Vagherete a lungo in terre ostili fino a quando raggiungerete le valli di Avalon ai confini del mondo». Anche qui, la nota spiega che il testo di Robert de Boron dice «valli di Avalon» e non isola, identificando il luogo con Glastonbury, nel Somerset (la città è nella terraferma ma circondata da valli palustri). In queste citazioni c'è la filosofia del Mistero del Graal di Jean Markale. Il brano di Merlino riilette tradizioni pagane, mentre quello di Giuseppe fa parte del filone cristiano: Markale li ricompone nello stesso racconto, radunando i vari affluenti del Mito. L'opera che Sonzogno presenta in libreria e nelle edicole si compone di Otto volumi (350 pagine, 16.900 lire l'uno), dedicati ad Artù, Merlino, Perceval, Ginevra, Lancillotto, Morgana. 
Una saga in otto volumi fa pensare ai faraoni di Christian Jacq, fortunati bestsellers dove le voragini storico-letterarine sono colmate dalla fiction più arbitraria. La saga di Markale, invece, è narrazione popolare con tutte le suggestioni di quell'universo d'incanti, ma anche operazione colta: una riscrittura contemporanea di episodi della grande epopea arturiana, fedele agli schemi epici della tradizione bretone. 
A differenza di Jacq, l'autore non ha un problema di coerenza con la Storia, tanto labili sono i dati circa il «dux guerriero» Artù, vissuto nel VI secolo; ma ha il compito, forse più arduo, di essere coerente con la materia del Mito, in parte cronistica, in parte letteraria, in parte orale: perciò ha corredato l'opera di note che sono un'autentica mappa per districarsi nel labirinto delle fonti 
Ma è lecito usare le fonti per un nuovo mosaico? La risposta viene dal Medioevo, dove la nozione di opera collettiva superava quella di opera individuale. Molti autori lasciavano l'opera incompiuta, sapendo che altri avrebbero lavorato al patrimonio mitologico comune. E Markale, che ha dedicato una vita di opere e studi all'universo bretone, si aggiunge alla secolare compagnia del Graal - vive tra l'altro nella foresta di Brocelandia, vicino al dolmen immaginato come "Tomba di Merlino" cui la gente continua a portare fiori. Talora, proprio i passi prescelti aprono spiragli sulla forza del Mito nel mondo d'oggi. Prendiamo le pagine citate all'inizio: a proposito di Stonehenge, Merlino dice a re Uther: «...gli spiriti vengono in questo luogo tra queste pietre, ogni notte in attesa della luce che infiammerà il mattino e ridarà vita al mondo"; e a proposito di Artù, scrive che il re giace ad Avalon fino a che non "si sveglierà per ricostruire il regno ideale che le potenze delle tenebre gli avevano impedito." In entrambi i casi, il Mito parla di morte e rinascita, di rigenerazione universale. Così, nei giorni di solstizio, quando la macchina astronomica di pietra compie magie di luce, Stonehenge è meta di nuovi o vecchi hippies in attesa di nuovi mondi. E chi passi da Glastonbury vedrà che il piccolo centro sorto accanto al "pozzo del Calice" e ai presunti resti di Artù e Ginevra è una sorta di cittadella spirituale popolata da giovani dediti a meditazione, terapie alternative, tradizioni magiche: come se la vera New Age fosse qui, tra pietre antiche e remoti silenzi, lontano dal business, dalle mode californiane. 
E' la forza dei simboli. Il risveglio di Artù è la Nuova Era; il Calice - come scrive Franco Cardini nel "Santo Graal" saggio uscito da Giunti - "rinvia ad un centro simbolico, cercare il quale significa dirigersi verso il fulcro dove imperniare la vita interiore e darle un senso". Una via di perfezione che non è di questo mondo salvo che per un eroe di purezza come Perceval, come Galaad. 


Ma dove si nasconde l'oggetto del desiderio? Alcune ipotesi

Se si tratta di un oggetto e non di un simbolo, dove potrebbe essere il Graal? Le ipotesi sono infinite.
 

 


Anche Disney e Spielberg tra i fan di Lancillotto

Gli otto romanzi di Markale poggiano sulle rare fonti storiche esistenti e su di una sterminata letteratura. Le origini cristiane del mito del Graal (il calice di Giuseppe d'Arimatea) risalgono agli apocrifi Atti di Pilato e Vangelo di Nicodemo. La prima fonte  britannica che parla di Artù è un accenno del Gododin, testo del VI secolo dove appare come capo guerriero. Più tardi, gli Annales de Cambrie (X secolo) menzionano la vittoria di Artù a Mont-Badon del 516 e la battaglia di Cadmalann in cui Artù e Mordred si uccisero a vicenda (537); la materia assume poi tratti epici nell'Historia Brittonum, cronaca in latino di Nennius (sec. X). Da tali testi, oltre che dal Romanzo di Bruto (sec. XI) di Robert Wace sul nipote di Enea mitico avo dei Bretoni, il vescovo Goffredo di Monmouth trasse l'Historia dei Re di Britannia (1135): l'opera mischia storia e tradizioni, celtiche e cristiane, con l'intento di dotare i Britanni di un eroe nazionale pari a Carlo Magno. Nell'Historia ,troviamo Merlino, Vortigern, Uther Pendragon, Ginevra, ma nessun accenno a Perceval, Lancillotto o al Graal, che entra nella saga solo nell'incompiuto poema di Chrétien de Troyes Perceval (1190) e nel Parzifal di Wolfram von Eschenbach. In precedenza, gli eroi arturiani erano comparsi nei Lais di Marie de France (1167), poemetti amorosi e fantastici, e nei due Tristano di Béroul e di Thomas (1165-70). Nei poemi di Chrétien, di Wolfram e di altri contemporanei (come nell'anonimo gallese Peredur dove il Graal è un piatto portato in processione con sopra la testa di un uomo da vendicare) il Graal non è il Calice cristiano: per il primo è un «vaso sacro» dotato di mistici poteri, mentre per l'esoterico Eschenbach è una pietra, lo smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero. Solo nel poema di Robert de Boron Le Roman de l'Estoire du Graal (1202) e nella trilogia in prosa che ne deriva (Giuseppe, Merlin, Perceval) compare il Calice del sangue di Cristo custodito da Giuseppe. A Boron seguì la monumentale «summa» arturiana (Lancelot, La cerca del Graal, Morte di Artù), opera di più autori che, dalla metà del '200, ispirò poeti, musicisti, cineasti: dall'anonimo Sir Gawain e il cavaliere verde (1360) alla Morte di Artù di sir Thomas Malory (1485), ai più vicini poemetti vittoriani Idilli del Re di Tennyson (1885), fino alle opere di Wagner Lohengrin (1848), Tristano e Isotta (1865), Parzifal (1882); dal caustico Un americano del Connecticut alla corte di Re Artù di Mark Twain (1889) al poema di Thomas Eliot La terra desolata (1921), dal dramma teatrale Il re pescatore di Julien Gracq (1946) a Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley (1985). I film ispirati al Graal sono una miriade. Ricordiamo solo: I cavalieri della tavola rotonda (1954) di Richard Torpe; La spada nella roccia di Walt Disney (1963); Camelot (1967), musical di Joshua Logan; Lancillotto e Ginevra (1974) di Robert Bresson; Perceval (1978) di Eric Rohmer; Excalibur (1981) di John Boorman; Indiana Jones e l'ultima crociata (1989) di Steven Spielberg; Il re pescatore (1991) di Terry Gillian.

HOME Pagina del Graal