IL SITO DEL MISTERO

tratto da "Il Messagero" di Martedì 28 Dicembre 2004

NOÈ, ATLANTIDE E LA MITOLOGIA DEI CATACLISMI

di VALERIO MASSIMO MANFREDI


LA STORIA dell’umanità è una storia di catastrofi così devastanti da rimanere impresse nella memoria collettiva, nei miti e nelle leggende. Catastrofi vissute come punizioni degli dei, offesi e vendicativi.
Il Diluvio universale è uno dei primi grandi racconti della Genesi, ma è presente presso quasi tutte le civiltà antiche. La sua versione biblica dice che l’umanità era a tale punto corrotta da apparire agli occhi di Dio come irrecuperabile. C’era un solo giusto, un uomo di nome Noè a cui il Creatore dettò le misure per costruire un enorme vascello in cui far entrare tutte le specie di animali e attendere che la terra venisse sommersa, che tutti i suoi abitanti venissero sterminati.
Quando finalmente la pioggia cessò l’arca si arenò sui monti di Urartu e cioè sui primi contrafforti del Tauro orientale. Da Noè e dalla sua famiglia sarebbe ripartita una umanità non migliore di quella che era stata sterminata.
La scoperta di una seconda e alternativa versione del Diluvio fu scoperta nel poema di Gilgamesh, molto più antico della Genesi e di eccezionale fascino. Sir Leonard Woolley agli inizi del secolo scorso credette di aver scoperto lo strato sedimentale del diluvio biblico in un banco di argilla alluvionale dello spessore di quattro metri ma in realtà tutta la bassa valle del Tigri e dell’Eufrate è andata soggetta a massicce sedimentazioni nel corso dei millenni. Il problema, in questo caso, è spiegare come l’alluvione avesse coperto “tutta la terra.”
Al giorno d’oggi c’è ancora chi va cercando l’arca in cima al monte Ararat in Anatolia orientale, un montagna di oltre cinquemila metri, dimenticando che non c’è tanta acqua sul pianeta da portare i livelli dei mari a quelle altezze. Sono state date varie risposte al problema. Secondo alcuni sarebbe il ricordo di un evento di enormi proporzioni: l’irrompere delle acque del Mediterraneo, alla fine dell’ultima glaciazione, nella vasta depressione che oggi è colmata dal Mar Nero e il cui fondo all’epoca era occupato da un grande lago di acqua dolce. Sulle sue rive viveva una numerosa popolazione in condizioni di grande prosperità che avrebbe tramandato per bocca dei superstiti la tremenda inondazione. Più probabile invece è che il ricordo del diluvio, diffuso presso tutte le antiche civiltà, non sia che la memoria storica dei cataclismi che fecero seguito alla fine dell’ultima glaciazione che provocò l’innalzamento dei mari e degli oceani e disastrose alluvioni per lo sciogliersi di immensi ghiacciai.
Un altro disastro molto illustre è narrato da Platone nel Timeo, un racconto che ha generato uno dei miti più affascinanti della nostra civiltà: l’inabissamento di un intero continente posto “fuori dalle colonne d’Ercole”: Atlantide. Da secoli si va alla ricerca del continente perduto: sede di una civiltà superiore, di una potenza e di una grandezza straordinarie, annientata in una sola notte dal dio Poseidone a causa della corruzione dei suoi abitanti.
Già Aristotele non ci credeva: «Lui (cioè Platone) diceva – l’ha suscitata dal mare, e lui ve l’ha inabissata».
Gli scienziati hanno cercato Atlantide dovunque: dal Mediterraneo all’Atlantico; dalla Scandinavia al deserto del Sahara, dalle Canarie alle Azzorre, all’arcipelago di Bimini, addirittura all’Antartide. Senza esito.
In realtà oggi noi sappiamo benissimo che non è mai esistito un continente “più grande dell’Asia (cioè dell’Anatolia) e della Libia (cioè il Nord Africa) messe assieme” nell’Oceaano Atlantico. Atlantide è probabilmente un collage: voci di terre e di grandi civiltà al di là dell’Oceano; ricordi di catastrofi naturali come quella di Santorini, l’antica isola di Thera. Le ceneri dell’eruzione sono state trovate nei ghiacci dell’Artico e datate con precisione. Nel 1600 a.C. un terremoto scosse l’isola che è di origine vulcanica. Si aprì una crepa nel fianco della montagna e il Mediterraneo precipitò a cascata dentro la fenditura direttamente sul magma che risaliva. Il camino deflagrò come una bomba: ottodieci chilometri cubi di ceneri e lapilli s’innalzarono in un fungo mostruoso che oscurò il sole; un’onda anomala alta decine di metri si abbatté sulle coste di Creta spazzando via la civiltà minoica e preparando il terreno all’invasione dei micenei. Dell’isola di Thera rimase solo l’anello esterno: il resto collassò con i suoi villaggi e i suoi abitanti sul fondo del mare.
A quel disastro seguirono drammatici mutamenti climatici che si protrassero per secoli determinando una serie di grandi squilibri ambientali: alluvioni disastrose e lunghe siccità, inondazioni e carestie: convulsioni di una natura che stentava a trovare il suo equilibrio.
Qualcosa di simile, anche se in scala molto più ridotta, avvenne nel 79 d.C. quando il Vesuvio, che i romani credevano una montagna qualunque, eruttò improvvisamente una mattina di agosto distruggendo tre città e molti villaggi, seppellendoli sotto uno strato di cinque metri di cenere e di lapilli. Il comandante in capo della squadra imperiale alla fonda a Misero, Gaio Plinio Secondo, tentò di uscire con l’ammiraglia forse per studiare la possibilità di un intervento soccorritore dell’intera flotta, primo esempio nella storia dell’impiego delle forze armate con scopi di protezione civile, ma restò bloccato nel sud del golfo per il vento contrario e morì.
E’ purtroppo una lunga storia che sarebbe complicato raccontare per esteso: è la storia della potenza smisurata della natura che l’uomo si illude di avere imbrigliato. L’uomo moderno, per di più, ha aggiunto agli inevitabili disastri naturali, come quello che ha devastato il Sud-Est asiatico, quelli dovuti alla sua assurda violenza e madornale stupidità. Pensiamo alle bombe nucleari che hanno debuttato sulla inerme popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki per poi continuare a seminare devastazione nei paradisi dell’Oceania. E pensiamo ai cataclismi prossimi venturi: distruzione delle foreste pluviali, inquinamento dei fiumi, dei laghi, degli oceani, dell’atmosfera, scioglimento dei ghiacci artici e antartici, deviazione della Corrente del golfo… Da tempo gli scienziati lanciano l’allarme ma nessuno li ascolta. Si preferisce studiare come costruire l’arca invece che evitare il diluvio



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